Comitato parlamentare Schengen, Europol e immigrazione

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DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE COMUNE DELLE FRONTIERE
E SUL CONTRASTO ALL'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN EUROPA

  Capitolo I - Introduzione

 1. Finalità dell'indagine conoscitiva

         A seguito dell'attribuzione di nuove competenze, in base a quanto disposto dall'articolo 37 della legge n. 189 del 30 luglio 2002 (legge Bossi-Fini), il Comitato ha assunto la nuova denominazione di Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.
        Si è dunque ritenuto necessario avviare un'indagine per approfondire la conoscenza del quadro nazionale e comunitario della normativa sull'immigrazione e l'asilo, approfondendo la conoscenza del fenomeno dell'immigrazione in un quadro strettamente collegato alle prospettive e alle iniziative europee volte alla realizzazione di un processo di armonizzazione e coordinamento, essenziale per un'efficace politica comune di immigrazione.
        In particolare l'indagine si è posta come obiettivo, quello di esaminare alcuni aspetti quali le modalità di realizzazione dell'azione comunitaria nel controllo e nella gestione integrata delle frontiere esterne; la definizione degli strumenti volti a creare il quadro giuridico di riferimento comune in materia di ammissione e di condizioni di soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi; la verifica della possibilità di realizzare un coordinamento e una cooperazione operativa tra le polizie nazionali degli Stati dell'Unione europea attraverso un'analisi degli strumenti di contrasto all'immigrazione illegale, all'introduzione clandestina e alla tratta di esseri umani.
        È stata, peraltro, avviata un'analisi del quadro nazionale circa l'efficacia degli strumenti utilizzati per la concreta attuazione della riforma introdotta dalla legge Bossi-Fini in materia di immigrazione, integrazione e occupazione, attraverso un programma di audizioni che hanno consentito di approfondire alcuni aspetti e acquisire chiarimenti in merito all'idoneità degli strumenti e delle procedure operative utilizzate.
        Nel corso di dette audizioni è emersa l'importanza dell'utilizzazione, nel contrasto all'immigrazione clandestina, degli accordi di riammissione con i Paesi terzi e delle collegate politiche di rimpatrio, tenendo conto delle difficoltà derivanti dalla necessaria distinzione tra Paesi di transito e di origine dei flussi migratori.
        È inoltre emerso come il fenomeno dell'immigrazione clandestina interessi l'Italia via mare con le drammatiche modalità purtroppo ripetutesi costantemente negli ultimi anni, nonostante una sempre più efficace e costante cooperazione tra le forze armate e le forze di polizia impegnate nell'attività di contrasto relative al traffico di migranti. Particolarmente importante il ruolo svolto dalla Marina militare, dalla Guardia di finanza e dalla Capitaneria di porto in materia di attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare.
        In riferimento a questa attività il Comitato ha svolto missioni a Malta e a Cipro. Nel corso della missione a Malta sono stati approfonditi i molteplici aspetti della collaborazione bilaterale nell'azione di contrasto ai flussi di immigrazione clandestina proveniente dal Nordafrica, diretta in Italia e transitante per Malta, mentre a Cipro il Comitato ha assistito allo svolgimento delle attività di controllo e contrasto all'immigrazione clandestina via mare attraverso l'operazione denominata Nettuno. Tali missioni hanno inoltre consentito una prima valutazione delle conseguenze immediate che l'allargamento provocherà sull'andamento dei flussi migratori e sulla libera circolazione delle persone in un'Europa dai confini allargati.
        Nel corso dello svolgimento dell'indagine si è reso inoltre necessario un approfondimento della conoscenza del quadro giuridico e politico di riferimento relativo allo status di rifugiato al fine di individuare gli strumenti che possano concretamente realizzare una strategia comune in materia di procedure d'asilo e garantire uno status uniforme, valido in tutta l'Unione.
        Sono state esaminate le connessioni esistenti tra immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani e organizzazioni transnazionali, nonché i legami esistenti tra tali organizzazioni e i canali attraverso i quali l'immigrazione clandestina giunge nel nostro Paese.
        Alcuni problemi relativi alla connessione tra il fenomeno dell'immigrazione clandestina e l'illecita importazione-esportazione di valuta tramite i cosiddetti «circuiti bancari informali», che di recente sono stati collegati all'allarme terrorismo, hanno reso necessario un esame delle relazioni esistenti tra i flussi migratori e i flussi finanziari.
        D'altra parte è emerso in maniera evidente come le connessioni esistenti tra immigrazione clandestina e terrorismo internazionale rendano sempre più urgente identificare una strategia globale per la realizzazione di una politica europea della sicurezza.
        Nel corso degli incontri svolti, in occasione della missione del Comitato a New York, con rappresentanti di organismi che operano nell'ambito delle Nazioni Unite e che intervengono con competenze specifiche su alcuni aspetti collegati ai fenomeni migratori, è emerso come il fenomeno dell'immigrazione non possa prescindere, oltre che dall'analisi degli aspetti economici, anche da quella degli aspetti demografici.

 Capitolo II - Il quadro normativo europeo

         La dimensione europea del fenomeno dell'immigrazione e la conseguente necessità di un approccio integrato in materia, che negli anni hanno portato all'adozione di misure in sede comunitaria volte alla realizzazione di una politica di coordinamento in materia di immigrazione e asilo, non può prescindere da un'analisi puntuale del quadro normativo di riferimento.

 1. Immigrazione e spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia - Trattato di Amsterdam e Consiglio europeo di Tampere

         Prima di esaminare la politica europea in materia di immigrazione e asilo, è bene ricordare che essa è una competenza recente dell'Unione europea, acquisita nell'ambito della creazione dello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, così come stabilito dal Trattato di Amsterdam entrato in vigore nel maggio del 1999.
        Gli articoli 61 e 63 del Trattato prevedono che il Consiglio, allo scopo di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, divenga competente per l'adozione di misure volte ad assicurare la libera circolazione delle persone, nonché di ulteriori misure nei settori dell'asilo, dell'immigrazione e della salvaguardia dei diritti dei cittadini dei paesi terzi. Contestualmente il Trattato indica che tale definizione avvenga entro un periodo di cinque anni, ovvero fissa al 1 maggio 2004 il termine utile per la progressiva attuazione di un quadro giuridico comunitario per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e per la definizione di una politica comune sull'asilo e sull'immigrazione basata su un sistema uniforme di norme e di regole.
        Tali principi vengono ribaditi nell'ottobre 1999 a Tampere, in una riunione straordinaria del Consiglio europeo. «L'Unione europea - si legge nelle Conclusioni del Consiglio - ha bisogno di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei Paesi e delle regioni di origine e di transito. Ciò significa che bisogna combattere la povertà, migliorare le condizioni di vita e le opportunità di lavoro, prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati democratici, garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze, delle donne e dei bambini.» In tale occasione il Consiglio europeo ha sottolineato l'importanza di controlli efficaci alle future frontiere esterne dell'Unione, definendo, nel contempo, gli elementi fondamentali per una politica comune in materia di immigrazione e di asilo: il partenariato con i paesi d'origine, un regime europeo comune in materia di asilo, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi e la gestione dei flussi migratori.

 2. Piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina - Consigli di Siviglia e Salonicco

         Il panorama internazionale, profondamente modificato dagli attacchi terroristici dell'11 settembre, imprime un mutamento di indirizzi anche all'approccio europeo nei confronti della politica di immigrazione e di asilo. Pur nel costante riferimento agli obiettivi di Tampere, si accentua l'attenzione sugli aspetti dedicati al controllo e al contrasto. Il Consiglio europeo di Siviglia del giugno 2002 si muove su quattro linee direttrici: lotta all'immigrazione clandestina, gestione comune delle frontiere esterne, accelerazione della produzione normativa su asilo ed immigrazione, rapporti con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi migratori, sottolineando l'importanza di intensificare tale cooperazione rispetto alle attività di prevenzione e di contrasto dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani. Le conclusioni della Presidenza esortano all'adozione delle misure previste nel Piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina approvato dal Consiglio nel febbraio 2002 nonché di quanto previsto dalla comunicazione della Commissione «Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea».
        Il Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003, assegna all'immigrazione «il valore di assoluta priorità politica» richiedendo in questo ambito una politica dell'Unione maggiormente strutturata e ribadendo altresì la necessità di inserire l'immigrazione nelle relazioni di partenariato con i paesi terzi interessati, con la possibilità di valutare sistematicamente il grado della cooperazione effettivamente prestata nella lotta contro l'immigrazione clandestina. Le conclusioni del Consiglio contengono inoltre la richiesta di ampliamento delle prospettive finanziarie dedicate a questo settore ponendo per la prima volta l'accento sull'opportunità dell'effettiva condivisione da parte di tutti gli Stati membri degli oneri finanziari derivanti dalla gestione comune e integrata delle frontiere (meccanismo di ripartizione degli oneri - burden sharing). Dal punto di vista operativo, in seguito all'adozione nel 2002 del piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina nell'Unione europea e del piano per la gestione integrata delle frontiere esterne, viene incoraggiata la cooperazione operativa fra gli Stati membri attraverso una serie di operazioni congiunte e di progetti pilota.

 3. Politica comune per la gestione integrata delle frontiere esterne: un dispositivo giuridico comune - Acquis di Schengen

         Occorre a questo punto precisare che la cooperazione operativa rafforzata e permanente fra gli Stati membri, sulla quale si basa la definizione e la messa in opera di una politica comune ed integrata per la gestione delle frontiere esterne, è data dall'esistenza di un dispositivo giuridico comune: l'acquis Schengen, vale a dire l'insieme risultante dalla Convenzione di base, da quella di applicazione e dall'apparato di norme relative alle modalità di applicazione.
        Le frontiere esterne di cui si parla sono infatti quelle dei Paesi aderenti allo spazio Schengen con i Paesi Terzi: vale a dire le frontiere di tutti gli Stati membri dell'UE salvo Irlanda e Regno Unito. La Danimarca ha pure una posizione particolare, mentre Norvegia ed Islanda risultano associate al processo di esecuzione dell'acquis di Schengen e sono membri del Comitato misto in seno al Consiglio dei Ministri.
        L'acquis di Schengen è stato incorporato il 1° maggio 1999 nel quadro giuridico comunitario e dell'Unione europea col Protocollo di Amsterdam, allegato al relativo Trattato. Le norme Schengen in materia di frontiere esterne, possono essere riassunte nei seguenti punti:
        a) norme e principi comuni utilizzati nel controllo e nella sorveglianza delle frontiere esterne;
        b) obblighi comuni in materia di ingressi di cittadini di paesi terzi relativamente a soggiorni superiori ai tre mesi nello spazio Schengen;
        c) disposizioni comuni circa la responsabilità di coloro che favoriscono l'immigrazione illegale, il traffico e la tratta di esseri umani;
       d) creazione del Sistema d'Informazione Schengen-SIS per la conservazione e lo scambio d'informazioni fra gli Stati membri relativamente all'ingresso di persone sospette o non ammissibili all'interno dello Spazio Schengen;
       e) creazione di un sistema di valutazione e applicazione di Schengen in grado di stimare la situazione dei nuovi paesi aderenti in vista della decisione del Consiglio che li autorizzerà ad applicare l'acquis di Schengen. Verifica dell'applicazione corretta dell'acquis da parte degli Stati che ne fanno parte.
        L'articolo 8 del Protocollo sull'acquis di Schengen allegato al Trattato di Amsterdam, prevede inoltre che l'adesione di nuovi Stati all'Unione europea sia condizionata dall'adozione integrale delle norme e delle prassi operative relative all'acquis. I dieci paesi, che dal 1o maggio 2004 sono entrati a far parte dell'Unione, hanno dunque contestualmente accettato di appartenere allo spazio Schengen. Nel corso del processo negoziale, che ha preceduto l'allargamento, motivi di ordine politico, amministrativo e tecnico, hanno determinato per i nuovi Stati membri (con l'eccezione di Cipro e Malta), la definizione di un periodo transitorio, trascorso il quale si applicherà l'acquis comunitario, nella sua interezza, anche ai nuovi cittadini europei.
        Dal punto di vista strutturale i nuovi Stati membri dovranno dotarsi di politiche in materia di visti e di apparati di controllo alle frontiere uniformi rispetto a quelli del resto d'Europa, ma soprattutto dovranno adottare legislazioni e politiche in materia di gestione dei flussi migratori che gli impediscano di diventare meta di un'immigrazione clandestina in grado di spostarsi poi senza più controlli nel resto del continente. Da parte sua l'Unione europea si è dimostrata anch'essa inadempiente nella tempistica di aggiornamento del SIS: il nuovo SIS II, in grado di garantire l'accesso anche ai nuovi Stati, sarà infatti operativo soltanto nel 2007.
        Dal punto di vista politico, il libero accesso al mercato del lavoro, corollario della libera circolazione delle persone, e la posizione della Germania e dell'Austria, ovvero dei due paesi di destinazione privilegiati dai flussi di immigrazione dall'Europa dell'est, hanno indotto alla cautela, dilatando la moratoria a un periodo temporale di sette anni diversamente articolato.

 4. Allargamento dell'Unione Europea - Trattati di Nizza e Atene

         Il Trattato di Nizza, entrato in vigore il 1o febbraio 2003, è il risultato di undici mesi di negoziati condotti nel corso di una conferenza intergovernativa (CIG) aperta nel febbraio 2000 con un mandato ben definito: preparare l'Unione europea all'allargamento rivedendo i trattati e adeguandoli alle mutate condizioni di un Europa ampliata. Come previsto nel protocollo sull'allargamento e nelle dichiarazioni allegate al Trattato di Nizza, il numero di seggi in Parlamento dei nuovi Stati membri, il numero di voti loro attribuito in Consiglio e la soglia della maggioranza qualificata applicabile in futuro, sono determinati giuridicamente nel trattato d'adesione firmato ad Atene il 16 aprile 2003. A partire dal 1o maggio 2004 (data di entrata in vigore del trattato d'adesione con i dieci nuovi membri), l'Unione è quindi fondata sui trattati UE e CE, modificati da ultimo dai trattati di Nizza e di Atene. Il Trattato di Nizza, costituito da due parti e da quattro protocolli, non semplifica la complessità di norme relative alla libera circolazione delle persone, all'asilo e all'immigrazione. Il protocollo relativo all'articolo 67 del trattato UE (cooperazione amministrativa fra le amministrazioni degli Stati membri in materia di «visti, asilo, immigrazione e altre politiche legate alla libera circolazione delle persone»), prevede che il Consiglio potrà adottare, a maggioranza qualificata, provvedimenti relativi all'asilo e alla politica d'immigrazione e ai diritti dei cittadini di paesi terzi in situazione regolare di soggiorno, a condizione che il Consiglio abbia stabilito in anticipo e all'unanimità una normativa comunitaria che definisca le regole comuni ed i principi essenziali che disciplinano queste materie.

