MARIA RITA PARSI, rappresentante dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

1) I bambini e la guerra

L’impatto della guerra sui bambini è terribile. Essi escono ammalati nell’anima dall’esperienza di quell’atrocità, di quella deformità del comportamento umano che è la guerra.
Vedono gli adulti braccarsi vicendevolmente, senza pietà, per dare morte e riceverla; assistono a distruzioni inutili ed ingiustificate di costruzioni (le case della loro vita, le radici abitative della loro infanzia; i quartieri, i giardini dove sono cresciuti, le strade dove hanno giocato); di coltivazioni (la terra che genera vita, che consente di alimentarsi; il bestiame ecc.); di luoghi di lavoro, di studio, di culto (nei quali hanno imparato a pregare e ad aprirsi ai misteri e alle speranze della trascendenza). I bambini che non muoiono in guerra o che non escono dalla guerra fisicamente menomati muoiono, assai spesso, psichicamente o vengono, comunque, menomati nell’anima e nell’immaginario perchè derubati del loro presente e condannati ad una solitudine del cuore alla quale il comportamento degli adulti li costringe.
Essi, infatti, non possono più sperare nell’equilibrio, nella soluzione dei problemi attraverso il gioco o il dialogo; non possono più credere alla pace se non come un bene che sarà, forse, possibile "riconquistare" alla fine del conflitto e a costo di tante delusioni e compromessi, di tante perdite, di tante insanabili ferite. Vero è che i bambini, con la flessibilità, con la creatività, con la disponibilità a fare esperienze e ricercare che li contraddistingue, riescono ad adattarsi anche alla guerra e alle atrocità che ad essa si accompagnano. Il bambino si "organizza" anche "dentro la guerra". Imita gli adulti, diventa guerriero nei modi, nei pensieri, nelle fantasie. Piega la mente all’orrore di veder ferire, uccidere, morire. I bambini giocano alla guerra mentre la guerra infuria. Così la esorcizzano, la mettono in scena, la rappresentano e, nel gioco che, in tempo di pace, era loro utile a misurarsi con l’altro, a sfidarlo, a sperimentare le strategie del confronto, ad educarsi ed accettare l’alternanza del vincere e del perdere, essi riescono a far entrare l’orrore della guerra "vera", della distruzione che li circonda e che può colpirli e colpire le loro famiglie da un momento all’altro. Durante la guerra, poi, i bambini scoprono anche la capacità -necessità di salvarsi da soli.
Gli adulti non costituiscono più un punto di stabile riferimento per loro sia perchè non sono in grado di "fermare la guerra" e ne sono vittime anche loro (l’adulto, il genitore dovrebbe poter contenere la paura del bambino ma il bambino scopre che, durante la guerra, gli adulti hanno paura come lui e forse di più!); sia perchè possono morire e, dunque, dare luogo al più definitivo ed irrecuperabile degli abbandoni. Un abbandono che dimostra ai bambini che non esiste alcuna possibile "immortalità" degli "dei genitori" alla quale fare, "idealmente", riferimento per difendersi dall’angoscia di morte e che non c’è, peraltro, stabilità alcuna che essi possano garantire, in tempo di guerra, ai bambini. Infatti, non esiste, in guerra, la garanzia di poter essere regolarmente alimentati, protetti, accuditi, curati, difesi dal sopruso, dalla violenza, dalla morte. Durante e dopo la guerra è, dunque, la solitudine del corpo, dell’anima, della mente, di fronte alla violenza e alla morte, ad essere la peggiore e la più mortale delle epidemie. È la solitudine a causare più morti e, soprattutto, a lasciare in giro per il mondo, adulti e bambini segnati dalla violenza; "zombi" assetati di linfa vitale che dia sollievo al loro orrore e che essi debbono sottrarre ad altri magari ripetendo su di loro le violenze subite!
