Comitato parlamentare Schengen, Europol e immigrazione
DOCUMENTO CONCLUSIVO, APPROVATO DAL COMITATO,
DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULLO SPAZIO SCHENGEN NELLA NUOVA COSTRUZIONE EUROPEA
Il Comitato parlamentare di controllo, che è stato istituito a norma della legge
30 settembre 1993, n. 388, con l’incarico di esaminare l’attuazione e il
funzionamento della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, in
seguito all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e della
comunitarizzazione della materia, ha visto trasformare le proprie competenze,
dall’originario potere consultivo nella forma del parere vincolante sugli atti
relativi all’acquis di Schengen, in mera attività di controllo sul
funzionamento dei dispositivi e delle norme relative al complesso delle materie
ricadenti nell’aerea Schengen.
Con detta indagine conoscitiva il Comitato ha inteso, pertanto,
nell’ambito delle competenze attualmente attribuitegli, approfondire la
conoscenza di alcuni aspetti collegati all’effettiva realizzazione di uno spazio
di libertà, sicurezza e giustizia in un’Europa dai confini allargati,
identificando gli strumenti e le azioni comuni che gli Stati membri dell'Unione,
vecchi e nuovi, devono intraprendere per garantire la libertà di circolazione
delle persone, in condizioni di sicurezza.
I dieci
paesi, che dal 1° maggio 2004 sono entrati a far parte dell'Unione, hanno
contestualmente aderito all’accordo di Schengen, anche se gran parte delle
disposizioni relative all’acquis verranno applicate soltanto al momento
dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne. Pertanto, l’indagine ha
cercato di individuare le problematiche più evidenti legate al periodo
transitorio loro concesso per l’adeguamento affinché si dotino di politiche
uniformi a quelle del resto dell’Europa in materia di visti, di controllo delle
frontiere e dell’immigrazione.
Partendo
dall’evoluzione dell’area Schengen, e dalla sua successiva incorporazione nel
quadro giuridico comunitario, sono stati oggetto di analisi e riflessione le
diverse modalità di applicazione delle disposizioni dell’acquis negli
Stati Ue e in quelli extra Ue. A tal fine il Comitato ha svolto missioni in
Islanda e in Polonia.
In vista
della costruzione di uno spazio di libertà, di sicurezza e giustizia sono state
quindi esaminate le misure previste e quelle adottate, la legislazione in
preparazione e quella in vigore, riguardanti le frontiere, i visti, i sistemi di
informazione e le modalità di utilizzo dei dati nel rispetto della privacy,
esaminando gli strumenti e i programmi volti a garantire un livello adeguato di
controllo e sorveglianza delle nuove frontiere interne ed esterne, sia
attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale di polizia, che
con adeguate politiche di sostegno ai nuovi Stati membri.
Nel corso
dell’indagine, è inoltre emerso, come i problemi e le questioni che attengono
alla libera circolazione, alla sicurezza delle frontiere e alla cooperazione tra
le autorità incaricate dell'ordine pubblico e dell'applicazione della legge,
abbiano evidenziato di recente l'esigenza di realizzare un giusto equilibrio tra
la sicurezza dei cittadini e le libertà civili e, come senza la tutela effettiva
dei diritti fondamentali della persona, non si possa realizzare lo spazio di
libertà, sicurezza e giustizia.
A tal fine è
stato dedicato ampio spazio alla trattazione della legislazione in preparazione
relativa al quadro giuridico di riferimento, alle finalità e alle modalità di
funzionamento del Sistema d’informazione Schengen di nuova generazione, il SIS
II, e a quella relativa al VIS, Sistema d’Informazione Visti, nonché alle
ulteriori proposte e Accordi in materia.
L’esigenza di progettare una politica comune
in materia di immigrazione diviene evidente, all’interno della Comunità europea,
nel 1985, con l’istituzione del mercato libero, ovvero di uno spazio senza
frontiere aperto alla libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali
e in ultimo delle persone. L’abolizione delle frontiere interne rende necessaria
una riflessione su una politica comune in materia di ingressi, di visti, di
asilo e di status dei rifugiati, ovvero sugli aspetti legati alla regolazione
del fenomeno migratorio.
Gli Stati
europei, allora come oggi, seppur favorevoli alla cooperazione in materia di
immigrazione, erano portatori di indirizzi non omogenei: l’accordo fu quindi
raggiunto in ambito intergovernativo e fra un numero limitato di Stati.
Nel 1985 Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi
conclusero la Convenzione di Schengen relativa all’eliminazione graduale dei
controlli alle frontiere comuni. Con il passare degli anni, il numero degli
Stati contraenti aumentò con l’adesione dell’Italia nel 1990, della Spagna e del
Portogallo nel 1991, della Grecia nel 1992, dell’Austria nel 1995, e in ultimo
della Danimarca, della Finlandia e della Svezia nel 1996.
La Convenzione instaura uno spazio di libera circolazione entro il
quale i cittadini degli Stati contraenti possono muoversi senza dover subire
alcun controllo, prevede però che, per esigenze di ordine pubblico o di
sicurezza nazionale, una parte contraente, previa consultazione delle altre
parti, possa ripristinare seppur per un periodo limitato i controlli di
frontiera adeguati alla situazione.
Le frontiere esterne divengono il tracciato contenitivo dell’acquis
interno, pertanto possono essere attraversate soltanto ai valichi autorizzati e
durante le ore convenute, in modo da permettere controlli uniformi da parte di
tutte le parti contraenti seppur nel quadro delle competenze nazionali e delle
diverse legislazioni nazionali in materia.
In tal modo, la Convenzione definisce la condizione di circolazione
degli stranieri in relazione ai requisiti indispensabili per l'ingresso nell’acquis,
prevedendo che questi debbano essere in possesso di un documento valido che
consenta di attraversare la frontiera, e che esibiscano, se richiesti, i
documenti che motivano le finalità e le condizioni del soggiorno previsto, la
capacità di sostenersi economicamente sia per la durata del soggiorno, sia per
il ritorno nel Paese di provenienza o per il transito verso un Paese terzo. Lo
straniero non deve essere altresì segnalato ai fini della non ammissione e non
deve essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale
o le relazioni internazionali di uno degli Stati contraenti.
A tal fine, la Convenzione istituisce il Sistema d’informazione
Schengen, un sistema comune informatizzato di archivio e scambio dati in grado
di garantire reciproca assistenza e collaborazione alle parti contraenti.
Per gli stranieri, la Convenzione prevede inoltre l'istituzione di
un visto uniforme per soggiorni di breve durata, ovvero per un periodo non
superiore a tre mesi per semestre, valido per uno o più ingressi, sia per
esigenze di viaggio che per esigenze di transito. Per soggiorni di lunga durata
o comunque superiori a tre mesi, la Convenzione riconosce ancora la validità dei
visti rilasciati dal singolo Stato secondo le leggi nazionali.
Nel caso in cui lo straniero non sia in possesso dei requisiti per
il soggiorno nel territorio di una delle parti contraenti, la Convenzione
stabilisce che questo debba lasciare il territorio dello Stato e che non possa
nemmeno recarsi nel territorio di altro Stato contraente; qualora non ottemperi
al suddetto obbligo, deve essere allontanato anche con l'uso della forza, specie
quando vi siano motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Le misure di
accompagnamento possono essere previste verso il Paese di origine o verso altri
Stati in applicazione delle disposizioni degli accordi di riammissione conclusi
dalle parti contraenti.
La Convenzione prevede l’istituzione di un Comitato esecutivo con
il compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione e sul rispetto delle
disposizioni in essa contenute nonché incaricato di agevolare l'adeguamento
delle legislazioni nazionali ai principi espressi in materia.
La convenzione di Schengen pone infine dei principi anche in materia
di ordine pubblico e sicurezza nazionale, poiché prevede la cooperazione dei
servizi di polizia dei diversi Stati ai fini della prevenzione e della ricerca
nel settore della criminalità e in tema di immigrazione clandestina.
Assente del tutto la previsione di un adeguato controllo
giurisdizionale, che, anche dopo l’incorporazione dell’acquis nel quadro
giuridico comunitario, rimane un tema assai complesso e per la cui più completa
trattazione rimandiamo all’audizione del Prof. Bruno Nascimbene.
Il Trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio
1992 e entrato in vigore il 1° novembre 1993, istituisce l’Unione europea e ne
introduce la cittadinanza, da affiancare a quella nazionale. Tale cittadinanza
conferisce ai cittadini europei il diritto di circolare e risiedere liberamente
nella Comunità; ciononostante il Trattato non tiene conto della Convenzione di
Schengen. Il Trattato definisce le strutture normative (pilastri) che
configurano l’architettura dell’Unione europea e ne definiscono le basi
giuridiche. Il titolo VI, dedicato alla cooperazione nei settori della giustizia
e degli affari interni, ricade all’interno del terzo pilastro, per il quale si
applica la cooperazione intergovernativa che attribuisce potere agli Stati
membri. Il Trattato prevede comunque il cosiddetto processo di
comunitarizzazione, ovvero il passaggio di alcune materie dall’ambito di
competenza di un pilastro all’altro.
E’ solo con il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed
entrato in vigore il 1° maggio 1999, che l’acquis di Schengen viene
incorporato nel quadro giuridico comunitario e dell’Unione europea col
Protocollo di Amsterdam, allegato al Trattato. Per la prima volta, inoltre viene
applicato il metodo della comunitarizzazione con riferimento alle materie
attinenti a libertà di circolazione delle persone, visti, asilo, immigrazione e
frontiere, che passano al primo pilastro, regolato dal metodo comunitario che
riduce il ruolo dei governi nazionali a favore delle istituzioni comunitarie,
ovvero proposta della Commissione europea, adozione da parte del Consiglio e del
Parlamento europeo e controllo del rispetto del diritto comunitario da parte
della Corte di giustizia. Il Trattato prevede altresì che il Consiglio, allo
scopo di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, divenga
competente per l’adozione di misure volte ad assicurare la libera circolazione
delle persone, nonché di ulteriori misure nei settori dell’asilo,
dell’immigrazione e della salvaguardia dei diritti dei cittadini dei paesi terzi
e indica che tale definizione avvenga entro un periodo di cinque anni, ovvero
fissa al 1 maggio 2004 il termine utile per la progressiva attuazione di un
quadro giuridico comunitario per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e
per la definizione di una politica comune sull’asilo e sull’immigrazione basata
su un sistema uniforme di norme e di regole.
Il processo appena descritto ha come conseguenza la scissione tra le
cosiddette «basi» giuridiche e tra le materie che possono essere ricondotte
all’area Schengen. Una base giuridica è rappresentata dal Trattato dell'Unione
europea, in materia di cooperazione giudiziaria penale e di polizia; un'altra è
rappresentata dal Trattato CE, che si occupa di visti, immigrazione, asilo e
cooperazione giudiziaria civile.
Tuttavia, pur essendo dinanzi a pilastri o a basi giuridiche
diverse, la considerazione dei profili UE e CE contenuta nel trattato di
Amsterdam e nei suoi sviluppi, prevede una connotazione comune individuabile
nella costruzione di uno spazio di libertà, di sicurezza e giustizia.
Tale volontà è riscontrabile anche nei principi che vengono ribaditi
nell’ottobre 1999 a Tampere, in una riunione straordinaria del Consiglio
europeo, che per la prima volta definisce un programma quinquennale di
interventi prioritari finalizzati appunto alla costruzione di uno spazio di
libertà, di sicurezza e giustizia.
Cinque anni più tardi, il 4-5 novembre 2004, il Consiglio europeo di
Bruxelles ha a sua volta adottato un programma pluriennale, il cosiddetto
Programma dell’Aia, che stabilisce le priorità nel settore Giustizia e Affari
Interni per il periodo 2006-2009, prevedendo un consolidamento delle politiche
stabilite a Tampere e delineando piani di rafforzamento in grado di riflettere
le riforme previste dalla nuova Costituzione europea. Il Programma propone il
raggiungimento di obiettivi molto ambiziosi quali l’istituzione di un sistema
comune d’asilo entro il 2010, l’abbandono dell’unanimità nell’aprile 2005 per il
passaggio alla maggioranza qualificata e alla codecisione nei settori
dell’immigrazione illegale e dell’asilo (passaggio avvenuto in anticipo, già nel
gennaio 2005) e a tal fine stabilisce una revisione del Programma nella seconda
metà del 2006 per rivedere le basi legali discendenti dall’adozione della
Costituzione.
