Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Buongiorno. Non siamo in televisione, ma il bello della diretta degli avvenimenti politici ci imporrà qualche lieve mutamento nel programma: il Presidente Casini, che teneva ad essere qui per aprire i lavori, verrà nell’arco della mattinata, compatibilmente con i sopraggiunti comprensibili e rilevanti impegni della giornata. Il ministro Pisanu è nella stessa condizione, speriamo che riesca a liberarsi per la seconda parte della mattinata ed essere con noi. Ringrazio invece l’amico Franco Frattini che, anche lui coinvolto in questo momento così importante della politica nazionale, ha voluto in ogni caso essere qui con noi puntuale. Ringrazio il dottor Dall’Oglio, tutti gli ospiti, tutte le autorità.
A seguito dell'attribuzione di nuove competenze, in base a quanto disposto dall'articolo 37 della legge n. 189 del 30 luglio 2002, il Comitato ha assunto la nuova denominazione di Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.
Si è dunque ritenuto necessario avviare un'indagine per approfondire la conoscenza del quadro nazionale e comunitario della normativa sull'immigrazione e l'asilo, approfondendo la conoscenza del fenomeno dell'immigrazione in un quadro strettamente collegato alle prospettive e alle iniziative europee volte alla realizzazione di un processo di armonizzazione e di coordinamento, essenziale per un'efficace politica comune di immigrazione.
In particolare l'indagine si è posta come obiettivo di esaminare alcuni aspetti quali le modalità di realizzazione dell'azione comunitaria nel controllo e nella gestione integrata delle frontiere esterne; la definizione degli strumenti volti a creare il quadro giuridico di riferimento comune in materia di ammissione e di condizioni di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi; la verifica della possibilità di realizzare un coordinamento e una cooperazione operativa tra le polizie nazionali degli Stati dell'Unione europea attraverso un'analisi degli strumenti di contrasto all'immigrazione illegale, all'introduzione clandestina e alla tratta di esseri umani.
Peraltro, il testo del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, considera la materia immigrazione come uno degli elementi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In particolare, la politica di immigrazione viene classificata tra le politiche interne unitamente alle politiche che riguardano i controlli alle frontiere e all’asilo.
È stata, poi, avviata un'analisi del quadro nazionale circa l'efficacia degli strumenti utilizzati per la concreta attuazione della riforma introdotta dalla legge Bossi-Fini in materia di immigrazione, integrazione e occupazione, attraverso un programma di audizioni che hanno consentito di approfondire alcuni aspetti e acquisire chiarimenti in merito all'idoneità degli strumenti e delle procedure operative utilizzate.
Nel corso di dette audizioni è emersa l'importanza dell'utilizzazione, nel contrasto all'immigrazione clandestina, degli accordi di riammissione con i paesi terzi e delle collegate politiche di rimpatrio, tenendo conto delle difficoltà derivanti dalla necessaria distinzione tra paesi di transito e di origine dei flussi migratori.
È inoltre emerso come il fenomeno dell'immigrazione clandestina interessi l'Italia via mare con le drammatiche modalità purtroppo ripetutesi costantemente negli ultimi anni, nonostante una sempre più efficace e costante cooperazione tra le forze armate e le forze di polizia impegnate nell'attività di contrasto relative al traffico di migranti. Particolarmente importante il ruolo svolto dalla Marina militare, dalla Guardia di finanza e dalla Capitaneria di porto in materia di attività di vigilanza, prevenzione, soccorso e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare.
In riferimento a questa attività, il Comitato ha svolto missioni a Malta e a Cipro. Nel corso della missione a Malta sono stati approfonditi i molteplici aspetti della collaborazione bilaterale nell'azione di contrasto ai flussi di immigrazione clandestina proveniente dal Nordafrica, diretta in Italia e transitante per Malta, mentre a Cipro il Comitato ha assistito allo svolgimento delle attività di controllo e contrasto all'immigrazione clandestina via mare attraverso l'operazione denominata Nettuno. Tali missioni hanno inoltre consentito una prima valutazione delle conseguenze immediate che l'allargamento provocherà sull'andamento dei flussi migratori e sulla libera circolazione delle persone in un'Europa dai confini allargati
Nel corso dello svolgimento dell'indagine si è reso inoltre necessario un approfondimento della conoscenza del quadro giuridico e politico di riferimento relativo allo status di rifugiato al fine di individuare gli strumenti che possano concretamente realizzare una strategia comune in materia di procedure d'asilo e garantire uno status uniforme, valido in tutta l'Unione.
Sono state esaminate le connessioni esistenti tra immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani e organizzazioni transnazionali, nonché i legami esistenti tra tali organizzazioni e i canali attraverso i quali l'immigrazione clandestina giunge nel nostro paese.
Alcuni problemi relativi alla connessione tra il fenomeno dell'immigrazione clandestina e l'illecita importazione-esportazione di valuta tramite i cosiddetti «circuiti bancari informali», che di recente sono stati collegati all'allarme terrorismo, hanno reso necessario un esame delle relazioni esistenti tra i flussi migratori e i flussi finanziari.
D'altra parte è emerso in maniera evidente come le connessioni esistenti tra immigrazione clandestina e terrorismo internazionale rendano sempre più urgente identificare una strategia globale per la realizzazione di una politica europea della sicurezza.
Nel corso degli incontri svolti, in occasione della missione del Comitato a New York, con rappresentanti di organismi che operano nell'ambito delle Nazioni Unite e che intervengono con competenze specifiche su alcuni aspetti collegati ai fenomeni migratori, è emerso come il fenomeno dell'immigrazione non possa prescindere, oltre che dall'analisi degli aspetti economici, anche da quella degli aspetti demografici. Due, in particolare: il rallentamento della crescita e il netto aumento dell’età media della popolazione.
Le risultanze dell'indagine conoscitiva, quali emergono dalle numerose audizioni effettuate e dall'amplissimo materiale documentario raccolto ed esaminato, hanno evidenziato la rilevanza che il fenomeno dell'immigrazione ha assunto nel contesto economico e sociale sia nazionale che europeo.
In ambito nazionale, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dalla Legge n. 189/2002, ha contribuito a consolidare il quadro delle misure volte al controllo dell'immigrazione legale e al contrasto di quella illegale. Tuttavia, affinché la normativa in materia possa dispiegare tutti i suoi effetti e garantire l'efficacia e l'efficienza degli strumenti individuati per la sua concreta attuazione sarà necessario, una volta emanati e resi operativi i principali regolamenti di attuazione, un'ulteriore valutazione e approfondimento al fine di adeguare costantemente le misure di intervento, anche alla luce dei rilievi e delle proposte avanzate nel corso delle audizioni.
In ambito europeo, il contributo fornito dall'Italia per lo sviluppo di una politica europea in materia è stato più evidente durante il semestre di presidenza italiana, nella seconda metà del 2003. L'Italia si è fatta promotrice di misure volte: alla realizzazione progressiva di una gestione integrata delle frontiere esterne; alla condivisione da parte di tutti gli Stati membri degli oneri finanziari derivanti dalla gestione comune e integrata delle frontiere (meccanismo di ripartizione degli oneri - il cosiddetto burden sharing); al rafforzamento del partenariato e della cooperazione con i paesi terzi; alla gestione europea comune dei flussi migratori attraverso la determinazione di quote europee condivise, calcolate sommando i reali fabbisogni di manodopera extracomunitaria dei mercati del lavoro dei paesi dell'Unione; e infine alla preparazione di programmi o progetti pilota condivisi da più Stati membri e coordinati da Agenzie od organismi europei. Tali principi, che rispondono all'esigenza di disegnare una politica comune europea equilibrata che affronti in maniera realmente condivisa il tema dell'immigrazione e dell'asilo, sono stati in parte recepiti dal programma dell'Aia, approvato lo scorso novembre dal Consiglio europeo.
L'impegno italiano ha originato una serie di iniziative a contenuto normativo o a carattere operativo. Nata da una proposta italiana, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne risponde all'esigenza di costituire un sistema di controllo integrato delle frontiere dell'Unione. L'Agenzia, che diverrà operativa il 1 maggio 2005 - fra pochi giorni -, avrà il compito di semplificare e rendere più efficaci l'applicazioni delle misure comunitarie vigenti e future garantendo il coordinamento e l'applicazione uniforme delle misure di controllo e scoraggiando l'azione dei singoli paesi in presenza di attività assunte sul piano comunitario assicurando allo stesso tempo l'equa ripartizione delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati membri
L'Italia, paese con uno sviluppo costiero rilevante - l’ammiraglio Dassatti mi conferma, circa 8 mila chilometri? - e dunque parte consistente della frontiera marittima dell'Unione, ha ritenuto necessario sottolineare l'importanza del dialogo euroafricano in materia di contrasto all'immigrazione. L'esperienza maturata sul piano interno ha costituito, pertanto, il presupposto per sollecitare un migliore e più proficuo dialogo politico e tecnico tra l'Europa e i paesi della sponda mediterranea del continente africano al fine di un'azione più incisiva nella lotta contro l'immigrazione, associando al tema del contrasto quello relativo agli aiuti allo sviluppo e alla collaborazione con i paesi terzi tramite un sistema di accordi e di programmi di aiuto. Di grande rilievo in quest'ambito, la posizione italiana nei confronti della Libia, che ha contribuito alla revoca dell'embargo adottato dall'Europa nel 1986, consentendo al paese africano di collaborare nell'attività di contrasto dell'immigrazione clandestina, con azioni di prevenzione, di controllo, ma anche di soccorso.
Nella realizzazione di una politica comune di gestione delle frontiere esterne assume una grande rilevanza, il contributo delle iniziative comuni, volte a coordinare l’azione dei servizi nazionali competenti. In tale ottica di riferimento l'Italia ha promosso l'avvio di una serie di programmi e operazioni comuni; tra queste, le attività di pattugliamento congiunto, allargate alla partecipazione di paesi terzi, quali il progetto Nettuno, e ha, inoltre, proposto una misura concreta relativa alle norme comuni per le procedure di rimpatrio, formalizzata in una decisione del Consiglio dell'aprile 2004, relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri.
Peraltro, i controlli delle frontiere esterne hanno conosciuto un'evoluzione inaspettata in seguito al verificarsi degli eventi terroristici del settembre 2001 e marzo 2004, in seguito ai quali le procedure operative standard sono state integrate, in modo particolare alle frontiere aeree esterne, da attività antiterrorismo.
L’immigrazione per la complessità delle sue componenti - economiche, sociali, giuridiche e culturali - necessita di un approccio coordinato che riconduca in un quadro di riferimento comune i principi di una strategia globale.
È tuttavia opportuno che la politica europea non si limiti a controllare o a respingere l'immigrazione clandestina ma «apra» all'immigrazione legale nuovi canali che tengano conto delle diverse esigenze del sistema economico-produttivo di ogni paese: una buona politica di immigrazione legale può così diventare lo strumento più efficace per combattere l'immigrazione clandestina.
Occorre, inoltre, sviluppare nuove strategie di contenimento basate non esclusivamente sull’irrigidimento dei controlli alle frontiere ma volte a coinvolgere, nella gestione del problema, anche i paesi di provenienza dei flussi.
Con il Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica dell'11 gennaio 2005, si è inteso pertanto approfondire il dibattito in sede UE sui criteri comuni relativi all'ammissione di migranti economici con l'intento di individuare le principali problematiche ed eventuali soluzioni per una disciplina legislativa comunitaria in materia.
Un ulteriore e importante risultato è stato conseguito con l'approvazione, nel corso del Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004, del programma dell'Aia, che ha individuato una serie di priorità nel settore della giustizia e degli affari interni. Compito della nuova Commissione nel 2005 quello di tradurre le linee contenute nel programma in un piano d'azione operativo. Primo passo verso una necessaria semplificazione del metodo decisionale il passaggio dall'unanimità alla maggioranza qualificata, in codecisione col Parlamento europeo, a decorrere dal 1° gennaio 2005. In pratica, cadrà il diritto di veto dei singoli governi: unica eccezione, le regole sull'immigrazione legale, che resteranno all'unanimità fino all'entrata in vigore del Trattato costituzionale.
Quanto alla realizzazione di un regime comune in materia d'asilo, la Commissione è stata invitata a concludere nel 2007 una valutazione dell'attuazione della prima fase della politica europea di asilo e a sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo gli strumenti e le misure relativi alla seconda fase, in vista della loro adozione entro il 2010. Obiettivo della seconda fase sarà l'instaurazione di una procedura comune di esame delle richieste di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria.
La crescente importanza che l’immigrazione ha acquisito a livello europeo trova un’ulteriore conferma nella recente proposta della Commissione europea di un consistente aumento, per il periodo 2007-2013, delle risorse impegnate nel bilancio UE di spesa, per la gestione dell’immigrazione rispetto al periodo precedente 2003-2006.
Rispetto alla percezione dei fenomeni migratori in ambito internazionale, nel corso della missione svolta dal Comitato presso la sede delle Nazioni Unite a New York, gli incontri intercorsi con i rappresentanti delle Agenzie operanti a diverso titolo all'interno dell'ONU, hanno fornito indicazioni in merito ad alcuni aspetti delle migrazioni internazionali. Il problema della diminuita natalità e dell'alto indice di infertilità nei paesi industrializzati, con conseguente diminuzione della popolazione attiva e dell'invecchiamento della società, ha prodotto in questi la necessità di forza lavoro sostitutiva e dunque la necessità del ricorso a un'immigrazione «di sostituzione» proveniente dai paesi poveri, dove il tasso di natalità molto alto, la qualità della vita e le condizioni economiche disastrose spingono all'emigrazione. La migrazione internazionale appare dunque come una necessità strutturale che deve essere governata con programmi specifici, adottando, come da più parti viene richiesto, un approccio regionale, che salvaguardi la specificità dei diversi contesti geopolitici e la collaborazione fra paesi appartenenti alla stessa area. Appare anche necessario che le azioni svolte dai diversi organismi internazionali vengano razionalizzate al fine di impiegare in maniera efficace ed efficiente le risorse economiche e umane utilizzate nello studio, nella gestione e nelle azioni di soccorso in materia di migrazione internazionale e aiuti ai rifugiati.
L’immigrazione rappresenta, dunque, una sfida tanto per il diritto interno quanto per il diritto comunitario ed internazionale.
In conclusione, molto è stato fatto in ambito nazionale in prospettiva europea, ma il cammino verso una politica comune in materia di immigrazione e asilo, che è alla base della concreta realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non è ancora giunto al suo termine.
L'indagine ha costituito, pertanto, l'occasione per esaminare il fenomeno nella sua articolazione generale fornendo alcune indicazioni che consentono una prima valutazione dei risultati raggiunti a livello nazionale ed europeo sia riguardo il profilo della prevenzione e del contrasto all'immigrazione clandestina che riguardo il profilo della governance dell'immigrazione legale.
Grazie. Con piacere cedo la parola al vicepresidente della Commissione europea, onorevole Franco Frattini.