 5. Trattato che adotta una costituzione per l'Europa

         Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa riunisce i profili che corrispondono, nei testi vigenti, ai diversi settori che definiscono lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, eliminando al contempo la struttura a pilastri.
        Il Trattato considera l'immigrazione come uno degli elementi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, previsto nella parte III, dedicata alle politiche e al funzionamento dell'Unione.
        L'articolo III-258 della Costituzione indica il Consiglio europeo quale organo competente per la definizione degli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, mentre gli articoli III-265 e III-267 indicano nella «legge» e nella «legge quadro gli strumenti giuridici per l'attuazione delle politiche relative a:
        a) visti e altri titoli di soggiorno di breve durata;
        b) controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne;
        c) condizioni in virtù delle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo;
        d) misure necessarie per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne;
        e) assenza di controllo sulle persone, a prescindere dalla cittadinanza, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne;
        f) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare;
       g) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri;
        h) immigrazione e soggiorno irregolari, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;
        i) lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.
       L'articolo III-268 sancisce definitivamente il principio del burden-sharing, ovvero stabilisce che le politiche dell'Unione, e la loro attuazione, relativamente alle politiche migratorie, siano governate sul piano finanziario dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri.
        Richiamandosi ai principi di Tampere, l'articolo III-267 prevede che l'Unione sviluppi una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento degli immigrati legali e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani.
        Per quanto riguarda la gestione dei flussi legali e l'integrazione dei migranti legali occorre richiamare l'attenzione sul fatto che la Costituzione rovescia parzialmente l'approccio del Trattato Ce, laddove esclude dalla legislazione comunitaria previsioni relative alla determinazione di quote d'ingresso per l'immigrazione legale, che rimangono competenza esclusiva delle legislazioni nazionali. Le politiche relative all'integrazione, sebbene incardinate in un approccio che si vuole ancora fortemente delineato da azioni comunitarie, rimangono legate alla sola previsione di leggi o leggi quadro intese a sostenere e incentivare l'azione degli Stati membri in tale ambito.
        Rispetto alla posizione degli stranieri presenti irregolarmente sul territorio degli Stati membri, la Costituzione rafforza la posizione dell'Unione in materia di riammissione conferendole poteri espliciti relativamente alla conclusione di accordi con i paesi terzi di origine o di provenienza.
        La Costituzione infine innova profondamente, rispetto al passato, la politica comune in materia d'asilo fondandola sul diritto internazionale, e sottolineandone l'importanza con previsioni proprie distinte da quelle destinate all'immigrazione.
        L'articolo III-266 stabilisce che l'Unione »sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti«. A tal fine la legge o legge quadro europea stabilisce le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa:
        a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione;
        b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che necessitano di protezione internazionale;
        c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio. In questo caso il Consiglio, su proposta della Commissione, e previo parere del Parlamento europeo, può adottare provvedimenti temporanei a beneficio degli Stati membri che si trovino ad affrontare tali situazioni di emergenza;
        d) procedure comuni per la concessione e la revoca dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria;
        e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria;
        f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria;
        g) il partenariato e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o di persone che necessitino di protezione sussidiaria o temporanea.

 6. Rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea - Programma dell'Aia

         Nel giugno del 2004 la Commissione ha pubblicato una Comunicazione su »Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: bilancio del programma di Tampere e nuovi orientamenti«, in cui vengono indicati degli spunti di riflessione »per l'elaborazione di un futuro programma di misure che individuino le priorità nel settore della giustizia e degli affari interni per il periodo 2004-2009..., tali priorità dovranno prendere in considerazione il contesto globale cui l'Unione sarà confrontata. In particolare: il divario economico tra le regioni del mondo; l'instabilità politica in alcune regioni o paesi; l'evoluzione demografica della popolazione in Europa; le attese dei cittadini riguardo i loro diritti e in materia di sicurezza«.
        Nel novembre 2004 il Consiglio europeo di Bruxelles ha adottato il Programma dell'Aia «Rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea», ovvero ha stabilito il nuovo programma pluriennale tenendo conto della comunicazione della Commissione sopra citata e della raccomandazione adottata dal Parlamento europeo il 14 ottobre 2004, soprattutto relativamente al passaggio al voto a maggioranza qualificata e alla codecisione ai sensi dell'articolo 67, paragrafo 2 del TCE.
        Il Programma dell'Aia si pone come obiettivo »di migliorare la capacità comune dell'Unione e dei suoi Stati membri di garantire i diritti fondamentali, le garanzie procedurali minime e l'accesso alla giustizia per fornire protezione alle persone che ne hanno bisogno ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e di altri trattati internazionali, di regolare i flussi migratori e di controllare le frontiere esterne dell'Unione, di combattere la criminalità organizzata transfrontaliera e di reprimere la minaccia del terrorismo«. Alla luce di questo programma, il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare nel 2005 un piano d'azione che concretizzi gli obiettivi e le priorità, fornendo un calendario per l'adozione e l'attuazione di tutte le azioni. La Commissione è inoltre invitata a presentare una relazione annuale al Consiglio sull'attuazione del programma stesso.

 a) Metodo decisionale

         A decorrere dal 1° gennaio 2005, le decisioni su asilo, controllo delle frontiere e immigrazione passeranno progressivamente dall'unanimità alla maggioranza qualificata, in codecisione col Parlamento europeo: in pratica, cadrà il diritto di veto dei singoli governi. Unica eccezione, le regole sull'immigrazione legale, che resteranno all'unanimità fino all'entrata in vigore del Trattato costituzionale.

 b) Lotta contro l'immigrazione clandestina: sistemi di sicurezza e controllo alle frontiere

         In materia di visti, di particolare importanza l'accordo raggiunto sui due regolamenti che disciplinano l'introduzione di identificatori biometrici nei visti e nei permessi di soggiorno. È all'esame un regolamento che estende tale innovazione anche ai documenti di viaggio e di identità. È stato inoltre avviato il Visa Information System (VIS) per agevolare l'aggiornamento e la consultazione dei dati sui visti Schengen. Per facilitare le operazioni di controllo sono state inoltre previste coerenti soluzioni di identificazione basate sull'interazione fra il il SIS II, il VIS e l'EURODAC, una banca dati informatizzata contenente i dati relativi alle impronte digitali (dati dattiloscopici) di tutti i richiedenti asilo nonché dei cittadini di paesi terzi fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera, in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti.
        Un ruolo fondamentale è stato assegnato all' Unità comune di esperti delle frontiere esterne, che ha il mandato di dare attuazione alle misure operative proposte nei piani.
        Nel settore della polizia, i principali lavori verteranno sugli scambi di informazioni tra i servizi dei vari Stati membri e l'uso dell'ufficio europeo di polizia Europol.

 c) Regime europeo comune in materia di asilo

         L'articolo 1 della Convenzione di Ginevra definisce rifugiato colui che, »temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra«. Nel corso del tempo si è ritenuto di dover ampliare e completare tale definizione adattandola a seconda dei diversi contesti geopolitici e includendo altresì ulteriori criteri, non ultima la possibilità di persecuzioni dovute alla sessualità o alla differenza di genere.
        Dall'analisi dei trends relativi alle richieste d'asilo presentate nei paesi più industrializzati, si evince che, nell'ultimo periodo in Europa, vi sia stata a una netta riduzione delle domande, con indici diversi a seconda delle diverse zone geografiche. Secondo le stime fornite dall'UNHCR per il 2003, le domande presentate risultano essere 310.000, ovvero, il 20% in meno rispetto all'anno precedente. I dati scorporati per paese pongono la Gran Bretagna al primo posto con 61.500 domande d'asilo presentate, seguita dalla Francia (51.400) e dalla Germania (50.450).
        L'Alto Commissario per le Nazioni Unite ha più volte sottolineato che per affrontare efficacemente il fenomeno degli arrivi irregolari, sia di richiedenti asilo che di migranti economici che gravano sui sistemi d'asilo, sia indispensabile, da parte dell'Unione europea, una strategia comune e un approccio unificato con l'obiettivo ultimo di attuare un sistema di asilo comune. Dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam il Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, su proposta della Commissione, ha adottato gran parte delle misure previste in questo ambito, senza però completare del tutto un primo quadro normativo entro la data del 1 maggio 2004. Allo stato attuale, il Consiglio ha infine raggiunto un orientamento comune sulla proposta modificata di Direttiva sui minimi standard per il riconoscimento dello status di rifugiato. La proposta sarà ora inviata al Parlamento europeo per il parere prima che sia definitivamente adottata dal Consiglio. Il Consiglio ha deciso di posticipare la decisione che stabilisce la lista comune di Paesi terzi sicuri fino a quando la direttiva non sarà approvata poiché sul punto non è stato possibile raggiungere l'accordo. Dopo che sarà adottata la direttiva in materia, il Consiglio potrà deliberare a maggioranza qualificata ai sensi dell'articolo 67, par. 5, del TCE come modificato dal Trattato di Nizza. Relativamente agli strumenti finanziari, con Decisione del Consiglio del 28 settembre 2000 è stato istituito un Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2000-2004, pari a 216 milioni di euro. Il Fondo riunisce in un unico strumento le azioni in materia di integrazione e quelle relative all'accoglienza e al rimpatrio volontario in caso di afflusso massiccio di rifugiati e sfollati, e in questo caso è altresì destinato a sostenere gli sforzi intrapresi dagli Stati membri. Il 29 novembre 2004 la Decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2010 ha previsto 114 milioni di euro per il periodo 2005-2006, per azioni destinate alle condizioni di accoglienza e alle procedure d'asilo dei cittadini di un paese terzo o degli apolidi nonché per azioni indirizzate all'integrazione delle persone il cui soggiorno nello Stato membro interessato abbia un carattere durevole e stabile e al rimpatrio volontario di coloro che non abbiano acquisito una nuova nazionalità e non abbiano lasciato il territorio dello Stato membro.
        ARGO, istituito per il periodo 2002-2006, è invece un programma di azione per la cooperazione amministrativa a livello dell'Unione Europea nei settori del diritto d'asilo, dei visti, dell'immigrazione e dei confini esterni.
        La Commissione è stata invitata a concludere nel 2007 una valutazione dell'attuazione della prima fase della politica europea di asilo e a sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo gli strumenti e le misure relativi alla seconda fase, in vista della loro adozione entro il 2010.
        Obiettivo della seconda fase è l'instaurazione di una procedura comune di esame delle richieste di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria.

 d) L'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere

         L'Agenzia, istituita con Regolamento (CE) 2007/2004 del 26 ottobre 2004, è stata individuata per la prima volta nello Studio di fattibilità per una polizia europea, predisposto dall'Italia e presentato a Roma nel maggio 2001. Successivamente il progetto articolato è stato presentato durante il semestre di presidenza italiana. L'Agenzia risponde all'esigenza di costituire un sistema di controllo integrato delle frontiere dell'Unione, nel tentativo di sanare la fragilità strutturale derivante dalla posizione geografica di alcuni paesi membri, che, nonostante gli sforzi profusi nel controllo delle loro frontiere, terrestri o marittime, si trovano a fronteggiare importanti flussi migratori. In tale contesto, i presupposti per l'operatività dell'Agenzia sono stati individuati fin dal principio in una celere e reale soppressione dei controlli alle frontiere interne, nella progressiva instaurazione del sistema integrato di gestione delle frontiere esterne e soprattutto nella necessaria solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati membri. Fatta salva la competenza degli Stati membri in materia di controllo e sorveglianza delle loro frontiere, l'Agenzia avrà dunque il compito di semplificare e rendere più efficaci l'applicazioni delle misure comunitarie vigenti e future, garantendo al tempo stesso il coordinamento e l'applicazione uniforme delle misure di controllo e scoraggiando l'azione dei singoli Stati membri in presenza di attività assunte sul piano comunitario. Le competenze specifiche dell'Agenzia comprendono fra l'altro: operazioni congiunte e progetti pilota, analisi dei rischi, formazione, gestione delle attrezzature tecniche utilizzate per la sorveglianza e il controllo delle frontiere esterne, cooperazione in materia di rimpatrio, sistemi di scambio di informazioni, agevolazione della cooperazione operativa con i paesi terzi e cooperazione con le autorità competenti degli stessi. L'Agenzia, che diventerà operativa il 1o maggio 2005, ha dunque compiti ampi, meglio definibili nel dettaglio; per questo la Commissione dovrà presentare nel 2007 una valutazione dell'Agenzia nel suo complesso e proposte circa il futuro sviluppo. Riguardo le possibili collaborazioni, la Commissione dovrà presentare nel corso del 2005 una proposta riguardante squadre di esperti nazionali operanti in seno all'Agenzia e in grado di fornire assistenza tecnica e operativa agli Stati membri in caso di bisogno. Il Programma dell'Aia prevede che il Consiglio rifletta ulteriormente sulla possibile trasformazione di queste squadre di esperti in un corpo di polizia di confine. È invece già stata prevista una collaborazione con Europol ed Eurojust per migliorare lo scambio di informazioni tra Stati membri circa le analisi comuni delle rotte migratorie e delle pratiche in materia di tratta e traffico nonché delle rete criminali attive in questo settore. Il Consiglio europeo invita inoltre la Commissione a mettere a punto entro il 2005 un piano riguardo le migliore pratiche e i meccanismi destinati a prevenire e contrastare la tratta di esseri umani.
        L'Agenzia è gestita da un consiglio di amministrazione, composto da un rappresentante per ciascun Stato membro e da due rappresentanti della Commissione, il mandato è di quattro anni rinnovabile per un secondo termine. Le decisioni sono adottate a maggioranza assoluta. Il Consiglio d'amministrazione nomina un direttore esecutivo, su proposta della Commissione, ed elegge un presidente e vicepresidente tra i suoi membri, è altresì previsto un comitato esecutivo, che può essere istituito per assistere il direttore esecutivo e il consiglio nella preparazione delle decisioni, dei programmi e delle attività e nel caso che situazioni d'emergenza richiedano decisioni tempestive. Il direttore esecutivo è completamente indipendente nell'espletamento delle sue funzioni, non accettando sollecitazioni né istruzioni da alcun governo, pur nel rispetto delle competenze della Commissione e degli altri organi dell'Agenzia. I compiti del direttore prevedono la preparazione e attuazione delle decisioni e delle attività decise dal consiglio nonché la preparazione del programma annuale e della relazione di attività. La sede dell'Agenzia, che deve essere decisa all'unanimità dal consiglio, non è stata ancora individuata ed è probabile che sarà aperta una sede provvisoria a Bruxelles.
        Dal punto di vista finanziario, entro il 2006 dovrà essere istituito un fondo comunitario per la gestione delle frontiere.