Nonostante ciò, i bambini reagiscono riuscendo, assai spesso, a cavarsela meglio degli adulti. (Si chiudono al mondo esterno, si rifugiano nell’immaginario, ricorrono all’onnipotenza infantile per ingannare e, perfino, dominare la morte. Un caso esemplare è quello che riporta Anna Frank). In un campo di concentramento nazista, durante la seconda guerra mondiale, i bambini più grandi si presero cura dei bambini più piccoli, le cui madri ed i cui padri morivano quotidianamente nelle camere a gas. Essi dettero vita ad una piccola comunità quasi "invisibile", una comunità che, come in una fiaba, scivolò via dalle grinfie dell’orco nazista , si sottrasse alle persecutorie, distruttive leggi del lagher e riuscì a sopravvivere.
Bisogna chiedersi ora: "Come avranno vissuto il resto della loro vita quei ragazzi usciti indenni dal lager? Come e chi saranno mai diventati? Vittime per sempre? Carnefici di se stessi o mostri desiderosi di vendetta? E, ancora, io mi chiedo (scegliendo quale esempio di guerra recente, uno tra i circa 300 conflitti armati che insaguinano il mondo quasi ci fosse in atto una terza guerra mondiale!): come saranno, cosa faranno, come vivranno i bambini di Sarajevo? La gente di quelle città, fino al giorno prima della guerra, aveva celebrato insieme feste e momenti di unità nazionale; era abituata ad una tolleranza estrema tra razze, costumi, culture, usi, religioni diverse. I bambini giocavano insieme ed erano croati, serbi, e musulmani. Poi, all’improvviso, è scoppiata la guerra e le tracce di danza lasciate in terra dalla gente in festa o i segni dei giochi dei bambini nei cortili si sono, di colpo, trasformati in trincee da scavare e dalle quali spararsi addosso l’un l’altro. Senza pietà. I bambini che hanno assistito a tutto questo; i bambini che hanno sopportato tutto questo hanno vissuto una serie di traumi e ricevuto una ferita così profonda alla loro crescita, al loro sviluppo, che si deve, se si vuole tentare di tornare alla serenità dell’equilibrio interiore, curare la loro psiche, le loro famiglie, l’ambiente intorno a loro.
Le cure psicologiche, in questi casi, non sono soltanto necessarie. Debbono essere obbligatorie come lo sono per quei bambini che, in casa loro e nell’ambiente che li circonda, pur in tempo di pace, vivono le guerre degli adulti. Sono guerre feroci le liti in famiglia; le separazioni brutali che si concludono con minacce e ricatti e nelle quali i bambini sono "ostaggi" della violenza degli adulti proprio come nelle guerre "vere". Sono guerre le forme di indifferenza, gli abusi fisici, psichici, sessuali sui bambini. È guerra il gioco di potere della pedofilia, espressione della debolezza e della mostruosità umana. È guerra lo sfruttamento, la mercificazione dei bambini. È guerra la paura, la miseria, il sottosviluppo. Bisogna vaccinare il mondo dall’epidemia della violenza, dell’intolleranza, della rivalità che genera la guerra. È la guerra il cancro, l’AIDS, la lebbra nel mondo. (È guerra la violenza, il bisogno di distruzione e sopraffazione di un essere umano sull’altro che fa parte integrante della condizione umana).
Bisogna educare le nuove generazioni, i bambini che verranno, al dialogo, alla conoscenza interazziale, al rispetto di comuni leggi umane, espressione di una società costruita "a misura di bambino", una società che individui nella "cultura dell’infanzia" il minimo comune denominatore, la visione comune, l’ottica spirituale, culturale, economica sulla quale far convergere ogni speranza di civile convivenza tra gli abitanti del pianeta. Bisogna provvedere a risanare "l’igiene mentale" della collettività umana dando forza e consistenza anche economica a progetti di prevenzione, informazione, formazione che, ovunque, nel mondo, e nel nostro paese "da subito", siano diretti a sostenere, nel loro compito, le due fondamentali istituzioni educative: scuola e famiglia e a stimolare la società in ogni sua organizzazione e manifestazione e, soprattutto, i mezzi di comunicazione di massa a compiere l’opera migliore ad essi destinata: quella di mettere in comunicazione tra loro gli esseri umani anche via etere e quella di stimolare nelle persone il desiderio di apprendere, di migliorare, di evolversi, di aprirsi al dialogo con se stessi, con gli altri, con il mondo, anche attraverso il virtuale, può essere conosciuto, indagato, reso amico e percorribile. Senza la paura di ciò che è diverso, sconosciuto, nemico.

