Tiziana VALPIANA, Componente della Commissione
parlamentare per l'infanzia. Vorrei incentrare questa mia breve riflessione
su alcune domande che vengono prima e dopo il vademecum. Il vademecum,
interpretando correttamente i compiti che gli erano stati assegnati dalla
Commissione, è uno degli strumenti per dare ai ragazzi e alle ragazze il modo
di utilizzare correttamente i nuovi mezzi di comunicazione, imparando, se
possibile ad usarli e non a farsi usare da essi.
Però credo che la domanda di base da porsi sia "che cos'è la
comunicazione?" "cos'è la comunicazione tra persone?" "che
cosa vuol dire per noi adulti ascoltare i bisogni, le esigenze, le differenze
che ogni bambino porta in sé?" Abbiamo detto mille volte questa sera che i
mezzi di comunicazione di massa sono dei mezzi, che non sono né buoni né
cattivi in se ma per come vanno utilizzati. Io credo che, oltre al come
utilizzarli, dobbiamo porci il problema del quando. Tutti noi sappiamo
che un coltello da cucina è un mezzo, sappiamo che il sesso è un mezzo
interessante di relazione, ma ci poniamo il problema di quando i nostri bambini
possono avvicinarsi a queste cose a seconda dell'età e delle capacità di
crescita; quindi io mi porrei il problema anche del quando avvicinare i bambini
al mezzo di comunicazione.
A me sembra che manchi il "tempo del silenzio", un tempo di
apprendistato alla comunicazione e alla relazione tra esseri umani, prima di
passare ai mezzi tecnologici. Nel vademecum si dice, giustamente, che la prima
comunicazione è quella con la mamma: io mi domando quanto è rispettata la
prima comunicazione con la mamma, quanto la nascita, per esempio, momento intimo
per antonomasia, viene lasciata vivere nell'intimità, e quanto è rispettata la
relazione tra madre e figlio nei primissimi mesi di vita?
Abbiamo visto la pubblicità questa estate, con orrore da parte mia, del
braccialetto elettronico per non perdere i bambini nella spiaggia. Ecco, non lo
vogliamo per i detenuti, non possiamo accettare che venga pubblicizzato per i
bambini. Perché i bambini hanno bisogno di relazioni e di vicinanza diretta,
hanno bisogno, credo, di una comunicazione che coinvolga tutti i cinque sensi,
che coinvolga il tatto, la vista, l'odorato, il gusto, l'udito, e queste cose i
mezzi di comunicazione di massa non li danno.
Ritengo importante proteggere i nostri bambini dall'eccesso di stimoli che,
senza ombra di dubbio, subiscono in questa società.
Perché un eccesso di stimoli, paradossalmente, diventa
deprivante, così come capita, per esempio, con internet a me (che non sono più
tanto bambina!). Un eccesso di informazioni vuol dire nessun informazione nel
senso che, a un certo punto uno si perde, non sa più scegliere, non sa
riconoscere la qualità. Credo che la cosa importante che dobbiamo
riuscire a fare con i nostri bambini sia aiutarli a percepire le differenze.
Manca, secondo me, nel vademecum una cosa essenziale, che è dire ai
bambini che tutto quello che passa attraverso la televisione non necessariamente
è vero, che non tutto quello che i mezzi di comunicazione ci dicono è successo
davvero. Sono calati i delitti dei minori, ma il mondo invece crede, perché la
comunicazione glielo sta dicendo, che ci sia una recrudescenza di questo
fenomeno.
Il "che fare?", (che è sempre la domanda che
dobbiamo porci), va posta su due punti.