Il Programma rimanda a un Piano d’azione in grado di tradurre le
priorità in azioni concrete stabilendo al contempo un calendario per l’adozione
di tutte le misure di intervento. Il Piano d’azione, del maggio 2005, definisce
dieci priorità che ricomprendono l’intera gamma degli obiettivi dell’Aia e che
fanno esplicito riferimento allo sviluppo di un partenariato in grado di
rafforzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Ciononostante, la volontà di alcuni Stati di cooperare più
strettamente in alcuni settori ricadenti nell’acquis di Schengen, senza
necessariamente includere tutti i paesi membri e senza coinvolgere le
istituzioni comunitarie, rimane tuttora molto forte e ne è testimonianza
l’accordo sottoscritto nel maggio 2005 a Prüm, in Germania, dai paesi segnatari
di Schengen con l’aggiunta di Spagna e Austria. L’accordo sancisce una
cooperazione transfrontaliera ancora più stretta in tema di cooperazione
giudiziaria e penale, intesa a bilanciare gli effetti indesiderati della
rimozione dei controlli alle frontiere interne.
Come l’accordo di Schengen, quello sottoscritto a Prüm, è
l’applicazione pratica della flessibilità e della cooperazione rafforzata, da
molti ritenuta la condizione indispensabile per la buona riuscita del processo
di integrazione europea, soprattutto all’indomani dell’allargamento.
Non a caso, nel preambolo all’accordo, i paesi contraenti si
dichiarano consapevoli di svolgere un ruolo pionieristico che, nel quadro del
miglioramento della cooperazione in Europa e senza pregiudicare le disposizioni
dei Trattati CE e UE, sia in grado di contribuire a porre le basi tecniche e
giuridiche necessarie a stabilire un livello di cooperazione transfrontaliera il
più elevato possibile in materia di condivisione e scambio di informazioni in
vista della lotta contro il terrorismo, la criminalità trasfrontaliera e
l’immigrazione illegale. Al contempo, gli Stati contraenti sottolineano che
l’accordo rimane aperto alla partecipazione di tutti gli altri Stati membri
dell’Ue, e ribadiscono la loro intenzione di tradurne le previsioni nel quadro
giuridico dell’Unione europea.
Nello stesso tempo le parti contraenti, consapevoli del fatto che il
trattamento e lo scambio di dati personali presuppongono un livello adeguato di
protezione, convengono sulla necessità di prevedere e mantenere un controllo
giudiziario appropriato circa le misure previste dall’accordo stesso
sottolineando che le previsioni si incardinano nel rispetto dei diritti
fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, così come nelle tradizioni costituzionali comuni agli
stati interessati.
Al di là, di quanto dichiarato nelle premesse generali, le
disposizioni sulla protezione dei dati attualmente vigenti a livello europeo,
non appaiono ancora adeguate per l’attuazione del principio di disponibilità,
che sottende allo scambio diretto di informazioni tra autorità di Stati diversi,
si presume pertanto che l’accordo di Prüm non potrà essere applicato finché le
disposizioni in materia di protezione dei dati non saranno adottate in ambito
nazionale o europeo, per essere poi recepite nei diritti nazionali dei paesi
contraenti.
Le novità contenute nell’accordo riguardano la costituzione, da
parte dei paesi contraenti, di una banca dati per l’introduzione dei dati
relativi all’analisi del DNA, e in seguito la possibilità, per ogni Paese, di
accedere alla ricerca automatica e alla comparazione dei profili relativi al DNA
e alle impronte digitali contenute nelle banche dati dei paesi aderenti
all’accordo. In caso di eventi di massa che abbiano carattere trasfrontaliero,
l’accesso ai dati personali viene considerato lecito anche nei casi in cui
esistano soltanto ragionevoli motivi che il soggetto a cui questi si
riferiscono sia in procinto di o possa commettere atti criminali.
Oltre allo scambio di informazioni, l’accordo prevede il
rafforzamento della cooperazione operativa delle forze di polizia degli Stati
contraenti per il coordinamento e il sostegno reciproco nell’uso di agenti di
sicurezza impiegati a bordo degli aerei così come la reciproca assistenza nella
lotta contro l’immigrazione per l’esecuzione di espulsioni congiunte.
Due
decenni dopo la firma dell’Accordo di Schengen, l’acquis comprende anche paesi
al di fuori dell’Unione europea, o Stati membri dell’Ue che partecipano al suo
sviluppo dando però vita a regimi differenziati.
Schengen e i nuovi Stati membri dell’Unione
L’articolo 8 del Protocollo sull’acquis di Schengen
allegato al Trattato di Amsterdam, prevede che l’adesione di nuovi Stati
all’Unione europea sia condizionata dall’adozione integrale delle norme e delle
prassi operative relative all’acquis. I dieci paesi, che dal 1° maggio
2004 sono entrati a far parte dell’Unione, hanno dunque contestualmente
accettato di appartenere allo spazio Schengen, anche se gran parte delle
disposizioni relative all’acquis, verranno applicate soltanto al momento
della soppressione dei controlli di frontiera. Tale soppressione, formalizzata
con una decisione presa all’unanimità dal Consiglio su proposta della
Commissione, avrà luogo dopo che il SIS II diverrà operativo e soltanto dopo che
i nuovi Stati membri avranno soddisfatto le condizioni necessarie per
l'applicazione delle misure compensative indispensabili per l’abolizione delle
frontiere interne. Le visite di valutazione inizieranno nella primavera del 2006
e si concluderanno con una relazione delle ispezioni avvenute sul terreno. Tutti
i nuovi Stati membri, a eccezione di Cipro che ritiene di poter adeguare porti e
aeroporti ai criteri richiesti solo nel 2009, hanno chiesto di essere valutati
entro l’ottobre del 2007.
La
valutazione terrà conto dell’adeguamento raggiunto relativamente al controllo
effettivo delle frontiere esterne (adeguamento delle infrastrutture, quali
porti, aeroporti e valichi di frontiera terrestri, e formazione del personale
addetto ai controlli di frontiera), dell’applicazione corretta della normativa
in materia di visti, della cooperazione di polizia e giudiziaria penale, della
normativa in materia di tutela dei dati personali, del raggiungimento delle
condizioni tecniche ed operative per la messa in funzione del SIS II e
l’effettiva presenza sul territorio di centri di permanenza atti
all’identificazione dei clandestini.
L’Unione
europea ha previsto che tale adeguamento venga opportunamente sostenuto
attraverso due strumenti finanziari la Schengen Facility, messa a
disposizione dei nuovi Stati con particolare riguardo al finanziamento di
progetti volti alla creazione di infrastrutture alle frontiere esterne,
equipaggiamento tecnico, addestramento e supporto logistico e la Transition
Facility, in grado di finanziare i gemellaggi amministrativi fondamentali
per il rafforzamento delle capacità amministrative e giuridiche dei nuovi
membri, con una dotazione per il triennio 2004-2006 rispettivamente di 900 e 380
milioni di euro.
Attualmente, i nuovi Stati membri applicano tutte le disposizioni dell'acquis
in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia che non sono strettamente
vincolate all'abolizione dei controlli alle frontiere interne.
Dal punto di vista politico, il libero accesso al mercato del
lavoro, corollario della libera circolazione delle persone, e la posizione della
Germania e dell’Austria, ovvero dei due paesi di destinazione privilegiati dai
flussi di immigrazione dall’Europa dell’est, hanno indotto alla cautela,
dilatando la moratoria a un periodo temporale di sette anni diversamente
articolato:
· un primo biennio in cui i vecchi Stati membri adotteranno nei confronti dei cittadini dei nuovi paesi, le misure e le norme sulla libera circolazione previste dalle legislazioni nazionali di riferimento;
· un triennio aperto da una relazione della Commissione sulla cui base il Consiglio esaminerà il funzionamento delle norme transitorie. I quindici vecchi Stati dovranno poi pronunciarsi, ognuno per suo conto, circa le misure da adottare nei confronti dei più giovani cittadini europei. Tali misure potranno andare dalla completa apertura dei mercati del lavoro nazionali, con clausola di salvaguardia da adottare nei momenti di criticità, alla rinnovata richiesta dell’adozione dei permessi di soggiorno;
· un ultimo biennio in cui gli Stati membri, che avranno deciso di conservare il permesso di soggiorno, saranno nuovamente invitati ad aprire le porte del mercato del lavoro nazionale ai cittadini dei nuovi paesi membri;
· dopo tale periodo transitorio il 1° maggio 2011 tutti gli Stati Membri dovranno avere comportamenti uniformi e di reciprocità in materia di libera circolazione e mercato del lavoro.
Regno
Unito/Irlanda del nord e Irlanda
Conformemente al protocollo allegato al trattato di Amsterdam, il
Regno Unito, l’Irlanda del nord e l'Irlanda possono partecipare, integralmente o
parzialmente, alle disposizioni dell'acquis di Schengen dopo la votazione
del Consiglio all'unanimità degli Stati parti degli accordi e del rappresentante
del governo dello Stato interessato.
Il Regno Unito e l'Irlanda quindi non partecipano automaticamente
all'acquis di Schengen né al titolo IV, e possono mantenere i controlli
sulle persone che entrano sul loro territorio in provenienza da altri Stati
membri. Reciprocamente, gli altri Stati membri possono mantenere controlli sulle
persone che entrano sul loro territorio dal Regno Unito o da altri territori le
cui relazioni esterne ricadono sotto la responsabilità di quest'ultimo, nonché
sulle persone provenienti dall'Irlanda.
Questi due Stati membri partecipano tuttavia a tutta la cooperazione
di cui al titolo VI del trattato UE, e attualmente hanno scelto di partecipare
agli aspetti relativi alla cooperazione di polizia e giudiziaria dell'acquis
di Schengen, incluse certe misure di lotta contro l'immigrazione clandestina. I
due Stati membri hanno ugualmente optato per partecipare in questo campo alle
azioni della Comunità rientranti nel titolo IV, come quelle relative alla
responsabilità dei trasportatori, all'azione contro l'aiuto ai fini d'ingresso,
transito e soggiorno illegale sul territorio, agli accordi di riammissione con i
paesi terzi e alle misure per aumentare la sicurezza dei visti.
Le modalità di partecipazione del Regno Unito e dell’Irlanda del
nord sono comunque stabilite nella decisione del Consiglio del 29 maggio 2000 e
quelle relative alla partecipazione dell'Irlanda sono stabilite nella decisione
del Consiglio del 28 febbraio 2002.
Dopo aver valutato le condizioni preliminari relative
all'applicazione delle disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria e di
polizia, il 22 dicembre 2004 il Consiglio ha adottato una decisione riguardante
l'applicazione di queste parti dell'acquis di Schengen da parte del Regno
Unito e dell’Irlanda del nord.
Danimarca
La Danimarca, ai sensi del protocollo allegato al trattato di
Amsterdam, non partecipa all’adozione da parte del Consiglio delle misure
proposte a norma del titolo IV del trattato CE, a eccezione delle misure che
determinano quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso
di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e delle misure
relative all’istituzione di un modello uniforme per i visti.
Relativamente allo sviluppo dell’acquis di Schengen, entro
sei mesi dalla decisione del Consiglio su una proposta o iniziativa in tale
ambito, la Danimarca decide se intende recepire tale decisione nel proprio
diritto interno.
Norvegia e Islanda
La Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia, appartengono,
insieme a Svezia, Finlandia e Danimarca, all'Unione nordica dei passaporti, i
cui membri hanno abolito i controlli alle frontiere comuni. La Svezia, la
Finladia e la Danimarca sono diventate firmatarie dell’accordo di Schengen in
quanto Stati membri dell'Ue, mentre l'Islanda e la Norvegia sono associate al
suo sviluppo dal 19 dicembre 1996. Pur non disponendo di un diritto di voto nel
Comitato esecutivo Schengen, questi paesi possono esprimere pareri e formulare
proposte.
L'accordo firmato il 17 maggio 1999 tra l'Islanda, la Norvegia e l'Ue
proroga questa associazione, permettendo ai paesi in questione di partecipare
all'elaborazione dei nuovi strumenti giuridici connessi allo sviluppo dell'acquis
di Schengen, che si applicano anche ai paesi suddetti.
Concretamente, l'associazione assume la forma di un Comitato misto
creato al di fuori del quadro Ue e composto da rappresentanti dei governi
islandese e norvegese, dei membri del Consiglio dell'Ue e della Commissione. Il
29 giugno 1999, il comitato ha adottato il suo regolamento interno.