 e) Frontiere marittime

         In occasione della riunione del Comitato strategico sull'immigrazione, le frontiere e l'asilo (CSIFA), tenutasi il 17 novembre 2004, la Presidenza ha presentato un progetto di conclusioni del Consiglio sulla valutazione dei progressi compiuti nell'attuazione del programma di misure per il contrasto dell'immigrazione clandestina attraverso le frontiere marittime degli Stati membri dell'Unione europea, sulla scorta di quanto rilevato dallo Studio di fattibilità sul controllo delle frontiere marittime dell'Unione europea realizzato da CIVIPOL.
        Il programma dell'Aia, dopo aver ribadito che una cattiva gestione dei flussi migratori può condurre a catastrofi umanitarie quali quelle che si verificano nel Mediterraneo in seguito ai tentativi di entrare illegalmente nel territorio dell'UE, ha lanciato un appello a una maggiore collaborazione per evitare ulteriori perdite di vite umane. In tale contesto ha incoraggiato le iniziative degli Stati membri per la cooperazione in mare, su base volontaria, in particolare per operazioni di salvataggio conformemente al diritto nazionale e internazionale, possibilmente includendo una futura cooperazione con paesi terzi.
        Il Consiglio ha inoltre rilevato che, a fronte dei progressi compiuti nell'attuazione del programma di misure per il contrasto dell'immigrazione clandestina attraverso le frontiere marittime, è tuttavia necessario compiere ulteriori progressi per quanto concerne le misure sia operative che legislative.
        A livello operativo, il Consiglio propone le seguenti misure:
1. miglioramento/rafforzamento dello scambio d'informazioni sui movimenti migratori, in particolare tra l'UE, i suoi Stati membri e i paesi di origine e di transito dei migranti clandestini. In tale contesto, e basandosi sulle esperienze maturate dalla rete di funzionari di collegamento sull'immigrazione nei Balcani occidentali, sottolinea che occorre dedicare attenzione al rafforzamento e alla creazione nei paesi terzi maggiormente interessati di analoghe reti di funzionari di collegamento sull'immigrazione;
2. istituire e/o migliorare, dove necessario, i meccanismi di controllo del traffico marittimo e lo scambio sistematico di informazioni rilevanti tra le autorità competenti in conformità delle legislazioni nazionali;
3. presentare nel 2005 una proposta della Commissione riguardante le squadre di esperti nazionali dedicati allo studio e al perfezionamento delle norme operati.
        Secondo quanto stimato dal Consiglio, una volta operativa, l'Agenzia per la gestione delle frontiere esterne avrà un ruolo determinante nel coordinamento delle operazioni congiunte in mare e nei porti. I centri per le frontiere marittime (il centro per le frontiere marittime occidentali - WSBC e il centro per le frontiere marittime orientali - ESBC), col compito di coordinare le operazioni e le misure congiunte in mare e nei porti, che potrebbero diventare una sezione specializzata dell'Agenzia, sono esortati ad accrescere la loro efficienza e la loro efficacia nel 2005. Tali centri dovrebbero altresì portare a termine lo studio relativo all'impiego della tecnologia e l'analisi delle procedure di valutazione delle prestazioni nei porti lungo le coste, provvedendo inoltre a migliorare le comunicazioni tra i porti dell'UE.
        Dal punto di vista legislativo, il Consiglio invita la Commissione ad effettuare un'analisi approfondita degli attuali strumenti di diritto internazionale applicabili al fenomeno migratorio clandestino via mare per verificare se sia necessario modificarli onde colmare le lacune esistenti sul piano normativo, prestando speciale attenzione alle operazioni di soccorso in alto mare, in particolare e ove opportuno, in relazione alla convenzione di Ginevra e alle procedure di asilo degli Stati membri con la possibilità di valutare un regime specifico in materia per il Mediterraneo. Il Consiglio invita la Commissione a presentare tale analisi entro il 2005.

 f) Progetto Nettuno

         Il progetto di un pattugliamento congiunto nel Mediterraneo centrale e orientale, presentato dal Governo italiano durante il  semestre di presidenza, è stato approvato da parte della Common Unit nella riunione del 23 luglio 2003.
         Il progetto prevedeva lo svolgimento di operazioni di vigilanza e controllo in un'ampia zona di mare, tradizionalmente interessata dalle rotte di immigrazione clandestina che collegano il nord Africa alle coste della Sicilia, mediante l'impiego congiunto e coordinato di unità navali e aeree italiane e dei paesi partecipanti. Inoltre, aveva lo scopo di sviluppare la collaborazione operativa tra i Paesi membri e gli Stati del Mediterraneo in adesione (acceding countries), attraverso un utilizzo ottimale delle risorse disponibili.
         Successivamente, sono state organizzate due riunioni operative con i paesi membri interessati, che si sono tenute a Roma l'11 ed il 29 agosto 2003.
       Alle riunioni, volte alla definizione degli aspetti operativi della prima fase dell'iniziativa che interessava il Mediterraneo Centrale, hanno partecipato rappresentanti di Italia, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Malta, Regno Unito, Paesi Bassi, Spagna ed Europol.
         Le attività di pattugliamento del progetto »Nettuno« hanno avuto inizio il 9 settembre e sono terminate il 24 settembre 2003.
        Unità aeree e navali di Francia, Regno Unito e Malta hanno concorso, con quelle italiane della Marina Militare, delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza, al pattugliamento di un area predeterminata del Mediterraneo centrale (Canale di Sicilia), a ridosso delle acque territoriali di Tunisia, Libia e Italia. Alle operazioni hanno partecipato, in qualità di osservatori presso il Centro di Coordinamento operativo istituito nel Reparto Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, oltre a funzionari e ufficiali dei suddetti Paesi, anche rappresentanti di Germania, Olanda, Spagna, Cipro ed Europol, che ha contribuito all'operazione attraverso la raccolta, l'elaborazione, la valutazione e l'analisi delle informazioni acquisite durante tutte le fasi dell'operazione.
        La programmazione e il coordinamento operativo in mare dell' attività di ricerca dei natanti con clandestini a bordo oltre le 24 miglia dalle coste italiane (acque internazionali) sono stati garantiti dal Comando in Capo della Squadra Navale, mentre l'attività svolta entro le 24 miglia (mare territoriale e cosiddetta zona contigua), è stata direttamente gestita dal Centro Operativo, presso il Reparto aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo. Durante l'intero periodo sono state intercettate 17 imbarcazioni e fermati complessivamente 815 clandestini, di prevalente nazionalità maghrebina. L'attività svolta ha confermato la provenienza prevalente dei clandestini dalla Libia e dalla Tunisia.
        Dal 3 al 15 maggio 2004 si è svolta la seconda fase del progetto Nettuno che ha visto l'impiego, da parte di Cipro, Francia, Grecia, Italia e Regno Unito, di mezzi aerei e navali, in operazioni congiunte di pattugliamento nel Mediterraneo orientale (acque territoriali e relativo spazio aereo della Repubblica di Cipro e adiacenti acque internazionali).
        Sono state effettuate 36 missioni marittime e 21 missioni aeree.
        Nell'ambito del Western Sea Borders Center di Madrid - istituito, insieme all' Eastern Sea Broders Center di Atene, ai fini di attuare il programma UE per la lotta all'immigrazione clandestina via mare - è stata realizzata, dal 4 al 15 ottobre 2004, sotto il coordinamento del Centro per le frontiere marittime, l'operazione »Nettuno fase III«, finalizzata al pattugliamento congiunto del tratto di mare che separa l'Italia dalla Libia e dalla Tunisia.
        Le operazioni, condotte nello specchio di mare compreso tra Malta e Lampedusa e orientate verso la Libia (a differenza della prima fase orientata verso la Tunisia), hanno visto l'impiego delle unità aeronavali italiane e maltesi. All'iniziativa hanno anche aderito, in qualità di osservatori, Spagna, Regno Unito e Portogallo.
        La sede del ROAN (Reparto Operazioni Aeronavali) della Guardia di Finanza di Palermo ha ospitato l' Operation Coordination Centre (come in occasione della fase I), nel quale hanno collaborato i rappresentanti della Marina Militare, della Guardia di Finanza, delle Capitanerie di Porto e gli osservatori stranieri, sotto il coordinamento della Direzione Centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere.
        Complessivamente sono state effettuate 27 missioni aeree e 24 missioni navali, delle quali una assicurata dalla Marina Militare per 11 giorni, in maniera continuativa.
        Nel corso dell'operazione sono stati individuati 428 natanti, prevalentemente imbarcazioni da pesca e naviglio commerciale. Tra questi sono state intercettate 6 imbarcazioni, che trasportavano complessivamente 124 clandestini, di prevalente nazionalità palestinese, somala, eritrea e sudanese, provenienti dalle coste libiche e in misura minore, da quelle maltesi.
        Da evidenziare il caso di 2 clandestini di nazionalità cinese rintracciati a bordo di un natante condotto da un cittadino maltese tratto in arresto per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina dalle autorità di polizia de La Valletta.
        L'episodio conferma il recente fenomeno dei cinesi che giungono a Malta provenienti da Hong Kong, con regolare visto d'ingresso per studio, e poi sbarcano in Sicilia, per lo più sul litorale ibleo, a bordo di scafi veloci gestiti da criminali maltesi.
        Dei 124 clandestini complessivamente intercettati, 71 sono stati condotti in Italia e 53 a Malta.

 g) Accordi

         Il Programma dell'Aia riconosce che i migranti che non hanno, o hanno perso, il diritto di soggiornare legalmente devono rimpatriare su base volontaria o, se necessario, obbligatoria e a tal fine ribadisce la necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione con i paesi terzi avvalendosi delle esperienze dei singoli Stati membri. Il Consiglio fa comunque presente che tale cooperazione riguarda tutti gli aspetti delle migrazioni, quindi non soltanto il rimpatrio e la riammissione, ma anche la lotta contro la tratta di esseri umani e contro le reti criminali connesse, così come la gestione delle frontiere e lo sviluppo di capacità in relazione alla migrazione legale.
        L'Unione europea si è interessata del fenomeno della riammissione in maniera organica fin dal 2002 con il «Libro verde su una politica comune di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri», nonché con il programma d'azione sul rimpatrio adottato dal Consiglio il 28 novembre 2002, che propone azioni a corto, medio e lungo termine. Con la Decisione 2004/573/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri è stata inoltre individuata una misura concreta relativa alle norme comuni per le procedure di rimpatrio.
        La politica comunitaria ha utilizzato, per la conclusione di accordi in materia con i paesi terzi interessati, formule diverse. Nel 1996 una decisione del Consiglio dell'Unione ha introdotto la possibilità di includere negli accordi europei di associazione e di cooperazione con i paesi terzi, clausole riguardanti il rimpatrio di persone presenti illegalmente nel territorio di uno Stato membro. Tali clausole hanno reso possibile la riammissione solo in linea teorica, poiché le misure operative vere e proprie sono state inserite in convenzioni successive concluse tra la Comunità europea o gli Stati membri e il Paese terzo. Tale formula, adottata dal Consiglio dal 1999, è stata utilizzata all'interno di accordi con l'Algeria, l'Armenia, l'Azerbaigian, la Croazia, l'Egitto, la Georgia, il Libano, la Macedonia e l'Uzbekistan. Un'altra strada praticabile è stata individuata nella formulazione di una tipologia comune di accordo di riammissione utilizzabile da ogni singolo Stato membro con un Paese terzo. Dal 1994, gli Stati membri hanno così deciso di usare un modello comune di accordo nel rispetto della Convenzione di Ginevra, del protocollo del 1967 sullo status dei profughi, della Convenzione di Dublino del 1990 e della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo del 1950. La terza possibilità riguarda direttamente gli accordi tra la Comunità europea e un Paese terzo. Tale competenza, prevista inizialmente dal Trattato di Amsterdam, è stata ribadita dal Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, che ha conferito all'Unione personalità giuridica e quindi competenza specifica per la conclusione di accordi di cooperazione con i paesi terzi finalizzati alla riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi. Il Consiglio europeo di Salonicco del luglio 2003 ha sintetizzato la situazione elencando gli undici Paesi con i quali la Commissione è stata autorizzata a negoziare accordi europei, essi sono: Marocco, Sri Lanka, Russia, Pakistan, Hong Kong, Macao, Ucraina, Albania, Algeria, Cina e Turchia. Sinora sono stati conclusi accordi, non tutti in vigore, con quattro di questi paesi: Hong Kong, Macao, Sri Lanka e Albania. Per sostenere tale politica è stata inoltre prevista l'applicazione di programmi di assistenza finanziaria e tecnica ai paesi terzi in materia di migrazione e asilo, quali i programmi AENEAS e ARGO, che forniscono aiuti finanziari e tecnici ai paesi terzi per una gestione migliore dei flussi migratori. AENEAS, in particolare, è destinato ai paesi terzi attivamente impegnati nella preparazione o nell'attuazione di un accordo di riammissione siglato, firmato o concluso con la Comunità europea.