Franco FRATTINI, Vicepresidente della Commissione europea. La relazione introduttiva del presidente di Luca mi conferma una volta di più quanto siano importanti un rapporto stretto e un confronto proficuo con i Parlamenti nazionali. Devo dire, al di là dell’apprezzamento personale per il presidente di Luca, che il lavoro del Comitato dimostra la profondità dell’analisi di tutte le problematiche evocate nella relazione introduttiva, e quindi i miei complimenti anche perché riscontro una stretta vicinanza di vedute con la linea di azione che la Commissione europea sta portando avanti e che in particolare io sono impegnato a realizzare nell’ambito delle mie competenze. Come voi tutti sapete, e come è stato ricordato, il settore di mia competenza recentemente ha cambiato denominazione, da Giustizia e Affari interni a Sicurezza, Giustizia e Libertà. Il cambiamento di denominazione vuole sottolineare l’impegno politico dell’Europa di farsi carico delle preoccupazioni diffuse dei cittadini europei per quanto riguarda la sicurezza, la prevenzione, il contrasto al terrorismo, la evidente necessità di un contrasto fermo all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani senza dimenticare la strada della solidarietà, la necessità di governare i flussi migratori legali e di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona, anche di coloro che entrano clandestinamente in Europa, anzitutto esseri umani che devono essere rispettati con piena garanzia della loro dignità. Questi due approcci paralleli trovano un riscontro sia nell’ampliamento delle competenze che mi sono state attribuite - ampliamento che porta a un ventaglio di azioni che molto rapidamente descriverò - che in un consistente incremento delle dotazioni finanziarie. Il presidente di Luca lo ha accennato, in un’epoca in cui le risorse finanziarie sono mediamente scarse, nel prossimo bilancio dell’Unione questo settore avrà in media il triplo delle dotazioni del bilancio attuale e per la sicurezza il bilancio aumenterà di nove volte rispetto al bilancio attuale. Questo dà l’idea di come l’Europa, rispetto al recente passato, ritenga priorità assoluta - come ha detto il Presidente Barroso al Parlamento europeo - realizzare un effettivo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. E’ evidente infatti che oggi nessuno può neanche immaginare uno spazio europeo senza frontiere interne, e mi riferisco ovviamente a un’area Schengen destinata ad allargarsi ai dieci nuovi paesi membri che da qui al 2007 completeranno la strada per entrare nello spazio Schengen, senza in parallelo rafforzare la rete di protezione alle frontiere esterne poiché uno spazio di libera circolazione interna è inimmaginabile senza una rigorosa protezione delle frontiere esterne. Allo stesso modo la preoccupazione di tutti i cittadini del mondo dopo l’11 settembre e dopo l’11 marzo del 2004 rende quasi impossibile immaginare un approccio nazionale alla prevenzione e al contrasto contro il terrorismo così come contro la criminalità organizzata (fenomeni che per definizione non hanno frontiere e che ovviamente non possono vedere un’azione e una reazione a livello nazionale) senza quell’innalzamento della cooperazione europea e della cooperazione internazionale che stiamo realizzando. Per questo ho pensato di sottoporre alla Commissione - e il 6 aprile scorso la Commissione ha approvato la mia proposta - tre programmi quadro, uno per ogni settore. Il primo: solidarietà e gestione dei flussi migratori; il secondo: sicurezza, lotta al terrorismo e salvaguardia delle garanzie; il terzo: armonizzazione della giustizia penale e civile e protezione dei diritti fondamentali. Tre programmi quadro che anche nel bilancio dell’Unione per il prossimo periodo sostituiranno la moltitudine di iniziative e di programmi che nel precedente bilancio avevano talvolta fatto mancare la dimensione politica dell’approccio europeo. Come voi comprendete, tre programmi quadro per ognuno dei settori vorranno dire maggiore flessibilità da un lato e maggiore attenzione sulla scelta politica della Commissione dall’altro. Evidentemente l’aspetto che oggi ci interessa particolarmente è quello dedicato alla gestione dei flussi migratori e alla solidarietà.
Una delle prime decisioni prese il 6 aprile è quella di istituire un Fondo per la gestione dei controlli alle frontiere dell’Unione. Sarà un fondo strutturato, un fondo unico, che si aggiungerà alle risorse che abbiamo destinato all’Agenzia per il controllo e la protezione delle frontiere esterne e che migliorerà l’efficienza della gestione dei controlli per contrastare l’immigrazione illegale.
L’operatività dell’Agenzia, come ricordato dal presidente di Luca fissata all’inizio del mese di maggio, era un impegno preso da me nei primi giorni dell’assunzione del mandato, evidentemente un impegno particolarmente gravoso, ma lo rispetteremo, perché nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’interno, tenuto il 14 aprile a Lussemburgo, si è raggiunto l’accordo unanime sulla sede a Varsavia. Stiamo selezionando il direttore - intervisterò i candidati tra questa e le prossime settimane - e quindi avremo un direttore, una sede e una struttura operativa in grado di funzionare. Credetemi, voi siete addetti ai lavori: quando pensate a quanto tempo è stato necessario per decidere la sede delle altre Agenzie europee - e l’ambasciatore Vattani se lo ricorda perfettamente - sembra incredibile che in quattro mesi sia stata scelta la sede all’unanimità, le candidature non erano solo quella della Polonia, erano molte e autorevoli. Tutto ciò dimostra una forte determinazione, non solo della Commissione, ma di tutti i ministri dell’interno dei venticinque paesi europei che hanno fornito alla Commissione e alla Presidenza un appoggio veramente notevole.
E allora, accanto al Fondo per i controlli alle frontiere vi saranno tre Fondi nuovi e importanti: il primo, un Fondo per l’integrazione sta a indicare anche una scelta politica significativa. Ritengo infatti che una gestione efficace dell’immigrazione legale debba essere accompagnata da una seria politica d’integrazione, nel tessuto socioeconomico, di coloro che lavorano ed entrano legalmente in Europa. Senza una reale integrazione - e deve essere l’Europa, ovviamente, a incoraggiarla anche con degli strumenti finanziari - non possiamo pensare a una reale prospettiva di crescita delle comunità non europee, con i rischi connessi dell’emarginazione, dell’isolamento, dello stimolo all’estremismo, che poi diventa fondamentalismo. I tragici eventi dello scorso anno in un democraticissimo paese come l’Olanda, dimostrano che se non c’è una seria politica di integrazione nella legalità non c’è una gestione vera del fenomeno migratorio, ed ecco perché un Fondo specifico.
Vi sarà un altro strumento finanziario: un Fondo per i Rifugiati. E’ stato giustamente ricordato dal presidente di Luca che oggi una delle linee di azione è adottare procedure comuni europee in grado di garantire in futuro regole sostanziali comuni sul riconoscimento dello status di rifugiato. Regole comuni che eliminino differenze di normative, ed evitino che vi siano paesi - come dire - più accondiscendenti e altri eccessivamente rigidi, e che soprattutto forniscano a coloro che sono veramente rifugiati, e che quindi hanno diritto di essere riconosciuti come tali, una protezione adeguata.
Infine, uno strumento specifico che istituiremo è il Fondo Europeo per il Rimpatrio: se ne parla tanto, spesso con polemiche assai ingiustificate. Da parte mia, ritengo che le politiche europee di rimpatrio siano uno degli strumenti necessari per fare fronte al traffico degli esseri umani e alla illegalità, ma è evidente che non possiamo immaginare di porre a carico dei singoli Stati membri l’intero onere delle politiche di rimpatrio. Poiché il sostegno finanziario agli Stati membri in questo campo è altresì necessario, la Commissione europea ha appena adottato la proposta di Decisione che istituisce o che contribuirà all’attuazione di programmi nazionali. Un’efficiente politica di rimpatrio continuerà a essere una priorità per l’Unione, come previsto dal Programma dell’Aia che richiede espressamente la definizione di standard comuni in questa materia. La Commissione presenterà un progetto di Direttiva con norme comuni e procedure trasparenti in materia di rimpatrio, allontanamento, uso della forza, condizioni di detenzione e di riammissione. Queste norme saranno applicate nel pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone interessate.
Vi fornisco ancora un’indicazione che può essere interessante: il solo capitolo destinato alla gestione delle frontiere esterne e dei flussi migratori avrà nel bilancio dell’Unione per il prossimo periodo una dotazione non inferiore a 5 miliardi di euro, che non è una cifra piccola, a cui vanno aggiunte le dotazioni per l’Agenzia, che non sono comprese, e che si aggirano intorno ai 2 miliardi aggiuntivi di euro. Questo per dare l’idea di quanto sia serio l’approccio dell’Unione europea a questa materia. Il Fondo per le frontiere esterne, quello che per primo ho ricordato, avrà alcuni obiettivi che enuncio brevemente: il primo è ovviamente migliorare la gestione dei controlli per fronteggiare l’immigrazione illegale; il secondo, parallelo: facilitare il flusso di coloro che hanno diritto a entrare, perché noi dobbiamo bloccare l’illegalità, ma agevolare l’ingresso di coloro che hanno diritto ad accedere allo spazio europeo; terzo obiettivo: realizzare l’uniformità dell’applicazione del diritto europeo ed elevare l’efficienza della rete delle polizie di frontiera (e su questo spenderò qualche parola in più). Infine, obiettivo del Fondo sarà promuovere l’efficienza nell’attività del rilascio dei visti, altra questione che come voi sapete ha creato non poche difficoltà anche in alcuni importanti paesi dell’Unione europea. Con quali tempi tutto questo sarà realizzato? I programmi finanziari sono stati approvati il 5 aprile, c’è il negoziato interno al Consiglio europeo, il piano d’azione per dare attuazione alla strategia dell’Aia, come ricordato dal presidente di Luca, sarà presentato da me in tempi estremamente rapidi, e, confido, approvato dalla Commissione il 10 maggio prossimo. Non ho ritenuto di aspettare oltre, pur comprendendo la complessità di questi argomenti, che sono moltissimi, ma penso che il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo nella riunione del 16 giugno prossimo debba già essere in grado di approvare un documento; quindi approvazione a maggio della Commissione, Consiglio europeo sotto presidenza lussemburghese che approva, per avere a dicembre 2005 il primo rapporto di monitoraggio degli Stati membri sull’attuazione del piano d’azione. La caratteristica, che tengo a sottolineare, del piano d’azione è proprio l’obbligo di indicare le date entro cui gli adempimenti devono essere compiuti, proprio per dare maggiore concretezza all’azione degli Stati membri. E’ un approccio nuovo, che credo si rivelerà utile. I temi legati all’immigrazione illegale, toccati dal presidente di Luca, ci stanno particolarmente a cuore. Evidentemente, il nostro obiettivo risiede nel concentrare il massimo impegno su un duplice approccio: il primo, già presente nella normativa dell’Unione, relativo alle regole, intese ovviamente come insieme di standard minimi di diritti da garantire, in materia di procedure d’ingresso. Tutto ciò, fermo restando il livello nazionale per la determinazione del numero delle persone: come voi sapete, non vi sono quote europee e non vi saranno perché la Costituzione europea parla di quote nazionali, se quote vi dovranno essere.
D’altra parte, noi dobbiamo preoccuparci di gestire l’immigrazione all’interno dello spazio europeo, per questo diviene di vitale importanza, per sconfiggere l’immigrazione illegale, puntare su un grande partenariato strategico con i paesi di origine e di transito. Abbiamo già approvato dei piani di azione, che, come sapete, sono documenti che contengono azioni da compiere da parte dell’Europa e da parte dello Stato interessato. Esistono piani di azione con quasi tutti i paesi della riva sud del Mediterraneo, dell’area mediorientale e stiamo allargando il numero dei piani di azione con i paesi che si trovano nella parte orientale dell’Europa. Queste sono le due aree di priorità: l’area sud del Mediterraneo e l’Europa orientale, ovviamente Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldovia, Georgia e paesi dell’Asia centrale. Ci stiamo muovendo su queste due direttrici, consapevoli che da un lato dobbiamo favorire la condizione di sviluppo nei paesi di provenienza, cioè nei paesi di origine (in questo campo la nostra azione si svolge calibrando gli aiuti allo sviluppo, che dispongono nel bilancio europeo di fondi molto consistenti, con la richiesta di molti di questi paesi di divenire partner dell’Europa), promuovendo una politica di prevenzione, di rispetto, che è assai meglio, come voi comprendete, di una politica di sola repressione e contrasto. La prevenzione è la parola chiave: abbiamo ottenuto dei risultati già molto positivi, stiamo cominciando a concludere accordi di riammissione importanti con dei paesi chiave: ne ho firmato uno la settimana scorsa a livello europeo con l’Albania, ne chiuderemo - parlo dei negoziati - probabilmente uno con il Marocco, che è un paese chiave e sta dimostrando grande disponibilità; intendo iniziare i negoziati con l’Algeria, che è un altro paese che ha dimostrato grande disponibilità, in altri termini si sta mettendo in moto una dimensione di cooperazione vera. E poi ovviamente c’è la Libia, Stato chiave che noi abbiamo coinvolto - saluto il Presidente Casini, grazie Pier Ferdinando di essere qui - dicevo quindi l’importanza della Libia con cui abbiamo avuto un confronto positivo. Il 14 aprile scorso, come sapete, ho illustrato ai ministri dell’interno dell’Unione europea il rapporto della Commissione sugli esiti di una importante missione tecnica. Credo che con la Libia si aprano prospettive reali di cooperazione in termini di prevenzione dei flussi di illegalità. Domandiamo alla Libia con assoluta chiarezza e trasparenza uno sforzo affinché siano garantite le condizioni di rispetto dei diritti fondamentali della persona, si tratti di immigrati irregolari o di richiedenti asilo, e stiamo lavorando insieme all’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati per finanziare un programma pilota che avrà nella Libia uno dei principali destinatari e beneficiari. In altri termini, ritengo che si possano aprire delle prospettive concrete di avvicinamento della Libia alla strategia di Barcellona. Voi comprendete l’importanza strategica per l’Europa di incoraggiare questo passo proprio nel 2005, anno in cui celebriamo i dieci anni dal lancio della strategia di Barcellona, che purtroppo non ha realizzato tutti gli obiettivi sperati.
Il secondo pilastro della strategia europea sull’immigrazione è ovviamente quello dedicato all’immigrazione legale. Il presidente di Luca ha ricordato il Libro verde, che ho pubblicato e che la Commissione ha approvato a gennaio. Il Libro verde modifica l’approccio alla gestione del flusso e del fenomeno migratorio legale. Rispetto a un passato che, da un lato lasciava gli Stati membri - mi permetto di dirlo - un po’ troppo soli nel fronteggiare questa grande sfida, e dall’altro lasciava che da Bruxelles si calassero proposte preconfezionate, il Libro verde formula una serie di opzioni stimolando al contempo il grande dibattito già in corso con gli operatori del mondo dell’impresa, con i sindacati, con le organizzazioni non governative europee, con gli Stati membri, e ovviamente, con il Parlamento: i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. Il 14 giugno, un’audizione pubblica al Parlamento europeo concluderà la prima fase di raccolta di queste valutazioni e nella seconda parte dell’anno potrò presentare la proposta europea per l’immigrazione economica che sarà il frutto di un ampio dibattito pubblico e non una scelta unilaterale della Commissione. Sono convinto che soltanto questa è la strada possibile per determinare una risposta politica all’immigrazione legale, che non è un pericolo, bensì un’opportunità nel momento in cui - come il presidente di Luca ricordava - la situazione demografica europea evidenzia, diciamo così, un invecchiamento della società. Per questo dobbiamo sapere quali categorie di lavoratori sono richiesti in Europa dal mercato del lavoro, quali aree sono quelle a cui possiamo attingere, quali partenariati possiamo rafforzare con i paesi di origine e di transito; questa è la gestione dell’immigrazione per ragioni economiche.