Nei settori dell'acquis di Schengen che si applicano
all'Islanda e alla Norvegia, le relazioni fra questi due paesi, da un lato, e
l'Irlanda e il Regno Unito dall'altro, sono regolamentate da un accordo
approvato dal Consiglio il 29 giugno 1999.
Il 1° dicembre 2000, il Consiglio ha adottato una decisione relativa
alla messa in applicazione dell'acquis di Schengen in Danimarca,
Finlandia e Svezia nonché in Islanda e Norvegia.
Svizzera
La stipula dei primi accordi tra la Confederazione elvetica e la
Comunità europea risale al 1972, quando le due parti firmarono un accordo di
libero scambio che si riferiva prevalentemente ai prodotti industriali.
Nel 1999 sono invece stati siglati gli Accordi bilaterali I, in
vigore dal 1° giugno 2002, riguardanti la libera circolazione delle persone, i
trasporti terrestri e aerei, l'agricoltura, la ricerca, gli ostacoli tecnici al
commercio e gli appalti pubblici.
Un secondo ciclo di trattative è stato avviato nel maggio 2004 su
nove dossier relativi a: Schengen-Dublino, fiscalità del risparmio, lotta contro
la frode, prodotti agricoli trasformati, ambiente, statistica, partecipazione
della Svizzera ai programmi europei MEDIA, educazione-formazione e pensioni. La
Svizzera e l’UE hanno siglato gli Accordi bilaterali II il 26 ottobre 2004, a
Lussemburgo; il Parlamento svizzero li ha approvati il 17 dicembre dello stesso
anno sotto forma di decreti federali, sette dei quali da sottoporre a referendum
facoltativo. Il 5 giugno 2005 il popolo svizzero è stato chiamato a votare in
merito all’associazione della Svizzera agli accordi di Schengen e di Dublino,
l’affluenza alle urne ha raggiunto il 56% e con una maggioranza del 54,6 % dei
voti l’associazione a Schengen e a Dublino è stata accolta.
Il 1° maggio 2004, gli accordi bilaterali in vigore tra la Svizzera
e l’Ue sono stati estesi automaticamente ai nuovi Stati membri, tranne l’accordo
sulla libera circolazione delle persone del 1999, che ha richiesto un certo
numero di adattamenti che sono stati oggetto di negoziati con l’Ue. Un
protocollo complementare ha così stabilito limitazioni all’immigrazione tali da
consentire un’introduzione graduale e controllata della libera circolazione dei
cittadini dei nuovi Stati Ue, con termini transitori fino al 2011. Il 25
settembre 2005 il popolo svizzero è stato chiamato alle urne per esprimersi sul
referendum relativo all'estensione della libera circolazione ai nuovi Stati
membri Ue, che è stata accolta dal 56% dei votanti.
Analizzando in maniera incrociata le sezioni del Programma dell’Aia e del Piano d’azione si evince che le istituzioni europee sono invitate a prendere le misure necessarie per:
· abolire i controlli sulle persone alle frontiere interne con e fra i nuovi dieci Stati membri, a condizione che questi abbiano soddisfatto tutti i requisiti per l’applicazione dell’acquis di Schengen (valutazione nel primo semestre 2006) e comunque solo dopo che il SIS II sia diventato operativo nel 2007. La Commissione è inoltre invitata a presentare, una volta completata l’abolizione delle frontiere interne, una proposta intesa a integrare l’attuale meccanismo di valutazione Schengen con un meccanismo di ulteriore controllo che comprenda il pieno impegno degli esperti dei Paesi membri, compresi i controlli senza preavviso. Conseguentemente il Gruppo Valutazione Schengen (Gruppo Sch-Eval) è incaricato di verificare che siano soddisfatti tutti i requisiti necessari per una decisione del Consiglio in materia di abolizione dei controlli alle frontiere interne dei nuovi Stati membri e gli viene assegnato l’ulteriore compito di esaminare la corretta applicazione dell’acquis da parte degli Stati membri che già usufruiscono dei benefici dell’apertura delle frontiere interne, con nuovi e più rigidi criteri che sostituiscano i sistemi di verifica attuali considerati da più parti poco efficaci e non scevri da considerazioni di ordine politico;
· stabilire un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne consistente principalmente nell’istituzione dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX), la cui sede è stata inaugurata il 1 maggio 2005 a Varsavia. L’Agenzia secondo le previsioni dovrà essere in grado di rispondere sia a situazioni d’emergenza che alla necessità di formazione comune, analisi dei rischi, burden sharing e cooperazione con i paesi terzi. In ogni caso dovrà funzionare da centro di coordinamento per i progetti pilota e le operazioni congiunte messe a punto dai centri specializzati stabiliti in sette diversi Stati membri;[1]
· porre le condizioni giuridiche e pratiche per la creazione di squadre di reazione rapida, ovvero squadre di esperti nazionali incaricate di fornire tempestivamente assistenza tecnica e operativa sul controllo delle frontiere agli Stati membri e in grado di far fronte a pressioni o ad afflussi migratori eccezionali, proposta che come indicato nella “Priorità d’azione per rispondere alle sfide dell’immigrazione. Prima iniziativa presa dopo la riunione di Hampton Court”, la Commissione presenterà, entro la primavera del 2006. Secondo il Programma dell’Aia, la valutazione del funzionamento del team di esperti nazionali nel 2007, se positiva, dovrà aprire la strada alla possibile creazione di un sistema di guardie di frontiera europee;
· cooperare per operazioni di salvataggio in mare possibilmente anche includendo la partecipazione di Paesi terzi;
·
costituire entro la fine del 2006 un Fondo comunitario per la
gestione delle frontiere esterne governato dal principio di solidarietà in campo
finanziario fra gli Stati membri. Tale proposta è stata altresì inserita nelle
prospettive finanziarie 2007-2013.
[1]
Centro di Analisi del Rischio (RAC) a Helsinki; Centro di addestramento per
la Guardia frontiera (ACT) a Traiskirchen (Vienna); Centro per le frontiere
marittime occidentali (WSBC) a Madrid; Centro per le frontiere marittime
orientali (ESBC) al Pireo (Grecia); Centro per le frontiere terrestri (CLB)
a Berlino; Centro per le frontiere aeree(ABC) a Fiumicino.
La proposta costituisce un
ulteriore sviluppo dell’acquis di Schengen con riguardo alla cooperazione
operativa transfrontaliera tra forze di polizia nell’ambito delle indagini sulla
criminalità transnazionale. La proposta prevede un coordinamento delle attività
di polizia e doganali nelle regioni frontaliere con mezzi quali la
pianificazione comune delle operazioni e delle risorse e istituisce un
meccanismo permanente di consultazione e informazione reciproca.
Tale proposta è ritenuta di
particolare rilievo in relazione all’allargamento, in quanto permetterà di
rafforzare la capacità di scambio informativo all’interno dello spazio di libera
circolazione e di facilitare la cooperazione soprattutto alle frontiere interne
eliminando la limitazione, non ai soli confini terrestri, per quanto riguarda
l’inseguimento oltre frontiera.
Il concetto di una gestione integrata delle frontiere comuni esterne che
l’Unione europea ha sviluppato negli ultimi tempi ha ora a disposizione un
fondamentale catalizzatore per coordinare la collaborazione operativa tra gli
Stati membri in tale settore: l’Agenzia europea per la gestione della
cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX). L’istituzione
dell’Agenzia rappresenta un passo in avanti concreto e significativo anche per
quanto riguarda la solidarietà tra Stati membri nel campo della gestione delle
frontiere esterne, contribuendo in misura davvero sostanziale alla condivisione
degli oneri, anche finanziari, connessi al controllo dei confini.
Per quanto gli Stati membri siano responsabili del controllo e della
sorveglianza delle frontiere esterne – dove per frontiere esterne degli Stati
membri si intendono le frontiere terrestri e marittime di questi ultimi e i loro
aeroporti e porti marittimi - l’Agenzia semplifica l’applicazione delle misure
comunitarie presenti e future in materia di gestione di tali frontiere, senza
peraltro interferire sui singoli sistemi di sicurezza dei Paesi membri.
L’Agenzia svolge i seguenti compiti:
Fatte salve le competenze dell'Agenzia, gli Stati membri hanno facoltà di proseguire la cooperazione stabilita a livello operativo con altri Stati membri e/o paesi terzi alle frontiere esterne se tale cooperazione completa l'azione dell'Agenzia. Gli Stati membri informano l'Agenzia delle attività condotte nel quadro della cooperazione al di fuori dell'Agenzia.
L’Agenzia è un organismo comunitario dotato di personalità giuridica. Ha un consiglio di amministrazione che è composto da un rappresentante di ogni Stato membro e da due rappresentanti della Commissione.
Norvegia, Islanda e Svizzera, paesi associati all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, prendono parte alle attività dell'Agenzia, ciascuno con un rappresentante al consiglio di amministrazione. Regno Unito e Irlanda partecipano ma non votano.
L'Agenzia è diretta dal suo direttore esecutivo che è completamente indipendente nell'espletamento delle sue funzioni. Per raggiungere le sue finalità, l’Agenzia può cooperare con Europol, con le autorità competenti dei paesi terzi e con le organizzazioni internazionali specializzate in questo settore. Le entrate dell'Agenzia provengono da una sovvenzione comunitaria - che per il 2005 è stata di 6,2 milioni di euro - da un contributo dei paesi associati all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, dai compensi per i servizi forniti e dai contributi volontari degli Stati membri.
Il regolamento finanziario applicabile all'Agenzia è adottato dal consiglio di amministrazione, previa consultazione della Commissione.
Entro tre anni dalla data in cui l'Agenzia ha assunto le proprie funzioni e successivamente ogni cinque anni, il consiglio di amministrazione ordina una valutazione esterna indipendente sull'attuazione del regolamento.
L'Agenzia ha assunto le proprie funzioni con decorrenza dal 1° maggio 2005, ma è diventata operativa solo dal 3 ottobre 2005.
La politica comunitaria nel settore delle frontiere esterne dell'Unione europea è finalizzata ad una gestione integrata che garantisca un livello elevato e uniforme di controllo delle persone e di sorveglianza, come prerequisito fondamentale per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Poiché gli Stati membri sono responsabili dell'attuazione, a livello operativo, di tali norme comuni, la politica comunitaria trarrebbe inevitabilmente vantaggio da un migliore coordinamento delle attività svolte dagli Stati membri in relazione al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne.
Il piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione
europea, concordato dal Consiglio il 13 giugno 2002, appoggiava la creazione di
un organo comune di esperti in materia di frontiere esterne ai fini della
gestione integrata delle frontiere esterne, organo che tuttavia presentava
limiti strutturali per quanto riguarda il coordinamento della cooperazione
operativa. L’istituzione dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione
operativa alle frontiere esterne, cui viene attribuita questa funzione di
coordinamento, costituisce un passo avanti nella realizzazione della
cooperazione operativa tra Stati membri.
Il programma dell’Aja adottato il 4 e 5 novembre 2004, ha previsto
una serie di misure e di impegni al fine di migliorare la gestione della
migrazione, aspetto strettamente connesso al controllo delle frontiere esterne,
e tra le priorità d’azione individuate dalla Commissione per rispondere alle
sfide dell’immigrazione, dopo la riunione informale dei Capi di Stato e di
Governo dell’Unione europea del 27 ottobre 2005 ad Hampton Court, sono
attribuite all’Agenzia una serie di azioni a breve termine:
- messa in opera, con la massima urgenza e a titolo prioritario, delle misure per la gestione delle frontiere, previste dal programma di lavoro del 2006, per combattere l’immigrazione clandestina nella regione del Mediterraneo, mediante progetti pilota e operazioni comuni;
- presentazione al Consiglio, entro maggio 2006, di una relazione sull’analisi dei rischi in Africa;
- preparazione nel 2006 di uno studio sulle possibilità di rafforzare il controllo e la sorveglianza del Mar Mediterraneo. Nello studio sarà valutata la fattibilità di una rete di pattuglie costiere del Mediterraneo.