Il primo educativo, il secondo politico. Nel campo educativo:
come in tutte le relazioni educative, la risposta sia dire tanti sì ma anche
qualche no. Quei pochi no sono dei no che resistono e che consentono al bambino
di crearsi delle certezze. Gianni Rodari diceva, giustamente, che spegnere la tv
e dare al bambino un libro vuol dire fargli odiare la lettura. Quello che
possiamo fare è offrire al bambino alternative, perché trovi più stimolante,
più interessante, più piacevole fare altro che stare davanti alla tv. Credo
che non esista nulla di più piacevole per un bambino che stare con altri
bambini. Noi abbiamo invece le nostre case sempre più piccole, in famiglie
sempre più mononucleari, quasi sempre con figli unici, costretti a "portare
sulle spalle" una serie di adulti, vivono in luoghi molto piccoli e, quindi,
abbastanza costretti all'immobilità, il che si traduce spesso nello stare fermi
davanti alla televisione. Quindi credo che si debba ragionare sul nostro modo di
abitare, sulle nostre città e capire che un modo diverso di vivere la strada,
il cortile, la scuola deve essere offerto ai nostri bambini, altrimenti non
hanno alternative alla casa. Credo, però, che le risposte individuali da questo
punto di vista non siano sufficienti e che spetti alla politica e al sociale
offrire risposte di tipo collettivo. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello
di permettere ai bambini di oggi di tornare, come è capitato da piccola a me
come ad altri che hanno la mia età, ad uscire di casa da soli, ad incontrarsi
nei cortili, ad avere luoghi dove stare sicuri e senza adulti che controllano e
che indirizzano. Vuol dire aprire le scuole per tutta la giornata e far sì che
nel pomeriggio i bambini possano trovare nella propria scuola la possibilità di
fare sport, di avere biblioteche, di incontrarsi semplicemente per giocare e
lavorare, avere invece che dei cortili asfaltati, prati o qualcosa di bello in
cui poter vivere, e vuol dire, poi, non accelerare i tempi di vita. Viviamo in
un mondo in cui la difficoltà individuale di molti ragazzi e di molti
adolescenti è quella di un’infanzia sempre più raccorciata. Quante volte i
nostri ministri ci hanno promesso di aumentare, per esempio, i mesi delle
aspettative post-partum e stiamo ancora aspettando? Bambini che vengono
cacciati fuori di casa a tre mesi perché la mamma deve tornare a lavorare e che
poi ci rimangono trent'anni, perché non c'è lo spazio dove poter andare a
lavorare. Credo che la cosa principale sia rispettare i tempi dei bambini e non
accorciare la loro infanzia. Ritengo che da questo punto di vista la riforma dei
cicli sia deleteria. Chiedere a un bambino di due anni e mezzo di andare alla
scuola materna è un insulto alla sua infanzia. Un bambino che ha bisogno di un
rapporto individuale non può stare in una classe di ventiquattro bimbi della
scuola materna, non può avere un'unica insegnante di riferimento. Un bambino di
cinque anni non può andare alla scuola elementare perché non ha ancora
capacità di pensiero astratto, ha bisogno di relazionarsi alla fantasia, di
relazionarsi col mondo del magico, ha bisogno, soprattutto, di giocare. Abbiamo
una situazione in cui mentre all'inizio del secolo, per esempio, il menarca
arrivava mediamente a 17 anni e le ragazze a 18 si sposavano, a 19 facevano il
primo figlio, cioè vivevano una univocità di sviluppo, oggi ci troviamo di
fronte al menarca sempre più anticipato, siamo intorno agli 11 o 12 anni (e
dovremmo farci delle domande,, oltre che sul tipo di alimentazione, sulla
quantità di luce artificiale, anche su quali stimoli vengano da questi mezzi di
comunicazione per accelerare questo sviluppo) e poi ci sono vent'anni di latenza
prima di trovare un lavoro, di sposarsi, venticinque prima di fare un figlio,
che si fa sempre più tardi. Costringiamo questi ragazzi a vivere in maniera
schizofrenica, una maturità che viene loro riconosciuta da una parte, e un’autonomia
economica che non arriverà mai.
Le leggi devono intervenire su questo, ai giovani devono
essere garantiti il lavoro, la possibilità di uscire di casa, i mutui agevolati
non solo per le giovani coppie, ma anche per il ragazzo di venticinque anni che
non ne può più di stare in famiglia. Ieri abbiamo visto una meravigliosa
manifestazione degli specializzandi in medicina, chi fa chirurgia si trova a 32
a 34 anni con una borsa di studio di 800 euro al mese, quindi deve vivere in
famiglia e non può crearsi una proprio famiglia fino a 30 anni. E'
inaccettabile che prolunghiamo questa adolescenza, così come è inaccettabile
che nascondiamo l'infanzia.
Le cose da dire sarebbero moltissime. Cerco di arrivare in
fretta a una proposta molto pratica: credo che servano scelte politiche molto
concrete che aiutino le persone, in particolare i bambini, a vivere nel loro
spazio di età e nella maniera più libera e più rispondente alla propria
individualità. Io ho presentato oggi in maniera simbolica, nella Giornata per
l'infanzia, una proposta di legge, che avevo peraltro presentato nella
precedente legislatura, che riprende la proposta fatta in un Convegno di
Stoccolma a cui la Commissione infanzia ha partecipato, sulla pubblicità nella
tv, e che riprende ciò che avviene già in Svezia e ciò che la Francia sta
proponendo contro la pubblicità rivolta ai bambini. I bambini, in particolare
sotto i 7 anni, sono coloro che fortemente influenzano i consumi in famiglia e
sono utilizzati dalla televisione come veicoli di consumismo, quindi ritengo che
si debba vietare nella maniera più assoluta le pubblicità prima, dopo e
durante i programmi per ragazzi, non creando i finti contenitori. Poiché sono
contraria ad ogni tipo di censura e sono anche abbastanza contraria alle
sanzioni punitive, credo che dovremmo dare incentivi alle televisioni che si
adeguano a questo tipo di modello, per sviluppare la qualità delle trasmissioni
per l'infanzia. Ovviamente la mia proposta di legge è aperta alla firma di
tutti i colleghi.