Dobbiamo fronteggiare un’opportunità, non impedire e contrastare ciò che alcuni vedono solo come un pericolo. Credo che questa strada europea, affiancata alla strategia per l’integrazione di cui ho parlato, potrà nei prossimi anni aprire possibilità concrete alla divisione di pesi e responsabilità. Oggi vi sono paesi come il nostro particolarmente sotto pressione e altri che, sebbene investiti meno direttamente, comprendono quanto sia importante che la gestione dell’immigrazione divenga una gestione europea. A questo proposito mi permetto di ricordare soltanto un’altra cosa: il 14 aprile scorso il Consiglio dei ministri dell’interno ha accolto la mia proposta di instaurare un meccanismo di consultazione preventiva e obbligatoria della Commissione e del Consiglio nel caso in cui uno Stato membro intenda assumere iniziative quali una sanatoria relativa alla posizione degli immigrati irregolari. Tali iniziative hanno un impatto evidente sugli altri Stati membri, specialmente se dello spazio Schengen, allora è evidente che se parliamo di principio di solidarietà tra i paesi europei non possiamo immaginare che uno di questi Stati adotti una grande sanatoria, i cui effetti ricadranno probabilmente sugli altri paesi, senza che questi e la Commissione siano preventivamente consultati.
Passiamo ora a un altro tema toccato dal presidente di Luca: la gestione delle frontiere esterne dell’Europa. Evidentemente, un’azione che dall’Unione europea attende ancora delle risposte. Ho già detto dell’Agenzia che comincerà a lavorare all’inizio di maggio, e che aiuterà i paesi membri, anzitutto quelli che ne hanno più bisogno, a meglio coordinare quell’azione di controllo delle frontiere esterne che è una delle precondizioni per poter realizzare uno spazio interno di libera circolazione. Come ho già accennato, sarà una Agenzia di supporto in grado di stimolare anche il dibattito in corso in Europa sulla possibile prospettiva di medio termine di istituire un Corpo europeo di Polizia di frontiera. Oggi stiamo incentivando le cooperazioni, le equipe comuni e non escludiamo di favorire ipotesi di scambi operativi, nel senso che operatori di polizia di frontiera di un paese vadano a supportare le frontiere di un altro paese meno protette che richiedano protezione, ma in prospettiva potremmo superare l’idea degli scambi bilaterali e pensare a un Corpo europeo capace di assistere le Polizie nazionali nel controllo dei “punti caldi” della frontiera esterna europea in casi d’urgenza o di imprevedibile emergenza.
Occorreranno anche degli interventi di tipo legislativo oltre che finanziario, e credo che ciò potrà avvenire nei prossimi mesi. Abbiamo una procedura di codecisione già avviata, una proposta di Regolamento per un Codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone. Sarebbe un grandissimo traguardo disporre di un Codice europeo che stabilisca regole comuni sull’attraversamento ai posti di frontiera, sul regime dei controlli, sulla rapidità dell’esame dei visti. Una procedura già avviata, che grazie al Consiglio e al Parlamento europeo, sta facendo grandi passi avanti. La proposta riprende, in gran parte, le norme esistenti in materia di controlli di frontiere per le persone, ovvero le disposizioni pertinenti della Convenzione Schengen, del Manuale Comune e altre contenute in decisioni adottate nel quadro intergovernativo Schengen. Tuttavia, non si tratta di un semplice “consolidamento”, giacché il suo obiettivo non è la codificazione delle normative esistenti, ma la ristrutturazione e la chiarificazione dell’insieme normativo e, per alcuni aspetti, il suo sviluppo.
La Commissione e gli esperti degli Stati membri stanno lavorando alla redazione di un Manuale comune d’istruzioni per le autorità di frontiera, che tradurrà in termini più pratici le norme comunitarie relative al controllo dei cittadini dei paesi terzi alla frontiera. Il Manuale comune, che probabilmente verrà pubblicato nel corso del 2005, non introdurrà un nuovo regime, bensì permetterà di spiegare in termini più semplici quali siano gli standard normativi e operativi a cui le Polizie di frontiera - ognuna nella propria autonomia – dovranno attenersi. Il 24 marzo scorso la Commissione ha adottato e presentato al Consiglio e al Parlamento europeo, una proposta di Regolamento per facilitare il traffico locale di frontiera. Una proposta che prevede soluzioni a livello comunitario per le popolazioni che vivono in prossimità delle frontiere e che hanno bisogno di passare il confine frequentemente per motivi familiari, sociali o economici. Abbiamo degli esempi chiarissimi in quelle porzioni della frontiera italiana che sono ormai frontiere europee ma non ancora frontiere Schengen, penso alla frontiera tra l’Italia e la Slovenia, zone dove necessiterebbero delle regole sul piano operativo.
La frontiera marittima mediterranea, come voi comprendete, è un punto chiave nella strategia europea. A questo proposito, sono personalmente favorevole - non anticipo conclusioni che dovranno essere adottate dall’Agenzia delle frontiere quando inizierà a lavorare - a un punto di contatto mediterraneo dell’Agenzia. L’Agenzia avrà sede a Varsavia, come vi ho già detto, ma credo che non si possa prescindere da un punto di contatto nel Mediterraneo; c’è una forte candidatura di Malta, che mi sembra una candidatura ragionevole, che dia tangibile risposta a quella nostra priorità assoluta che è la regione mediterranea come luogo di sviluppo, di sicurezza e di pace. Concludo il mio intervento con una riflessione sullo sviluppo del Sistema informativo di controllo delle frontiere, il cosiddetto sistema Schengen-SIS II, in vista dell’abolizione delle frontiere tra vecchi e nuovi Stati membri. Sebbene i nuovi Stati membri non sono ancora entrati nell’area Schengen, in questo ambito noi realizzeremo in pieno quel principio di solidarietà che presuppone che ognuno si faccia carico delle iniziative prese nell’interesse dell’Europa. Questa è l’azione che la Commissione europea sta portando avanti e non posso non concludere sottolineando la dimensione politica, forse la novità più importante, dell’azione della Commissione. Dimensione politica che vuol dire dialogo interreligioso, azione di partenariato forte con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e con i paesi che si trovano a est dell’Europa; dimensione politica perché uno spazio di sicurezza e di libertà dell’Europa non può prescindere da un coinvolgimento su base paritaria di quegli Stati non europei che hanno come noi l’interesse a governare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, del traffico di esseri umani, e proporrò un programma specifico 2005 per la protezione dei bambini vittime del traffico di esseri umani a cui si pensa credo sempre troppo poco e che è una tragedia a cui i paesi terzi guardano con la nostra stessa preoccupazione. Questa è la dimensione verso cui l’Europa sta camminando, ovviamente la collaborazione e il confronto con i Parlamenti nazionali, come ho detto iniziando il mio discorso, presidente Casini, ritengo che sia uno degli spunti più importanti per aiutare il nostro lavoro. Grazie.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie molte al commissario Franco Frattini per le belle parole, belle non certo solamente nella forma, quanto nei contenuti. Due parole in particolare credo che debbano colpirci. A proposito di quanto il commissario Frattini diceva sullo spazio europeo della gestione dell’immigrazione, ricordiamo che è da anni che ogni quattro clandestini che cercano di entrare nel nostro paese, tre vogliono andare nel centro-nord dell’Europa, quindi è giusto pensare a una dimensione europea. Il commissario ha anche parlato di dimensione politica, una dimensione politica che vedo finalmente resa credibile da una volontà di investimenti, dal Fondo per la gestione dei controlli alle frontiere. Commissario, è la prima volta che sentiamo parlare di investimenti di miliardi di euro. Devo dire che la precedente Commissione ha dimostrato grandi volontà politiche, ma forse una bassa disponibilità a concretizzare queste volontà politiche con investimenti reali e concreti. Grazie ancora al commissario Franco Frattini. Ringrazio ora il Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che in una giornata politicamente così intensa e importante per il paese e per lui, ha voluto onorarci lo stesso della sua presenza. Ringrazio e do quindi il benvenuto al Presidente Casini.
Pier Ferdinando CASINI, Presidente della Camera. Saluto il Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, Alberto di Luca, ed i colleghi parlamentari che ne fanno parte. A tutti loro rivolgo il mio ringraziamento per l'impegno profuso in questa indagine, che ha messo a disposizione del Parlamento un quadro di conoscenze ampio ed approfondito su un tema strategico per il nostro futuro. Saluto con loro il commissario europeo, Franco Frattini, le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti.
L'indagine conoscitiva condotta dal Comitato, che si è sviluppata attraverso un programma serrato di audizioni e di visite ufficiali, ci dà ragione di una verità di fondo: il governo dei flussi migratori presenta, per sua stessa natura, una pluralità di dimensioni, che si sovrappongono e si influenzano a vicenda.
Alle esigenze di sicurezza pubblica si legano inestricabilmente gli aspetti umanitari, economici, sociali e culturali. Chi pretendesse di affrontare il fenomeno privilegiando acriticamente l'uno o l'altro aspetto, non avrebbe possibilità di successo e finirebbe anzi per accentuare i problemi sul tappeto.
L'immigrazione impone dunque alla politica uno sforzo di sintesi di grandissima difficoltà: è il banco di prova su cui si misura per larga parte il grado di maturità della classe dirigente dell'Europa riunificata.
Affrontare in modo costruttivo questa difficile composizione di voci e di esigenze richiede di indirizzare gli sforzi di tutti nella medesima direzione. A mio avviso, richiede soprattutto la condivisione di alcuni punti fermi, che l'indagine del Comitato parlamentare ci consente di mettere a fuoco con grande efficacia.
Innanzitutto, occorre prendere atto che il fenomeno dell'immigrazione è una realtà strutturale del nostro tempo, legata a cause profonde ed altrettanto strutturali, come la sovrappopolazione e la povertà dei paesi in via di sviluppo e il decremento demografico nel Nord del mondo.
Un complesso di concause che alimenta, purtroppo, anche le manifestazioni più drammatiche del fenomeno migratorio: una realtà dolorosa, che non cessa di avere per teatro i nostri mari e le nostre coste.
Sono queste le ragioni per cui, malgrado molto sia stato fatto per comprendere e per governare il fenomeno, esso genera ancora diffidenze e timori: per la sicurezza pubblica, per l'impatto sui livelli occupazionali, per la tutela delle identità nazionali. In questo quadro, il contrasto all'immigrazione clandestina resta un terreno di attenzione prioritario per la politica e per le istituzioni.
Rispondere in modo convincente alle insicurezze e alle paure che essa determina nei cittadini significa realizzare, in prima battuta, una politica rigorosa nei confronti dell'immigrazione clandestina, condotta secondo le regole della civiltà giuridica e dello Stato di diritto.
E' chiaro a tutti che il problema immigrazione non si esaurisce solamente in un sistema di divieti e di interdizioni. Tuttavia, essere seri e conseguenti nell'opporsi all'immigrazione clandestina significa porre le condizioni per affrontare in modo credibile le sfide dell'accoglienza e dell'integrazione dei cittadini extracomunitari.
Credo che in Italia, pure tra difficoltà e ostacoli, si sia lavorato bene in questa direzione. Oggi è in aumento il numero delle piccole e medie imprese nazionali gestite da immigrati; la manodopera extracomunitaria è divenuta una presenza irrinunciabile del tessuto economico-produttivo italiano; nelle scuole dei nostri figli sono presenti in numero sempre maggiore ragazzi nati in Italia da genitori immigrati.
Sono risultati assai significativi, che certamente non si sarebbero raggiunti né con una politica ispirata esclusivamente alla chiusura e alla diffidenza né, tanto meno, con un'apertura indiscriminata e irresponsabile delle nostre frontiere. Risultati che ci inducono a proseguire lungo una linea difficile da perseguire, ma sicuramente vincente: costruire un modello di convivenza che rispetti le diversità, ma che, al tempo stesso, non tema di affermare con chiarezza le regole e i principi irrinunciabili della nostra identità.
Un'azione determinata di contrasto all'immigrazione clandestina e una regolazione dei flussi migratori attenta ai mutamenti dell'economia e della società sono dunque due leve strategiche per governare la coesistenza tra etnie, culture e religioni che rappresenta il futuro dell'Italia e dell'Europa.
E' una consapevolezza che non ci deve abbandonare, soprattutto oggi che il processo di integrazione degli immigrati si sta muovendo verso terreni nuovi e più avanzati.
La programmazione dei flussi basata su criteri meramente quantitativi, ad esempio, sta evidenziando limiti oggettivi a fronte di un mercato del lavoro sempre più selettivo e sempre più attento alla qualità professionale, che chiede di attrarre dall'area extraeuropea lavoratori in grado di fornire alla nostra economia competenze, flessibilità e competitività.
Un paese come il nostro ha bisogno di più arrivi in alcuni settori, come quello della manodopera tecnica specializzata. Abbiamo bisogno di nuove intelligenze e nuove capacità creative: intelligenze e capacità che esistono nel mondo, anche nel terzo mondo. Dunque è molto importante che gli afflussi di immigrati garantiscano un surplus di qualità che oggi spesso manca.
Si pone con forza anche il tema di una riforma della cittadinanza, con il quale il Parlamento si sta confrontando. Pochi giorni or sono la Commissione Affari costituzionali della Camera ha adottato un testo che contiene innovazioni assai interessanti: penso ad esempio alla possibilità di attribuire la cittadinanza italiana anche ai nati in Italia da genitori stranieri, purché legalmente ed ininterrottamente residenti nel nostro paese da otto anni.
Più in generale, si sta diffondendo l'esigenza di riconoscere ai cittadini extracomunitari uno status giuridico meglio definito e più articolato, che esprima chiaramente - in termini di diritti e di doveri - il legame di vita e di lavoro che ciascuno di essi ha instaurato con i paesi di destinazione.
Sono questioni complesse, per le quali è necessario trovare risposte chiare ed univoche. Risposte che possono essere trovate solamente nell'ambito di una politica comune di cui si faccia responsabilmente carico l'Europa.
Anche questo è un punto fermo del "problema immigrazione". Ma, come viene messo bene in luce dall'indagine conoscitiva, è forse questo lo snodo sul quale più lunga si presenta la strada da percorrere.
Il nuovo Trattato costituzionale parla chiaro: il controllo dei confini esterni è considerato un problema comune; è attribuito all'Unione il compiuto di sviluppare una politica europea dell'immigrazione, volta ad assicurare, accanto all'equo trattamento degli immigrati legali e al contrasto dell'immigrazione clandestina, la gestione efficace dei flussi migratori.
Sono acquisizioni di valore positive e di grande significato, consolidatesi nel corso degli anni. Tuttavia, le questioni dell'immigrazione interrogano la responsabilità delle istituzioni comunitarie con l'urgenza della quotidianità: è dunque necessario che alle affermazioni di principio corrispondano comportamenti coerenti e conseguenti.
Di fronte alle situazioni più difficili e controverse del fenomeno migratorio, occorre oggi un supplemento di impegno. Occorre cercare insieme il punto di equilibrio tra lo spirito di apertura e di tolleranza, proprio delle radici culturali del nostro continente, e le esigenze di una crescita armonica e coesa della società europea: un equilibrio che possa accrescerne la vitalità e la ricchezza.