Al fine di promuovere la realizzazione tempestiva della rete di pattuglie costiere, l’Agenzia darà vita a un progetto pilota per l’organizzazione e la gestione corrente di una rete di punti di contatto nazionali negli Stati membri per il controllo e la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel Mediterraneo. Parallelamente, l’Agenzia organizzerà insieme agli Stati membri alcuni progetti pilota finalizzati a migliorare il lavoro delle pattuglie costiere che controllano le frontiere marittime nell’Unione europea. Se l’esperienza si mostrerà positiva la rete potrebbe costituire la base per una struttura più permanente sotto il controllo dell’Agenzia che promuoverebbe la cooperazione tra le due sponde, quella orientale e quella occidentale, del Mar Mediterraneo. L’Unione europea dovrà esaminare la fattibilità tecnica della creazione di un sistema di sorveglianza che possa coprire tutto il Mar Mediterraneo e che fornisca gli strumenti necessari per individuare i casi di immigrazione clandestina e salvare vite umane dall’annegamento, in maniera tempestiva ed efficace.
· stabilire un insieme di misure per assicurare che i documenti di identità e i visti/permessi di soggiorno siano autentici e i loro proprietari corrispondano alle persone in questi indicate. Armonizzare a questo fine gli identificatori biometrici che saranno introdotti nei documenti (anche per i cittadini dell’Unione) e nei sistemi informativi dell’Unione e assicurare l’interoperabilità tra SIS II, VIS ed EURODAC;
·
assicurare l’attuazione del VIS entro i tempi stabiliti e
l’inserimento nel sistema di dati alfanumerici e fotografie al più tardi entro
il 2006, e dei dati biometrici al più tardi entro il 2007.
Il sistema di informazione Schengen (SIS) è un database comune
europeo creato come misura compensativa in seguito all’abolizione dei controlli
alle frontiere interne dell’aerea Schengen. Il sistema offre il supporto tecnico
per effettuare i controlli alle frontiere e gli altri controlli di polizia e
doganali, contribuendo ad attuare le disposizioni sulla libera circolazione
delle persone e sulla cooperazione giudiziaria e di polizia in sede penale.
Il SIS è stato sviluppato secondo una configurazione hit/no-hit:
tramite una procedura automatizzata di interrogazione, il sistema indica se una
determinata persona o bene sono oggetto di una segnalazione e, in caso
affermativo, le misure da adottare immediatamente. La configurazione attuale del
sistema prevede che il SIS tratti esclusivamente i dati necessari a tal fine e
che ogni ulteriore informazione supplementare debba essere ottenuta attraverso
gli uffici SIRENE.
Attualmente, ogni Paese consulta e alimenta le informazioni inserite
nel database centrale Schengen per il tramite del sistema Schengen nazionale,
inoltre i sistemi nazionali non possono scambiare direttamente i dati, possono
farlo soltanto tramite il sistema centrale.
Il SIS è una banca dati a carattere operativo: non può esistere una
segnalazione nel SIS senza che questa sia presente nella banca dati SIS
nazionale e d’altra parte non appena un dato viene revocato dalla banca dati
nazionale, questo scompare anche da quella centrale.
Per quanto riguarda la situazione italiana, attualmente le forze di
polizia (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia forestale e
Polizia penitenziaria) nel momento in cui sono in possesso di un dato utile
possono inserirlo immediatamente oltre che nel CED (Centro Elaborazione Dati,
supporto informatico per l’attività operativa e investigativa delle forze di
polizia) anche nella sezione nazionale della banca dati Schengen.
Il SIS di seconda generazione nasce dall’esigenza pratica di
predisporre un sistema in grado di integrare i nuovi Stati membri nell’area
Schengen, ma anche dalla volontà di disporre di uno strumento efficace e
flessibile per attuare le politiche necessarie a istituire uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia. Nella Comunicazione della Commissione al
Consiglio e al Parlamento europeo “Sviluppo del Sistema di informazione Schengen
II e possibili sinergie con un futuro Sistema di informazione visti”, la
Commissione ha indicato la flessibilità fra i requisiti essenziali del nuovo
sistema, affermando che "il SIS II dovrebbe avere le potenzialità per trattare
un numero di dati molto più grande e per essere inoltre in grado, una volta che
il sistema sarà operativo, di gestire nuovi tipi di informazioni, nuovi oggetti
e nuove funzioni". L’introduzione di nuove funzionalità è stata sempre ritenuta
prioritaria dalla Commissione che ha altresì considerato possibile che in un
futuro prossimo il SIS diventi, oltre a un sistema d'informazione, anche un
sistema d'indagine.
Il SIS II, elaborato come struttura intergovernativa, sarà
trasformato in un classico strumento legislativo europeo entro giugno 2006.
Entro dicembre 2006 gli Stati membri dovranno aver predisposto le basi tecniche
per garantire l’adeguamento dell’interfaccia nazionale e nel marzo 2007 è infine
prevista la messa in funzione e l’allaccio su base europea.
Base
giuridica
Il quadro giuridico di riferimento riveste particolare importanza
poiché definisce e specifica le finalità del sistema.
Il protocollo allegato al Trattato di Amsterdam ha integrato l’acquis
di Schengen, e di conseguenza anche il SIS, nell’ambito dell’Unione europea.
Il Consiglio, con la decisione 1999/436/CE, ha individuato nei
trattati la base giuridica per ciascuna delle disposizioni o decisioni che
costituiscono l’acquis di Schengen, senza tuttavia giungere a una
decisione univoca per le disposizioni relative al SIS. Di conseguenza, le
disposizioni relative al SIS in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria
in materia penale sono considerate atti fondati sul titolo VI del Trattato UE
mentre le disposizioni relative al SIS in materia di visti, immigrazione e
libera circolazione delle persone si basano sul titolo IV del Trattato CE.
Il 1 giugno 2005 la Commissione europea ha presentato tre proposte
relative al SIS II:
1) una
proposta di regolamento sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema
d’informazione Schengen di seconda generazione-SIS II (COM(2005) 236)
definitivo), che contiene le disposizioni che stabiliscono quali autorità hanno
accesso al SIS II in materia di frontiere esterne, visti, asilo e immigrazione e
la definizione delle norme che incidono sulla politica dei controlli alle
frontiere esterne, con particolare riguardo alle segnalazioni possibili;
2) una
proposta di regolamento sull’accesso al sistema d’informazione Schengen di
seconda generazione-SIS II dei servizi competenti negli Stati membri per il
rilascio delle carte di circolazione (COM(2005)237 definitivo);
3) una
proposta di decisione sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema
d’informazione Schengen di seconda generazione-SIS II (COM(2005) 230 definitivo)
in materia di cooperazione operativa tra le autorità competenti degli Stati
membri per la prevenzione e l’individuazione dei reati e che disciplina la
raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle
informazioni pertinenti. La proposta contiene pertanto disposizioni in materia
tese ad agevolare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità
omologhe degli Stati membri in relazione al procedimento penale e all’esecuzione
delle decisioni penali.
Struttura
Il SIS II consiste di un database centrale denominato Sistema
centrale d’informazione Schengen (C-SIS) per il quale la Commissione assicurerà
la connessione a punti d’accesso nazionali definiti da ogni Stato membro (N-SIS).
Le autorità SIRENE assicureranno lo scambio di tutte le informazioni
supplementari (informazioni connesse alle segnalazioni SIS II ma non
immagazzinate nel SIS II).
Gli Stati membri forniranno al SIS II i dati relativi a:
· persone ricercate in vista dell’arresto, della consegna o dell’estradizione;
· persone ricercate nell’ambito di procedimenti giudiziari;
· persone poste sotto sorveglianza o soggette a determinati controlli;
· cittadini di paesi terzi ai fini della non ammissione;
· dati relativi a oggetti a fini di sequestro o di prova.
La Commissione è responsabile della gestione operativa del SIS II, ovvero della manutenzione e degli sviluppi tecnici necessari per un buon funzionamento del sistema.
Nuove caratteristiche
Il SIS II sviluppa nuove caratteristiche. Fra queste:
· accesso allargato a Europol, Eurojust, ai servizi competenti negli Stati membri per il rilascio delle carte di circolazione, nonché alle autorità nazionali competenti per l’esame delle domande di asilo e a quelle competenti per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato e infine alle autorità competenti per eseguire una decisione di rimpatrio o un provvedimento di allontanamento;
· connessioni fra segnalazioni, ovvero, al momento della loro introduzione gli Stati membri, secondo il loro diritto interno, potranno creare connessioni fra due o più segnalazioni;
· dati biometrici quali impronte digitali e fotografie;
· l'interoperabilità fra sistemi d'informazione (SIS II, VIS ed Eurodac);
· maggiori garanzie contro il reato dell’usurpazione dell’identità.
Parere del Garante europeo per la protezione dei dati
Il parere prende in esame le proposte concernenti il SIS II
analizzando quali possibili modifiche esse comportino rispetto alla natura del
sistema.
Il Garante valuta che la trasformazione di uno strumento
intergovernativo in norma europea possa generare conseguenze positive quali
l’approfondimento della valutazione legislativa delle regole governanti il SIS e
il coinvolgimento, finora modesto, del Parlamento europeo nel processo
legislativo. Infine, in tal modo la Corte di Giustizia diverrà competente per
l’interpretazione delle questioni connesse agli strumenti riferiti al primo
pilastro.
Il Garante ritiene inoltre che la parte dedicata alla protezione dei
dati migliori di molto la situazione odierna, in particolare saluta con
soddisfazione la misura in favore delle vittime dell’usurpazione dell’identità,
l’estensione del Regolamento 45/2001 alle attività di trattamento dati della
Commissione relativamente al Titolo IV e la migliore definizione degli obiettivi
e condizioni delle segnalazioni ai fini della non ammissione.
Al di là dell’apprezzamento d’insieme vengono però espresse riserve
di non poco rilievo, prima fra tutte quella riferita alle diverse basi
giuridiche. Il Garante sottolinea che l’uso combinato di strumenti legislativi
diversi rende difficile garantire un’applicazione uniforme a fronte di normative
nazionali in materia non omogenee, sottolineando il rischio di difformità su
aspetti anche fondamentali. In tal senso ribadisce che l’applicazione di diversi
strumenti legislativi, inevitabile nella struttura normativa europea, non debba
avere come conseguenza differenti livelli di protezione dei dati a seconda della
loro tipologia. Considerata la complessità proposta, in grado di generare
confusione nell’applicazione pratica (incertezze nell’attribuzione di competenze
fra Stati membri e Commissione), il Garante ritiene utile lo sviluppo di un
vademecum contenente il catalogo di tutte le norme esistenti in relazione al SIS
II e alla loro applicabilità gerarchica e di un memorandum esplicativo in grado
di chiarire i punti diversamente interpretabili. Il Garante sottolinea che la
chiarezza, oltre ad essere un elemento fondamentale per il buon funzionamento
del sistema, è anche un requisito base per assicurarne un controllo completo ed
efficace.
A tal fine ritiene utile riflettere sulla possibilità di verificare
e valutare l’impatto sulla privacy del SIS II, considerando ininfluente il fatto
che la prima versione del sistema sia già in funzione, vista la diversità fra la
prima e la seconda versione e l’introduzione di nuove categorie di dati quali
quelli biometrici.
Il Garante rileva inoltre che le proposte definiscono la
segnalazione (alert) come un insieme di dati che permette alle autorità
nazionali competenti di identificare un individuo o un oggetto in vista di una
linea di condotta specifica da seguire. In tal senso il SIS II ha ancora la
struttura di un sistema hit-no hit, in cui ogni segnalazione è inserita per uno
scopo specifico e a cui le autorità nazionali competenti hanno accesso in quanto
motivate da un’azione specifica. Alcune categorie di accessi previsti dalle
proposte non sembrano però seguire tale logica in quanto forniscono alle
autorità informazioni utilizzabili senza però dare loro la possibilità di
intraprendere azioni specifiche. E’ quanto il Garante lamenta rispetto
all’accesso all’insieme dei dati sull’immigrazione da parte delle autorità
nazionali competenti in materia di asilo e di status di rifugiato. Tale
situazione sembra ripresentarsi per l’accesso alle segnalazioni
sull’estradizione, la sorveglianza discreta e gli oggetti rubati da parte di
Europol e con l’accesso da parte di Eurojust all’insieme di dati
sull’estradizione. Il Garante sottolinea che in tal modo le finalità previste
del sistema passano da informative a investigative senza che tale passaggio sia
stato accompagnato da un adeguato livello di protezione e riflessione.
Il Garante ribadisce infine che ulteriori accessi dovrebbero essere
concessi solo in presenza di validi motivi e limitati sia rispetto alle
categorie di dati accessibili che ai soggetti autorizzati;
Parere dell’ Autorità di Controllo Comune Schengen (ACC) sulle basi giuridiche
proposte per il SIS II
L’ACC è un’autorità indipendente prevista dall’articolo 115 della
Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen al fine di esercitare il
controllo dell'unità di supporto tecnico del Sistema d'Informazione Schengen.