2) Per un’educazione alla pace

Il discorso che lei ha tenuto ai bambini in occasione del primo giorno di scuola, dopo lo spartiacque emotivo della tragedia dell’11 settembre 2001, mi è giunto, ahimè, frammentato. Brevi "spezzoni" di frasi significative ma sicuramente interrotte dalla brevità dello spazio televisivo destinato, nei telegiornali, a questi avvenimenti. Pure, in attesa di procurarmi il discorso per intero, ho colto una frase bellissima per la quale voglio ringraziarla. Lei, infatti, ha detto ai bambini: "E, poi, non abbiate paura di volare alto". Mi è sembrata una frase di speranza, luminosa e illuminante, in tempi come questi. Tempi nei quali il "volo alto" ci ricorda dolorosamente, per contrasto, l’orrore di un "volo basso". Il volo dei due aerei di linea che si sono "abbassati" sulla città di New York per colpirne a morte il cuore. Per demolire, con una sorta di mediatico , onnipotente, terroristico colpo di spugna non soltanto i simboli di un potere ritenuto nemico ma, e soprattutto, la tranquillità, la serenità, la sensazione di inviolabilità di tutte le persone che lavoravano nelle Twin Towers e che, senza pietà, sono state uccise. E, con loro, la sicurezza e la speranza di gran parte del mondo. Veder crollare le due torri ha provocato, anche da noi, crisi di insicurezza di molti ragazzini. Soprattutto in quelli che, per età, educazione, sensibilità, hanno potuto comprendere, vedendo quelle terribili scene, che non si trattava delle immagini di un catastrofico film di fantapolitica ma di un’ autentica, apocalittica tragedia.
Quella demolizione ha fatto eco nel loro cuore e si è andata ad aggiungere, per sedimentazione, a tante inconsce paure, ai dubbi, ai conflitti, alle difficoltà di comunicazione, alle incertezze che, comunque, albergano nell’anima e nella mente di chi è in crescita. Ma, in tanti bambini e in tanti ragazzi "a rischio" ovvero in difficoltà psicologica a motivo delle carenze e delle problematiche nell’ambito famigliare e/o sociale che li circonda, quelle demolizioni hanno dato consistenza ad altri dolorosi "crolli". A lutti ed abbandoni, a fantasmi di insicurezza dai quali sono già dolorosamente condizionati nella loro vita quotidiana. Serve a questi ragazzini (e ai bambini tutti, naturalmente!) di poter fare affidamento, incontrandoli a scuola e nel sociale (soprattutto se a casa loro questo non è stato possibile!), su punti di riferimento educativi, affettivi, spirituali: ovvero su persone capaci di dare loro garanzia di affidabilità. Adulti affidabili, dunque, per sconfiggere la paura, la solitudine, la mancanza di prospettive e di fiducia nella vita. Ecco, perché "volare alto", creare, ideare, progettare, sfidare con la forza del cuore e del pensiero le potenze negative ricevendo, anche e soprattutto a scuola, "un’educazione al coraggio e alla pace", è fondamentale. Per i ragazzi, per gli insegnanti, per le loro famiglie, oggi la scuola è il primo avamposto nel quale si può difendere la civiltà, la tolleranza, l’integrazione multirazziale, la pace.
Oggi, la scuola, oltre a trasformarsi modificando cicli e percorsi, deve diventare per i ragazzi un luogo amato, capace di proteggere, tutelare, informare e formare la loro mente, il loro corpo, il loro cuore "anche" ad affrontare le prove forse durissime di iniziazione alla vita che i nostri tempi ci impongono per poi agire in difesa della vita! Un luogo di crescita al quale andare come ad un’ oasi. Sicuri di trovare riposo, ombra, acqua. Un luogo di crescita dove s’impara soprattutto a "volare alto".