La questione dei flussi migratori è troppo delicata e troppo complessa per essere affrontata con iniziative estemporanee e per costituire terreno di scontri e contrapposizioni strumentali. Se in Europa dovesse affermarsi un atteggiamento di questo genere, i presupposti ideali e culturali che hanno condotto alla riunificazione del continente verrebbero messi in discussione e il cammino della storia europea prenderebbe a procedere a ritroso.
Se invece prevarranno il senso di responsabilità e la volontà di fare dell'immigrazione un volano della crescita e dello sviluppo, sarà possibile costruire quello spazio di sicurezza, libertà e giustizia indispensabile per dare all'Europa e alla comunità mondiale il futuro di stabilità e di pace duratura che tutti auspichiamo.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie al Presidente Pier Ferdinando Casini non solo per quello che ha detto sul tema immigrazione, ma anche per i complimenti che ha voluto rivolgere al Comitato e al lavoro che ha fatto. Spero che i suoi impegni gli permettano di rimanere per sentire i colleghi, l’onorevole Landi e il senatore Bedin. Nel frattempo il nostro programma prevede l’intervento del dottor Luca Dall’Oglio. Il dottor Luca Dall’Oglio è Osservatore permanente dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni all’ONU. Prego, dottor Dall’Oglio
Luca DALL’OGLIO, Osservatore permanente dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni presso l’ONU. Signor Presidente della Camera dei Deputati, Signor Presidente del Comitato Parlamentare, Signor Vicepresidente della Commissione Europea, Onorevoli Parlamentari, Signore e Signori, sono particolarmente onorato dell’invito che mi è stato rivolto a partecipare a questo convegno per la presentazione degli atti dell’indagine conoscitiva che rappresenta un’importante sintesi di un lungo e approfondito lavoro. Credo che nell’invitare “l’osservatore” dell’OIM presso le Nazioni Unite a New York, il Comitato abbia voluto rilevare l’importanza del dibattito e dell’azione internazionale a livello multilaterale. Come giustamente viene sottolineato nel documento conclusivo dell’indagine, “la migrazione internazionale è balzata in primo piano nell’agenda internazionale e si è resa evidente la necessità di una collaborazione internazionale per affrontarne le sfide e per raccoglierne i benefici”.
Ed effettivamente, mai come in questo periodo abbiamo assistito all’attenzione crescente che il dibattito internazionale ha prestato alla tematica migratoria. Uno degli sviluppi più significativi degli ultimi dieci anni è stata l’emergenza delle migrazioni come problematica chiave della globalizzazione. Accanto alle altre forze che hanno contribuito a globalizzare il mondo – dallo scambio mondiale di idee e di immagini e informazioni alla grande mobilità umana – la migrazione si è trasformata in un fenomeno che non riguarda più un numero limitato di paesi, come invece avveniva nel secolo scorso. Oggi le migrazioni internazionali interessano tutti i paesi del mondo, a prescindere dal fatto che si usi la “trilogia” paese di origine, paese di destinazione e paese di transito, una questione che alimenta ancora interessanti dibattiti, in particolare quando si ha l’impressione, o meglio, la falsa impressione, che questa discussione riguardi unicamente i paesi industrializzati dell’occidente. Le cose non sono più in questi termini. Come esempio vorrei citare il prossimo Vertice dell’Unione Africana che si terrà a Tripoli il prossimo luglio. Tra le direttive che saranno poste all’attenzione dei capi di stato e di governo dell’Unione Africana figura un “quadro di riferimento strategico per le politiche migratorie in Africa”, un documento a cui l’OIM ha prestato la sua collaborazione e che offre indirizzi in aree quali l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di immigrazione; il rafforzamento e la modernizzazione della gestione e dei controlli alle frontiere; lo sviluppo di politiche integrate nazionali e regionali che includano procedure comuni in materia di immigrazione e asilo; ulteriori sforzi nella lotta contro il crimine transnazionale organizzato fra cui la ratifica di accordi bilaterali e multilaterali; la criminalizzazione dei reati connessi al traffico e alla tratta e l’applicazione delle pene. In breve, constatiamo come sia emersa un’agenda veramente globale su queste tematiche.
Come l’esempio citato sopra dimostra, in ambito politico questo cambiamento produce un profondo impatto. Se è vero che le decisioni politiche in materia di immigrazione continuano ad essere un diritto sovrano di ciascuno stato, la capacità di esercitare tale diritto non può più essere gestita dall’alto di una torre d’avorio. La consapevolezza degli effetti che le decisioni di politica migratoria producono sui più ampi rapporti bilaterali e internazionali ha comportato, in primo luogo, il riconoscimento della necessità di una maggiore consultazione a livello multilaterale e, in secondo luogo, il riconoscimento della necessità di una maggiore cooperazione internazionale se si vuole che quelle stesse decisioni di politica migratoria siano attuabili e conducano a un’effettiva gestione della migrazione.
Vorrei a questo proposito sottolineare come il rapporto recentemente presentato dal Segretario Generale Annan “In Larger Freedom: towards development, security and human rights for all” identifica le migrazioni internazionali come una delle “priorità per un’azione globale” sulle quali una riformata organizzazione dell’ONU dovrebbe essere in grado di poter svolgere con più incisività la propria azione di indirizzo e di stimolo per la cooperazione internazionale. Il rapporto del Segretario Generale chiaramente inserisce le migrazioni internazionali tra quelle tematiche globali ed epocali destinate a divenire aree chiavi della global governance, quali la sostenibilità ambientale o i negoziati sul commercio internazionale.
In queste settimane, il rapporto del Segretario Generale è ovviamente oggetto di discussione nel contesto delle importanti decisioni da prendersi in occasione del Vertice di settembre nell’ambito delle proposte sulla riforma del Consiglio di Sicurezza, e delle altre misure urgentemente necessarie per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio (i famosi Millennium development goals). Non è questo il contesto per entrare nel merito del complesso processo di riforma delle Nazioni Unite, ma non dovrebbe però sfuggire che in aggiunta alle più note tematiche legate alla sicurezza e allo sviluppo, il programma di riforma dell’ONU prevede che anche nel campo della gestione dei flussi migratori si possa in breve tempo promuovere iniziative concrete per rafforzarne l’architettura del sistema multilaterale.
A questo proposito, sono due le maggiori iniziative promosse dall’ONU per affrontare la sfida posta dalle migrazioni internazionali e sulle quali nei prossimi mesi si focalizzerà l’attenzione dei paesi membri.
In primo luogo la creazione di una Commissione Globale sulle Migrazioni Internazionali. La Commissione Globale è stata caldeggiata personalmente dal Segretario Generale dell’ONU e da un certo numero di paesi. Creata nel dicembre del 2003 ha visto successivamente numerosi paesi aggiungersi a questa iniziativa per appoggiarne i lavori in un gruppo di sostegno aperto presieduto dalla Svezia e dalla Svizzera. La Commissione è composta da 19 commissari, è un organo indipendente e presenterà il suo rapporto finale al Segretario Generale nell’estate prossima. L’obiettivo della Commissione è di analizzare i deficit esistenti negli attuali orientamenti politici, promuovere una cornice per la formulazione di una risposta coerente, comprensiva e globale alla governabilità migratoria.
La seconda iniziativa riguarda “Il Dialogo intergovernativo di Alto Livello sulle Migrazioni Internazionali” previsto per la seconda metà del prossimo anno a New York nell’ambito dei lavori della 61° sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU. E’ questa sicuramente un’iniziativa coraggiosa ma anche rischiosa se dovesse risultare in un confronto sterile tra posizioni difficilmente conciliabili. Iniziativa che prende le mosse dalla Conferenza del Cairo del 1994 su “Popolazione e Sviluppo”, e che è stata fortemente voluta da un certo numero di middle-income countries caratterizzati da forti flussi migratori e a cui solo recentemente hanno aderito paesi di immigrazione. Se gestito con giudizio e in misura equilibrata e integrata, accuratamente preparato, e attento a evitare contrapposizioni, questo Dialogo potrà offrire un’opportunità unica per maturare un’agenda di lavoro condivisa in quelle aree dove è già maturato un sentire comune, consolidando alcune iniziative governative e intergovernative che sono state appoggiate e promosse dalle Nazioni Unite, dall’OIM e da altre istituzioni interessate a seguito della conferenza del Cairo.
Tra queste aree di interesse comune si può certamente menzionare il rapporto fra fenomeno migratorio e sviluppo economico e sociale dei paesi di emigrazione, al fine di identificare le modalità di azione che contribuiscano ad una politica migratoria attenta a favorire gli effetti positivi delle migrazioni internazionali sullo sviluppo. In questo campo rientrano la valorizzazione delle comunità all’estero e l’attenzione alle risorse umane, culturali e imprenditoriali acquisite da queste comunità (e le loro “rimesse” intellettuali e finanziarie).
Viceversa, si dovrà prestare attenzione alle preoccupazioni di quei paesi che hanno sollecitato la promozione di un “reclutamento etico”, se posso usare questo termine, cioè sensibile alle vulnerabilità che un reclutamento indiscriminato sul mercato del lavoro internazionale può creare in settori particolarmente delicati quale quello della salute in paesi, ad esempio, già colpiti da emergenze sanitarie. Oltre al rapporto migrazione/sviluppo sostenibile, le tematiche legate alla lotta alla criminalità transnazionale organizzata e alla protezione di donne e minori da fenomeni quali quello della tratta di esseri umani possono trovare anch’esse un’eco importante nel Dialogo di Alto Livello e maturare ulteriore consenso e impegno internazionale. Il Dialogo potrebbe costituire un forum rilevante per promuovere la necessità di un più ampio accesso ai pertinenti strumenti legislativi internazionali.
Nella lotta globale contro la criminalità organizzata transnazionale, e con i due protocolli aggiuntivi della Convenzione, contro la tratta di persone e sull’introduzione clandestina di migranti, l’ONU ha già ottenuto molto in campo normativo. E’ giusto ricordare che entrambi questi strumenti sono entrati in vigore circa tre anni dopo la loro adozione da parte delle Nazioni Uniti nel 2000, un tempo relativamente breve, e sono stati ratificati al momento da 81 e da 70 paesi rispettivamente. Molto resta da fare per dare concreta attuazione a questi strumenti, significativamente nel campo della prevenzione, e l’OIM è particolarmente impegnata in questo senso; ma non possiamo non rilevare quanto sia maturata in questi pochi anni l’attenzione istituzionale e della società civile verso questi fenomeni e quanti paesi abbiano adottato politiche nazionali e strategie per combattere la tratta, attraverso misure legislative, campagne di informazione, protezione e assistenza delle vittime, penalizzazione dei trafficanti e cooperazione internazionale. In questo campo, come in generale nella gestione delle migrazioni nei paesi in via di sviluppo, una delle sfide principali resta quella dell’ammodernamento amministrativo e del capacity building per l’effettiva formulazione e attuazione delle politiche migratorie. Anche in questo caso, il Dialogo del prossimo anno potrà offrire opportunità per incoraggiare ulteriori ratifiche e per la promozione della cooperazione tecnica bilaterale e multilaterale al fine di sostenere, dove necessario, le capacità degli altri paesi ad attuare efficacemente gli impegni multilaterali. L’Italia ha acquisito competenze uniche in questo settore e sarà in grado di offrire un notevole contributo. Inoltre, la definizione di una linea comunitaria in materia di immigrazione economica attraverso il “Libro Verde” come testé ricordato, permetterà ai paesi dell’Unione europea di svolgere un ruolo proattivo e incisivo per far sì che tale dialogo produca, da una parte, risultati pratici e significativi e, dall’altra, risultati il più possibilmente complementari con le attività dell’ ONU.
Altre ancora possono essere le tematiche da affrontarsi il prossimo anno, quali per esempio le politiche di integrazione come strumento per la stabilità sociale, ma da ultimo ci preme sottolineare come uno dei possibili e più importanti risultati delle prossime iniziative sopra descritte sia proprio quello di promuovere un meccanismo di continuità che possa offrire una piattaforma non sporadica o settoriale, ma incoraggiare un approccio comprensivo, cooperativo e continuato alla gestione migratoria. Questo richiederebbe un impegno per un coordinamento più efficace, sia a livello nazionale che internazionale, per una maggiore integrazione, coerenza e incisività in ambito migratorio.
Da ultimo il Dialogo di Alto Livello potrebbe favorire misure volte a garantire che gli obiettivi e gli strumenti multilaterali abbiano l’impatto che meritano. Offrire un quadro sistematico per la cooperazione in materia migratoria può richiedere un rafforzamento del mandato di alcune agenzie quali l’OIM. In questo contesto, appare infine utile far riferimento all’osservazione contenuta nel documento dell’indagine conoscitiva che evidenzia la necessità di una razionalizzazione delle azioni svolte dai diversi organismi internazionali. A tale proposito è opportuno rilevare l’importanza di una maggiore collegialità e la necessità di evitare duplicazioni fra le agenzie internazionali. A questo scopo l’OIM ha promosso il Geneva Migration Group che riunisce i direttori esecutivi di sei agenzie che a diverso titolo si occupano di migrazioni: l’OIM, l’ILO, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti dell’Uomo, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, e l’Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine. Si tratta di un gruppo informale per lo scambio di informazioni e di idee e dove i programmi e gli indirizzi di ciascuna agenzia sono discussi collegialmente ad alto livello. Il Geneva Migration Group si propone quindi di creare effettivi legami, di orientare la leadership in un contesto multilaterale di cooperazione, ottimizzando le capacità collettive a fronteggiare le tematiche migratorie emergenti. Così come suggerito dall’indagine conoscitiva, il Dialogo potrebbe prendere in considerazione ulteriori modalità volte ad accrescere la cooperazione fra le agenzie internazionali.
Signor Presidente, mi era stato chiesto di concentrare il mio intervento sulle iniziative emergenti a livello internazionale e di esporre in che modo l’OIM, in quanto agenzia internazionale operativa direttamente interessata, giudica l’attuale situazione da alcuni definita come un incessante proliferare di nuove iniziative. Come comporre insieme le tessere di questo mosaico e come trarne un quadro coerente? Mentre il futuro sembra essere foriero di opportunità, il presente è già carico di notevoli sviluppi, particolarmente a livello regionale e sub-regionale, dove in effetti si sono moltiplicati gli sforzi messi in atto da paesi appartenenti a medesimi contesti geopolitici per dotarsi di approcci e tavole di lavoro regionali volti a promuovere la collaborazione in materia migratoria. L’OIM è profondamente coinvolta nella promozione, creazione e supporto di tali meccanismi consultativi regionali che si sono negli ultimi anni estesi sino a interessare tutte le aree geografiche. Proprio la settimana scorsa, sotto gli auspici dell’OIM e della Commissione Globale, si è tenuta a Ginevra la prima riunione congiunta di ben 13 gruppi consultativi regionali. Tra questi, la Conferenza Ministeriale sull’immigrazione clandestina e la lotta contro la tratta di esseri umani (o conosciuta come Bali Process che raggruppa 40 paesi dell’Asia e del Pacifico), il Gruppo di Budapest; la Conferenza Regionale sui flussi migratori in Centro e Nord America (conosciuto meglio come il Puebla Process) e per non tralasciare nessuna area geografica, il Migration Dialogue nell’Africa del sud. L’obiettivo del seminario era di confrontare i rispettivi metodi di lavoro e priorità, valutare l’efficacia e i risultati raggiunti, nonché considerare proposte per favorire sinergie a livello globale tra queste varie reti. Oggi possiamo contare ben 142 stati che in tutto il mondo partecipano a questi vari processi consultativi regionali sulle migrazioni. Che operino nell’ambito della migrazione economica o della lotta all’immigrazione clandestina, o al traffico di esseri umani, o dello scambio di dati e informazioni, questo nuovo spirito di cooperazione regionale che anima tali variegati processi va indubbiamente sostenuto. Questi meccanismi svolgono un ruolo cruciale nel consolidare la cooperazione internazionale attraverso la promozione e lo scambio di esperienze ed expertise, l’apertura di nuovi canali di comunicazione reciproca e contribuiscono a rafforzare la fiducia reciproca e a costruire partenariati per attività comuni. I gruppi maggiormente avanzati e consolidati dispongono ora delle capacità per offrire nuovi modelli e good practice, generando così un effetto di traino nei confronti di quei raggruppamenti che ancora non dispongono della maturità necessaria. Effettivamente, tali processi regionali potranno costituire i fili con cui tessere l’ordito di un consenso globale sulla governabilità migratoria in futuro.
