ANTONIO SCLAVI
Presidente del Comitato italiano per l’UNICEF
Vorrei ringraziare dal mio profondo il Presidente Casini per le parole importanti e determinanti che ha detto. Vorrei raccogliere poi la suggestione che ci viene dal titolo scelto per questo incontro, perché non siamo qui oggi solo per celebrare un evento ricorrente direi quasi scontato, ma il senso profondo della Giornata nazionale dell’infanzia è proprio quello di richiamare tutti – agenzie, ong, istituzioni, ma anche singoli cittadini – alla necessità di lavorare più e meglio, in ogni luogo, per garantire ai bambini – a tutti i bambini – un’infanzia vera.
Ma per questo occorre far emergere la realtà dell’infanzia dall’invisibilità. Questo è il nostro lancio di quest’anno, perché il mondo è pieno di bambini invisibili, vittime di emergenze dimenticate: I 50 milioni di piccoli che non vengono neppure registrati all’anagrafe, gli oltre 100 milioni di bambini che non hanno mai visto un’aula scolastica, le centinaia di migliaia di vittime di catastrofi naturali o guerre che non hanno la paradossale fortuna di finire sotto i riflettori dei media. L’invisibilità non è una condizione eccezionale, è la norma per troppi drammi che riguardano l’infanzia e milioni di bambini che ogni giorno, sistematicamente, sono costretti a rinunciare ai loro diritti non possono contare neppure sull’effimera attenzione riservata alle vittime delle grandi emergenze umanitarie.
Con questo sguardo attento soprattutto ai più invisibili, ai più soli, dobbiamo guardare anche alla questione dell’infanzia abbandonata, perché i “bambini ri-trovati” di cui ci parla la Commissione parlamentare per l’infanzia siano davvero tutti i bambini, non solo i nostri figli attuali e futuri.
Ma di chi stiamo parlando, in concreto? Proviamo a ricordarlo insieme, proviamo ad andare oltre le parole per vedere a quali realtà di vita si fa riferimento quando si parla di infanzia abbandonata.
Bambini orfani. Nel mondo sono circa 90 milioni i bambini orfani di uno o di entrambi i genitori: la maggior parte vive in Asia, mentre la percentuale più alta sulla popolazione infantile vive in Africa. 15 milioni di bambini, in larga maggioranza africani, sono stati resi orfani dall’AIDS. Nel 2010, in 12 paesi africani oltre il 15% della popolazione sotto i 15 anni sarà composta da orfani. Ma ci sono anche i bambini “soli”, quelli chiamati in gergo “minori non accompagnati”, cioè che hanno perso temporaneamente contatto con i loro genitori per varie cause: per guerre od emergenze naturali (negli anni 90 oltre un milione di bambini è rimasto separato dai genitori a causa delle guerre, che dividono le famiglie esponendo i piccoli sfollati o rifugiati a rischi altissimi); bambini che vivono in strada (solo un esempio poco conosciuto: nella Repubblica democratica del Congo, tra l’altro dove sono stato a verificare le azioni che svolgiamo noi assieme a molte ong anche italiane, sono tra i 20 e i 30 mila i bambini di strada nella sola capitale Kinshasa); bambini immigrati illegalmente da soli (in Italia, i minori stranieri non accompagnati segnalati ad aprile 2005 sono 5.573) e non dobbiamo dimenticare tutti quei bambini rimasti soli, nel paese di origine o in paesi di transito, perché in attesa di ricongiungimento familiare con i genitori emigrati; bambini non orfani ma collocati in istituto dai genitori (perché disabili o di famiglie povere). Solo in Europa centrale ed orientale, un milione e mezzo di bambini vive fuori dalla famiglia, 900 mila dei quali in istituto; infine, bambini (nel senso inglese di children, quindi compresi gli adolescenti) detenuti in istituzioni educative o correttive o penali che nel mondo – secondo stime dell’UNICEF internazionale – sono oltre un milione.
Il nostro paese sembra oggi avviato verso la definitiva abolizione degli istituti per l’infanzia (anche se sarà necessario un attento monitoraggio sulle soluzioni alternative, per evitare che la “chiusura degli istituti” sia puramente di facciata e per garantire un’equa distribuzione territoriale degli interventi, evitando disparità tra diverse aree del paese). Ma guardando alla realtà mondiale, come noi dell’UNICEF siamo tenuti a fare, devo purtroppo ricordare che ancora oggi, in gran parte del mondo, la soluzione a cui si ricorre con più facilità è l’istituzionalizzione, in collegi, reparti ospedalieri, istituti per disabili, orfanotrofi, ecc. Più il paese è povero, più si ricorre agli istituti, con l’adozione come unica possibile via d’uscita.
Soluzioni alternative vengono più raramente promosse e sostenute – tanto dai governi e dalle istituzioni locali, quanto dagli stessi donatori.
La politica dell’UNICEF, in linea anche con le recenti Raccomandazioni scaturite dalla giornata dedicata ai “Bambini senza cure parentali” dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, il 16 settembre 2005, punta alla prevenzione, promuovendo misure integrate per costruire e tenere in piedi un ambiente protettivo per i bambini. In concreto, mettiamo l’accento su: non separare i bambini dal loro ambiente familiare e sociale; sostenere le famiglie e promuovere (anche con campagne informative) la genitorialità, cioè aiutare i genitori a non abbandonare i propri figli e fare al meglio il loro mestiere; creare strutture agili pubbliche o private di supporto e servizi diurni; formare il personale locale di assistenza sociale e gli operatori per l’infanzia; favorire la riunificazione familiare dei bambini soli o abbandonati, incluse tecniche di individuazione e ricerca dei familiari nelle situazioni di emergenza (come di recente nei paesi colpiti dallo tsunami e in Pakistan); trasformare i centri di accoglienza in piccole strutture “child friendly” di transito, che favoriscano il ritorno in famiglia.
Un esempio per tutti, di cui ho visto personalmente l’efficacia anche in una situazione di miseria estrema, è quello dei centri per i bambini di strada in Congo.
Tutto questo deve riguardare anche le politiche per l’infanzia del nostro Paese, evitando la schizofrenia per cui molti paesi “avanzati” privilegiano internamente misure di welfare per evitare l’istituzionalizzazione dei bambini, ma quando si tratta di intervenire nei paesi poveri, invece, spesso privilegiano istituti o centri di accoglienza, perché più “visibili” rispetto agli interventi di sostegno alle famiglie.
Noi dell’UNICEF abbiamo concentrato il nostro impegno in questa “fine d’anno” proprio sui bambini invisibili, sulle quotidiane, silenziose emergenze dimenticate. E oggi, scendiamo in campo – in senso letterale, non figurato… - anche col mondo del calcio, in tutti gli stadi, con lo slogan “Un impegno visibile per i bambini invisibili”. Ma questa non è battaglia di una sola organizzazione, pur globale come il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, che qui oggi rappresento: è un impegno che riguarda tutti. E vorrei quindi concludere con un augurio di buon lavoro comune, futuro, a tutti noi: perché è necessaria una vasta alleanza, forte e incisiva, se vogliamo davvero fare i conti con la necessità universale di garantire famiglia, amore, rispetto dei diritti essenziali a tutti i bambini.