3) Per un’educazione al coraggio

In questi giorni, di attesa, di timore, di sospetto, di confusione, alcune cose mi risultano chiare.
La prima: le religioni non possono essere motivo di conflitti sanguinosi, di guerre, di persecuzione. Ed in questo ha assolutamente ragione il grande saggio, il Papa della pace, della conciliazione, Karol Wojtyla, che, nonostante "l’impopolarità" della pace, proprio in questi giorni, non rinuncia a lanciare il suo messaggio, il suo appello coraggioso e risolutivo: dire "no alla guerra".
La seconda cosa che mi è chiara è che bisogna educare al coraggio se stessi (e intendo gli adulti che ne hanno coscienza!) e, poi, i bambini, gli adolescenti. Il coraggio di affrontare le prove che verranno. Prove durissime, imposte da altri che, assai spesso, non trovano collocazione nel fluire dei programmi quotidiani e in prospettiva delle nostre vite. Ma diventare coraggiosi è un esercizio che prevede anche l’individuazione di figure di riferimento, non soltanto umanamente rispettabili ma eroiche, valorose, capaci di mostrare, con l’esempio del percorso della loro storia personale, come si possono affrontare e risolvere anche le più complesse, gravi, aspre situazioni della vita.
Ed ha, pertanto, ragione un altro saggio, il nostro Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando ha sottolineato, in occasione del primo giorno di scuola, dopo l’apocalisse dell’11 settembre, che è indispensabile un’educazione al coraggio. Poiché coraggiosi si diventa investendo sulla forza e sulla disciplina necessarie per affrontare "insieme", dunque in alleanza, in solidarietà, le prove che la vita ci impone. Soprattutto allorquando, per motivi non solo personali ma anche collettivi, ci impegna a difendere ciò che per noi ha valore. Ovvero quel che per noi è "irrinunciabile" come la libertà, i diritti acquisiti, la propria fede e religione: come il modo di vivere ed operare nel quale siamo cresciuti e che, comunque, ci appartiene, pur con tutte le possibili contraddizioni, pur con tutti i limiti. Poiché tutto questo dà corpo, consistenza, spessore alla nostra individualità, ai nostri affetti, alla nostra storia, alla nostra educazione, alla nostra sensibilità. E, pertanto, bisogna individuare, sottolineare e fare riferimento a modelli positivi, ad eroi umani ed autentici che della responsabilità e della capacità di combattere il male hanno fatto una ragione di vita, per se stessi e per gli altri. Generosamente.
La terza cosa che mi è chiara, infine, è che: "Colui che è "generoso" con "coraggio" può aiutare il mondo a salvarsi". Così come auspicava un’altra saggia figura che, in questi giorni, si è rivolta ai bambini. Si tratta del Ministro della pubblica istruzione Letizia Moratti che li ha invitati "a non aver paura di volare alto". Ha ragione signora Ministro! Chi, in questi giorni, non fa ricorso all’immaginazione, alla speranza, alla capacità di lanciare "il cuore oltre la siepe" dei fili spinati, degli agguati, degli atti terroristici, della guerra, della distruttività, non può progettare un futuro di dignità e di amore per il mondo. Affidare questo volo ai bambini è sperare di far loro dimenticare e superare il volo basso e mortale degli aerei dirottati per schiantarsi sulle torri. E, infatti, la speranza sono i bambini, i ragazzi. Infatti, il più saggio di tutti, il saggio tra i saggi, per me è Emilio, 15 anni, che, al mio sito, ha inviato la seguente riflessione. "Pare che, tra poco, pochi giorni, poche ore dovremmo affrontare l’esperienza della guerra. Ma noi la guerra l’abbiamo vista soltanto nei film o nei cartoni animati dove, molto spesso, la distruzione della terra, con armi nucleari o batteriologiche, da parte di pazzi (scienziati o dittatori, forze occulte, del Male o alieni ecc. che volevano il potere assoluto, a qualunque costo) veniva scongiurato dalle forze del Bene; combattenti alati: Power Ranger, Mazinga, tartarughe Ningia, Superman, Pokemon positivi. Così, oggi, ci pare di vivere in un film o in u cartone animato e siamo in attesa di vedere vincere le forze del Bene. È necessario, però, che le persone più grandi, intorno a noi, a cominciare dai genitori, non abbiano quella paura negli occhi! Chiedo loro soltanto che si mostrino così forti da non scaricarla su di noi. E anzi che ci aiutino a contenere la nostra paura. Questo sí che è un atto di coraggio: avere negli occhi la speranza!".