 h) Integrazione

 Principi comuni sull'integrazione dei cittadini di Paesi terzi

         Il Consiglio GAI del 19 novembre 2004 ha adottato i principi comuni della politica di integrazione degli immigrati nell'Unione europea. Le conclusioni del Consiglio in questo ambito mirano ad agevolare gli Stati membri nella formulazione delle politiche di integrazione fornendo indicazioni non vincolanti circa i principi fondamentali in base ai quali esaminare e valutare i propri sforzi. Tali linee guida dovranno inoltre costituire la base di valutazione sulla quale stimare come i differenti livelli di governo possono interagire nello sviluppo e nell'attuazione delle politiche di integrazione contribuendo a definire le modalità di coinvolgimento più adeguate di altri attori già presenti nel campo dell'integrazione (parti sociali, ONG, imprese e istituzioni private). Essi saranno inoltre utilizzati dal Consiglio, come una sorta di promemoria, per riflettere e all'occasione adottare strumenti e atti di indirizzo per orientare le azioni nazionali e locali.
        Undici sono i principi individuati: - integrazione come processo dinamico e bilaterale di adeguamento da parte di immigrati e cittadini europei; - dovere/diritto all'integrazione implicito nel rispetto dei valori comuni europei; - lavoro come componente fondamentale del processo di integrazione, essenziale per la partecipazione degli immigrati, e per la visibilità del loro contributo verso la società ospite; - obbligo di mettere gli immigrati in condizione di conoscere la società ospite; - necessità dell'istruzione e dell'educazione; - accesso alle istituzioni nonché ai beni e ai servizi pubblici e privati a condizioni di parità con i cittadini; - necessità di interazione con i cittadini del Paese ospite attraverso forum comuni, dialogo interculturale, educazione sugli immigrati e la loro cultura; - tolleranza e apertura per la pratica di culture e religioni diverse sulla base di quanto disposto dalla Carta dei diritti fondamentali; - partecipazione degli immigrati al processo democratico e alla formulazione di azioni e politiche di integrazione soprattutto a livello locale; - inclusione delle politiche di integrazione in tutti i pertinenti portafogli politici a tutti i livelli di governo e di servizi pubblici; - elaborazione di obiettivi, indicatori e sistemi di valutazione del processo di integrazione in modo da facilitare lo scambio di informazioni.

 Capitolo III - Il quadro normativo nazionale

         Con la legge 30 luglio 2002 n. 189, cosiddetta legge «Bossi-Fini», in vigore dal 10 settembre 2002, sono state introdotte alcune modifiche alla precedente normativa in materia di immigrazione ed asilo regolata dal Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

 1. Principali modifiche introdotte dalla legge 189/2002 (Bossi - Fini)

 a) Regolarizzazione

         Misura di carattere straordinario diretta alla dichiarazione di emersione di lavoro irregolare, finalizzata alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro domestico e di assistenza familiare (colf e badanti sprovvisti di permesso di soggiorno).
         La procedura è stata estesa a tutti i rapporti iniziati nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della nuova legge, con possibilità quindi di regolarizzare anche la posizione di lavoratori domestici entrati irregolarmente in Italia nel corso del 2002.
         Per i collaboratori domestici, è stata mantenuta la limitazione di una sola possibile regolarizzazione per ogni nucleo familiare; per i rapporti di assistenza alla persona non sono stati posti limiti numerici.
        Significative novità sono state introdotte per quanto concerne la presentazione della dichiarazione di emersione, che è stata effettuata presso gli uffici postali, a spese del richiedente. Nei venti giorni successivi alla ricezione della dichiarazione, la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo e la Questura competenti per territorio, hanno verificato rispettivamente l'ammissibilità e la ricevibilità delle dichiarazioni, nonché la mancanza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno. Nei casi in cui la Questura ha accertato la mancanza di motivi ostativi e la Prefettura ha considerato ammissibile la dichiarazione, la Prefettura ha invitato le parti a stipulare il contratto di soggiorno e a presentarsi per il contestuale rilascio del permesso di soggiorno.
        Il permesso di soggiorno previsto per i rapporti di lavoro regolarizzati con la dichiarazione di emersione, è rinnovabile in caso di accertamento della continuazione del rapporto e della regolarità della posizione contributiva del lavoratore straniero e ha la durata di un anno.
        Per quanto riguarda i dati definitivi della regolarizzazione, le istanze presentate sono state 703.879, per 693.937 lavoratori. Il numero delle istanze è risultato leggermente superiore a quello delle persone per le quali è stata presentata domanda, poiché più datori di lavoro potevano presentare un'istanza per lo stesso lavoratore.
        Le domande riguardavano: 333.731 colf e badanti e 360.206 altri lavoratori subordinati.
       Sono stati rilasciati 641.638 permessi di soggiorno, di cui 315.199 a colf e badanti e 326.439 a lavoratori subordinati, principalmente a cittadini rumeni, ucraini, marocchini, albanesi, ecuadoregni, cinesi, polacchi, moldavi, peruviani e egiziani.
       Per quanto riguarda la tipologia dei permessi di soggiorno, al 31 dicembre 2003, i permessi di soggiorno rilasciati erano 2 milioni 193 mila, 1.327.745 per lavoro subordinato, circa 120.834 per lavoro autonomo e motivi commerciali, 532.670 per motivi di famiglia (in gran parte concessi per ricongiungimenti). Presenti altre tipologie, nessuna delle quali però superiore alle 50 mila unità (43 mila per motivi di studio, quasi 50 mila per motivi religiosi, etc.).

 b) Istituzione di uno Sportello Unico per l'immigrazione

         L'articolo 22 del Testo Unico, così come modificato dalla Legge n.189/2002, prevede l'istituzione in ogni provincia, presso la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, di uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato. Lo sportello, secondo quanto previsto dal Regolamento attuativo di cui all'articolo 34 comma 1o della Legge 189/2002 (Sportello Unico per l'immigrazione, visti per il ricongiungimento familiare ed altro) già approvato, da ultimo, con modifiche, dal Consiglio dei Ministri il 3 settembre 2004 e ora sottoposto alla registrazione della Corte dei Conti, sarà diretto da un dirigente della carriera prefettizia o da un dirigente della Direzione Provinciale del Lavoro e composto da un rappresentante della Prefettura, da almeno uno della Direzione Provinciale del Lavoro e della Polizia di Stato, nominato dal Questore. Lo Sportello Unico si avvarrà del Sistema Informativo Automatizzato previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 242 del 27 luglio 2004 concernente il Regolamento per la razionalizzazione e la interconnessione delle comunicazioni tra Amministrazioni pubbliche in materia di immigrazione, in vigore dal 3 ottobre 2004, che prevede l'istituzione e la tenuta del sistema da parte del Ministero dell'Interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione di archivi automatizzati in modo da assicurare informazioni certe, controlli efficaci e procedure spedite. Lo Sportello Unico sarà in grado di accogliere la domanda di coloro che intendono instaurare in Italia un rapporto di lavoro con uno straniero residente all'estero, e che dovranno qui presentare la richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, la documentazione relativa all'alloggio in cui il lavoratore straniero verrà ospitato, una proposta di contratto di soggiorno, con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell'impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel paese di provenienza.
        Nei casi in cui non si abbia una conoscenza diretta dello straniero, il datore di lavoro potrà richiedere il nulla osta al lavoro di persone iscritte nelle liste depositate nell'anagrafe annuale informatizzata, che, entro il termine di 20 giorni dalla richiesta, provvederà a diffondere la richiesta e a comunicare allo Sportello Unico e al datore di lavoro i dati delle dichiarazioni di disponibilità. In caso di disponibilità, la richiesta di nulla osta rimarrà sospesa fino alla comunicazione con cui il datore di lavoro dichiarerà di voler confermare la richiesta di assunzione. Successivamente lo Sportello Unico chiederà al Questore di esprimere il proprio parere circa l'esistenza di eventuali motivi contrari all'ingresso e al soggiorno del lavoratore, quindi richiederà la verifica dei limiti numerici imposti dal decreto flussi all'ingresso nel territorio nazionale. In caso di risposte positive, lo Sportello Unico richiederà all'Agenzia delle Entrate il codice fiscale per il lavoratore, convocherà il datore di lavoro per il rilascio del nulla osta e spedirà poi l'intera documentazione, se così richiesto dal datore di lavoro, alla rappresentanza diplomatico-consolare. Il datore di lavoro informerà quindi il lavoratore dell'avvenuto rilascio del nulla osta lavorativo. La rappresentanza diplomatico-consolare competente comunicherà poi al lavoratore la proposta di contratto di soggiorno per lavoro, rilascerà il visto d'ingresso ed il codice fiscale, previa verifica dei requisiti prescritti dall'articolo 5 dello stesso regolamento, entro 30 giorni, e trasmetterà quindi l'informazione relativa all'avvenuto rilascio al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Ministero dell'Interno, all'INPS ed all'INAIL. Lo straniero sarà contemporaneamente informato dell'obbligo di presentarsi entro 8 giorni dall'ingresso in Italia allo Sportello Unico per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro. Lo Sportello Unico poi provvederà a far compilare al lavoratore interessato la richiesta di permesso di soggiorno, trasmetterà i dati alla Questura e comunicherà allo stesso lavoratore la data di convocazione stabilita dalla Questura per i rilievi dattiloscopici. In caso di licenziamento o di dimissioni del lavoratore straniero, il datore di lavoro ne dovrà dare comunicazione entro 5 giorni allo Sportello Unico ed al Centro per l'impiego.
        L'autorizzazione al lavoro stagionale, invece, potrà essere rilasciata con validità massima di 9 mesi a decorrere dalla sottoscrizione del contratto di soggiorno, e a prescindere dal settore lavorativo. Le disposizioni per l'assunzione per il lavoro stagionale sono analoghe a quelle previste per il lavoro subordinato, con alcune semplificazioni delle procedure.
        Lo Sportello Unico si occuperà, secondo quanto previsto dallo stesso Regolamento, di comunicare allo straniero il provvedimento di respingimento, di espulsione, di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno e svolgerà anche i compiti finora in capo alla Questura relativamente alla concessione di visti per il ricongiungimento familiare e per familiari al seguito.

 c) Il regime delle espulsioni

         Come in precedenza, lo straniero che si trovi senza permesso di soggiorno viene espulso. Diversi i tempi per procedere all'espulsione: il clandestino, privo di documenti, viene portato in un centro di permanenza per sessanta giorni (in luogo dei trenta previsti in precedenza), durante i quali si svolgono le pratiche per l'identificazione. In caso di mancata identificazione, il clandestino viene intimato a lasciare il territorio entro tre giorni (in luogo dei quindici). Lo straniero espulso che rientra nel nostro Paese senza permesso commette un reato.
        Recentemente la Corte costituzionale si è pronunciata in merito a due diverse norme che regolano le espulsioni, giudicandole incompatibili con la disciplina costituzionale in materia di libertà personale.
        Nella prima delle due sentenze (n. 222), riferita alla disciplina delle misure amministrative previste nei confronti dello straniero extracomunitario privo di un valido permesso di soggiorno, e in particolare al ricorso all'istituto dell'espulsione eseguita mediante accompagnamento coattivo alla frontiera, la Corte ha ritenuto che l'accompagnamento coattivo alla frontiera costituisca una misura coercitiva incidente sulla libertà personale del soggetto, cui devono essere applicate le garanzie stabilite dall'articolo 13 della Costituzione, norma rivolta non soltanto ai cittadini, ma a »tutti« e, dunque, anche agli stranieri. In secondo luogo, la Corte ha rilevato che spesso la convalida interveniva successivamente all'esecuzione del provvedimento di espulsione, pertanto, così come configurata, appariva una garanzia del tutto vana, rispetto ad un provvedimento eseguito prima e indipendentemente dalla convalida medesima, con violazione della libertà personale del soggetto espulso.
        Nella seconda delle due decisioni (n. 223), relativa alla misura dell'arresto obbligatorio, prevista per lo straniero colto nella flagranza del reato contravvenzionale di cui all'articolo 14, comma 5 ter, del Testo unico, per essersi trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell'obbligo di lasciare il territorio nazionale, la Corte ha rilevato l'incompatibilità della norma con l'articolo 13 della Costituzione ritenendo la previsione dell'arresto obbligatorio in relazione al suddetto reato una misura coercitiva provvisoria priva di ogni giustificazione.
        Conseguentemente è stata dichiarata l'illegittimità dell'articolo 14, comma 5 quinquies, introdotto dalla legge 189/2002, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto per il reato previsto dal comma 5 ter del medesimo articolo.
        A seguito di tali pronunciamenti di incostituzionalità, si è posto il problema di intervenire sulla normativa in materia di immigrazione adeguandola a quanto disposto dalla Corte: la prima delle due sentenze soprattutto, imponeva di rimodulare il procedimento di espulsione in modo da offrire agli stranieri destinatari dei relativi provvedimenti amministrativi le garanzie previste dalla Costituzione in materia di libertà personale.
      Con la conversione in Legge del Decreto Legge 14 settembre 2004, n. 241 recante «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione», sono state introdotte alcune importanti modifiche al Testo Unico sull'immigrazione al fine di garantire piena efficacia alla garanzie previste dall'articolo 13 della Costituzione e «contestualmente, prevedere adeguate misure per assicurare la massima celerità dei provvedimenti di convalida e di esecuzione delle espulsioni».
        La legge 271 di conversione del 12 novembre 2004 ha disposto che il provvedimento di accompagnamento coattivo debba essere comunicato al giudice entro quarantotto ore dall'adozione e debba essere convalidato da questo nelle successive quarantotto, stabilendo espressamente che esso non possa essere eseguito prima di tale convalida.
       Ha previsto inoltre che, in attesa della definizione del procedimento, lo straniero venga trattenuto in un Centro di permanenza temporanea e assistenza; che l'udienza per la convalida si svolga in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore e che debba essere sentito l'interessato, se comparso; che la decisione sia presa con decreto motivato, impugnabile in Cassazione (senza però che tale ricorso sospenda l'esecuzione del provvedimento).
       È stata inoltre modificata la competenza del giudice in materia, affidando la convalida, anziché al tribunale in composizione monocratica, come era nel precedente testo, al »giudice di pace territorialmente competente«, al quale le Questure, al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida, dovranno fornire, nei limiti delle risorse disponibili, il »supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo«.
        La legge inasprisce inoltre le pene previste per i reati connessi all'illecita permanenza e al reingresso illegale nel territorio dello Stato: per il rientro illegale è ora prevista la pena da uno a quattro anni di carcere e una nuova espulsione; per lo straniero già denunciato ed espulso, che abbia fatto reingresso clandestino nel territorio dello Stato, le pene sono state ulteriormente elevate, con una reclusione da uno a cinque anni.
        È invece previsto l'arresto da sei mesi ad un anno se l'espulsione è disposta nel caso in cui il permesso di soggiorno sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo; in tali casi si può anche procedere all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

 d) La Polizia dell'immigrazione

       L'articolo 35 della legge 30 luglio 2002, n. 189, ha istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Direzione centrale dell'immigrazione e delle frontiere con il duplice obiettivo di presiedere a tutte le attività correlate all'ingresso nel territorio italiano di cittadini extra Ue e di quelle relative al contrasto all'immigrazione clandestina e alla presenza di stranieri irregolari sul territorio nazionale.
        La Direzione centrale gestisce inoltre la cooperazione internazionale di polizia nonché gli ufficiali di collegamento all'estero competenti per l'immigrazione.
       Un'altra significativa novità apportata dall'articolo 10 della legge 189/2002 è l'assegnazione esclusiva alla Direzione del coordinamento dell'azione di contrasto in mare. In particolare, spetta alla Direzione centrale il compito di acquisire e analizzare le informazioni connesse all'attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare e il raccordo degli interventi operativi fatti dai mezzi della Marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto.