Tali organismi regionali, così pure le varie parti dell’amministrazione pubblica incaricate di gestire le relazioni tra le migrazioni da una parte e il commercio internazionale, il mercato del lavoro, lo sviluppo dei popoli, i diritti umani, le pari opportunità e l’eguaglianza di genere, - e potrei continuare visto quanto sono numerosi e variegati questi legami - dall’altra, devono raccogliere la sfida di percepire il proprio ruolo all’interno di una politica integrata e coerente, senza tralasciare di inviare un messaggio univoco ai diversi organismi internazionali a cui partecipano.
Per quanto riguarda l’OIM, è proprio questo messaggio, “Verso una politica coerente delle migrazioni”, che sarà il tema a cui l’organizzazione dedicherà la sua riflessione durante l’anno in corso e che culminerà al Consiglio dell’OIM il prossimo dicembre. In considerazione del fatto che a livello internazionale non esiste uno strumento giuridico sopranazionale o un unico quadro normativo vincolante che disciplini i flussi migratori, e in considerazione del carattere transnazionale e multidisciplinare delle migrazioni, la coerenza delle politiche e delle pratiche ha assunto una dimensione prioritaria che richiede uno sforzo dedicato.
In questa stessa ottica, metteremo a disposizione dei paesi membri una serie di criteri per le good practices, volti a favorire un approccio pianificato, bilanciato e comprensivo alla gestione migratoria. Queste buone pratiche sono il risultato della cosiddetta “Iniziativa di Berna”, l’ultimo dei processi consultativi che volevo ricordare in questa sede. E’ questo un processo intergovernativo promosso appunto dal governo svizzero a cui l’OIM ha offerto il suo sostegno tecnico nel corso degli ultimi tre anni. L’Iniziativa di Berna prende le mosse dalla consapevolezza dell’assenza di un quadro normativo vincolante; e riconosce altresì che in un consenso globale su tale quadro normativo non è all’orizzonte in tempi brevi. Al contempo però, possiamo fare riferimento alla ricca normativa esistente nel settore dei diritti umani, dell’asilo, dell’azione umanitaria, della protezione sul lavoro e del controllo delle attività criminali. Molti di questi strumenti normativi sono poco conosciuti, limitati nella loro diffusione, e ancora meno resi operativi. Per questa ragione, e attraverso la divulgazione dei risultati dell’Iniziativa di Berna, l’OIM si propone di individuare quei criteri che possono rappresentare una guida alle good practice e alla cooperazione in tutti i settori della gestione migratoria in vista di favorire la collaborazione fra gli stati.
In conclusione, ciò che a prima vista può apparire come una serie di istituzioni e iniziative sovrapposte e disordinate e a volte frammentarie, in realtà, si profila ad un esame più attento – e spero che ne converrete con me – come un quadro d’insieme ben più ricco di sfumature. Sarebbe ingenuo da parte mia pretendere che questo sia il modo più efficiente per governare questo fenomeno; ma i flussi migratori non sono gestibili come affari correnti, in quanto ancora oggi costituiscono una tematica delicata e fonte di potenziale conflitto per la comunità internazionale.
Ho cercato di descrivere alcune delle attuali iniziative prese a livello multilaterale per contribuire ad una migliore comprensione e raggiungere parametri condivisi – dalle azioni puntuali alle ambizioni di più ampio respiro – e come tali iniziative possono complementarsi vicendevolmente. Col tempo, si potrà mettere a punto un’unica cornice sopranazionale, ma ciò sarà possibile solo dopo la maturazione di un ampio consenso, l’individuazione di soluzioni coraggiose, realistiche e coerenti e la manifestazione di una decisa e forte volontà politica. Nel frattempo, molto si può già realizzare con i meccanismi a disposizione. E l’Italia potrà continuare a contribuire in questo processo se saprà utilizzare a pieno i canali della cooperazione multilaterale, arricchendo il dibattito con la sua impareggiabile esperienza acquisita nel campo della migrazione.
Grazie per la vostra attenzione.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie al dottor Dall’Oglio. Il Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini è atteso per la Conferenza dei Capigruppo e quindi lo salutiamo ringraziandolo ancora per la sua presenza. Chiedo ora al senatore Tino Bedin, senatore della Margherita molto presente e molto attivo nel Comitato, di fare il suo intervento. Grazie, senatore Bedin.
Tino BEDIN, Componente del Comitato. Ringrazio il presidente di Luca che mi ha dato la possibilità di contribuire alla presentazione del documento che conclude l'indagine parlamentare su "Gestione comune delle frontiere e contrasto all'immigrazione clandestina in Europa". Il documento conclusivo ha trovato il consenso del Comitato bicamerale Schengen, Europol e Immigrazione. Il consenso non è né scontato né usuale su un tema quale è quello della mobilità delle persone sul pianeta. Nel nostro caso, ci siamo arrivati sia perché il percorso dell'indagine è stato elaborato consensualmente, sia perché - al di là di accentuazioni e di sottolineature che anche in questa sede sono state fatte e saranno fatte - le conclusioni danno il senso dell’approccio aperto del nostro lavoro.
L'immigrazione incalza, incrocia e inquieta la società italiana. Le risposte legislative sono politiche, ma anche esistenziali e quindi per loro natura incomplete e modificabili. Non volevamo perciò dimostrare una tesi, ma ricercare gli spazi e le prospettive per la gestione di una condizione umana, economica e culturale con la quale confrontarci e non tanto scontrarci.
Questo è lo spirito delle conclusioni della nostra indagine. Lo si è colto anche nella presentazione che è stata fatta dal presidente del Comitato. Lo abbiamo ascoltato nei programmi e nelle valutazioni del vicepresidente della Commissione Europea.
Quanto ai risultati, l'indagine ci consente di condividere alcune constatazioni: la mobilità delle persone è condizione globale, che sarebbe illusorio affrontare singolarmente da singoli Stati; la realtà dei fatti rende velleitaria qualsiasi barriera e fa optare per regolamentazioni comuni; le esigenze dei paesi d'origine sono altrettanto rilevanti di quelle dei paesi di accoglienza degli immigrati; le risorse individuali, e non solo collettive, degli immigrati suggeriscono strumenti di selezione e valorizzazione delle competenze; la salvaguardia dei diritti umani è la premessa di ogni politica della mobilità economica sul pianeta.
L'articolazione del convegno mi consente solo brevi "sommari" esplicativi ai "titoli" dell'indice che ho suggerito.
Dovendo indicare il risultato politico più rilevante di questa nostra indagine, non ho dubbi nel richiamare l'attenzione sulla verificata dimensione non strettamente nazionale dei movimenti di popolazione nel nostro tempo. Uno dei limiti dell'azione politica italiana di questi ultimi anni è stato infatti la duplice e contrastante pretesa di decidere da una parte in proprio le regole sull'immigrazione e dall'altra di chiedere la "protezione" della comunità internazionale, soprattutto dell'Unione Europea, nell'applicazione di queste regole nel contrasto dell'immigrazione clandestina. Così - date le competenze del Comitato parlamentare Schengen, Europol e Immigrazione - se il punto di partenza è stato quello proposto dal titolo dell'indagine, il punto di arrivo può essere sintetizzato da questa consapevolezza, che cito dalle conclusione: «La migrazione internazionale appare come una necessità strutturale che deve essere governata con programmi specifici, adottando, come da più parti è richiesto, un approccio regionale, che salvaguardi la specificità dei diversi contesti geopolitici e la collaborazione fra paesi appartenenti alla stessa area».
Per quanto riguarda la dimensione europea del fenomeno, bene è espressa in questi due passaggi del documento conclusivo: «Il cammino verso una politica comune in materia di immigrazione e asilo, che è alla base della concreta realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non è ancora giunto a termine... È tuttavia opportuno che la politica europea non si limiti a controllare o a respingere l'immigrazione clandestina ma apra all'immigrazione legale nuovi canali che tengano conto delle diverse esigenze del sistema economico-produttivo di ogni paese: una buona politica di immigrazione legale può così diventare lo strumento più efficace per combattere l'immigrazione clandestina».
Si tratta di scelte inevitabili. Come dimostra il decreto flussi emanato dopo la conclusione della nostra indagine.
Nel 2005 l’Italia ha ammesso l’ingresso complessivo di 160.000 lavoratori stranieri. Tra questi, il decreto che regola i flussi migratori riserva 79.500 ingressi a lavoratori di paesi extracomunitari, di cui 25.000 stagionali. Complessivamente si tratta dello stesso numero del 2004, ma al suo interno gli stagionali sono stati dimezzati.
Questo significa che la stabilizzazione delle presenze è considerata una condizione di migliore gestione della situazione. Significa prendere atto di quello che gli organismi delle Nazioni Uniti hanno ormai verificato in merito alla natura strutturale degli spostamenti di persone nel pianeta.
In più nel decreto-flussi per il 2005 vengono aggiunti altri 79.500 posti per lavoratori provenienti dai dieci paesi entrati nel 2004 nell’Unione Europea; il che equivale a riconoscere che nell’area comunitaria questo è il flusso che si genera spontaneamente e che non sarebbe possibile contrastare. Questo corrisponde a quell'approccio regionale che abbiamo indicato come strumento di governo del fenomeno e corrisponde anche all'obiettivo, da noi condiviso, di preparare nei fatti la libera circolazione dei lavoratori nell'Unione europea nel periodo di transizione previsto dai Trattati di adesione dei paesi neocomunitari.
Al conto degli ingressi legali che abbiamo citato bisogna poi aggiungere i ricongiungimenti familiari.
In proporzione alla popolazione, l’Italia accetta lo stesso numero di immigrati degli Stati Uniti, circa un milione in una popolazione cinque volte più grande. Negli Usa gli immigrati sono tuttavia assai più numerosi se si calcolano gli irregolari, stimati tra gli 8 e i 12 milioni, fenomeno che richiede in qualche modo di essere governato. È un dato che abbiamo verificato anche nei nostri incontri a New York con i rappresentanti della municipalità; incontri che sono stati illuminanti, non solo perché ci hanno fatto conoscere un fenomeno di cui poco si parla e che sembrerebbe inconcepibile con la blindatura degli Stati Uniti dopo l'11 settembre, ma anche perché ci hanno confermato che l'approccio pragmatico di accettare l'immigrazione non regolare senza provvedere all'organizzazione dei diritti ma solo a quella dei doveri degli immigrati, non è una prospettiva di sicurezza per gli Usa.
In effetti il presidente Bush, dopo la sua rielezione, si dimostra consapevole di non poter confidare solo su azioni di controllo e, nonostante l’ostilità di buona parte del suo partito, è intenzionato a procedere a una sorta di regolarizzazione dei clandestini, soprattutto ai fini della sicurezza interna. Intanto la legge di bilancio 2006 ha attribuito un sostanzioso aumento di risorse al Dipartimento per la sicurezza: lo scopo è quello di arrivare alla legalizzazione, attraverso il "riconoscimento civile" di questi milioni di persone.
In questa maniera gli Stati Uniti daranno un contributo decisivo alla realizzazione del Puebla Process, che ha coinvolto Canada, Messico e Stati Uniti e che si è ora esteso ad altri paesi del Centroamerica e alla Repubblica Domenicana, finalizzato alla gestione dell'immigrazione, ma anche alla difesa dei diritti umani, alla cooperazione internazionale e alle relazioni economiche più generali. Il Puebla Process è un esempio di approccio globale, al quale ci si potrebbe rifare per l'area euromediterranea.
Il decreto-flussi del 2005 conferma infatti che, in Europa, l’Italia è con la Spagna, il maggiore magnete migratorio. Ciò le imporrebbe di accreditarsi come paese europeo di avanguardia, capace di creare politiche per l’accoglienza e l’inserimento, e non solo politiche relative a controlli e rifiuti. Del resto, la necessità di incamminarsi su questa strada è stata riconosciuta, come ci ha ampiamente illustrato il commissario Frattini, anche dalla Commissione europea che l’11 gennaio scorso ha approvato il Libro verde sull’approccio dell’Ue alla gestione della migrazione economica, con il quale sollecita una discussione e contributi.
Un criterio politico del nuovo corso di gestione potrebbe essere quello di considerare non solo le esigenze dei paesi di accoglienza, ma anche quelle dei paesi d’origine. In altre parole, l’Europa dovrebbe interrogarsi sulle cause che provocano l’immigrazione da noi e l’emigrazione dai paesi extracomunitari, e sulla necessità di cooperare con quest’ultimi per ridurne le cause. Intendo dire: instaurare una cooperazione non solo poliziesca.
Le sperimentazioni suggerite dalla Commissione Europea sono tutte interessanti.
Una è l’approccio orizzontale per disciplinare l’ingresso e il soggiorno dei lavoratori stranieri che si fermano in uno Stato membro per più di tre mesi, prevedendo disposizioni specifiche per esigenze particolari quali il lavoro stagionale o il distaccamento intrasocietario. In questo modo si creerebbe una disciplina comune globale molto flessibile. Un’altra proposta è la procedura comune accelerata per l’ammissione di lavoratori nei casi di carenza di manodopera e di qualifiche specifiche, da adottarsi quando un certo numero di Stati membri ottenga l’autorizzazione dal Consiglio. Potrebbe poi essere accordata la cosiddetta preferenza comunitaria a quei cittadini stranieri che già lavorano in uno Stato membro perché si spostino in altri stati. Analogamente potrebbero essere privilegiati coloro che hanno già lavorato in passato nell’Unione europea.
Un’altra buona idea, suggerita dalle conclusioni di una ricerca dell’università Luiss, potrebbe essere quella di costituire una banca dati nazionale in cui si possano registrare, sistematicamente e in tempo reale, i dati anagrafici e professionali dei cittadini extracomunitari che entrano in Italia e con cui far incontrare, senza forma alcuna di intermediazione, la domanda di lavoro degli imprenditori italiani con l’offerta dei lavoratori immigrati. In questo modo si potrebbero snellire le procedure di assunzione e dunque di inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e compensare prontamente eventuali carenze di manodopera in determinate aree territoriali con eventuali surplus in altre zone d’Italia, evitando ritardi e inefficienze.