4) Antologia dei pensieri dei bambini

"Mamma, se respiro senza maschera, posso prendere un virus mortale?" "Papà è vero che per fare la guerra butteranno una bomba di batteri che uccide tutti?" "Nonna ma perché io il vaccino contro il vaiolo non l’ho fatto?" Queste frasi dolorosamente ingenue e già piene di ansia, sono alcune fra le tante che i bambini, in questi giorni, rivolgono, in forma di domande, agli adulti e ai parenti e che molti genitori, allarmati, ci riportano, chiedendo alla nostra competenza di educatori, psicologi, esperti, come fronteggiarle. Ovvero come rispondere ai bambini in modo chiaro, corretto, equilibrato senza spaventarli.
Ma, invece, proprio in questi giorni, attraverso i mass media e le tante trasmissioni televisive, incentrate sui possibili catastrofici effetti che una terroristica guerra batteriologica potrebbe causare ed anche, poi, a motivo della paura, dell’estrema emotività, dell’angoscia che attanagliano anzitutto gli adulti e che, assai spesso, gli adulti manifestano apertamente davanti a loro, i bambini ricevono ambivalenti messaggi di rassicurazione alternati a disconfermanti e preoccupanti segnali di pericolo in arrivo, di terribili scenari di morte, di "agguati del terrore", contro i quali nessuno adulto sembra non poter far niente, se non una guerra altrettanto distruttiva, pericolosa, devastante. E, naturalmente, i bambini assorbono, quasi fossero delle "spugne", tutte le preoccupazioni e i disagi degli adulti e la loro snervante attesa della guerra. E, come sempre fanno i bambini, "mettono in scena" quei disagi, quelle preoccupazioni, quelle paure sia attraverso disturbi del comportamento, dell’attenzione, dell’alimentazione ecc. sia attraverso somatizzazioni (febbri, vomito, crisi di soffocamento, paura delle malattie). Molti bambini, poi, di notte, sono vittime di incubi terrificanti. Incubi nei quali nessun adulto può salvarli da batteri e virus mostruosi proprio come quelli che hanno visto in tanti cartoni animati, film e telefilm catastrofici e di fantascienza. Ad alimentare incubi notturni e malesseri diurni contribuiscono, poi, anche le risposte vaghe, improbabili, confuse, allarmate ecc. che danno loro gli adulti i quali, invece di confrontare la consistenza delle loro paure con il piano di realtà, informandosi seriamente di quel che accade, anche ricorrendo all’esperienza e alla collaborazione di persone esperte, preferiscono o rimuovere e non vedere, o improvvisare risposte che contengono il peggio di quello che hanno appreso, per frammenti, dai notiziari radiofonici e televisivi, dalla lettura distratta di giornali e riviste. Per evitare che molti adulti e, soprattutto, molti bambini siano sopraffatti dal "contagio emotivo" prima che da quello causato da una possibile, e speriamo improbabile, "guerra batteriologica", è necessario che, anzitutto, gli adulti, genitori, educatori, operatori della comunicazione ecc. si alleino tra loro al fine di formarsi ed informarsi per costituire una rete di tutela cognitiva ed emotiva nei confronti dei bambini.
Vero è che per rispondere alle insidiose domande dei bambini in merito alla guerra batteriologica ci vorrebbe proprio un papà come quello pensato, voluto, interpretato da Roberto Benigni in "La vita è bella".
Ecco un’antologia dei pensieri dei bambini che sono stati raccolti presso la Fondazione movimento bambino e che a mio avviso meritano una grande attenzione e che sono, nonostante la loro drammaticità anche pensieri ricchi di un involontario senso di humor che anima proprio i pensieri dei bambini.

Alda, 9 anni, Roma

Il numero 11 non lo posso più vedere perché l’11 settembre è successo quel terribile disastro delle due torri a New York. Quelle torri, poi, messe così vicine una all’altra, dritte e altissime, sembravano proprio il numero 11! Adesso non è più il 17 o il 13 che portano male. Adesso è il numero 11!

Cristian, 8 anni, Milano

Quando mia madre ci ha detto di aprire la televisione perché mio padre, che stava in caserma, aveva telefonato per dire che stava succedendo qualcosa di terribile in America, mia sorella ha acceso. Ma io le ho detto subito di cambiare canale perché sul due (rete due n.d.r.) c’era soltanto uno dei soliti film con i grattaceli che prendono fuoco. Invece quello era il canale giusto! Anzi, facevano lo stesso programma su tutti i canali!

Herman, 10 anni

Mio padre è nato a New York, poco distante dal grande zero. È pure ebreo e questo, per lui, è importante. E suo padre faceva pure il pompiere. Ed è pure morto durante il servizio. Così, per mio padre è stata una cosa gravissima quella che è successa. È stato talmente male che noi non sapevamo come consolarlo. Piangeva tutto il giorno. Allora mia sorella gli ha comperato in un magazzino di articoli che vengono dall’America le due torri gemelle fatte con la cera. Lui le ha accese ed è stato lì a guardare che bruciavano e si scioglievano piangendo moltissimo. Quando si sono sciolte del tutto, ha fatto un piccolo tocchetto della cera sciolta che era rimasta e ci ha inciso sopra la data: "11 settembre 2001". E, per fortuna, dopo non ha pianto più. Però porta sempre quel pezzetto di cera messo in un sacchettino dentro la tasca della giacca. Mio padre, infatti, è molto romantico e le sue torri non le scorderà mai più.