 e) Controlli alle frontiere marittime

        Con il decreto del Ministero dell'Interno, di concerto con i Ministri della Difesa, dell'Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti, del 14 luglio 2003, Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, si è data concreta attuazione a un complesso sistema normativo volto a individuare un livello di intervento adeguato a fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina via mare.
        Proprio a tal fine è stato previsto che le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto del traffico di migranti via mare coinvolgano non solo i mezzi aeronavali delle Forze di polizia, ma anche quelli della Marina militare e delle Capitanerie di porto.
         L'attività di monitoraggio e contrasto all'immigrazione clandestina via mare viene esercitata:
· 
nelle acque internazionali dove il coordinamento tecnico ed operativo è affidato al Comando in Capo della squadra navale della Marina Militare che, grazie ai sistemi di comunicazione ad alta tecnologia di cui è dotata, detiene il controllo anche sulle operazioni effettuate dai mezzi della Guardia di Finanza e delle Capitanerie di porto, che la coadiuvano nelle attività di vigilanza, controllo e ove opportuno soccorso. L'intervento previsto è indirizzato al monitoraggio, alla sorveglianza, all'individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione e all'accertamento dei flussi migratori clandestini;
· 
nelle acque territoriali dove le unità navali delle Forze di Polizia svolgono l'attività finalizzata al contrasto dell'immigrazione clandestina via mare con il concorso delle unità navali della Marina Militare e delle Capitanerie di porto. L'intervento è finalizzato alla repressione dei reati.
        Restano immutate le competenze del Corpo delle capitanerie di porto per quanto riguarda la salvaguardia della vita umana in mare. Nel corso di tali attività, le situazioni che presentano aspetti connessi con l'immigrazione clandestina, ferma restando la pronta adozione degli interventi di soccorso, dovranno essere immediatamente portate a conoscenza della Direzione centrale. A tale scopo, è in corso di definizione un apposito protocollo operativo che stabilirà le procedure da seguire in caso di rilevazione di natanti sospetti e che determinerà il necessario flusso informativo con una sala di coordinamento operativo, che il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno intende predisporre con compiti di raccordo e di analisi delle informazioni raccolte.  

f) Asilo

         Occorre ricordare, che l'Italia non dispone ancora di una normativa organica in materia di asilo; per questo assumono particolare rilievo le disposizioni introdotte al riguardo dalla Legge 189/2002. Secondo quanto disposto, sono state istituite sette Commissioni territoriali dislocate sul territorio nazionale col compito di determinare lo status di rifugiato. Le Commissioni territoriali, istituite presso le Prefetture - Uffici territoriali del governo, e presiedute da un funzionario della carriera prefettizia, sono composte da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante dell'ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-città e dalle autonomie locali nonché da un rappresentante dell'UNHCR, ai quali al bisogno può aggiungersi un funzionario del Ministero degli Affari Esteri. Le Commissioni dispongono di 20 giorni di tempo dalla presentazione della domanda alla decisione di prima istanza, con possibilità di un riesame, in caso decisione negativa in prima istanza, da parte della stessa Commissione integrata da un membro della Commissione nazionale per l'asilo.
        È stata inoltre ampliata la definizione di rifugiato con l'introduzione della protezione umanitaria per coloro i quali, pur non rientrando nella definizione di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, necessitano di una forma di protezione sussidiaria poiché in fuga da guerre o da violenze generalizzate. Ai fini del finanziamento delle attività e degli interventi previsti, è stato inoltre istituito presso il Ministero dell'interno il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, che consentirà il consolidamento delle attività di assistenza e protezione a sostegno dei richiedenti asilo e rifugiati, già avviate con successo nel 2001 nell'ambito del Programma Nazionale Asilo (PNA).
        Con decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 2004, n. 303, recante Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato sono stati inoltre fissate le procedure attuative che prevedono la nuova misura del trattenimento del richiedente asilo in appositi centri, denominati Centri di identificazione. La procedura semplificata per la definizione dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, prevede che l'audizione dell'interessato da parte della Commissione territoriale avvenga entro 15 giorni dalla data di ricezione della documentazione trasmessa dal questore. La decisione è adottata entro i successivi 3 giorni. In caso di diniego è prevista una procedura di riesame della decisione adottata; nelle more della decisione, che deve avvenire entro 10 giorni, il richiedente asilo resta trattenuto presso il centro. Resta ferma la possibilità di ricorso al tribunale in composizione monocratica, da presentare entro 15 giorni. In caso di rigetto della richiesta di riconoscimento, il ricorso non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale, che può essere bloccato soltanto se il Prefetto, su richiesta dell'interessato, concede l'autorizzazione a rimanere sul territorio nazionale fino all'esito del ricorso. È inoltre introdotto l'obbligo per le Commissioni territoriali di valutare le conseguenze di un rimpatrio, alla luce degli impegni derivanti all'Italia dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento all'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ove si stabilisce il divieto di sottoporre chiunque a torture o pene inumane o degradanti.
        Per quanto riguarda il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, i richiedenti asilo non trattenuti nei Centri e privi di mezzi di sussistenza potranno essere accolti nell'ambito dei servizi territoriali di accoglienza attuati dagli enti locali e finanziati dal Ministero dell'interno, in misura non superiore all'80% del costo di ogni singola iniziativa territoriale, tramite il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. I finanziamenti sono deliberati con decreto annuale adottato dal Ministro dell'interno. Nell'ambito di tale decreto viene stabilita anche la misura e le modalità di erogazione di un contributo di prima assistenza in favore del richiedente asilo che non è trattenuto nei centri e non è destinatario dei servizi di accoglienza territoriali.

 2. Politiche di integrazione sociale

 a) Ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali

         All'interno del Ministero risulta competente per materia, la Direzione generale per l'immigrazione che si occupa del coordinamento delle politiche per l'integrazione sociale degli stranieri, della promozione e del coordinamento degli interventi umanitari in Italia e all'estero, della gestione delle risorse per le politiche migratorie nonché dello svolgimento di attività a favore dei minori stranieri, promuovendo iniziative sperimentali e progetti pilota che favoriscono l'integrazione degli immigrati, al fine di individuare buone pratiche e incoraggiarne la diffusione. La Direzione generale utilizza la quota di propria spettanza del Fondo politiche migratorie destinato a finanziare politiche dirette a ristabilire pari opportunità tra cittadini stranieri e cittadini italiani, finanziando misure di accoglienza per eventi straordinari, per l'apprendimento della lingua italiana, per l'educazione interculturale, per l'accesso all'alloggio e per le misure di integrazione sociale.
         In seno alla Direzione è insediato il Comitato minori stranieri che opera al fine prioritario di tutelare i diritti dei minori presenti non accompagnati e dei minori accolti, in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo.
         Il Servizio Extracomunitari, facente parte della Direzione, si occupa della determinazione delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato nonché della gestione del SILES, una rete informatica che si prefigge la semplificazione delle procedure amministrative per l'ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari e il controllo sull'effettività della loro uscita alla scadenza del contratto di lavoro. Il SILES può collegare i vari soggetti interessati, permettendo ad ognuno di essi di espletare on line le pratiche previste dall'iter burocratico e consentendo all'amministrazione centrale di verificare lo stato dei flussi migratori aggiornato in tempo reale. La gestione del sistema, operativo dal 1 luglio 2002, è realizzata in collaborazione con i Ministeri degli affari esteri e dell'Interno.

 b) Ruolo della Caritas

         La Caritas italiana, che si occupa dall'inizio degli anni '80 del fenomeno migratorio, è stata indicata dal Ministero dell'interno come referente per l'Osservatorio europeo sull'immigrazione. Svolge un ruolo rilevante nell'affrontare le tematiche della protezione sociale non solo sotto il profilo meramente assistenziale, ma anche e soprattutto attraverso una partecipazione attiva nel processo di conoscenza e di integrazione sul territorio, attraverso un attento monitoraggio e un'osservazione statistica delle problematiche più rilevanti collegate al fenomeno dell'immigrazione. Il Dossier statistico, a cura della Caritas, che ogni anno fornisce un quadro puntuale sull'immigrazione, costituisce uno strumento importante non solo per interpretare il fenomeno, ma anche per stimolare quel dibattito politico e civile, necessario per individuare gli interventi mirati a favorire e garantire l'integrazione dei cittadini stranieri.

 c) Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale (ONC)

         L'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale, previsto dall'articolo 42 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, è stato insediato presso il CNEL il 10 dicembre 1998 e ha come obiettivo quello di individuare quali siano gli interventi più idonei a realizzare sul territorio una politica organica di integrazione dei cittadini stranieri nei diversi settori. L'organismo è costituito da rappresentanti di comuni e regioni italiane, da rappresentanti di associazioni locali, sia sindacali che imprenditoriali, e da rappresentanti di associazioni di immigrati, oltre che da direttori generali regionali della pubblica istruzione e delle aziende sanitarie. Svolge la propria attività attraverso ricerche e seminari nazionali e locali.
        A cura dell'ONC, in collaborazione con la Caritas, nel settembre 2004 è stato pubblicato «Indici di inserimento territoriale degli immigrati in Italia: III rapporto», che fornisce un quadro prezioso sull'integrazione degli immigrati in Italia attraverso la comparazione di diversi indicatori a livello regionale. Nel sito del CNEL è stata infine costituita, a cura dell'ONC e con la consulenza scientifica del Dossier Statistico Immigrazione della Caritas, una banca dati in cui sono contenuti tutti i dati disponibili a livello nazionale e regionale sull'immigrazione.
        L'attività di questo organismo costituisce un supporto di grande valore per la progettazione di processi di integrazione sociale, che pur rispondendo a politiche locali, sono in grado di fornire indicazioni alla politica programmatica nazionale.

 3. Determinazione dei flussi di ingresso

         Per quanto riguarda la determinazione dei flussi di ingresso, sulla base dell'articolo 21 del Testo Unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni (legge n. 189 del 2002), l'ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo, avviene nell'ambito delle quote di ingresso stabilite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (sentiti il Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio, la Conferenza unificata e le competenti Commissioni parlamentari), entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto. In caso di mancata emanazione di tale decreto, il Presidente del Consiglio può intervenire con un decreto transitorio nel limite delle quote dell'anno precedente; qualora risulti opportuno, ulteriori decreti possono essere emanati durante l'anno.
         I decreti si basano sui criteri contenuti nel Documento programmatico triennale relativo alle politiche sull'immigrazione; a tal fine le Regioni possono trasmettere, entro il 30 novembre di ogni anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nel territorio regionale, contenente anche le indicazioni previsionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo.
        La determinazione delle quote è calcolata tenendo conto delle indicazioni fornite dal Ministero del lavoro sull'andamento dell'occupazione e dei tassi di disoccupazione a livello nazionale e regionale nonché del reale andamento del mercato anche in base alle segnalazioni degli enti locali, dei propri uffici periferici e di quelle delle associazioni imprenditoriali di categoria. Il Ministero del lavoro provvede a ripartire la quota di ingressi per lavoro subordinato tra le direzioni regionali del lavoro e le province autonome. I decreti prevedono restrizioni numeriche all'ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano adeguatamente nel contrasto all'immigrazione clandestina o nella riammissione di propri cittadini destinatari di provvedimenti di rimpatrio.
        L'Italia è stata fra i primi paesi europei a prevedere una programmazione annuale di quote, seguita da paesi con una tradizione di immigrazione più recente come Spagna e Grecia. Le quote complessive sono state 89.400 nel 2001 e 79.500 nel 2002 e nel 2003. Le quote stagionali, riservate all'agricoltura e al settore turistico, che rappresentano la parte più consistente all'interno della programmazione dei flussi, sono state 39.400 nel 2001 e 68.500 nel 2003.
        Due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2003 hanno fissato le quote relative alla programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dall'estero per lavoro stagionale e per lavoro subordinato o autonomo per l'anno 2004: complessivamente le quote hanno riguardato 79.500 persone, di cui 50 mila con la possibilità di svolgere solo lavoro stagionale, 29.500 con la possibilità di svolgere un lavoro autonomo o subordinato a tempo determinato o indeterminato.
        Le 50 mila quote per lavoro stagionale sono state destinate a lavoratori provenienti: da Slovenia, Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Serbia-Montenegro, Croazia, Bulgaria e Romania o da Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria (Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto).
        Le 29 mila e 500 quote per lavoro subordinato o autonomo sono state suddivise in: 6100 quote destinate ai cittadini extra Ue, residenti all'estero, di nazionalità non predeterminata, quindi cittadini di Paesi per i quali non sono state riservate delle quote, 2.500 quote riservate a cittadini stranieri non comunitari appartenenti a determinate categorie professionali, 400 quote sono state messe a disposizione di lavoratori di origine italiana e infine 20.500 quote sono ripartite in 500 quote per dirigenti o personale altamente qualificato e 20.000 quote per cittadini di Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria.
        Infine il decreto dell'8 ottobre 2004 ha disposto la programmazione dei flussi d'ingresso per lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri UE, ammettendo la presenza, per motivi di lavoro subordinato stagionale per il settore dell'agricoltura, a una quota di 16.000 unità.