Essa è composta da due rappresentanti di ciascuna autorità nazionale di
controllo per la protezione dei dati ed è altresì competente ad analizzare le
difficoltà di applicazione o di interpretazione che possono sorgere
dall'utilizzazione del Sistema d'Informazione Schengen, a studiare i problemi
che possono presentarsi nell'esercizio del controllo indipendente effettuato
dalle autorità di controllo nazionali delle Parti contraenti ovvero
nell'esercizio del diritto di accesso al Sistema, nonché ad elaborare proposte
armonizzate allo scopo di trovare soluzioni comuni ai problemi esistenti. Il
controllo è esercitato conformemente alle disposizioni della Convenzione
Schengen e della Convenzione 108 del Consiglio d'Europa.
L’ACC sottolinea come le proposte non indichino chiaramente un
responsabile del trattamento dati per il SIS II; esse infatti si limitano a
definire la Commissione come responsabile della gestione operativa del sistema.
Rileva dunque, che, poiché i dati trattati dal SIS II ricadono nel primo e terzo
pilastro, in linea teorica, è possibile individuare come responsabili del
trattamento dati sia la Commissione che le autorità competenti degli Stati
membri, ma lamenta che la base giuridica non chiarisca sufficientemente la
ripartizione di responsabilità e competenze.
La convenzione Schengen ha previsto un sistema di controllo e di
protezione dei dati distinguendo tra un controllo nazionale e un controllo
dell’unità centrale SIS da parte dell’Autorità comune di controllo. Nella base
giuridica proposta per il SIS II, trattamento e controllo a livello nazionale
rimangono identici a quanto proposto per il SIS, mentre per quanto riguarda il
controllo dell’architettura tecnica del SIS II le proposte prevedono che il
Garante europeo per la protezione dei dati controlli che le attività di
trattamento dati effettuate dalla Commissione siano conformi con quanto disposto
dalle proposte di decisone e di regolamento. L’ACC giudica tale approccio
riduttivo poiché disconosce l’importanza di un controllo comune esercitato in
maniera condivisa dalle autorità nazionali competenti attraverso l’Autorità di
controllo comune, alla quale in ultimo non viene riconosciuto lo stesso ruolo
attribuito dalla Convenzione Schengen. Tale ruolo viene sostituito con la
previsione di una generica reciproca cooperazione che il Garante europeo è
tenuto a sollecitare convocando almeno una volta l’anno una riunione comune
delle autorità nazionali preposte.
L’ACC rileva inoltre come il requisito di configurare un sistema
flessibile di natura indefinita possa condurre a una "deriva funzionale", nel
senso che le richieste provenienti da un'ampia gamma di organismi ed enti
possono dare luogo a una situazione per cui le informazioni detenute nel sistema
vengano utilizzate per scopi diversi da quelli inizialmente previsti. In tal
senso l'ACC ritiene che prima di rendere operativa la previsione che il SIS II
consenta la "interconnessione" delle segnalazioni presenti nel sistema, sia
necessario prevedere il quadro giuridico di riferimento poiché proprio
l'interconnessione delle segnalazioni potrebbe permettere agli utenti di
accedere a informazioni per le quali non sono abilitati. Pertanto, l'ACC
sottolinea come urgente la necessità di prevedere garanzie atte ad assicurare
che l'interconnessione di segnalazioni non modifichi i diritti di accesso in
essere rispetto alle singole categorie di segnalazioni.
L’ACC inoltre ribadisce che vi può essere la possibilità che il SIS
II, incorporando nuove categorie di dati, duplichi sistemi di informazione già
esistenti in ambito UE. In tal senso ritiene indispensabile che il SIS II si
sviluppi in conformità con il principio di proporzionalità, ossia che le
funzionalità e le categorie di dati presenti nel SIS II non eccedano quanto è
necessario per raggiungere gli scopi del sistema. A tale proposito, l’ACC
ricorda che l’articolo 94 della Convenzione Schengen prevede che “la Parte
contraente che fornisce la segnalazione verifica se l'importanza del caso
giustifica il suo inserimento nel Sistema d'Informazione Schengen”, e auspica
che tale previsione venga inserita nelle norme regolanti il SIS II.
L'istituzione del sistema d'informazione visti (VIS) costituisce una
parte importante della politica comune dell'UE in materia di visti e ha formato
oggetto di vari strumenti fra loro connessi.
Nel giugno 2004 una decisione del Consiglio ha avviato il processo
istitutivo del sistema d'informazione visti fornendo la base giuridica per la
sua iscrizione nel bilancio dell'UE, comprese le misure preparatorie necessarie
per l’introduzione degli elementi biometrici nella banca dati, definendo
l’architettura del VIS e conferendo alla Commissione il mandato di sviluppare il
sistema VIS a livello tecnico, assistita dal comitato SIS II (istituito
dall'articolo 5, paragrafo 1 del regolamento (CE) n. 2424/2001 sullo sviluppo
del Sistema d'informazione Schengen di seconda generazione - SIS II), mentre le
interfacce nazionali saranno adattate o sviluppate dagli Stati membri.
Nel febbraio 2005 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno
presentato una proposta di regolamento concernente il VIS e lo scambio di dati
tra Stati membri sui visti per soggiorni di breve durata. La proposta definisce
lo scopo, le funzionalità e le competenze del VIS e conferisce alla Commissione
il mandato di istituire e gestire la banca dati nonché di stabilire le procedure
e le condizioni per lo scambio dei dati fra gli Stati membri. I dati che
dovranno essere inseriti nel VIS comprendono dati alfanumerici e fotografie, ma
anche le impronte digitali dei richiedenti al fine di garantire l’esattezza
della verifica e dell’individuazione.
La proposta tiene conto degli orientamenti per lo sviluppo del VIS
adottati dal Consiglio il 19 febbraio 2004 nonché dei risultati di una
valutazione approfondita di impatto affidata alla Commissione, che ha stimato
che l’inserimento dei dati biometrici nella banca dati sia attualmente la
soluzione più idonea per migliorare la politica comune in materia di visti.
Il VIS agevolerà i controlli alle frontiere esterne e all’interno
degli Stati membri, l’applicazione del regolamento «Dublino» volto a determinare
lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo e l’individuazione
e il rimpatrio degli immigranti illegali.
Il VIS sarà basato su un'architettura centralizzata comprendente una
base di dati in cui sono memorizzati i fascicoli relativi alle domande di visto:
il sistema centrale d'informazione visti (CS-VIS) e un'interfaccia nazionale (NI-VIS)
situata in ciascuno Stato membro. Gli Stati membri designeranno un'autorità
centrale nazionale collegata all'interfaccia nazionale attraverso la quale le
rispettive autorità competenti avranno accesso al CS-VIS.
La proposta prevede l'introduzione dei dati biometrici nel corso
della procedura di presentazione della domanda e la registrazione dei medesimi
nella base di dati centrale, dove saranno conservati per un periodo di cinque
anni. La proposta elenca altresì le autorità competenti, diverse dalle autorità
competenti per i visti, abilitate ad accedere al VIS (autorità competenti in
materia di controlli alle frontiere esterne e all'interno del territorio degli
Stati membri, autorità competenti in materia di immigrazione e autorità
competenti in materia di asilo) e definisce i diritti di accesso loro
attribuiti.
La proposta contiene una sezione dedicata alla protezione dei dati
in cui sono definiti i ruoli delle autorità nazionali e del Garante europeo
della protezione dei dati - GEPD.
A tale proposito, il Garante europeo della protezione dei dati, nel
parere del 23 marzo del 2005 sulla proposta di regolamento, pur indicando che
l'ulteriore sviluppo della politica comune in materia di visti richiede uno
scambio efficace di dati pertinenti e che uno dei meccanismi capaci di
assicurare una trasmissione fluida di informazioni possa essere individuato nel
VIS, sottolinea che tale nuovo strumento andrebbe limitato alla raccolta e allo
scambio di dati nella misura necessaria allo sviluppo di una politica comune in
materia di visti e proporzionata per la realizzazione di tale obiettivo.
Rispetto all’introduzione di elementi biometrici, il GEPD riconosce
i vantaggi legati al loro uso, sottolineandone tuttavia il notevole impatto e
proponendo l'introduzione di salvaguardie rigorose circa il loro utilizzo,
lamenta altresì come l’introduzione nel sistema delle impronte digitali, vista
la poca chiarezza e difficoltà di lettura del dato, richieda ulteriori
approfondimenti.
Il GEPD rileva inoltre che l’accesso sistematico da parte delle
autorità di contrasto nazionali non appare conforme con le finalità dichiarate
del sistema, che a suo parere andrebbero ulteriormente chiarite, anche
relativamente alla prevista interoperabilità con altri sistemi, la quale,
ribadisce il GEPD, non può essere attuata in violazione del principio di
limitazione dello scopo.
Ulteriori rilievi sono contenuti nel parere sulla proposta di
regolamento formulato dal Gruppo che riunisce i Garanti Europei, Gruppo ex art.
29, del 27 giugno 2005. Nel parere, i Garanti europei hanno a loro volta
confermato l’apprezzamento per gli impegni che la Commissione ha assunto nei
mesi scorsi nel dialogo diretto tenuto con le autorità di protezione dei dati,
evidenziando però i rischi che potrebbero derivare dall’inserimento di una
grande quantità di dati personali, anche di nuova generazione come quelli
biometrici, in un database centralizzato che prevede uno scambio di dati su
larga scala e che può riguardare un enorme numero di persone. I Garanti,
pertanto, chiedono che vengano svolti alcuni approfondimenti, e che vengano in
particolare specificate chiaramente ed esaustivamente le finalità del
trattamento dei dati contenuti nel VIS in rapporto alla politica comune dei
visti che ne costituisce il fondamento giuridico; che siano stabiliti tempi di
conservazione limitati e proporzionati (attualmente previsti in cinque anni);
che siano definite con precisione le autorità abilitate a introdurre dati nel
VIS così come a modificarli e cancellarli, anche su richiesta dell’interessato;
che vengano individuati gli organismi che possono accedere al sistema (in
particolare con riguardo alle previste interconnessioni con il sistema
informativo SIS II) e che vengano meglio definite le funzioni di controllo e
supervisione da parte delle Autorità di protezione dei dati personali.
Conformemente al programma dell’Aia, la proposta intende migliorare
lo scambio di informazioni fra gli Stati membri ai fini delle attività di
contrasto, eliminando l’incertezza dei meccanismi di scambio tradizionali,
basati sull’applicazione del diritto dello Stato membro richiesto, e combinando
reciproco riconoscimento e accesso equivalente alle informazioni necessarie ai
fini della prevenzione, dell’individuazione e dell’investigazione dei reati
prima che inizi il procedimento giudiziario. Alle autorità competenti degli
Stati membri e ai funzionari di Europol verrà pertanto garantito l’accesso
diretto on line alle informazioni disponibili e ai dati di indice per le
informazioni non accessibili direttamente on line. La proposta privilegia i
canali diretti e prevede l’obbligo della risposta.
I tipi di
informazioni ai sensi della decisione, includono i profili del DNA, le impronte
digitali, la balistica, le informazioni sull’immatricolazione dei veicoli, e
ulteriori dati contenuti anche nei registri civili.
Nella
relazione presentata dalla Commissione, tra le disposizioni vigenti nel settore
della proposta, viene inserito l’accordo di Prüm e vengono inoltre indicate le
similitudini tra questo e la proposta di decisione.
La
proposta di decisione disciplina lo scambio dei dati personali nell’ambito della
cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, in conformità del
principio di disponibilità delle informazioni garantito dal programma dell’Aia,
rafforzando la fiducia reciproca delle autorità competenti e garantendo che le
informazioni siano protette in modo da escludere qualsiasi intralcio alla
cooperazione pur nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo.
L’introduzione del principio di disponibilità è pertanto subordinato
all’introduzione di un nuovo strumento giuridico per la protezione dei dati
nell’ambito del terzo pilastro.
La
proposta definisce il procedimento per l’adozione delle misure necessarie per
valutare il livello della protezione dei dati in un Paese terzo od organismo
internazionale, introducendo norme comuni sulla riservatezza e sicurezza del
trattamento, sulla responsabilità e le sanzioni anche penali per le violazioni
particolarmente gravi e intenzionali nonché sui ricorsi giurisdizionali.