Con questo strumento l'Italia potrebbe contribuire concretamente, oltre che politicamente, a definire una strategia europea per gestire i flussi migratori come leva per lo sviluppo.
Una gestione, e lo ha ricordato il Presidente Casini, e mi fa piacere, perché lo avevo sottolineato e lo sottolineo ancora, una gestione che non si accontenti di prendere atto dell'attrazione che l'Unione europea esercita, sia al proprio interno che all'esterno, nei confronti di alcune categorie di lavoratori, ma sia in grado di selezionare le risorse umane che giungono sul suo territorio e di conoscere chi entra in Europa.
Una politica tanto più necessaria per attrarre in Italia i talenti del resto del mondo. Infatti, il numero di studenti e di ricercatori extraeuropei presenti Italia è estremamente basso, anche se la qualità della nostra vita e la tradizione delle nostre storiche università dovrebbero consentirci di primeggiare in questo campo.
Si tratta di proposte avanzate dai Giovani Imprenditori di Confindustria che hanno verificato l'urgenza di altre iniziative: cambiare il sistema delle quote; incentivare la legalità degli immigrati per aumentare la sicurezza; semplificare le procedure.
Dobbiamo guardare avanti e guardare avanti insieme. Per questo concludo richiamando il lungo elenco di azioni suggerite al governo italiano dalla Commissione diritti umani del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite durante la visita in Italia nel giugno 2004. Il suo scopo era duplice: assumere informazioni sulla sicurezza delle frontiere e sull’accoglienza dei clandestini e verificare l’impatto sulle politiche di integrazione della riforma introdotta dalla legge 189 del 2002 "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo". Particolare attenzione è stata inoltre posta al traffico di esseri umani, ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati.
Il Rapporto, presentato nel novembre 2004, si conclude con una serie di raccomandazioni che qui sintetizzo, non solo come ulteriore elemento di documentazione per il lavoro svolto dal nostro Comitato, ma anche come personale condivisione del percorso che abbiamo davanti, percorso che non può non partire dalla valorizzazione dei diritti umani.
Su questo terreno il Rapporto impegna l'Italia a ratificare la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie e la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale con l’annesso protocollo.
Per quanto riguarda la condizione delle persone straniere presenti nel nostro territorio, particolare cura ci viene richiesta dalle persone che sono in carcere, affinché la detenzione non sia una condizione che determini ulteriore illegalità. Anche per i rischi derivanti dalla criminalità ci sono degli antidoti: per i prigionieri stranieri - raccomanda l'ONU - creare alternative al carcere, come accordi con i paesi di origine e occasioni di riabilitazione con il lavoro; analizzare la relazione tra discriminazione tra immigrati e l’alta percentuale di stranieri in prigione per reati minori; rendere disponibili interpreti nelle prigioni.
Ma cito anche: fare in modo che chi chieda l’asilo non cada nell’illegalità; risolvere il problema della casa; rendere disponibili insegnanti di italiano e mediatori culturali, specialmente nei rapporti tra scuola e famiglia; migliorare l’assistenza sanitaria dei clandestini, specie in campo pediatrico, della maternità e delle malattie sessualmente trasmettibili.
Un capitolo della difesa dei diritti umani riguarda la protezione dei migranti contro la tratta di esseri umani, nelle sue varie forme, sempre gravi e alcune tragiche. Per questo obiettivo ci sono alcuni suggerimenti operativi anche molto diversi tra loro: mettere in atto programmi di cooperazione allo sviluppo e punti informativi nei consolati; coinvolgere le regioni e le forze sociali relativamente al mercato del lavoro che assorbe gli immigrati; rendere più agevole il rinnovo del permesso di soggiorno; introdurre i visti per i lavoratori che si rivolgono alle piccole imprese o per i lavoratori autonomi, come quelli che curano gli anziani o che lavorano negli alberghi; armonizzare le qualifiche e le professionalità e ridurre gli incidenti sul lavoro e infine favorire la mobilità professionale.
C’è un punto, e lo richiamo per ultimo, che già la relazione del rapporto del novembre scorso richiamava, che è diventato di attualità in questa settimana, in occasione di un voto al Parlamento europeo. Mi riferisco alla situazione di Lampedusa e al sistema dei rimpatri forzati. Il rapporto cita già il caso specifico e chiede all'Italia di assicurare assistenza sanitaria a coloro che arrivano a Lampedusa, ricordando inoltre che la priorità dovrebbe essere la corretta identificazione degli immigrati e non l’immediato trasferimento, poiché in linea generale ci è chiesto di sviluppare programmi di ritorno volontario in patria.
Ho tenuto per ultima la situazione di Lampedusa, sulla quale abbiamo registrato il richiamo recente del Parlamento europeo, perché anche in questo caso al netto dissenso nei confronti delle scelte compiute dal governo, ho voluto premettere le condizioni di una politica attiva, che mi auguro sia l'asse portante di ogni politica nel settore, proprio come emerge dalla nostra indagine.
Io credo che sia necessario, sul tema dello spostamento di persone sul pianeta, avere, come è stato detto nel corso di tutti gli interventi, un approccio complessivo che tenga conto di tutte le differenze.
Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha detto nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, il 1° gennaio 2001, «Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla problematica delle migrazioni, rilevante fenomeno sociale del nostro tempo". Anche in memoria di Giovanni Paolo II, io credo che per risolvere questo problema serva molto dialogo tra noi: noi italiani, noi europei, noi… cittadini del mondo.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie, senatore Bedin. Ho lasciato che parlasse qualche secondo in più, vista la sua puntuale presenza e l’importante contributo dato durante questi anni e soprattutto in quest’ultima indagine conoscitiva. Darei la parola all’onorevole Gian Paolo Landi di Chiavenna di AN per il suo intervento.
Gian Paolo LANDI di CHIAVENNA, Componente del Comitato. Caro commissario, non sta a me ricordarle quanto sia complesso e difficile il compito che Lei ha assunto. Anche se nel gergo politicamente corretto si dice che l’immigrazione sia un’opportunità e una risorsa, credo che alla luce di quanto abbiamo assistito negli ultimi anni, più che definire l’immigrazione come un’opportunità e una risorsa, essa debba essere considerata una situazione di fatto alla quale dobbiamo porgere quell’attenzione necessaria che essa richiede. Definire l’immigrazione una risorsa può aprire la via a delle valutazioni di carattere ideologico e solidaristico, valutazioni che a mio avviso ci potrebbero forviare dalla necessità di affrontare in modo razionale e pragmatico questo fenomeno. L’immigrazione è un dato di fatto; pertanto non mi sento di definirla un’opportunità o una risorsa.
L’Europa ha, ed è stato ricordato adesso, un tasso di crescita ovviamente minimale, zero di crescita, al contrario in molti paesi poveri o in paesi anche emergenti assistiamo a un’esplosione demografica. Recentemente mi ha molto colpito un dato rilevato dal Comitato durante una missione svolta, nell’ambito di questa nostra indagine, presso la sede di New York delle Nazioni Unite: in una settimana il tasso di natalità in India è pari al tasso di natalità in Italia di un anno intero. Allora, capite perfettamente che se questi sono i tassi di natalità dell’India e di tutti i paesi emergenti o poveri, è evidente che questa massa, questi flussi imponenti di migrazioni che spingono dal sud verso il nord o comunque dai paesi poveri verso i paesi industrializzati, sono un fenomeno che va affrontato e regolato in modo serio e compatibile, tenendo conto evidentemente che c’è una forte richiesta di manodopera, e questo è giusto riconoscerlo, da parte dell’Europa e dei paesi industrializzati. Una richiesta però che, per quanto riguarda almeno la specificità italiana, mi pare che non sia definibile come una richiesta di manodopera qualificata. E’ una richiesta di manodopera per attività che, dal punto di vista degli approcci culturali, i nostri giovani, la popolazione italiana non intende più fare e quindi necessariamente abbiamo bisogno di ricorrere a una forza lavoro immigrata che supplisca a tutta una serie di attività che in Italia i giovani italiani non sono più nelle condizioni sociologiche di affrontare. Quindi, di fronte a questi scenari, a queste grandi sfide proposte dalle migrazioni, prima fra tutte il grande tasso di esplosione demografica dei paesi più poveri, mi chiedo, e lo chiedo in maniera molto aperta, al di fuori da quelle che sono le opportunità di valutazione dell’etico politicamente corretto, mi chiedo se l’Europa, signor commissario, non abbia l’opportunità e il dovere di porsi questo problema. Il problema di intervenire, non in modo invasivo, bensì di riflettere politicamente come Unione europea sul tasso di crescita demografica di molti paesi del Sud del mondo.
Sappiamo che quando si è cercato di intervenire, è stato fatto in Cina e in India in forma legislativa, i risultati non sono venuti. Però, il problema esiste e credo sia opportuno che un esponente del Parlamento che da molti anni si occupa anche di immigrazione, debba sottolineare un problema di compatibilità, dal punto di vista anche della capacità di assorbimento di questi grandi flussi migratori, di questa sperequazione demografica fra il sud o comunque fra una parte del mondo che cresce in modo molto forte dal punto di vista del tasso demografico, e i paesi industrializzati dell’Europa in cui non vi è crescita. I flussi migratori che tendono a portarsi verso i paesi ricchi devono essere allocati, assorbiti.
Un altro grande problema è se l’Europa, quindi anche l’Italia, siano nelle condizioni di poter affrontare, e poi assorbire questi grandi flussi migratori. Siamo nelle condizioni di superare le politiche delle quote nazionali per arrivare a una libera circolazione o all’apertura dei mercati europei nei confronti di grandi flussi migratori, derivanti non solo dall’allargamento dell’Unione ma soprattutto dalle spinte che ci vengono da tutto il mondo? Siamo nelle condizioni, l’Italia è nelle condizioni, di assorbire questi grandi flussi migratori quando sappiamo che in Italia il 70% della presenza immigrata è allocata nel nord del paese e il restante è suddiviso tra centro e sud? Siamo nelle condizioni di poter creare veramente una politica di integrazione quando abbiamo una densità di popolazione nel nord Italia per Km quadrato che ormai è arrivata quasi alla saturazione? Quindi affrontiamo con grande senso di pragmatismo politico il problema dell’immigrazione, considerando anche la capacità europea di poter fare fronte a questa spinta, spinta generata da esigenze di carattere economico ma anche da questioni di carattere più prettamente politico.
Sappiamo perfettamente che certe situazioni di carattere politico, le instabilità del quadro geopolitico di molti paesi, dove le persone vengono private delle libertà personali, dove c’è una chiusura verso le politiche liberali, verso il libero mercato, dove esistono situazioni di povertà quasi endemica, spingono molte persone, purtroppo gente che ha grandi difficoltà di sopravvivenza, a emigrare. Gli squilibri di carattere economico tra nord e sud non possono essere negati. Sostanzialmente l’87% della popolazione del mondo vive con una capacità reddituale molto bassa rispetto alla minoranza delle popolazioni industrializzate che assorbono circa il 70-80% delle risorse prodotte dal pianeta. Questi squilibri di carattere economico creano uno strappo per cui diventa ovvio e naturale che molti paesi, dove esiste una situazione di povertà particolare, spingano gran parte della loro popolazione a emigrare. Creare, quindi, una politica europea che possa andare incontro, non dal punto di vista meramente solidaristico e pietistico, ma dal punto di vista di una grande apertura del commercio internazionale, allo sviluppo e all’emancipazione di molte economie dei paesi poveri.
Voglio sottolineare quello che si è discusso molte volte, e si continua a discutere, nelle grandi organizzazioni internazionali, all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, è necessario che l’Europa si apra, che liberalizzi anche il proprio mercato per cercare di creare un volano di opportunità per le economie dei paesi poveri, per consentire a queste economie povere di poter trovare degli spazi e delle opportunità. Se vogliamo creare condizioni anche di miglioramento di vita economica per queste popolazioni, dobbiamo superare la logica della politica del professionismo europeo. Mi riferisco in particolare alla politica agricola europea; diversamente la spinta di queste quantità impressionanti di persone dal sud verso il nord, nei prossimi anni creerà un vero grande problema all’Europa.
Saper gestire il fenomeno dell’immigrazione non è facile, d’altra parte sappiamo, lo ha detto il presidente di Luca, l’ha sottolineato in maniera molto seria e importante, qual è la quantità di denaro che esce dall’Europa o comunque dai paesi industrializzati per andare a implementare le economie dei paesi poveri, le cosiddette rimesse, quelle legali, e purtroppo anche il flusso di denaro illegale, quello di cui non si ha un controllo diretto dal punto di vista fiscale, sono una delle voci più importanti dei bilanci di molti paesi poveri e quindi è evidente che vi è da parte anche di questi paesi la volontà di spingere verso l’emigrazione, verso i paesi industrializzati. Il ritorno che ne traggono è evidentemente di molta quantità di denaro che va ad aiutare i bilanci di questi paesi. Quindi una sfida epocale, complessa, che dobbiamo affrontare dal punto di vista europeo, italiano, con grande senso di responsabilità, teologizzando, e lo voglio ribadire, il problema dell’immigrazione e soprattutto lavorando verso le politiche dell’integrazione.
Credo che l’esperienza fallimentare del centrosinistra, l’insufficiente capacità di questo governo e di questa maggioranza di aver svolto una azione forte verso le politiche dell’integrazione abbiano lasciato ancora aperto il grande problema di come assimilare le seconde e le terze generazioni. La Francia fallisce con le sue politiche di assimilazione, la Germania fallisce il modello di ospitalità proposto, l’Inghilterra e gli Stati Uniti con le politiche della multiculturalità, mi pare, abbiano delle difficoltà. In Italia la situazione è ancora più difficile, proprio per la specificità della situazione interetnica. Mentre in Francia e in Germania vi è una presenza maggioritaria di specifiche etnie, in Italia ci troviamo di fronte a una presenza parcellizzata di etnie diverse. La politica dell’integrazione è il passaggio cruciale e fondamentale, come si comprende dagli esempi che sono stati citati dell’Olanda, della Francia e della stessa Italia, paesi dove si forma questa enclave di presenza di comunità extracomunitarie sempre più invasive che creano delle situazioni di incompatibilità nella corretta osmosi di presenza e di capacità di integrazione sul territorio nazionale. Ripeto dunque che le politiche dell’integrazione sono un passaggio strategico. Avrei sperato che questo governo potesse, nella discontinuità della politica del centrosinistra, istituire il Ministero dell’immigrazione perché credo che questo sarebbe stato un passaggio focale fondamentale; così non è stato e quindi anche da questo punto di vista auspico che l’Italia possa dotarsi di strumenti e di iniziative che la possano rendere un punto di riferimento politico e culturale in grado di creare le condizioni perché questa dell’immigrazione divenga, nella gestione del problema politico che essa pone, un elemento di osmosi, di capacità di sintesi fra le varie forze politiche e spero che in questo senso anche il centrodestra possa continuare a fare la sua parte. Grazie.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie, onorevole Landi. Chiederei al Direttore centrale dell’immigrazione, il prefetto Alessandro Pansa, di sedersi al tavolo con noi.