 4. Programmi di cooperazione e accordi bilaterali

         La legge 189/2002 accentua il vincolo tra i programmi per interventi a scopo umanitario nei confronti di Paesi non appartenenti all'Unione europea, e l'impegno dei Paesi destinatari della cooperazione e degli aiuti nel prevenire l'emigrazione illegale, il traffico degli esseri umani e il rientro illegale in territorio italiano di cittadini espulsi. L'impegno dei Paesi terzi viene richiesto non solo per combattere le organizzazioni criminali operanti nell'immigrazione clandestina (oltre che nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti e di armamenti) ma nella prevenzione e repressione dei flussi migratori illegali. In particolare, l'articolo 19 della legge n. 189 del 30 luglio 2002 prevede programmi di istruzione e di formazione professionale nei paesi di origine degli immigrati, con lo scopo di fornire formazione mirata al trasferimento dei lavoratori stranieri in Italia, nonché al loro inserimento nei settori produttivi del paese. I programmi, che possono scaturire da proposte delle regioni e delle province autonome, dopo essere stati approvati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, possono essere realizzati anche in collaborazione con le regioni, le province autonome e altri enti locali, con le organizzazioni nazionali degli imprenditori, dei datori di lavoro e dei lavoratori nonché con organismi internazionali.
         Dal 1996 l'Italia ha stipulato una serie di accordi bilaterali finalizzati alla riammissione nei territori di provenienza o di transito di immigrati illegali.
        Gli accordi sono stati conclusi con paesi all'interno e al di fuori dell'Unione europea e, pur essendo di diversa natura, possono essere compresi all'ingrosso in due categorie:
        relativi al controllo dell'immigrazione e delle frontiere, ovvero accordi di riammissione e accordi di cooperazione tra forze di polizia. Dal punto di vista formale la natura degli accordi è varia, alcuni infatti sono stati sottoposti a ratifica, per altri l'approvazione è avvenuta in forma semplificata, in altri casi gli accordi si presentano formalmente come intese a carattere tecnico. L'Italia dispone di 29 accordi bilaterali di riammissione (Stati terzi: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Filippine, Georgia, Macedonia, Marocco, Moldavia, Nigeria, Serbia e Montenegro, Sri Lanka, Svizzera, Tunisia. Stati UE: Austria, Francia, Grecia, Spagna. Stati di nuova adesione: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. Stati candidati: Bulgaria, Romania). Esistono poi accordi di cooperazione tra forze di polizia nei settori dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani che hanno riguardato in particolare Paesi dell'area balcanica, del Nord Africa, dell'Africa subsahariana e del Medio Oriente quali: Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro, Romania, Tunisia, Libia, Egitto, Nigeria, Libano, Siria e Turchia. Negli ultimi anni è stata rafforzata la rete degli ufficiali di collegamento all'estero, potenziando in particolare l'area balcanica.
        relativi all'inserimento nel mercato del lavoro e alle tutele sociali, considerati uno strumento importante per la creazione di una rete di sostegno e cooperazione con i paesi di origine e di transito dell'immigrazione. A questo proposito va ricordato l'accordo con la Tunisia risalente al 2000, di cui si attende la firma del protocollo esecutivo. Con altri paesi del Maghreb, quali l'Egitto e il Marocco, sono in corso negoziati per un accordo sul lavoro stagionale. Dall'entrata in vigore della legge 189/2002 è stato concluso il negoziato con la Repubblica di Moldavia relativamente a un accordo sul lavoro riguardante le modalità di ingresso e di impiego dei lavoratori moldavi stagionali, autonomi e subordinati non stagionali in Italia, un ulteriore accordo con la Repubblica di Polonia sul lavoro stagionale, di cui al momento è in fase di negoziazione il protocollo annesso all'accordo, mentre sono ancora in corso negoziati con il Bangladesh e il Pakistan.
        Agli effetti pratici della programmazione dei flussi, gli accordi bilaterali sono serviti ad assegnare quote privilegiate agli stranieri provenienti dai Paesi che hanno realizzato »pacchetti« di intese.

 5. Aspetti finanziari dell'immigrazione: le rimesse

         Ogni paese povero dal quale originano flussi migratori è interessato a favorire l'immigrazione, poiché, sebbene il migrante rappresenti una perdita e un impoverimento dal punto di vista delle risorse umane, dall'altro egli sicuramente rappresenta ricchezza sotto forma di rimesse. Le rimesse giocano un ruolo rilevante in molte economie in via di sviluppo, influenzando non solo gli investimenti ma, addirittura, la bilancia dei pagamenti.
          La loro consistenza è tale che la totalità delle rimesse verso i paesi di origine è superiore di almeno quattro volte la cifra che i paesi occidentali destinano agli aiuti allo sviluppo per il terzo mondo.
          Per Albania, Bangadlesh, Egitto, Giordania, India, Marocco e Nicaragua le rimesse degli emigranti ammontano ad oltre un quinto del valore delle esportazioni nazionali.
          L'Italia continua a registrare una dinamica di costante incremento dei trasferimenti di rimesse verso l'estero. Il Nord Italia è l'area maggiormente interessata, mentre a livello regionale il Lazio e la Lombardia raggiungono insieme il 60% del totale e in entrambe il flusso di rimesse è concentrato nei capoluoghi.
         Le attività produttrici di reddito svolte dai migranti nei contesti di immigrazione e il fortissimo potenziale di risparmio a queste connesso, il carattere transnazionale e circolatorio di alcune di queste attività, insieme al mantenimento di legami affettivi e finanziari con le proprie comunità di provenienza, sono i principali fattori che determinano un flusso importante e crescente di capitali verso i paesi di origine.
           L'offerta dei servizi finanziari, utilizzabili dai migranti per le rimesse, può essere divisa in due comparti.
 ·  la finanza emersa o formale, rappresentata dalle banche e dalle istituzioni non bancarie, quali i money transfer;
 · 
quella sommersa o informale in cui operano le reti informali, i cosiddetti underground banking.

 a) Finanza formale: sistema bancario/money transfer

         Uno dei motivi che hanno contribuito a sottostimare il volume e anche l'importanza strategica dei flussi finanziari delle rimesse è senza dubbio connesso alle modalità di transito del denaro da una sponda all'altra della migrazione. Una parte importante delle risorse trasferite non viene assorbita dal sistema bancario e dai canali ufficiali, ma si avvale di modalità di trasferimento informali, che finiscono inevitabilmente per sfuggire a ogni controllo.
         Tale fenomeno dipende dalle difficoltà insite nella relazione tra migranti e istituti bancari, prima fra tutte la difficoltà riguardo l'accesso e l'integrazione finanziaria degli immigrati, che spesso incontrano barriere (fiducia reciproca, interazione, requisiti richiesti formali e non), a percorsi di «bancarizzazione».
         Il secondo ordine di difficoltà, concerne invece la capacità del settore bancario italiano di offrire ai lavoratori stranieri condizioni di trasferimento e di gestione dei propri risparmi interessanti e sicure, ovvero da fattori connessi al livello di internazionalizzazione del settore bancario italiano e dalle relazioni interbancarie esistenti con gli istituti dei paesi di provenienza. Il migrante, una volta diventato soggetto bancario, può continuare a prediligere canali di trasferimento informali, non trovando presso il proprio istituto di riferimento un'offerta adeguata e praticabile di servizi e prodotti finanziari.
        Per questo, alcune banche italiane, attraverso accordi interbancari o mediante banche partecipate nei paesi di provenienza dei migranti, sono impegnate a costruire canali di trasferimento delle rimesse sicuri e competitivi. Quando questi accordi funzionano, garantendo sufficiente rapidità, sicurezza e trasparenza dei costi, anche a destinazione, i clienti immigrati sembrano rispondere positivamente. Restano tuttavia irrisolti alcuni fattori che ostacolano l'opzione del canale bancario: l'impossibilità di trasferimenti immediati nel caso di emergenze, l'assenza di alternative alla chiusura delle banche nel fine settimana, la minore capillarità del servizio rispetto alle agenzie di money transfer, la mancanza di garanzie sui cambi e in alcuni casi l'obbligo di conto corrente nella banca ricevente.
        Per il 2003 l'Ufficio Italiano Cambi ha stimato in 1,167 miliardi di euro il volume di rimesse canalizzate attraverso il sistema bancario ma, per determinare il flusso complessivo, è necessario aggiungere a questo dato quello relativo ai trasferimenti attraverso i circuiti internazionali di money transfer, stimabile in 1 - 1,2 miliardi di euro.
        Tali dati rilevano come in Italia la quota di rimesse canalizzate attraverso il sistema bancario sia quasi pari a quelle inviate attraverso i money transfer; l'Italia infatti è, per giro di affari, il secondo mercato del mondo (dopo gli Stati Uniti) della »Western Union«, il principale operatore mondiale nel campo del money transfer.
        Sommando i flussi veicolati tramite posta e quelli, consistenti, dei canali informali di trasferimento di rimesse (valutato nel 50% dei flussi totali), si può stimare il flusso complessivo in circa 5 miliardi di euro, cioè il doppio di quanto rilevato dalle statistiche internazionali.

 b) Finanza informale: underground banking

           Dal punto di vista dell'analisi economica la descrizione dei sistemi di finanza informale evidenzia che tali network sono contraddistinti da elementi di informalità e fiducia su base etnica, che non richiedono un sistema di leggi formali o i riscontri documentali caratteristici dei sistemi formali bancari e non. In singole comunità, fortemente identificate sul piano dell'etnia, si realizzano transazioni finanziarie, che creano rapporti di debito-credito di durata variabile sulla base della fiducia comune. L'affidabilità e la garanzia di tali rapporti poggia sul »controllo sociale« cioè sulla censura dei comportamenti scorretti attuata dalla comunità attraverso l'emarginazione dei migranti che non rispettano le regole.
           Le procedure e le tecniche della finanza informale sono, sotto ogni aspetto, semplici e non burocratizzate. Non vi sono clausole da leggere attentamente, moduli da compilare e, infine, gli »operatori« normalmente parlano la stessa lingua dei migranti. La barriera linguistica è, infatti, un forte ostacolo alla scelta del canale bancario formale.
           È garantita la massima riservatezza e la minima richiesta di informazioni, notoriamente aspetti cruciali della finanza formale, che si acuiscono laddove siano presenti alcune caratteristiche specifiche del cliente: essere un clandestino, essere immigrato regolare, ma con scarsa chiarezza rispetto alla propria posizione previdenziale, lavorativa, abitativa.
           Il riscontro della portata del fenomeno non è ovviamente basato su statistiche, vista la natura sommersa del fenomeno, ma su una casistica specifica e su indagini campionarie mirate, dalle quali si può ragionevolmente dedurre che il reale ammontare delle rimesse è probabilmente molto più alto dei flussi transitati attraverso canali ufficiali.
           Un soggetto che lascia la sua comunità per tempi più o meno lunghi, per trasferirsi in paesi in cui le leggi e le consuetudini sono spesso assai distanti da quello di origine e comunque meno noti, tenderà ad apprezzare i servizi caratterizzati da informalità e basati su un patrimonio di fiducia che condivide e riconosce, per questo la finanza informale è caratterizzata da grande semplicità e rapidità nelle procedure, flessibilità operativa e capacità di adeguamento alle esigenze dei migranti. Essa mostra una efficace capacità nell'integrare l'elemento economico con quello sociale e nel coniugare scelte organizzative con i condizionamenti culturali e le tradizioni, permettendo che gli scambi avvengono solo in presenza di informazioni e fiducia sufficiente.
           Il successo di questa modalità di trasferimento di fondi è dovuto inoltre all'efficienza in termini di costi e di tempo (24/48 ore, contro la settimana impiegata dal sistema bancario), alla estrema accessibilità al servizio non solo da parte dell'immigrato ma, principalmente, del ricevente nonché alla possibilità di eludere qualunque tipo di controllo.
           Il sistema, come detto, pur non essendo in alcun modo finalizzato a scopi illeciti o criminali, fondandosi su una generica esigenza di occultamento, che riduce o annulla la possibilità di identificare sia l'origine che la destinazione dei flussi finanziari, si presta a essere utilizzato come un efficace meccanismo per il riciclaggio o il finanziamento di attività illecite, e mostra soprattutto la necessità di adeguare i sistemi di finanza formale occidentale a sistemi economici, commerciali e sociali diversamente connotati.
           In termini di utilizzo strumentale da parte di organizzazioni criminali, quindi, appare maggiore il rischio di ricorso ai sistemi informali piuttosto che a quelli formali, bancari e non.
           In particolare l'attività finanziaria sopra descritta può essere funzionale a occultare la natura illegale di un determinato flusso di capitali (money laundering: riciclaggio di capitali illeciti) o a indirizzare flussi di denaro verso attività illecite (money dirtying: finanziamento di attività criminose o terroristiche).
           I fenomeni di money dirtying e money laundering possono incrociarsi quando le risorse finanziarie originate da attività criminose (traffico di armi e/o stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e tratta degli esseri umani) vengono utilizzate per finanziare attività terroristiche.
            In tale contesto è necessario, ove possibile, esaminare la relazione che può esistere tra il fenomeno delle migrazioni e il rischio legato al terrorismo islamico.