Vengono altresì sollecitate autorità nazionali di controllo forti ed efficienti
in grado di contribuire alla trasparenza dei trattamenti effettuati.
La Direttiva del Consiglio 2004/82/CE del 29 aprile 2004 concernente
l’obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate
impone ai vettori obblighi complementari a quelli stabiliti a norma
dell’articolo 26 della convenzione di Schengen[2],
integrati a sua volta dalla direttiva 2001/51/CE del Consiglio. Gli obblighi
previsti hanno l’obiettivo di controllare i flussi migratori e di combattere
l’immigrazione clandestina, nonché di intensificare i controlli relativi alla
lotta al terrorismo.
La direttiva naturalmente tiene conto delle disposizioni della
direttiva 95/46/CE riguardante il trattamento dei dati personali e la libera
circolazione degli stessi e definisce legittimo l’utilizzo dei dati dei
passeggeri, trasmessi durante le procedure di controllo alle frontiere, anche
come mezzi probatori in procedimenti derivanti dall’applicazione della normativa
in materia di ingresso e immigrazione, da quella relativa alla tutela
dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, mentre introduce una
previsione di sanzione in caso di uso dei dati in contrasto con tale obiettivi.
La direttiva prevede che i dati relativi alle persone trasportate[3]
debbano essere trasmessi anticipatamente dai vettori alle competenti autorità
nazionali.
Nel caso di mancata o incompleta trasmissione, gli Stati membri
possono adottare nei confronti dei vettori inadempienti sanzioni dissuasive,
effettive e proporzionate.
Il meccanismo previsto è molto semplice: i vettori trasmettono in
via elettronica i dati personali dei passeggeri che oltrepassano una frontiera
esterna dell’Unione alle autorità incaricate dallo Stato membro di effettuare i
controlli delle persone alle frontiere esterne. Queste salvano i dati ricevuti
in un file provvisorio che, a meno che i dati non siano necessari per
l’esercizio di funzioni regolamentari previste, sarà cancellato entro 24 ore.
Gli Stati membri sono inoltre vincolati ad adottare tutte le misure
necessarie per costringere i vettori a informare i passeggeri di quanto avviene
dei loro dati.
L’articolo 7 stabilisce che gli Stati membri adottino tutte le
misure necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 5 settembre 2006.
[2] Riportiamo di seguito l’art. 26 della Convenzione di Schengen:
1. Fatti salvi gli obblighi derivanti dalla loro adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, quale emendata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, le Parti contraenti si impegnano ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali le seguenti regole:
a) se ad uno straniero viene rifiutato l'ingresso nel territorio di una Parte contraente, il vettore che lo ha condotto alla frontiera esterna per via aerea, marittima o terrestre è tenuto a prenderlo immediatamente a proprio carico. A richiesta delle autorità di sorveglianza della frontiera, egli deve ricondurre lo straniero nel Paese terzo dal quale è stato trasportato, nel Paese terzo che ha rilasciato il documento di viaggio in suo possesso durante il viaggio o in qualsiasi altro Paese terzo in cui sia garantita la sua ammissione;
b) il vettore è tenuto ad adottare ogni misura necessaria per accertarsi che lo straniero trasportato per via aerea o marittima sia in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l'ingresso nei territori delle Parti contraenti.
2. Fatti salvi gli obblighi derivanti dalla loro adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, quale emendata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, e nel rispetto del proprio diritto costituzionale, le Parti contraenti si impegnano ad istituire sanzioni nei confronti dei vettori che trasportano per via aerea o marittima, da un Paese terzo verso il loro territorio, stranieri che non sono in possesso dei documenti di viaggio richiesti.
3. Le disposizioni del paragrafo 1, lettera b) e del paragrafo 2 si applicano ai vettori di gruppi che effettuano collegamenti stradali internazionali con autopullman, ad eccezione del traffico frontaliero.
[3] Le informazioni indicate sono: numero e tipo di documento di viaggio; cittadinanza; nome completo e data di nascita; valico di frontiera di ingresso nel territorio degli Stati membri; numero del trasporto; ora di partenza e di arrivo del mezzo di trasporto; numero complessivo di passeggeri trasportato; primo punto di imbarco.
Dal 5 marzo 2003, per motivi di sicurezza e di protezione del loro
territorio, le Autorità Statunitensi richiedono ai vettori che operano voli da,
per, o attraverso gli Stati Uniti d’America, di fornire, all’Ufficio
Statunitense delle dogane e della protezione delle frontiere (United States
Bureau of Customs and Border Protection – US CBP), l’accesso elettronico ai dati
relativi ai passeggeri.
I vettori che non adempiono a tali richieste possono incorrere in
pesanti sanzioni e addirittura perdere il diritto di atterrare negli Stati Uniti
d’America.
Il trasferimento dei dati dei passeggeri alle Autorità Statunitensi
è dunque una condizione per operare servizi di trasporto aereo da, per o
attraverso il territorio USA.
L’11 maggio 2004 la Comunità Europea e gli Stati Uniti d’America
hanno siglato un accordo sul trattamento e trasferimento dei dati di
identificazione delle pratiche (Passenger Name Record, PNR) da parte dei vettori
aerei all’ufficio doganale e di protezione dei confini del dipartimento per la
sicurezza interna degli Stati Uniti d’America, poi approvato con la Decisione
2004/496/CE del 17 maggio 2004.
Precedentemente, in base agli specifici impegni assunti dagli Stati
Uniti d’America con tale accordo circa il livello di protezione assicurato dalle
Autorità Statunitensi ai dati contenuti nelle prenotazioni provenienti
dall’Unione Europea, la Commissione Europea, con Decisione 2004/535/CE del 14
maggio 2004, aveva stabilito che tale Stato soddisfa i requisiti di protezione
dei dati personali richiesti dalla normativa europea in tema di privacy –
Direttiva 95/46/CE del 24 ottobre 1995 - per potere effettuare il loro
trasferimento verso un Paese extra Ue come gli Stati Uniti d’America.
L’accordo prevede che lo US CBP abbia accesso ai PNR (Passenger Name
Record, ovvero ai dati del cliente registrati all’atto della prenotazione di un
viaggio aereo) riguardanti i voli operati da, per o attraverso gli Stati Uniti
d’America.
I PNR sono file elettronici creati nei sistemi informatici usati dai
vettori per ogni itinerario prenotato dal passeggero. Essi contengono
informazioni di varia natura (nome del passeggero, contatto telefonico dello
stesso, data del volo, origine e destinazione, numero del posto a bordo, numero
dei bagagli, indicazione dell’agenzia di viaggio eventualmente coinvolta, forma
di pagamento e ogni ulteriore informazione fornita dal passeggero in fase di
prenotazione). I dati sono intercettati dallo US CBP all’interno dei sistemi di
prenotazione fino a 48 ore prima della partenza del volo e utilizzati per
operare controlli dei passeggeri prima del loro arrivo sul territorio USA, con
lo scopo di facilitare l’ingresso della maggior parte dei viaggiatori,
focalizzando le risorse dello US CBP stesso solo su quel numero ristretto di
passeggeri che potrebbe costituire un rischio reale per la sicurezza.
Lo US CBP, che è parte del ministero della Sicurezza interna,
Department of Homeland Security, ha accesso ai dati per finalità di prevenzione
e lotta contro il terrorismo e gli atti criminali gravi.
Secondo quanto previsto dalla legislazione statunitense, lo US CBP
può trasmettere ad altre autorità i dati in suo possesso se questi vengono
utilizzati per finalità connesse alla lotta al terrorismo o in osservanza di
obblighi di legge ma, comunque, solo dopo una valutazione caso per caso.
Tali dati possono inoltre essere resi disponibili, quando
necessario, per la protezione dell’interesse vitale dei passeggeri o di terze
persone (in particolare nei casi di importanti rischi sanitari) o nell'ambito di
procedimenti penali.
I dati sono conservati per 7 anni, ma, nei casi in cui in tale
periodo venga effettuato un accesso manuale agli stessi, essi possono essere
conservati per ulteriori 8 anni.
Le Autorità Statunitensi si sono impegnate a consegnare ai
passeggeri che ne facciano richiesta una copia dei dati intercettati nel PNR e
contenuti nei loro database. I passeggeri possono altresì richiedere la
rettifica dei loro dati ed ottenerla laddove lo US CBP o la Transport Security
Agency (TSA) la considerino giustificata e adeguatamente argomentata.
Una decisione negativa potrà, peraltro, formare oggetto di
impugnativa giudiziale.
Opposizione del Parlamento europeo alla conclusione dell’Accordo
Il Parlamento europeo il 27 luglio 2004 ha proposto dinanzi alla
Corte di Giustizia delle Comunità europee (Causa C-317/04) un ricorso contro il
Consiglio dell’Unione europea. Il Parlamento ha chiesto che la Corte annulli la
decisione del Consiglio del 17 maggio 2004 (2004/496/CE), poiché ritiene che
l’art. 95 CE non giustifichi la competenza della Comunità a concludere
l’accordo, in quanto esso riguarda il trattamento di dati esclusi dall’ambito di
applicazione della direttiva 95/46 sulla tutela dei dati personali e che dunque
l’accordo implicherebbe la modifica di tale direttiva.
Il Parlamento sostiene che l’accordo è stato concluso in violazione
dei diritti fondamentali, in particolare in violazione dell’articolo 8 della
Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo, costituendo
un’ingerenza nella vita privata dei singoli e che esso altresì non terrebbe
conto del principio di proporzionalità poiché prevede il trasferimento di una
quantità eccessiva di dati dei passeggeri, conservati troppo a lungo dalle
autorità statunitensi. Infine, il Parlamento ritiene che la procedura che ha
portato alla firma dell’accordo non sia stata trasparente e conforme al diritto
e alla procedura attraverso le quali il Parlamento europeo da il proprio
consenso agli accordi internazionali.
La Corte con un ordinanza del 17 marzo 2005 ha provveduto che il
Garante europeo della protezione dei dati sia ammesso a intervenire nel
procedimento C-317/04 a sostegno delle conclusioni del Parlamento europeo e si è
riservato di stabilire un termine affinché quest’ultimo possa esporre le
proprie argomentazioni.
L’11 novembre 2005, l'avvocato generale Philippe Léger ha proposto
alla Corte di giustizia europea di annullare, per mancanza di una base giuridica
adeguata, la decisione della Commissione del 14 maggio 2004 e quella del
Consiglio del 17 maggio. La Corte si pronuncerà sul merito del caso nella
primavera 2006.
Sulla proposta presentata il 19 maggio 2005, il Parlamento europeo
si è pronunciato con la risoluzione A6-0226/2005 con la quale respinge la
conclusione dell’accordo.
Tale posizione, motivata con l’opportunità di attendere la sentenza
della Corte di giustizia delle Comunità europee in merito all’accordo USA/CE,
riconosce tuttavia che il negoziato con le autorità canadesi rappresenta un
equilibrio accettabile tra le esigenze di libertà e quelle di sicurezza del
Paese terzo. Il Parlamento ribadisce comunque di essere stato consultato
all’ultimo momento e senza essere in possesso di tutte le informazioni
necessarie.
La politica in materia di visti si lega strettamente alle questioni
connesse con l’ingresso degli stranieri nel territorio comunitario e quindi in
linea generale alle politiche relative all’immigrazione.
Le misure previste sono state adottate in base al Titolo VI TUE,
all’acquis di Schengen e al Titolo IV CE. Risulta pertanto di estrema
difficoltà fornire un quadro esauriente delle misure adottate in tale settore.
Limitandoci alla normativa discendente dall’acquis di
Schengen, da sottolineare che essa ha introdotto il limite fondamentale, sia per
la concessione dei visti che dei permessi di soggiorno, della segnalazione ai
fini della non ammissione: decisione fondata sulla circostanza che la presenza
dello straniero nel territorio nazionale di uno Stato possa costituire una
minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica. La segnalazione viene introdotta
nel SIS e anche le altre parti contraenti si allineano sulla posizione dello
Stato che ha fornito la segnalazione e ne possono derogare soltanto in presenza
di seri motivi.
La politica in materia di visti è costituita dal Regolamento (CE) n.
539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l'elenco dei paesi terzi i
cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento
delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti
da tale obbligo, la cui ultima modifica risale al giugno del 2005.
L’ingresso ai fini di immigrazione, legato al permesso di soggiorno,
è invece disciplinato dal Regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13
giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno
rilasciati ai cittadini di paesi terzi e per il quale è stato avviato un
processo di modifica nel 2003 che prevede l’introduzione di identificatori
biometrici nei visti e nei permessi di soggiorno, in modo da creare un legame
più sicuro tra questi e i loro titolari.