Alessandro PANSA, Direttore Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Ministero dell’Interno. Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, signori Parlamentari, Signore e Signori, ringrazio in primo luogo il Presidente per avermi dato l’opportunità di fornire un punto di vista più italiano e limitato all’ambito della sicurezza relativamente ai settori dell’immigrazione e della frontiera. Cercherò di essere sintetico e, pur rischiando di abbassare il tono del livello di analisi, cercherò di focalizzare alcuni aspetti più operativi e più pratici.
Come il Presidente stesso ha detto, in Italia l’approccio al tema dell’immigrazione, dal punto di vista della sicurezza, è stato affrontato su tre fronti diversi ma altrettanto importanti.
Il primo è quello della gestione integrata in via prioritaria dei confini esterni che si sta sviluppando attraverso la realizzazione dell’Agenzia comunitaria per la gestione delle frontiere esterne, dunque attraverso il rafforzamento della cooperazione tra i vari paesi e la condivisione degli oneri. Un secondo punto nodale è costituito dal partenariato con i paesi di origine e di transito dei principali flussi migratori, mentre l’ultimo aspetto è quello relativo alla gestione dei flussi legali attraverso accordi con gli Stati di origine.
L’approccio dell’Italia è stato chiarissimo già nel semestre di presidenza italiano e, come ha ampiamente illustrato il vicepresidente Frattini, successivamente è stato portato avanti fino a essere di recente condiviso dall’Unione. La Commissione ha previsto tre strumenti finanziari particolarmente importanti, ma Signor commissario, se mi consente, vorrei esprimere la speranza che questo ampliamento delle capacità finanziarie sia seguito da una modifica immediata del sistema di accesso ai fondi. Le regole fino a oggi adottate, pur senza voler disconoscere l’esigenza del rigore con cui i fondi devono essere allocati, devono essere più snelle: non si possono presentare dei progetti un anno, finanziarli l’anno successivo e realizzarli dopo due anni. Purtroppo il fenomeno dell’immigrazione ha un’evoluzione enorme, molto veloce; l’analisi consente di individuare situazioni specifiche, fenomeni tipici, in un contesto di tempo limitato. Se l’intervento è tardivo il fenomeno è già modificato completamente, con il risultato che qualsiasi intervento diventerà inutile.
Oggi noi confidiamo moltissimo, e con orgoglio devo dire che l’Italia e in particolar modo il Ministero dell’interno italiano ne sono in qualche modo protagonisti, nell’istituzione dell’Agenzia e ancora di più in quel progetto ambiziosissimo che Lei, Signor commissario, ha indicato, di costituire un Corpo di guardie di frontiera europee. L’Italia infatti ben quattro anni fa ha sviluppato uno studio di fattibilità sulla realizzazione di una Polizia europea di frontiera, in cui delineava un percorso, finora seguito dall’Unione europea, che prevedeva in un primo tempo la costituzione di un organismo in ambito intergovernativo, la cosiddetta Unità Comune istituita all’interno della struttura di Presidenza, e poi in seguito una struttura organizzativa in ambito strettamente comunitario, l’Agenzia, in grado di gestire e coordinare tutte queste tematiche. L’Agenzia si pone dunque a completamento di un sistema di cooperazione molto avanzato tra gli Stati membri, sostenuto da recenti atti normativi tendenti ad accrescere lo scambio di informazioni, attraverso la rete dei funzionari di collegamento, o a migliorare le procedure di rimpatrio degli stranieri indesiderati (mutuo riconoscimento dei provvedimenti di espulsione, rimpatri congiunti, ecc) . Confidiamo molto in questo organismo, che dovrebbe essere snello e agile e non connotarsi, come è avvenuto per altri enti comunitari, per gli aspetti burocratici o per una scarsa efficacia operativa.
Un altro dei temi fondamentali toccato nel corso degli interventi, è quello del controllo delle coste e della frontiera marittima. Già nel semestre di presidenza italiana il discorso del Mediterraneo è stato posto all’attenzione degli Stati membri: sono state portate avanti numerose iniziative e soprattutto è stata riconosciuta l’esigenza e l’opportunità di creare una sorta di frontiera virtuale avanzando il sistema dei controlli di frontiera, ovvero non espletandoli sulle coste dell’Europa ma sulla frontiera marittima più esterna dell’Unione europea. I flussi migratori via mare, rispetto ai flussi migratori via terra, o attraverso il trasporto aereo, hanno caratteristiche completamente diverse in quanto non si possono materialmente contrastare in mare bensì possono essere contrastati correttamente e preferibilmente sulla costa di partenza o sulla costa di arrivo. Gli strumenti sono molto complessi e molto complicati per cui l’avanzamento di questa linea di frontiera, l’avanzamento di questi controlli, implica la cooperazione non soltanto tra i paesi dell’Unione, ma anche con i paesi terzi. Cooperazione con i paesi da cui questi flussi partono, paesi di origine, ma in buona parte anche paesi di transito. Vi sono ad esempio paesi come il Libano, e oggi anche la Libia, in cui il flusso migratorio, che viene bloccato sulle loro coste, costituisce effettivamente un problema grave. Quindi, la cooperazione internazionale va intesa non soltanto tra i paesi membri, ma anche tra i paesi membri e quelli del Nord Africa, o comunque con i paesi di transito e di origine.
L’altro tema che in qualche modo l’Agenzia dovrà tener presente, è la composizione della presenza di clandestini sul territorio comunitario. Prescindendo da un’analisi globale del territorio comunitario, troppo sfaccettata, e guardando alla situazione italiana, oggi possiamo dire, riferendoci ai dati del 2004, poiché la situazione del 2005 è ancora in evoluzione, che la popolazione illegale nel nostro territorio è composta per il 10 per cento circa da illegali che sono arrivati via mare, per il 15 per cento circa da illegali che hanno attraversato fraudolentemente le frontiere terrestri o i valichi di frontiera e per il 75 per cento circa da quelli che gli americani chiamano overstayers, ovvero soggetti che, entrati nel territorio nazionale legalmente per un periodo limitato di tempo, si sono poi trattenuti illegalmente un periodo successivo o che entrati in territorio nazionale con una giustificazione, per esempio turismo, si trattengono invece per lavorare.
Il dato è di grande rilievo, infatti stiamo lavorando moltissimo sul controllo delle frontiere esterne ma il fenomeno degli overstayers ripropone il problema delle frontiere interne tanto che alcuni paesi come la Francia hanno grosse perplessità sul fatto che il nuovo trattato per la Costituzione europea, ancora in via di ratifica, consideri cancellate le frontiere interne e che addirittura costituisca un organismo di controllo a tale scopo. Eppure, se scomponiamo e analizziamo questo 75 per cento presente in Italia di cosiddetti overstayers, verifichiamo che una quota particolarmente elevata di costoro è entrata attraverso i confini esterni dell’Unione europea non italiani e in Italia quindi è entrata attraverso i confini interni, da ciò si desume che vi è una circolazione di illegali all’interno del territorio europeo, ovvero vi è una sorta di libera circolazione di illegali. Allora, questo ulteriore aspetto deve essere coniugato con l’esigenza di rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne non in un senso soltanto fisico ma anche in senso logico, e in tal senso le iniziative che si stanno prendendo sono molteplici, dalla validità dei documenti utilizzati, dagli strumenti di sicurezza introdotti nei documenti fino ai sistemi informativi che ampliano la possibilità di controllo.
Il sistema che innoverà moltissimo le forme di controllo è la banca dati VIS, un sistema di scambio tra gli Stati membri dei dati in materia di visto grazie al quale non soltanto sarà possibile controllare i titolari di visto, ma anche controllare chi ha ricevuto un diniego di visto da uno dei 25 paesi membri, in modo tale che nessun degli altri paesi conceda a sua volta il visto. Quindi, il sistema di controllo delle frontiere esterne deve essere tale da integrare il sistema di contrasto all’immigrazione clandestina.
Dopo l’11 settembre e l’11 marzo, il sistema dei controlli di frontiera esterna è un sistema che attiene anche al campo della sicurezza nazionale e dunque l’esigenza dei controlli di frontiera, intesa precedentemente in chiave di gestione dei flussi migratori e di controllo dei fenomeni delittuosi o delle attività illegali connesse al transito delle frontiere, è improvvisamente diventata una esigenza di controllo finalizzata anche alla sicurezza nazionale. A questo scopo, oltre a quelle citate, vale a dire introduzione di sistemi di sicurezza nei documenti di viaggio dei cittadini comunitari e misure di controllo nel rilascio dei visti e dei permessi di soggiorno dei cittadini extracomunitari, vi sono una serie di iniziative, soprattutto di matrice statunitense, che cercano di realizzare una forma di controllo anticipato di frontiera, creando una sorta di frontiera virtuale. Tali iniziative prevedono di poter effettuare sui passeggeri, prima ancora che costoro partano, dei controlli di carattere informativo. Gli americani lo vedono in chiave di accesso agli Stati Uniti, noi probabilmente lo dobbiamo vedere in chiave di accesso al territorio comunitario, e qui si presenta un’altra grande problematica che è quella di conciliare le iniziative avviate dalle autorità statunitensi con quelle che devono essere avviate a livello comunitario. L’Unione europea, secondo me, bene ha fatto fino a questo momento a stoppare le iniziative americane, probabilmente prevaricatorie delle iniziative dei singoli paesi, ma contemporaneamente sta portando avanti dei progetti che possono rappresentare un giusto compromesso.
Accenno solo sinteticamente al tema relativo ai sistemi americani di comunicazione da parte dei vettori aerei dei dati personali dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio, i cosiddetti Sky Marshal. L’insieme delle disposizioni e delle norme tendenti a definire le categorie dei dati richiesti, le modalità di trasmissione e il loro utilizzo da parte delle autorità preposte alla sicurezza costituisce il sistema APIS (Advanced Passenger Information System). Successivamente sono stati richiesti i dati trattati nei sistemi di prenotazione e controllo delle partenze, in particolare quelli contenuti nei registri dei nomi dei passeggeri (PNR – Passenger Name Records). Il problema della compatibilità di questi provvedimenti (adottati in via unilaterale) con l’insieme degli accordi internazionali e delle norme comunitarie che regolano il trasporto aereo e tutelano il diritto alla privacy ha determinato un dibattito di ampie dimensioni in seno all’Unione europea. Nell’ambito di questa vicenda, l’impegno italiano è stato quello di promuovere e sostenere durante tutte le fasi negoziali un’iniziativa presentata dalla Spagna per una direttiva comunitaria volta a disciplinare un sistema di comunicazione dei dati, autonomo rispetto a quello richiesto dagli Stati Uniti. La direttiva approvata è stata formulata in conformità con il testo della direttiva sulla protezione dei dati personali e prevede un numero limitato di informazioni che i vettori aerei sono tenuti a fornire (volo, documento di viaggio, nome, ecc.) e questo meccanismo, se messo a regime, sarà un sistema di controllo avanzato delle frontiere.
Un’ultima notazione, che credo abbia una sua rilevanza: il comparto della sicurezza svolge, oggi, un ruolo primario nella realizzazione in campo internazionale di una policy della sicurezza. Sul piano comunitario, la messa in funzione dell’Agenzia per la cooperazione operativa degli Stati membri alle frontiere esterne costituisce il primo passo concreto verso la realizzazione di un sistema di integrazione a livello operativo. A sostegno della sua attività vi sono molte norme che rafforzano l’azione di sicurezza. E’ particolarmente importante mantenere stretto il legame tra l’azione di difesa dalla criminalità e dal terrorismo internazionale e la disciplina relativa ai temi dell’immigrazione e delle frontiere. Solo in questo modo potranno essere evitati i rischi derivanti da un approccio settoriale e burocratico del diritto comunitario.
Il terrorismo e la criminalità organizzata hanno un’influenza diretta sia sulle tipologie di controllo delle frontiere che sull’immigrazione. Ritorno all’esempio della Libia, che negli ultimi tempi stiamo approfondendo in maniera particolare. Le organizzazioni criminali che gestiscono i flussi di immigrazione clandestina sono diventate multinazionali del crimine a base quasi sempre etnica, trasformandosi da realtà criminali primitive in forme di criminalità organizzata particolarmente sofisticata. Queste organizzazioni, ormai, scelgono i loro percorsi, e hanno individuato la Libia come un’area particolarmente adatta. La Libia infatti per le sue caratteristiche territoriali appare un territorio ideale per tali organizzazioni: migliaia di chilometri di deserto e migliaia di chilometri di costa non sono tecnicamente difendibili, a meno che non si schierino per controllare circa 5 mila chilometri di confine nel deserto e 2 mila chilometri di confine aperto sul mare, non tutta la polizia di frontiera europea, ma tutte le forze armate europee! Le organizzazioni criminali transnazionali stanno dunque creando una pressione a danno di quel paese e indirettamente anche a danno dell’Europa, perché sfruttando questa situazione, continuano ad esercitare in quel territorio un’attività difficilmente contrastabile, quindi il problema Libia non è soltanto un problema oggettivo, ma pone anche interrogativi sui criteri della scelta, sulle possibili ulteriori connessioni con il mondo del terrorismo di matrice islamica, una preoccupazione reale non soltanto per i paesi comunitari, ma per tutti i paesi del Nord Africa, perché i paesi del Nord Africa oggi sono probabilmente la cintura di sicurezza che abbiamo intorno all’Europa e se cade quella cintura di sicurezza noi, come dire, il fronte ce lo ritroviamo completamente in casa.
Quindi le iniziative di contrasto dell’immigrazione clandestina vanno integrate e guardate in un ambito più ampio che attiene sia ai fenomeni della criminalità organizzata che del terrorismo. Grazie.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Grazie al prefetto Alessandro Pansa. Invito ora al tavolo degli oratori uno dei pochi esempi di persona che frequenta tutti e tre i rami del Parlamento: il primo è certamente la Camera, il secondo è certamente il Senato, ma il terzo per lui è certamente “Porta a porta”, il dottor Magdi Allam. Prego.
Magdi ALLAM, Giornalista. Dai primordi della vita dell’uomo il fenomeno dell’immigrazione è un fenomeno naturale che accompagna l’evoluzione delle società umane, al punto da poter dire che la storia dell’uomo si identifica con la storia delle sue migrazioni. Ciò è a maggior ragione vero nell’area del Mediterraneo, per antonomasia il crogiolo e la culla delle civiltà, frutto e sintesi dell’incontro, dello scontro, della coesistenza e della fusione di genti, valori, fedi, culture.
Nella gran parte dei casi il movimento delle persone tra le sponde del Mediterraneo è avvenuto in modo spontaneo, in un contesto che agevola il processo migratorio. A emigrare sono comprensibilmente le fasce più disagiate e bisognose della popolazione, con all’avanguardia i soggetti più sani e intraprendenti. Chiarito che l’immigrazione è sia un fenomeno umano naturale, senza il quale non ci sarebbe stata la diffusione e quindi la vita stessa nel nostro pianeta, sia un fenomeno sociale che ha sempre caratterizzato la storia dell’uomo, c’è tuttavia da domandarsi se la modalità che ha finora caratterizzato l’emigrazione, ovvero lo spontaneismo, non possa essere invece regolamentata.
In linea di principio, tale regolamentazione sarebbe nell’interesse dei paesi di accoglienza, degli immigrati e dei loro paesi di origine. I paesi di accoglienza hanno la necessità vitale di inquadrare l’emigrazione nel contesto dei rispettivi modelli di civiltà e strategie di sviluppo. Gli immigrati hanno l’interesse ad assicurarsi delle condizioni economiche e sociali dignitose. Così come i paesi di origine hanno tutto da guadagnare dalla possibilità di poter pianificare sia l’alleggerimento dello stato di povertà interno sia l’incremento delle rimesse degli immigrati che rappresentano oggi una quota rilevante dei fondi che favoriscono il loro sviluppo.