 6. Attività criminose collegate all'immigrazione - La tratta degli esseri umani

         La tratta di esseri umani (trafficking of human beings) è un fenomeno criminale intimamente connesso con quello del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ovvero del traffico di migranti (smuggling of migrants). La tratta a sua volta riconosce al suo interno fattispecie di sfruttamento diverse quali quelle riferite allo sfruttamento dei lavoratori clandestini, della prostituzione, e a quello dei minori, nella migliore delle ipotesi utilizzati per l'accattonaggio per arrivare alla fattispecie più deprecabile e odiosa dello sfruttamento sessuale dei minori.
           Le attività criminali descritte possono dunque essere schematizzate in:
           Traffico: favoreggiamento di ingressi migratori illeciti. All'interno di questa fattispecie il migrante si configura come acquirente di un servizio illecito;
           Tratta: sfruttamento di prestazioni personali forzate. All'interno di questa fattispecie, il migrante si configura come vittima dello sfruttamento.
          Le attività criminali del traffico e della tratta sono spesso esercitate da reti particolarmente estese, che ricavano enormi profitti dallo sfruttamento di esseri umani e sono spesso coinvolte in altre attività criminali, quali il traffico di droga, di armi e le attività finanziarie illecite. Secondo stime dell'Organizzazione mondiale dei migranti (IOM) nel decennio 1992-2002, nella sola Unione europea sarebbero 500.000 le persone vittime di tratta. Secondo stime dell'OIL (ILO - International Labour Organization) nel 2003 nel mondo sono stati deportati all'interno dei confini nazionali o al di fuori di essi 1,2 milioni di bambini.
          Donne e i bambini sono i soggetti più esposti a questa forma di sfruttamento definita la »nuova schiavitù«; le vittime sono private di ogni diritto fondamentale, non dispongono di uno status giuridico e sono ridotte, attraverso minacce e maltrattamenti, a uno stato di estrema dipendenza.
         La legge 11 agosto, 2003, n. 228, recante «Misure contro la tratta di persone» stabilisce pene certe per chiunque «esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento». La legge modifica l'articolo 416 del Codice penale, concernente l'«associazione per delinquere» riferita agli articoli 600, 601 e 602 del Codice penale, così come modificati dalla stessa legge, e concernenti rispettivamente i reati di «riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù», la «tratta di persone» e l'«acquisto e alienazione di schiavi», per i quali vengono sensibilmente aumentate le pene, arrivando fino ad un massimo di venti anni. La reclusione applicata per chi compie il reato è da 5 a 15 anni per i promotori e gli organizzatori, da 4 a 9 anni per i meri partecipanti; vengono pertanto considerate trafficanti tutte le persone che partecipano in qualche modo al reato, ovvero i reclutatori, gli intermediari, i trasportatori, gli imprenditori e i fornitori di servizi.
         Lo scopo della normativa è altresì quello di provvedere al reintegro, al recupero e al reinserimento sociale delle vittime di tali pratiche, attraverso misure concrete ed efficaci. L'articolo 12 della nuova legge istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Fondo per le misure anti-tratta, destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale in favore delle vittime, nonché di altre iniziative di protezione sociale.
         Il Fondo è alimentato dai proventi della confisca ordinata a seguito di sentenza di condanna o di applicazione della pena, su richiesta delle parti per le fattispecie dei delitti che la legge punisce, e per le associazioni a delinquere costituite a tali fini. L'articolo 13 prevede l'istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati contemplati dalla legge con la finalità di garantire a quest'ultime adeguate condizioni di alloggio, vitto e assistenza. Ulteriori disposizioni sono previste a modificazione di precedenti normative, al fine di aggravarne la parte sanzionatoria, sempre in considerazione della speciale gravità, anche sociale, derivante dalla commissione di tali reati.
         Rimane invariato quanto previsto dall'articolo 18 del Testo unico relativamente al soggiorno concesso per motivi di protezione sociale alle vittime della tratta. La norma, che pone l'accento soprattutto sulla protezione della vittima, essendo il permesso di soggiorno svincolato dalla collaborazione giudiziaria al fine di individuare i trafficanti, è considerata uno strumento di notevole interesse in quanto favorisce le denunce e consente di stabilizzare sul territorio i potenziali testimoni.

 Capitolo IV - La dimensione internazionale del fenomeno dell'immigrazione

         Nel corso della 59ma sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 settembre 2004, il Segretario Generale ha svolto una relazione sul tema Globalizzazione e interdipendenza: migrazione internazionale e sviluppo al fine di fornire un quadro complessivo dei risultati delle attività delle Nazioni Unite e della cooperazione tra queste e le organizzazioni intergovernative nel campo della migrazione internazionale e dello sviluppo. Come sottolineato dalla relazione, dal 1990 la migrazione internazionale verso i paesi industrializzati è aumentata in modo significativo, nonostante i limiti da questi introdotti all'ammissione di migranti, mentre nei paesi con economie in transizione, le restrizioni sulla libertà di movimento sono state eliminate e la mobilità internazionale è aumentata. Al tempo stesso, le rimesse dei migranti hanno raggiunto livelli senza precedenti, superando l'importo dell'assistenza ufficiale allo sviluppo e diventando un'importante fonte di reddito per un numero crescente di paesi in via di sviluppo. La migrazione internazionale è balzata in primo piano nell'agenda internazionale e si è resa evidente la necessità di una collaborazione internazionale per affrontarne le sfide e per raccoglierne i benefici.
        Le Nazioni Unite hanno svolto un ruolo critico per stabilire le norme giuridiche e gli standard in materia. La Convenzione Internazionale sulla Protezione di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, approvata nel 1990 e entrata in vigore il 1o luglio 2003, finora ratificata da 26 Stati, è, insieme alle convenzioni dell'OIL in materia, quali la Convenzione sulla Migrazione per l'Occupazione del 1949 e la Convenzione sui lavoratori Migranti del 1975, ratificate rispettivamente da 42 e 18 Stati, uno strumento fondamentale per fissare le norme per il trattamento e la protezione del benessere e dei diritti dei lavoratori migranti.
        Le Nazioni Unite hanno compiuto ulteriori sforzi nel prevedere un quadro giuridico per impedire e combattere il traffico e la tratta di persone. Il Protocollo per prevenire, sopprimere e punire il traffico di persone, specialmente donne e bambini, e il Protocollo contro la tratta di migranti per terra, mare e aria che integrano la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale, approvati nel novembre 2000 a Palermo (Convenzione ONU di Palermo), sono stati firmati da più di cento Stati, anche se le Nazioni Unite auspicano che il numero aumenti in maniera esponenziale, soprattutto tra i paesi industrializzati.

 1. Sistema delle nazioni unite nel campo delle migrazioni internazionali e dello sviluppo

 a) Segretariato delle Nazioni Unite

         All'interno del Segretariato delle Nazioni Unite, il Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali ha come obbiettivo la promozione dello sviluppo sostenibile attraverso un approccio integrato nei confronti degli aspetti dello sviluppo economico, sociale e ambientale.
         La Divisione Popolazione, che ne fa parte, ha effettuato un monitoraggio dei livelli e delle tendenze della migrazione internazionale, come pure delle politiche a essa collegate, compiendo studi sull'interrelazione tra la migrazione internazionale e i cambiamenti politici e socioeconomici. Nel corso del 2003 sono state effettuate nuove stime del numero di migranti internazionali; la banca dati risultante Tendenze nel Numero Totale dei Migranti: Revisione del 2003 è una compilazione di stime specifiche, per ogni paese, del numero dei migranti presenti, basata sui dati dei nati all'estero o dei residenti all'estero elencati nei censimenti della popolazione e sul numero dei rifugiati per il periodo 1960-2000. Le stime ottenute indicano che la stima del numero dei migranti a livello mondiale è passata dai 76 milioni del 1960 ai 175 milioni di migranti del 2000.
         Per facilitare un più forte partenariato tra gli organismi attivi nel campo della migrazione, la Divisione Popolazione organizza riunioni annuali di coordinamento sulla migrazione internazionale. Una prima riunione ha avuto luogo nel luglio 2002 e ha trattato questioni connesse alla raccolta e allo scambio di informazioni sulla migrazione internazionale. La seconda riunione di coordinamento, nell'ottobre 2003, ha riunito rappresentanti di più di 20 organizzazioni, che hanno discusso questioni riguardanti le rimesse, la migrazione non documentata e la sicurezza. La Divisione Popolazione serve anche da segretariato della Commissione per la Popolazione e lo Sviluppo. Durante la sua 37ma sessione, nel 2004, la Commissione ha deciso che il tema speciale per la 39ma sessione della Commissione nel 2006, dovrà essere «Migrazione Internazionale e Sviluppo».
         La Divisione Statistiche del Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali rivolge i suoi sforzi a normalizzare concetti e definizioni usati per misurare la migrazione internazionale, perfezionando in tal modo la comparabilità delle statistiche tra paesi. La Divisione Statistiche, in collaborazione con la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), ha organizzato un gruppo di lavoro sul Miglioramento della Compilazione delle Statistiche sulla Migrazione Internazionale, che ha avuto luogo a Ginevra nel settembre 2003.
         Infine, il Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali ha scelto la migrazione internazionale come argomento speciale per la sua Indagine Economica e Sociale Mondiale, 2004, che fornisce un'analisi annuale dello stato dell'economia mondiale e delle questioni politiche emergenti. L'Indagine 2004 fornirà informazioni su aspetti della migrazione internazionale e comprenderà argomenti come i livelli e le tendenze della migrazione; i rifugiati e i richiedenti asilo; le politiche di migrazione internazionale; cause e impatti economici della migrazione internazionale; dimensioni sociali della mobilità e della cooperazione internazionale.

 b) Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo

         L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo è responsabile dell'applicazione dei diritti dell'uomo universalmente riconosciuti e dei principali strumenti relativi alla tutela dei diritti dell'uomo nell'ambito delle migrazioni. Il programma di cooperazione tecnica dell'Ufficio fornisce consulenza legale e rafforza la capacità delle istituzioni nazionali preposte a salvaguardare i diritti dei migranti, coordina altresì anche il Gruppo di Contatto delle Organizzazioni Intergovernative (IGO) sul Traffico e il Contrabbando di Migranti, composto da varie organizzazioni delle Nazioni Unite, dall'IOM e da organizzazioni non governative.

 c) Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)

         Il principale mandato dell'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è di fornire protezione e soluzioni durevoli ai rifugiati, ai richiedenti asilo, ai rimpatriati e agli apolidi. Dato che la maggioranza di persone interessate provengono o si trovano in paesi a basso reddito, l'Ufficio ha sviluppato un interesse attivo nella relazione esistente tra sviluppo, migrazione internazionale e protezione dei rifugiati promuovendo fiducia tra le popolazioni rifugiate nei paesi di asilo, in partenariato con i Governi ospitanti, gli attori dello sviluppo e i donatori bilaterali. L'UNHCR provvede a che i programmi di reintegrazione a breve termine per i rimpatriati siano collegati a sforzi a lungo termine finalizzati all'inserimento e allo sviluppo.
         L'UNHCR opera per superare il divario esistente tra i programmi umanitari a breve termine e le iniziative di sviluppo a lungo termine, sia nei paesi ospitanti i rifugiati che nei paesi di origine, e richiede una programmazione comune tra le organizzazioni umanitarie e di sviluppo. A tal fine, l'UNHCR ha sviluppato un Quadro per Soluzioni Durevoli per i Rifugiati e le Persone Interessate finalizzato alla promozione dell'assistenza ai rifugiati, alla creazione di programmi intesi ad assicurare rimpatrio, reintegrazione, riabilitazione e ricostruzione in situazioni di post conflitto e alla promozione di strategie di sviluppo attraverso l'integrazione locale. Il quadro è già stato applicato in Afghanistan, Eritrea, Sierra Leone, Sri Lanka e Zambia.
         L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è presente in Italia fin dal 1953. L'ufficio svolge un ruolo consultivo nella procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, fornendo pareri sull'eleggibilità e informazioni sul paese d'origine dei richiedenti asilo e partecipando in qualità di osservatore o di componente istituzionale a organismi e progetti destinati ai rifugiati.

 d) Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo

         Le principali funzioni della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), sono, tra le altre, la promozione del commercio internazionale, in particolare tra paesi a stadi diversi di sviluppo, e la formulazione e l'applicazione di principi e politiche di commercio internazionale. L'UNCTAD riconosce il movimento del lavoro come parte integrante del commercio internazionale nei servizi e riconosce pertanto l'importanza economica dei movimenti di lavoratori.

 e) Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine

         L'Ufficio delle Nazioni Unite per le droghe e il Crimine svolge un ruolo attivo nell'appoggiare gli sforzi della comunità internazionale contro il traffico di persone e la tratta di migranti, in particolare attraverso i suoi servizi di consulenza legale, di cooperazione tecnica e informazione. L'Ufficio lavora in stretto contatto con molte organizzazioni internazionali e regionali, incluso Europol, ILO, Interpol, IOM e l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).
         Negli ultimi anni, una delle più importanti attività svolte dall'Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine è stata la creazione di una banca dati globale sul traffico e la tratta di migranti. Usando i dati raccolti, l'Ufficio valuta le tendenze del traffico e della tratta per quanto riguarda le vie del contrabbando, le forme di sfruttamento, i metodi usati dai gruppi del crimine organizzato, la cooperazione tra forze dell'ordine e le risposte dei Governi, incluse le riforme legislative. La banca dati è stata regolarmente utilizzata in comune con l'IOM. I progetti di cooperazione tecnica dell'Ufficio sono attualmente operativi in più di 10 paesi dell'Asia, dell'Europa Centrale e Orientale, dell'America Latina e dell'Africa Occidentale. I progetti hanno come obbiettivo di esaminare la legislazione nazionale e di assistere i paesi nella ratifica e applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e dei protocolli addizionali.

 f) Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA)

         L'UNFPA ha organizzato una riunione di un gruppo di lavoro a Bratislava, in Slovacchia, nel 2002 per affrontare i problemi del traffico di donne e bambini. La riunione ha riunito più di 60 parlamentari, funzionari di governo e rappresentanti di organizzazioni non governative di 25 paesi. Nel 2003, l'UNFPA, in collaborazione con l'IOM, ha sostenuto la Lega degli Stati Arabi nell'organizzare una Conferenza sulla Migrazione Araba in un Mondo Globalizzato e per affrontare, tra l'altro, l'apertura del lavoro e dei mercati commerciali, la libertà di movimento per gli individui, e i meccanismi per razionalizzare la mobilità di risorse umane nell'Asia Occidentale.