Il Regolamento (CE) n. 2252/2004 del 13 dicembre 2004, relativo
alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei
passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri, fissa le
caratteristiche tecniche e di interoperabilità dei nuovi passaporti e documenti
di viaggio dei cittadini europei. Le disposizioni del regolamento si applicano
alle nuove emissioni di passaporti e documenti di viaggio, ma non alle carte di
identità rilasciate dagli Stati membri ai loro cittadini, o ai passaporti e ai
documenti di viaggio temporanei di validità pari o inferiore a 12 mesi.
Accanto ai regolamenti, esistono poi norme circa le migliori prassi
da applicare nella concessione dei documenti necessari alla libera circolazione
dei cittadini dei paesi terzi, quali quelle relative alla cooperazione consolare
in materia di visti (Istruzione Consolare Comune).
Il Catalogo Schengen: raccomandazioni e migliori pratiche, si
presenta invece come uno strumento di lavoro esplicativo finalizzato ad
approfondire e precisare l’acquis, indicando come dovrebbe essere
applicato correttamente nei vari settori (acquis di Schengen integrato
nell'Unione europea; frontiere esterne, allontanamento e riammissione; Sistema
d'Informazione Schengen, Sirene; rilascio dei visti; cooperazione di polizia).
· istituire, a lungo termine, uffici comuni per il rilascio dei visti nell’ambito della discussione sulla creazione del Servizio Europeo di Relazioni esterne. A tal fine favorire le iniziative dei singoli stati membri, che su base volontaria cooperano mettendo in comune personale e mezzi e per il rilascio dei visti;
· modificare le istruzioni consolari comuni e istituire centri comuni di trattamento delle richieste di visto entro il primo semestre del 2006;
· elaborare norme minime per le carte d’identità nazionali e inserire dal 2006 in poi gli integratori biometrici nei documenti di viaggio, nei visti, nei permessi di soggiorno e nei passaporti dei cittadini europei;
· intensificare gli sforzi per il rilascio semplificato dei visti di breve durata ai cittadini dei paesi terzi, ove possibile e su base di reciprocità, quale elemento di un reale partenariato nelle relazioni esterne e nel contesto della politica di riammissione;
· garantire prima possibile ai cittadini Ue l’esenzione dei visti per i viaggi nei paesi terzi figuranti nell’elenco positivo.
La proposta è volta a istituire un codice comunitario in grado di
accogliere in un unico testo il Manuale comune delle frontiere esterne, adottato
in seguito alla creazione dello spazio Schengen, nonché le altre disposizioni
relative alle frontiere e provenienti da altre fonti (Convenzione Schengen,
Istruzioni consolari comuni e decisioni in materia del Comitato esecutivo
Schengen). La creazione del codice è stata sollecitata nel corso del Consiglio
europeo di Salonicco del 2003 al fine di chiarire la natura giuridica delle
varie disposizioni e farne una fonte di diritto, introducendo al contempo
migliori pratiche. Il testo, frutto di un accordo fra il Consiglio e la
Commissione, riveste particolare valore per il Parlamento, in quanto per la
prima volta gli eurodeputati hanno potuto seguire la procedura di codecisione
per quel che concerne i controlli frontalieri, i visti e le politiche relative
all'immigrazione illegale.
Il corpo del testo è di natura puramente legislativa, mentre le
modalità pratiche sono iscritte in 12 allegati, che contengono dall'elenco dei
valichi di frontiera autorizzati per l’attraversamento delle frontiere esterne
dell'Unione europea alle modalità di apposizione dei timbri. La Commissione
prevede di proporre in seguito una vera guida pratica, sanando le "ambiguità"
del Manuale comune, che si proponeva sia come fonte del diritto comunitario che
come memorandum dei criteri applicativi.
I lavori preparatori hanno evidenziato la necessità di prendere in
considerazione tutto l’acquis esistente in materia di controlli delle
persone alle frontiere, ma anche di introdurre norme in grado di disciplinare la
materia in modo più generale: per questo la proposta di Codice comunitario si
divide in due sezioni dedicate rispettivamente alle frontiere esterne e a quelle
interne.
Rispetto alle frontiere interne, il testo riprende essenzialmente
quanto stabilito dall'articolo 2 della Convenzione Schengen, permettendo agli
Stati membri di decidere unilateralmente il ristabilimento delle frontiere
interne "in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico, la salute pubblica o
la sicurezza interna". La proposta prevede inoltre la possibilità di ristabilire
in modo simultaneo e coordinato tutte le frontiere interne, in caso di minaccia
transfrontaliera di eccezionale gravità, quale la minaccia terroristica a
carattere transfrontaliero.
In materia di frontiere esterne, la nuova normativa, volta a
garantire che gli Stati Membri rimuovano le frontiere interne rafforzando i
controlli su quelle esterne, ribadisce i principi base in materia di controllo e
introduce modalità pratiche relative all’attuazione di tali controlli ai diversi
tipi di frontiera (terrestre, marittima e aerea).
Ciascun individuo, appartenente o meno all'Unione, sarà sottoposto
ad un controllo minimo per verificarne l'identità. I cittadini di Stati terzi,
inoltre, saranno soggetti a controlli approfonditi per verificare il timbro
d'ingresso e uscita (divenuti obbligatori), il luogo di partenza e quello
d'arrivo e la disponibilità dei mezzi sufficienti e necessari alla sussistenza
durante il loro soggiorno.
Gli Stati membri, inoltre, qualora rifiutino l'ingresso di un
individuo, saranno tenuti a fornire motivazioni giustificabili e precise,
servendosi di un modello standard.
Tale normativa entrerà in vigore sei mesi dopo la sua pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale e riguarderà l'Islanda, la Norvegia, la Svizzera e
tutti gli Stati membri a eccezione di Gran Bretagna e Irlanda.
La Danimarca dovrà ratificare la legislazione nei sei mesi
successivi alla sua adozione. Per quanto riguarda i dieci nuovi Stati membri, il
regolamento verrà applicato automaticamente, benché questi entreranno
effettivamente nell'Area di Schengen a partire dal 2007.
Nelle comunicazioni sulla gestione integrata delle frontiere esterne
degli Stati membri dell'UE e sull'Europa allargata, la Commissione aveva
ribadito la necessità che l'Unione agevoli il traffico locale frontaliero,
ovvero il passaggio regolare della frontiera da parte di residenti nella zona di
confine di un Paese limitrofo. La proposta intende stabilire norme comuni
relative ai criteri e alle condizioni per istituire un regime comunitario del
traffico frontaliero locale alle frontiere esterne terrestri degli Stati membri,
ovvero al confine terrestre comune fra uno Stato membro e un Paese terzo
limitrofo (come fra Polonia e Ucraina); uno Stato membro che applica
integralmente l’acquis di Schengen e uno Stato membro per il quale non è
ancora entrata in vigore la decisione del Consiglio che lo autorizza ad
applicare l’acquis integralmente (come il caso dell’Austria e
dell’Ungheria); due Stati membri tenuti ad applicare l’acquis ma non
ancora autorizzati a farlo (come nel caso di Repubblica Ceca e Polonia).
In base alla proposta i residenti frontalieri grazie a uno speciale
visto “L”, da vidimare all’attraversamento della frontiera, avrebbero il diritto
di attraversare la frontiera ai fini del traffico frontaliero locale. Il visto
“L”, di validità da uno a cinque anni, permetterebbe di soggiornare nella zona
di frontiera dello Stato membro che lo rilascia per un massimo di sette giorni
consecutivi e in ogni caso non oltre i tre mesi in un semestre. Per zona di
frontiera si intende la zona che si estende per non più di 30 chilometri oltre
frontiera. Gli accordi bilaterali esistenti si ritengono in vigore se
compatibili con il regolamento proposto.
La proposta permetterà inoltre di sanare situazioni sensibili
soprattutto relativamente ai nuovi Stati membri. A tale proposito, citiamo
quanto emerso nel corso di una visita effettuata da una delegazione di
eurodeputati in Slovenia, nel settembre 2005. Le autorità slovene hanno
presentato il piano d'azione nazionale per l'integrazione del Paese nello spazio
Schengen. A proposito del traffico locale, la Slovenia si trova a dover
garantire che il confine con la Croazia rispetti gli standard di sicurezza
necessari per lottare efficacemente contro l'immigrazione clandestina e la
criminalità organizzata, e che al contempo le norme al riguardo siano abbastanza
flessibili da non penalizzare la vita della popolazione locale. L'applicazione
integrale dell'acquis di Schengen a decorrere dall'ottobre 2007,
potrebbe in tal senso provocare restrizioni negli spostamenti transfrontalieri
della popolazione locale. La delegazione parlamentare ha potuto acquisire
informazioni sulle tecniche utilizzate dalla polizia slovena per controllare i
670 chilometri di confini con la Croazia, porzione di frontiera dalla quale
accede il maggior numero di immigrati clandestini provenienti dal Kosovo, dalla
Serbia, dal Montenegro, dalla Bosnia-Erzegovina e dall'Albania.
La Slovenia e la Croazia si sono già dotate di accordi in grado di
agevolare gli spostamenti della popolazione che risiede nell'area del loro
confine comune, circa 30.000 persone tra agricoltori, lavoratori e studenti,
grazie ai quali i croati possono entrare in Slovenia senza controllo e muoversi
liberamente in un'area di dieci chilometri all'interno del territorio; rimane
l’obbligo del passaporto per recarsi a Lubiana. La Slovenia teme tuttavia che
l'applicazione dell'acquis di Schengen, unitamente a un tracciato di
confine poco omogeneo, complichino la vita della popolazione locale: le autorità
slovene stanno quindi ricercando soluzioni pratiche e attuabili, in grado di
migliorare anche le proposte formulate in seno all’Unione. In tal senso, Mihael
Brejc, eurodeputato sloveno e relatore del PE sulla proposta di regolamento,
ritiene che il visto L dovrebbe essere sostituito da un lasciapassare per
traffico frontaliero locale senza obbligo di timbratura.
Problemi
analoghi sono riscontrabili in tutti i nuovi Stati membri proprio per la loro
posizione geografica e la loro vicinanza al blocco orientale, basti citare a
questo proposito i casi della Polonia e della Lituania, che in passato hanno
reso necessaria l’adozione di accordi con i paesi confinanti. La proposta
intende dunque ricondurre tali fattispecie nell’ambito della normativa europea.
Il Comitato,
partendo dall’evoluzione dell’area Schengen, e dalla sua successiva
incorporazione nel quadro giuridico comunitario, ha fatto oggetto di analisi e
riflessione, nel corso di questa indagine, le diverse modalità di applicazione
delle disposizioni dell’acquis negli Stati membri dell’Unione europea e
in quelli fuori dell’Unione europea. A tal fine sono state svolte apposite
missioni di studio in Islanda e in Polonia.
Scopo della
missione in Islanda - Paese al di fuori dell'Unione Europea - è stato quello di
approfondire il particolare status di uno Stato che, a seguito della sua
adesione all'Accordo di Schengen ed alle relative convenzioni, avvenuta il 18
maggio 1999, partecipa dal 25 marzo 2001 alla cooperazione Schengen in qualità
di Paese associato.
Nel corso di
tale visita si è riscontrato che la particolare situazione geografica
dell'Islanda faccia sì che, di fatto, il Paese abbia un solo posto di frontiera
verso i paesi extra-Schengen, cioè l'aeroporto internazionale di Keflavìk.
Lo scalo
aeroportuale islandese, collocato nel perimetro di una base aerea degli Stati
Uniti, rappresenta un importante «ponte» nei collegamenti tra i paesi del Nord
Europa e l'America, grazie anche alla politica commerciale seguita ormai da
molti anni dalla compagnia di bandiera islandese Icelandair, che effettua, in
regime di monopolio, collegamenti, con scalo a Keflavìk, dall'Europa agli Stati
Uniti e viceversa a tariffe competitive. Peraltro il dato numerico che si è
riscontrato in Islanda, relativo al movimento aereo giornaliero da e per gli
Stati Uniti, è più rilevante che in tutti gli altri Stati nordici. Per questo
motivo l'aeroporto di Keflavik costituisce un luogo ideale per la
sperimentazione di avanzate misure di sicurezza e di identificazione attraverso
i dati biometrici.