Egle, 12 anni, Bellinzona (Canton Ticino)

Mia madre dice ogni giorno che ci sarà la guerra. Però, spera che non siano coinvolti perché siamo svizzeri. Però dice che ci sono tanti musulmani anche qui e potrebbero fare degli attentati. Soprattutto alle donne. Questo lo dice anche per farci rientrare più presto la sera e per non mandarci in discoteca. Lei era già contraria prima a farci uscire. Perciò figurati adesso! Mia sorella Elena però, che ha 17 anni, non la sta proprio a sentire. Le ha risposto che la violenza alle donne i terroristi gliel’avevano già fatta. E a tutte, proprio tutte le donne e non soltanto alle loro che girano nascoste nei vestiti come fossero fantasmi. Infatti, Elena dice che le due torri erano due donne e che i due aerei che le hanno passate da parte a parte erano gli uomini che odiano le donne. Mia madre ha picchiato Elena perché dice che non è lei a pensare queste cose ma qualche porco che gliel’ha messe in testa!

Nina, 12 anni, Vercelli.

Quando sono venute giù le torri, io ho capito subito che qualcosa cambiava. Infatti, mia nonna ha avuto la sua solita crisi e non vuole mangiare né bere più niente perché crede che tutto sia avvelenato. Già prima diceva: "Mi volete avvelenare". Adesso, poi, è come impazzita e dimagrisce, dimagrisce. Perché quelli della televisione non tengono conto che se uno ha "l’arterosclerosi" certe cose non le può sentire dire?

Giorgio, 11 anni, Cosenza

Se viene la guerra, mio padre e mia madre non si divorziano più. Allora io sono molto contento perché ci spero sinceramente!

Vito, 10 anni, Bari

Ho sognato che le due torri erano due giganti. Poi due genitori e che qualcuno li buttava giù. L’aereo che li buttava giù somigliava a quello che mi hanno regalato a Natale i miei nonni.

Giorgio, 14 anni

Se viene la guerra dicono che durerà tanto tempo. Allora spero di arrivare ad essere militare per poter combattere anch’io. Non sopporto le cose fatte da quei vigliacchi e, soprattutto, odio avere paura senza potermi battere perché sono ancora piccolo.

Lidia, 13 anni

Mi fanno pena e dolore tutti i poveri della terra; mi fanno pena gli innocenti che non c’entrano niente e vengono ammazzati e sono arrabbiata proprio perché è una guerra che la fanno tra miliardari. Infatti, il califfo Omar è miliardario ed anche chi possedeva le torri era miliardario. Tanti miliardi in fumo e tanti morti innocenti!

Olga, 13 anni

La mia bisnonna è molto simpatica e non ha paura di niente perché è talmente vecchia che ha visto tutte e due le guerre. Lei non ha paura della guerra batteriologica e ha fatto vedere, a me e a mia sorella che ha tanta ma proprio tanta paura, la maschera antigas che le avevano dato quando era giovane italiana per difendersi dal gas velenoso che potevano lanciare i nemici. E quando mia madre fa storie perché ha paura, mia nonna per farci ridere e non drammatizzare, ci fa vedere la collezione del "Corriere dei piccoli" dove ci sono le vignette del signor Bonaventura. Il suo nemico giurato si chiama "Barbariccia" ed è identico a Osama Bin Laden. Alla fine di ogni storia "Barbariccia", nonostante le cose cattive che fa, perde sempre e diventa sempre più giallo in faccia e rimane senza il "milione". E il milione se lo prende il signor "Bonaventura". Speriamo che succeda pure a Bin Laden!

5) Conclusioni

Ecco, infine, l’ultimo pensiero arrivato poche ore prima di questo incontro organizzato dalla Commissione parlamentare per l’infanzia. Mi sembra un pensiero toccante che possa concludere con le parole dei ragazzi questo fermo rifiuto alla guerra.

Igor Mini, 11 anni, Cosenza.

Per un bambino combattente
Ciao bambino soldato, dove hai lasciato i tuoi giochi? Io ne ho qui tanti e vorrei giocare con te. Invece apro la televisione e mi accorgo che sei lì. Mi guardi dallo schermo, hai gli occhi della paura e della droga. Hai il fucile a tracolla. Anch’io gioco alla guerra, sai, e mio fratello è drogato. Così, certe volte, davanti al televisore, la mia solitudine somiglia alla tua.