 2. Agenzie specializzate

 a) ILO - International Labour Organization - Organizzazione Internazionale del Lavoro

         L'Organizzazione Internazionale del Lavoro promuove a livello internazionale giustizia sociale e diritti del lavoro. L'ILO ha contribuito a creare un consenso internazionale sulla protezione dalla discriminazione e dallo sfruttamento dei lavoratori migranti, consentendo al contempo movimenti disciplinati di lavoratori. Per raggiungere questo obiettivo, la strategia dell'ILO comprende la supervisione di standard, servizi consultivi in campo legislativo e politico nonché formazione tecnica e informazione tra i funzionari governativi e i rappresentanti delle organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro. L'ILO ha adottato una serie di Convenzioni e Raccomandazioni delle quali promuove la ratifica e di cui assicura la conformità, monitorando leggi, regolamenti e pratiche connesse al trattamento dei lavoratori migranti. Negli ultimi anni, l'ILO ha inviato missioni consultive a un numero crescente di Stati Membri ed ha fornito consulenza tecnica su vari aspetti della migrazione dei lavoratori, compreso il miglioramento delle politiche nazionali di migrazione, la formulazione di legislazioni e la creazione di quadri per proteggere i cittadini che lavorano all'estero. All'ILO è stato chiesto di fornire servizi di consulenza a gruppi economici regionali, come l'Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN) e la Comunità dei Carabi (CARICOM).
         L'ILO promuove la Conferenza Internazionale del Lavoro, alla quale partecipano i Ministri del Lavoro e i leader delle più importanti associazioni di industriali e la più rappresentativa federazione di sindacati di ogni Stato membro dell'organismo. La Conferenza Internazionale del Lavoro del 2004 ha scelto i »lavoratori migranti« come argomento principale della discussione generale. Parte della preparazione della Conferenza è stata dedicata a un'indagine sulla migrazione internazionale dei lavoratori condotta su informazioni fornite da 93 Stati membri riguardo le condizioni dei lavoratori migranti, lo stato di diritto e le politiche adottate per regolamentare la migrazione e l'occupazione dei lavoratori migranti. La relazione, intitolata Verso un Accordo Equo per i Lavoratori Migranti nell'Economia Globale riporta i risultati dell'indagine.

 b) Gruppo di Ginevra sulla Migrazione

         Nell'aprile 2003, i rappresentanti di sei organizzazioni internazionali e di alcuni organismi delle Nazioni Unite attivi nel campo delle migrazioni, in particolare, l'ILO, l'IOM, l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo, l'UNHCR, l'UNCTAD e l'Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine, hanno creato il Gruppo di Ginevra per la Migrazione. Il Gruppo, un organismo informale per lo scambio di informazioni, si riunisce regolarmente su base trimestrale, con Presidenza a rotazione. Il Gruppo intende migliorare la comprensione reciproca, discutere la possibilità di cooperazione e collaborazione inter-agenzia, promuovere sinergie ed evitare duplicati di attività.

 c) IOM

         Creata nel 1951 come Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee (CIME) per assistere al rientro dei profughi del secondo conflitto mondiale e per promuovere una emigrazione ordinata verso i paesi d'oltreoceano, il mandato dell'IOM si è nel tempo sviluppato in risposta alla globalizzazione dei fenomeni migratori, alle necessità dei migranti e alle emergenze umanitarie.
         Come principale organizzazione internazionale che si occupa di migrazione, l'IOM opera per: contribuire ad affrontare le crescenti sfide organizzative nella gestione delle migrazioni; migliorare la comprensione delle questioni legate all'immigrazione; favorire lo sviluppo economico e sociale attraverso la migrazione; difendere la dignità e il benessere dei migranti.
         L'azione dell'IOM si sviluppa principalmente attraverso sette »settori di attività« che costituiscono l'ossatura dell'organizzazione: campagne di informazione, migrazioni per lavoro, cooperazione tecnica, lotta alla tratta di esseri umani, ritorni assistiti, movimenti, servizi medici. Nel corso di mezzo secolo il numero dei Paesi che hanno aderito all'IOM è gradualmente aumentato sino agli attuali 105 Stati membri. Nell'adempimento delle sue funzioni, l'IOM collabora attivamente con i governi, con le Nazioni Unite e altri organismi internazionali, con enti locali, organizzazioni di volontariato e ONG.
         L'Italia è uno dei paesi fondatori dell'IOM. L'IOM ha inoltre firmato accordi operativi specifici, con i Ministeri dell'Interno, del Lavoro, degli Affari Esteri/Cooperazione allo Sviluppo e con quello delle Pari Opportunità, in ragione dei diversi programmi approvati e delle relative attività da svolgere.
        A partire dall'anno 2003, l'IOM ha ulteriormente rafforzato i rapporti con le istituzioni italiane sottoscrivendo un accordo di cooperazione con l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) in materia di accoglienza e supporto ai migranti.
         Negli ultimi anni, le tendenze migratorie hanno assunto un'importante rilevanza socio-politica giacché l'Italia si configura ormai come paese d'immigrazione e porta d'accesso per l'Europa Occidentale. In questo scenario, la Missione in Italia IOM esercita, in seno all'Organizzazione, un ruolo di coordinamento nella regione del Mediterraneo sia in termini operativi, sia in termini di sviluppo di strategie per la gestione dei flussi migratori. Le attività riguardano diversi ambiti d'intervento: cooperazione e assistenza tecnica, formazione, orientamento alla migrazione per lavoro e integrazione sociale, contrasto alla tratta di esseri umani e assistenza alle vittime, sostegno e formazione, assistenza al ritorno volontario e reinserimento nelle aree di origine.

 Capitolo V - Conclusioni

           Le risultanze dell'indagine conoscitiva, quali emergono dalle numerose audizioni effettuate e dall'amplissimo materiale documentario raccolto ed esaminato, hanno evidenziato la rilevanza che il fenomeno dell'immigrazione ha assunto nel contesto economico e sociale nazionale ed europeo.
           In ambito nazionale, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D.lgs. n. 286/1998), così come modificato dalla Legge n. 189/2002, ha contribuito a consolidare il quadro delle misure volte al controllo dell'immigrazione legale e al contrasto di quella illegale. Tuttavia, affinché la normativa in materia possa dispiegare tutti i suoi effetti e garantire l'efficacia e l'efficienza degli strumenti individuati per la sua concreta attuazione sarà necessario, una volta emanati e resi operativi i principali regolamenti di attuazione, un'ulteriore valutazione e approfondimento al fine di adeguare costantemente le misure di intervento, anche alla luce dei rilievi e delle proposte avanzate nel corso delle audizioni.
           In ambito europeo, il contributo fornito dall'Italia per lo sviluppo di una politica europea in materia è stato più evidente durante il semestre di presidenza italiana, nella seconda metà del 2003. L'Italia si è fatta promotrice di misure volte: 1) alla realizzazione progressiva di una gestione integrata delle frontiere esterne; 2) alla condivisione da parte di tutti gli Stati membri degli oneri finanziari derivanti dalla gestione comune e integrata delle frontiere (meccanismo di ripartizione degli oneri - burden sharing); 3) al rafforzamento del partenariato e della cooperazione con i Paesi terzi; 4) alla gestione europea comune dei flussi migratori attraverso la determinazione di quote europee condivise, calcolate sommando i reali fabbisogni di manodopera extracomunitaria dei mercati del lavoro dei paesi dell'Unione; 5) alla preparazione di programmi o progetti pilota condivisi da più Stati membri e coordinati da Agenzie od organismi europei. Tali principi, che rispondono all'esigenza di disegnare una politica comune europea equilibrata che affronti in maniera realmente condivisa il tema dell'immigrazione e dell'asilo, sono stati in parte recepiti dal programma dell'Aia, approvato lo scorso novembre dal Consiglio europeo.
          L'impegno italiano ha originato una serie di iniziative a contenuto normativo o a carattere operativo. Nata da una proposta italiana, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne risponde all'esigenza di costituire un sistema di controllo integrato delle frontiere dell'Unione. L'Agenzia, che diverrà operativa il 1 maggio 2005, avrà il compito di semplificare e rendere più efficaci l'applicazioni delle misure comunitarie vigenti e future garantendo il coordinamento e l'applicazione uniforme delle misure di controllo e scoraggiando l'azione dei singoli Paesi in presenza di attività assunte sul piano comunitario assicurando allo stesso tempo l'equa ripartizione delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati membri.
         L'Italia, paese con uno sviluppo costiero rilevante e dunque parte consistente della frontiera marittima dell'Unione, ha ritenuto necessario sottolineare l'importanza del dialogo euroafricano in materia di contrasto all'immigrazione. L'esperienza maturata sul piano interno ha costituito, pertanto, il presupposto per sollecitare un migliore e più proficuo dialogo politico e tecnico tra l'Europa e i Paesi della sponda mediterranea del continente africano al fine di un'azione più incisiva nella lotta contro l'immigrazione, associando al tema del contrasto quello relativo agli aiuti allo sviluppo e alla collaborazione con i paesi terzi tramite un sistema di accordi e di programmi di aiuto. Di grande rilievo in quest’ambito la posizione italiana nei confronti della Libia, che ha contribuito alla revoca dell'embargo adottato dall'Europa nel 1986, consentendo al paese africano di collaborare nell'attività di contrasto dell'immigrazione clandestina con azioni di prevenzione, di controllo, ma anche di soccorso.
         L'Italia ha inoltre promosso l'avvio di una serie di programmi e operazioni comuni. Tra queste le attività di pattugliamento congiunto allargate alla partecipazione di paesi terzi, quali il progetto Nettuno, e ha, inoltre, proposto una misura concreta relativa alle norme comuni per le procedure di rimpatrio, formalizzata in una decisione del Consiglio dell'aprile 2004 relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri.
          Peraltro, i controlli delle frontiere esterne hanno conosciuto un'evoluzione inaspettata in seguito al verificarsi degli eventi terroristici di settembre 2001 e marzo 2004 in seguito ai quali le procedure operative standard sono state integrate, in modo particolare alle frontiere aeree esterne, da attività antiterrorismo.
          È tuttavia opportuno che la politica europea non si limiti a controllare o a respingere l'immigrazione clandestina ma »apra« all'immigrazione legale nuovi canali che tengano conto delle diverse esigenze del sistema economico-produttivo di ogni Paese: una buona politica di immigrazione legale può così diventare lo strumento più efficace per combattere l'immigrazione clandestina. Con il Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica dell'11 gennaio 2005, si è inteso pertanto approfondire il dibattito in sede Ue sui criteri comuni relativi all'ammissione di migranti economici con l'intento di individuare le principali problematiche ed eventuali soluzioni per una disciplina legislativa comunitaria in materia.
          Un ulteriore e importante risultato è stato conseguito con l'approvazione, nel corso del Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004, del programma dell'Aia, che ha individuato una serie di priorità nel settore della giustizia e degli affari interni. Compito della nuova Commissione nel 2005 quello di tradurre le linee contenute nel programma in un piano d'azione operativo. Primo passo verso una necessaria semplificazione del metodo decisionale il passaggio dall'unanimità alla maggioranza qualificata, in codecisione col Parlamento europeo, a decorrere dal 1o gennaio 2005. In pratica, cadrà il diritto di veto dei singoli governi: unica eccezione, le regole sull'immigrazione legale, che resteranno all'unanimità fino all'entrata in vigore del Trattato costituzionale.
         Quanto alla realizzazione di un regime comune in materia d'asilo, la Commissione è stata invitata a concludere nel 2007 una valutazione dell'attuazione della prima fase della politica europea di asilo e a sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo gli strumenti e le misure relativi alla seconda fase, in vista della loro adozione entro il 2010. Obiettivo della seconda fase sarà l'instaurazione di una procedura comune di esame delle richieste di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria.
         Rispetto alla percezione dei fenomeni migratori in ambito internazionale, nel corso della missione svolta dal Comitato presso la sede delle Nazioni Unite a New York, gli incontri intercorsi con i rappresentanti delle Agenzie operanti a diverso titolo all'interno dell'ONU, hanno fornito indicazioni in merito ad alcuni aspetti delle migrazioni internazionali. Il problema della diminuita natalità e dell'alto indice di infertilità nei Paesi industrializzati, con conseguente diminuzione della popolazione attiva e dell'invecchiamento della società, ha prodotto in questi la necessità di forza lavoro sostitutiva e dunque la necessità del ricorso a un'immigrazione »di sostituzione" proveniente dai Paesi poveri, dove il tasso di natalità molto alto, la qualità della vita e le condizioni economiche disastrose spingono all'emigrazione. La migrazione internazionale appare dunque come una necessità strutturale che deve essere governata con programmi specifici, adottando, come da più parti viene richiesto, un approccio regionale, che salvaguardi la specificità dei diversi contesti geopolitici e la collaborazioni fra paesi appartenenti alla stessa area. Appare anche necessario che le azioni svolte dai diversi organismi internazionali vengano razionalizzate al fine di impiegare in maniera efficace ed efficiente le risorse economiche e umane utilizzate nello studio, nella gestione e nelle azioni di soccorso in materia di migrazione internazionale e aiuti ai rifugiati.
        In conclusione, molto è stato fatto in ambito nazionale in prospettiva europea, ma il cammino verso una politica comune in materia di immigrazione ed asilo, che è alla base della concreta realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non è ancora giunto a termine.
        L'indagine ha costituito, pertanto, l'occasione per esaminare il fenomeno nella sua articolazione generale fornendo alcune indicazioni che consentono una prima valutazione dei risultati raggiunti a livello nazionale ed europeo sia riguardo il profilo della prevenzione e del contrasto all'immigrazione clandestina che riguardo il profilo della governance dell'immigrazione legale.  

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