Di fatto oggi tale regolamentazione non è più soltanto una facoltà bensì una esigenza che si impone per ragioni essenzialmente legate alla sicurezza. Sappiamo che c’è un nesso tra le forze che gestiscono l’immigrazione clandestina, la criminalità organizzata straniera e autoctona, nonché il terrorismo internazionale, uniti dall’interesse a spartirsi i proventi del traffico dei clandestini, in aggiunta a rilevare della manovalanza tra le fila dei clandestini. Così come sappiamo che c’è un nesso tra tutto ciò e la crescita dell’economia sommersa che a sua volta alimenta il fenomeno dell’emarginazione sociale, favorisce l’affermazione di una interpretazione radicale e intollerante della fede, acuendo inevitabilmente la conflittualità sociale.
In quest’ambito, a mio avviso la manifestazione più preoccupante è la trasformazione di talune moschee e di taluni luoghi di culto islamici in centri di indottrinamento a una fede integralista ed estremista. Perfino in centri di arruolamento e di smistamento di decine di combattenti e aspiranti terroristi suicidi islamici che dall’Europa sono andati a fare la loro Jihad, intesa come guerra santa, in Afghanistan, in Cecenia, nei Balcani e in Iraq. In parallelo si è sviluppata una attività finanziaria che sotto varie forme va ad alimentare e ad affermare una ideologia radicale, una cultura dello scontro sociale e il terrorismo tout court. Non è un caso che decine di combattenti islamici in Iraq, di cui è stata accertata l’identità grazie ai documenti ritrovati in loco, sono risultati essere degli immigrati clandestini o residenti in Europa con una caratterizzazione particolare.
Mi riferisco alla crisi di identità dei giovani immigrati di prima ma anche di seconda generazione. E’ la crisi di identità, non più la miseria o la sete di vendetta che tradizionalmente ha caratterizzato il terrorismo a esempio nei territori palestinesi occupati, il movente che spinge tanti giovani ad abbracciare l’ideologia della Jihad e la fede nel “martirio” islamico. Quando guardiamo alla figura di Mohamed Atta, il capo del commando dell’11 settembre, o di Mohamed Bouyeri, il giovane olandese di origine marocchina che il 2 novembre 2005 nel centro di Amsterdam ha assassinato in modo barbaro il regista e giornalista Theo Van Gogh, ci troviamo di fronte a dei casi emblematici di immigrati di prima o seconda generazione che, partendo da una forte crisi di identità, precipitano nelle maglie del terrorismo di matrice islamica. In un mondo globalizzato questa realtà finisce per ricollegarsi, per fondersi e per creare un unico contesto che coinvolge sia l’Europa sia i paesi mussulmani.
La globalizzazione del terrorismo di matrice islamica si traduce nel fatto che l’Europa è diventata una roccaforte dell’integralismo e dell’estremismo islamico, mentre taluni paesi musulmani si sentono minacciati da un terrorismo di matrice islamica radicato in Europa. Per un altro verso la lotta a questo terrorismo tende ad essere anch’essa globalizzata. In quest’ambito è assai significativo l’orientamento dei paesi musulmani che hanno sofferto le conseguenze degli attentati terroristici, a non limitarsi al perseguimento degli autori degli attentati bensì a sradicare l’ideologia che legittima e alimenta il terrorismo.
Come non tener conto per esempio che in Marocco il governo ha deciso di istituire un corso di formazione di imam, condizionando la concessione del diploma a coloro che sono in possesso di una laurea e che per due anni abbiano frequentato un corso di teologia e di filosofia, in contesti dove debbono essere presenti sia aspiranti imam uomini che aspiranti imam donne. Si vuole cioè favorire l’affermazione di una cultura tollerante, di una percezione moderata dell’islam. Ed è significativo che questo avvenga contemporaneamente anche in un paese europeo, come l’Olanda, che proprio all’indomani dell’assassinio di Theo Van Gogh si è resa conto che il modello del multiculturalismo, l’ideologia del multiculturalismo, che aveva finora perseguito, non solo era totalmente insufficiente a promuovere l’integrazione, ma addirittura aveva creato uno scollamento all’interno della propria società. Ovvero il laissez-faire sul piano culturale e sul piano economico non ha garantito la salvaguardia di quei valori, la libertà e il rispetto dei diritti fondamentali della persona, che si riteneva fossero patrimonio comune della società olandese. La concomitanza tra queste due iniziative improntate allo stesso obiettivo sta ad indicare come in un mondo globalizzato il male, il problema che esiste da una parte, finisce per essere un problema e un male anche dall’altra sponda del Mediterraneo.
La conclusione è che non ci può essere una via nazionale alla gestione del fenomeno dell’immigrazione e del terrorismo. Che anche una via europea deve raccordarsi con una strategia globale coinvolgendo i paesi di origine degli immigrati e i paesi di origine di quei soggetti dediti al terrorismo. L’emergere della crisi di identità dei giovani immigrati come causa principale del loro disagio sociale e della loro conversione al terrorismo, rafforza e rende impellente la definizione di una seria politica di integrazione, affidata a mio avviso a uno specifico “Ministero dell’Immigrazione, Integrazione e Cittadinanza”. La tematica cruciale dell’immigrazione regolare e della prospettiva di una società plurale sul piano etnico, confessionale e culturale non può esaurirsi e trovare risposte adeguate nel contesto del Ministero dell’Interno che per sua definizione si occupa essenzialmente della sicurezza interna dello Stato.
A mio avviso serve, su un piano generale, una seria ed efficiente strategia dell’integrazione che faccia tesoro degli errori in cui sono incorsi sia l’ideologismo multiculturale sia quello dell’assimilazionismo laicista. Una terza via che, all’interno dell’identità nazionale dei paesi d’accoglienza, i cui capisaldi devono essere salvaguardati, tuteli le tradizioni e il culto degli immigrati. Una strategia che deve essere gestita da un Ministero ad hoc dell’Immigrazione, Integrazione e Cittadinanza. Istituendo degli specifici “Corsi di formazione all’integrazione e alla cittadinanza”, da tenere sia nei paesi di origine sia in quelli di accoglienza degli immigrati. E da abbinare con “Corsi di formazione degli imam”, al fine di assicurare la piena compatibilità della sfera culturale islamica con la civiltà occidentale. E’ ormai del tutto evidente che non basta concedere il passaporto perché l’immigrato si trasformi automaticamente in cittadino. La vera cittadinanza è quella che comporta la condivisione delle leggi e dei valori fondanti della società di accoglienza.
Una strategia di integrazione significa che in partenza si scelgono chi sono gli immigrati che effettivamente servono allo sviluppo socioeconomico del paese. Quindi non lasciar più che il processo avvenga esclusivamente sulla base dello spontaneismo.
In quest’ambito l’Italia ha una grande fortuna poiché, da un lato, è una nazione che ha a che fare con immigrati prevalentemente di prima generazione, quindi si tratta di un fenomeno ancora giovane e, dall’altro, il fatto che non ci sia una etnia maggioritaria tra gli immigrati può rappresentare un vantaggio. Perché agevola l’italianizzazione degli immigrati. Il fatto che in Italia bisogna mettere insieme dieci nazionalità per arrivare al cinquanta per cento degli immigrati, comporta la possibilità di rendere la lingua italiana e la cultura italiana il collante delle diverse culture degli immigrati. E’ una opportunità favolosa per affermare una lingua che diversamente potrebbe essere destinata a deprezzarsi sempre più, dato il tasso di natalità molto basso presente in Italia. Tutto ciò va fatto, va fatto bene e va fatto rapidamente. Perché l’individuazione di una “terza via” all’integrazione e alla cittadinanza degli immigrati è una necessità vitale per un paese come l’Italia. Quello che fino a dieci anni fa poteva essere percepito come un problema degli altri, oggi è un problema nostro, di tutti quanti noi italiani.
Alberto di LUCA, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Come avrete immaginato, il ministro Pisanu non ci ha raggiunto. Proviamo ad azzardare non le conclusioni, che avrebbe dovuto fare lui e che certamente io non ho la titolarità per fare, ma proseguiamo ancora dieci minuti insieme perché, fedele al principio che la speranza è l’ultima a morire, vediamo se riesce almeno a passare per farci un saluto.
Ringrazio molto il dottor Allam per le sue parole. Se è vero, come è vero e come ci ha ricordato, che l’immigrazione è parte integrante della storia dell’uomo, una frase condivisa che credo sia figlia non solo di una sua analisi, in questo dobbiamo vedere un augurio per l’integrazione che tutti noi cerchiamo, che tutti noi vogliamo, ma che a volte difficilmente vediamo realizzata. Il dottor Allam vede la lingua e la cultura italiana come collante: pensate come questa visione è lungimirante e come è diversa da quella di chi invece cerca di creare tanti orticelli, cerca di dividere le culture degli stranieri che arrivano nel nostro paese per rendere difficoltosa questa integrazione. Il dottor Allam ci ha parlato di un dato che il nostro Comitato ha sentito come pesante e pressante soprattutto in occasione della nostra missione a New York, e cioè il peso di quello che sono le rimesse all’estero, i money transfer. Ci sono stati fatti degli esempi secondo cui fette consistenti del PIL di alcuni paesi sono basate esclusivamente sul trasferimento di valuta. Attenzione: questi dati sono quelli ufficiali, quindi trasferimenti di valuta legati a valori verosimilmente ufficiali, pensate voi a tutto quello che c’è di non ufficiale e tutto quello che purtroppo è legato alla criminalità e al traffico di esseri umani che, ricordiamo, è uno degli aspetti tuttora più importanti legati al tema immigrazione.
Il prefetto Pansa ci ha ricordato un dato che spesso sfugge e cioè che i flussi migratori via mare non si possono fermare. In mare non si può fare nulla. In mare vigono le regole, coerenti, logiche e umane del soccorso in mare, quand’anche qualcuno volesse ignorarle, ci sono le leggi internazionali e le leggi della navigazione che prevedono l’obbligatorietà del soccorso in mare, quindi comprensibilmente bisogna lavorare su terra. Ecco l’importanza della Libia, che è un passaggio molto importante. La Libia viene impropriamente considerata un paese dal quale transitano degli stranieri diretti nel nostro paese. Guardate, non è così. La Libia in realtà è un paese che a sua volta è oggetto di immigrazione clandestina, e bene ha fatto il prefetto Pansa a ricordarci che ha 5 mila km di coste praticamente incontrollabili. E questo cosa vuol dire? Vuol dire che quello che è stato fatto in termini di accordi, di collaborazione tra Libia e Italia, è importantissimo, è una base fondamentale sulla quale bisogna continuare a lavorare. Ma è un modello che non è paragonabile ad altri modelli. Ho sentito dire qualcuno strumentalmente: “Sì, ma voi, e non si sa se il voi era rivolto al Governo italiano o quello libico, voi in realtà non avete risolto il problema come è stato fatto ai tempi dell’Albania”.
C’è una differenza fondamentale. I due fenomeni sono totalmente imparagonabili. Intanto l’arrivo dall’Albania di immigrati clandestini era un fenomeno che veniva gestito da organizzazioni albanesi, che trasportavano degli albanesi, da un paese ben preciso che era l’Albania a una regione ben precisa dell’Italia che era la Puglia. Si trattava semplicemente di fare due cose. Oggi lo possiamo dire, bisognava fare degli accordi di riammissione e dotare le nostre forze di polizia di mezzi tecnici navali sufficientemente veloci per poter contrastare i mezzi veloci degli scafisti. Fatte le due cose il problema è stato risolto. Tanto è vero che oggi di immigrati clandestini dall’Albania via mare credo che ne arrivino pochissimi. Detto questo, qual è la differenza con la Libia? Beh, è che lo scafista, che intanto non usa strumenti veloci, ma usa carcasse a perdere, barche a perdere, trasporta quasi sempre stranieri, non libici, persone che a loro volta sono entrate clandestinamente in Libia. E perché dico barche, o meglio carcasse a perdere? Perché questo fa parte della perversa logica di queste organizzazioni criminali, di questi scafisti, di questi trafficanti di esseri umani, che scientemente e volutamente adoperano dei mezzi pericolosi per la sicurezza di chi è a bordo, per poter fare pressione umanitaria, psicologica e legislativa, su paesi come l’Italia, ai quali si dice: sta arrivando questo tipo di imbarcazione, sta andando a fondo, andate a prenderla sennò avrete centinaia di morti. E questo è un ricatto pesantissimo.
L’unica via d’uscita è quella di continuare il dialogo fra Libia e Italia, che mi sembra stia dando degli ottimi risultati. Il Presidente Casini ci ha ricordato come sia importante non pensare all’immigrazione solamente in termini di contrasto dell’immigrazione clandestina o solamente come problema di sicurezza pubblica, ma come sia necessario preoccuparsi anche degli aspetti umanitari, economici, sociali e culturali, e qui arrivo a quello che all’inizio della mattinata il commissario Franco Frattini ci ha ricordato. Non perché io mi senta amico di Franco Frattini dico quello che voglio dirvi, ma credo che anche i colleghi dell’opposizione nel Comitato possono essere testimoni di un mutamento storico. Qualche anno addietro andammo a Bruxelles per incontrare un commissario, il commissario Vitorino, persona che stimo e che tutto il Comitato fu lieto di incontrare, il quale, in risposta alla nostra osservazione di come il problema dell’immigrazione clandestina in Italia non potesse essere visto solo come un problema nazionale, non voglio dire rise ma, insomma, non colse la vera portata del nostro messaggio. Allora l’Europa era a quindici e gli feci un esempio, gli dissi: “Vede, commissario, immagini il condominio di un palazzo di quindici piani, chi sta al pianterreno non è l’unico preposto al controllo degli ingressi e non essendo l’unico che deve farne il controllo, non è neanche l’unico che può sostenerne i costi”. Oggi quel condominio è a venticinque ma rimane il fatto che i nostri 8 mila chilometri di coste, sono un handicap geografico che non possiamo assolutamente dimenticare. Come non possiamo dimenticare, l’ho detto prima, che su quattro clandestini che cercano di entrare nel nostro paese via mare, certamente tre di questi vogliono andare nel centro o nel nord dell’Europa. Bene ha fatto il commissario Frattini a ricordarci questa svolta che l’attuale Commissione vuole imprimere. Bella cosa è avere nobili intenti politici e avere un grande cuore, ma quando poi il portafoglio è piccolo non si va lontano.
E concludo con questa osservazione, che considero un’osservazione soprattutto di speranza per quello che il commissario potrà ulteriormente fare, soprattutto se vorrà cogliere una piccola provocazione del Prefetto Pansa, che mi permetto di riassumere così: “Va bene, finalmente adesso abbiamo i quattrini stanziati, vediamo di fare in modo che arrivino in tempi rapidi e alle persone giuste nel momento giusto”.
Ringrazio tutti voi, ringrazio naturalmente il commissario Frattini, il dottor Allam, il dottor Dall’Oglio, il senatore Bedin, l’onorevole Landi e il Presidente Casini che è stato qui con noi. Grazie.