Peraltro, l'applicazione rigida dei sistemi di controllo nonché il costante
monitoraggio dei passeggeri in arrivo e in partenza, assicurato dalla
comunicazione inviata all'aeroporto delle liste passeggeri e degli equipaggi di
ogni aereo, ventiquattro ore prima dell'arrivo o della partenza, hanno
dimostrato di riuscire a garantire
una buona sicurezza dei
controlli,
costituendo al tempo stesso un deterrente per l'immigrazione clandestina.
Analoghe misure di sicurezza vengono applicate nei porti - i più importanti su
ventisei esistenti sono due - per gli arrivi e le partenze delle navi
provenienti principalmente dalla Danimarca.
Dalla
missione compiuta, è inoltre emersa la necessità che le procedure, all'interno
dell'area Schengen, siano omogenee, in particolare per quanto attiene
all'identificazione dei passeggeri, sia nei voli interni all'Unione sia in
quelli esterni e alla protezione dei dati.
Per i rari casi di immigrati entrati irregolarmente esiste una struttura che, al
pari di un nostro centro di permanenza temporanea, si occupa di ospitarli fino
al loro rimpatrio. Inoltre, in Islanda si riscontra una buona integrazione
dell'immigrazione regolare presente sul territorio.
Dai colloqui avuti è emerso come esista in Islanda il rischio che elementi della
criminalità organizzata possano cercare di entrare nel suo territorio. Per
contrastare tale rischio assume importanza l'utilizzo delle informazioni
provenienti dal Sistema SIS e SIRENE, la cooperazione con Europol e la
partecipazione ad Interpol, nonché la stretta cooperazione esistente con le
forze di polizia dei paesi nordici.
Pur rilevando
come la politica islandese sia improntata ad una massima collaborazione con
l'Unione europea nel settore della sicurezza, l’Islanda non sembra
particolarmente interessata a entrare a far parte della stessa.
La missione in Polonia ha costituito, invece, l’occasione per verificare
come un nuovo Stato membro si prepari alla messa in applicazione dell’acquis
di Schengen, adeguando la propria normativa interna agli standard
richiesti. L’esistenza di una estesa frontiera esterna, 1600 km, la particolare
situazione geografica della Polonia, che confina con ben sette Paesi e la
peculiarità della linea di confine, costituita in gran parte da foreste,
rendono problematica l’effettività dei controlli. Tuttavia si è potuto rilevare
come questi siano migliorati grazie alle operazioni congiunte tra le polizie di
frontiera.
Al pari di altri Paesi europei, anche la Polonia registra un nuovo tipo
di immigrazione clandestina, difficile ad individuare, costituita dalla presenza
sul suo territorio dei c.d. overstayers, cittadini stranieri che entrano
legalmente nel Paese e che non ritornano in patria dopo la scadenza del permesso
di soggiorno, inoltre, di recente, la Polonia è diventata territorio di transito
di immigrazione clandestina, proveniente dai Paesi dell’ex Unione sovietica, che
utilizza la Polonia come porta di ingresso per gli altri Paesi dell’Unione
europea. Un’attenta politica dei visti potrebbe contribuire ad un miglioramento
dell’efficacia del controllo delle frontiere attraverso la corretta applicazione
della normativa relativa ai visti. E’ apparso evidente che quando la Polonia
sarà entrata a tutti gli effetti nello spazio Schengen dovrà seguire alcune
linee guida, nella sua politica dell’immigrazione, che si allineino maggiormente
ai parametri europei.
Nel corso della missione si è avuta l’opportunità di visitare l’Agenzia
delle frontiere, di nuova istituzione, con sede a Varsavia. Nel corso della
visita è emerso come il ruolo attribuito all’Agenzia faccia sì che agisca da
catalizzatore per coordinare la collaborazione operativa tra gli Stati membri,
nella gestione integrata delle frontiere comuni esterne dell’Unione europea.
L’Agenzia costituisce, pertanto, un importante strumento per la
cooperazione operativa tra le guardie di frontiera degli Stati membri,
coordinando le operazioni comuni alle frontiere esterne dell’Unione europea.
Peraltro, il programma di lavoro del 2006 prevede che l’Agenzia dovrà mettere in
opera, con la massima urgenza e a titolo prioritario, le misure per la gestione
delle frontiere previste per combattere l’immigrazione clandestina nella regione
del Mediterraneo, che rappresenta una delle prossime priorità di azione
dell’Unione europea, mediante progetti pilota e operazioni comuni.
A seguito delle
audizioni svolte nel corso dell’indagine conoscitiva si è rilevato come
l’ampliamento dello spazio Schengen costituisca per l’Europa, al pari
dell’allargamento dell’Unione europea una grande sfida da affrontare: la
realizzazione di uno spazio interno senza frontiere in cui sia garantita a tutti
i cittadini europei la libera circolazione.
I prossimi
anni costituiranno il periodo in cui la Commissione europea e il Consiglio
dovranno valutare la concreta possibilità di un ampliamento dello spazio
Schengen in conseguenza dell’entrata di dieci nuovi Paesi membri nell’Unione
europea.
Ampliare lo
spazio interno senza controlli comporterà la necessità di garantire, in primo
luogo, l’adeguatezza dei sistemi di controllo alle frontiere esterne con il
conseguente riassetto delle infrastrutture dei posti di frontiera (terrestri,
aeroportuali e portuali); assicurare l’applicazione corretta della normativa sui
visti, potenziare la cooperazione di polizia, rafforzare la capacità di scambio
informativo per evitare che questa libertà di circolazione all’interno dello
spazio europeo possa essere utilizzata non solo da chi legittimamente vuole
circolare ma anche da criminali. Sarà, inoltre, necessario che le procedure di
controllo all’interno dell’area Schengen siano omogenee, in particolare per
quanto attiene all’identificazione dei passeggeri sia nei voli interni
all’Unione sia in quelli esterni; ad esempio l’effettiva rispondenza del
nominativo riportato sulla carta d’imbarco con le generalità del viaggiatore.
Secondo
quanto previsto dai trattati i nuovi Stati membri dovranno dotarsi, prima di
poter entrare a pieno titolo nello spazio Schengen, di politiche in materia di
visti e di apparati di controllo alle frontiere uniformi rispetto a quelli del
resto d’Europa ma soprattutto dovranno adottare legislazioni e politiche in
materia di gestione dei flussi migratori che impediscano loro di diventare meta
di un’immigrazione clandestina in grado di spostarsi poi senza più controlli
nell’Unione.
L’impegno delle
istituzioni europee - Parlamento, Commissione e Consiglio - si è tradotto in
alcuni rilevanti obiettivi raggiunti quali: l’adozione del regolamento che
istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle
frontiere da parte delle persone e che modifica le istruzioni consolari comuni,
il cosiddetto Codice frontiere Schengen; la proposta, per la prima volta, di una
normativa omogenea europea per la protezione dei dati personali nel settore
della cooperazione di polizia; l’anticipazione al marzo 2007, in luogo
dell’ottobre, dell’avvio del Sistema informativo Schengen di nuova generazione,
il cosiddetto SIS II, prevedendo alcune tappe intermedie per consentire, entro
dicembre 2006, agli Stati oggi Schengen l’adeguamento operativo necessario per
il passaggio dal SIS I al SIS II ed entro marzo 2007 il collegamento dei sistemi
nazionali che consentono l’operatività del sistema attraverso la creazione di
una rete europea con il coordinamento della Commissione.
L’Ue ha previsto
l’utilizzo di uno strumento finanziario ad hoc, le cosiddette Schengen
facility, per permettere agli Stati che si preparano alla messa in
applicazione dell’acquis di Schengen, di essere sostenuti
finanziariamente nei progetti riguardanti in particolare la realizzazione di
infrastrutture alle frontiere esterne, il relativo equipaggiamento tecnico,
nonché il necessario addestramento e supporto logistico - per adeguarsi ai
parametri richiesti per il loro ingresso nello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia.
L’Europa
sembra dunque essere decisa ad estendere questo spazio di libera circolazione
senza controlli, in condizioni di adeguatezza e sicurezza, rafforzando, nel
contempo, la propria cintura di protezione.
I flussi
migratori illegali hanno dimostrato, nel tempo, di modellare le loro rotte a
seconda della vulnerabilità e della facilità con cui possono eludere i controlli
e le verifiche effettuate nei diversi posti di frontiera. La grande estensione
delle frontiere orientali è diventata l’alternativa per l’entrata, nello spazio
Schengen, di flussi illegali, che in precedenza transitavano dai Paesi
dell’Africa mediterranea.
E’ di
fondamentale importanza osservare come accordi bilaterali quali, ad esempio,
quello con l’Egitto abbiano permesso il sostanziale calo di immigrati
clandestini provenienti dallo Sri Lanka, attraverso la loro identificazione
durante l’attraversamento del canale di Suez. Questo accordo ha anche permesso
che i respingimenti dei cingalesi verso il loro Paese di provenienza potesse
avvenire con voli in partenza dall’Egitto. Se il risultato dell’accordo, citato
come esempio, è da considerarsi ottimo rispetto alle esigenze del nostro Paese,
tuttavia il Comitato ha appreso, nel corso della missione in Polonia, che le
rotte che ora percorrono i cittadini dello Sri Lanka per entrare
clandestinamente in Europa passano attraverso i Paesi del Nord-Est europeo. Ciò
significa, come è stato anche evidenziato dal Vicepresidente della Commissione
europea On. Franco Frattini nel corso della sua audizione, che gli accordi
bilaterali sono utili ma non più sufficienti: la strada da percorrere è dunque
quella degli accordi tra l’Europa e i singoli Paese.
Sempre in
chiave europea vanno definiti gli eventuali accordi che prevedano aiuti ai Paesi
di origine di immigrazione clandestina verso l’Europa. Ad esempio, i flussi dei
clandestini in partenza dalla Libia non sono costituiti da cittadini libici, ma
da persone provenienti dai più diversi Paesi africani o asiatici. Il modo
concreto per cercare di contenere l’ingresso in Europa, attraverso la Sicilia, è
quello di aiutare la Libia a fronteggiare la sua immigrazione clandestina che
giunge dai suoi confini del deserto libico. E’ evidente che aiuti di questo
genere sono attuabili solo a livello europeo e non a livello di singolo Stato.
Con
l’istituzione dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa
alle frontiere esterne si è inteso dare una risposta all’esigenza, da più parti
avvertita, di assicurare il coordinamento e la cooperazione a livello europeo
nella gestione delle crisi alle frontiere esterne. Il breve periodo di attività
svolto dall’Agenzia non consente ancora delle valutazioni, tuttavia le sue
attribuzioni sembrano destinate ad ampliarsi con nuove competenze, quali
l’attribuzione del coordinamento del pattugliamento costiero congiunto del
Mediterraneo.
Quando
l’Agenzia sarà pienamente operativa potrà, in tal modo, essere impegnata su
entrambi i fronti - le frontiere terrestri orientali e quelle marittime
mediterranee - garantendo un’adeguata protezione a tutti i Paesi soggetti a
forti pressioni migratorie.
L’ampliamento
di uno spazio in cui circolare liberamente comporterà la necessità di instaurare
una più stretta collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea ai fini
della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata transfrontaliera, al
traffico di droga e di esseri umani e all’immigrazione clandestina. Un esempio
di questa volontà di cooperare in maniera più incisiva in alcuni settori dell’acquis
di Schengen è rappresentato dall’accordo di Prüm, accordo che sancisce una
cooperazione transfrontaliera rafforzata tra alcuni Stati dell’Unione per
bilanciare gli effetti indesiderati della rimozione dei controlli alle frontiere
interne.
Come
l’accordo di Schengen anche quello sottoscritto a Prüm è l’applicazione pratica
della flessibilità e della cooperazione rafforzata in un quadro
intergovernativo: un processo lungo e laborioso che, nel caso Schengen, si è
rivelata l’unica strada percorribile e l’unico strumento in grado di assicurare
la lenta costruzione, ancora in divenire, di uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia.
Il lavoro
svolto dal Comitato con questa indagine conoscitiva conclude un percorso di
approfondimento, avviato all’inizio della Legislatura, che ha toccato tutti gli
ambiti di competenza del suo mandato - Schengen, Europol e immigrazione - e ha
fornito interessanti e articolati spunti di riflessione. In base alla positiva
esperienza maturata, l’auspicio che il Comitato rivolge ai Parlamenti degli
Stati membri, al fine di un proficuo confronto su tali tematiche, è quello di
costituire, al loro interno, analoghe strutture che trasmettano i risultati
delle loro attività al Parlamento europeo.