CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della
Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi. La legge non autorizza la Commissione di vigilanza ad intervenire sul
contenuto dei programmi. La Commissione, ad esempio, non avrebbe potuto intervenire su
quello che, a opinione di molti, è stato un vero e proprio "accanimento
informativo" sul caso di Cogne. Tuttavia, l'insieme delle norme esistenti, nonché la
sensibilità e la cultura di questo paese, richiedono una conciliazione fra valori sono
ugualmente incomprimibili, per i quali non è consentito formulare una gerarchia.
Fra questi valori c'è certamente la tutela dell'infanzia; e, oltre la tutela,
l'educazione e una buona informazione. Una buona informazione per l'infanzia è parte
essenziale di una buona educazione. Ma, fra questi valori c'è anche la libertà di
informazione e la responsabilità degli operatori dell'informazione. Gli interventi
possibili possono dunque fondarsi solo su una "persuasione morale" che faccia
leva sull'esercizio della responsabilità da parte di tutti. Gli operatori
dell'informazione hanno diritto alla piena libertà nell'ambito delle leggi, ma hanno il
dovere di assumere la responsabilità di ciò che fanno o non fanno e di sottoporre i loro
atti e le loro scelte a un dibattito pubblico che non possono rifiutare. Credo siano
questi i confini entro cui dobbiamo agire; forzarli in un senso o nell'altro non è
ammissibile.
L'obiettivo della tutela dei minori è però a tal punto importante che talvolta si è
tentati di raggiungerlo attraverso petizioni ideologiche, o per via amministrativa;
insomma, cercando scorciatoie, come avviene spesso quando i problemi sono molto complicati
e impegnativi, e si cerca di ottenere comunque un risultato. Buoni risultati in questo
campo, invece, non si ottengono facilmente; soprattutto non si ottengono una volta per
tutte e forse mai in maniera del tutto soddisfacente. Se un liberale come Popper,
tutt'altro che indifferente alla affermazione dei valori di libertà individuale,
insofferente verso qualunque vincolo che la limiti, ha sentito il bisogno - nei suoi
ultimi scritti - di lanciare un allarme sulla funzione della televisione, in particolare
in rapporto ai minori, il problema sicuramente esista ed è serio.
Per di più, il rapporto tv-minori è - in un certo senso - metafora del più complessivo
rapporto fra il mezzo televisivo e l'universo degli spettatori. In Italia in modo
particolare, ma non solo in Italia, è vivissima le preoccupazione che gli spettatori
siano indifesi di fronte alla influenza e al condizionamento del piccolo schermo. Secondo
questo punto di vista, potremmo considerarci tutti "minori" rispetto alla
televisione. Si sottolinea la capacità di influenza della tv, il condizionamento -
addirittura inconsapevole che ne deriverebbe almeno per chi dispone di strumenti
culturali meno raffinati. Figuriamoci leffetto sui minori in senso proprio, i minori
per età!
Il rapporto con la TV, poi, non è sempre identico; cambia continuamente, è polimorfo.
C'è la televisione come contenuti, la televisione come pubblicità; ci sono i
videogiochi. Se lo sviluppo tecnologico ci fa pensare a qualche "anticorpo" che
possa scaturire dall'uso stesso di questi mezzi dotati di nuove funzioni interattive che
riducano almeno un po' la passività, immediatamente si presenta il rischio di nuovi,
pericolosi, effetti possibili.
Per far leva sull'esercizio della responsabilità non possiamo contare né su controlli
né su definizioni burocratiche di limiti e divieti. I media socializzano, inducono allo
sviluppo, forniscono elementi non esaurienti ma indispensabili anche ai fini della futura
attività lavorativa. Tante volte mi è capitato di parlare della gravità del cosiddetto
"analfabetismo informatico". E' considerato uno degli indici più significativi
per valutare i livelli di sviluppo economico e civile e per apprezzare le potenzialità
future di un paese.
Penso si debba puntare soprattutto su un'educazione complessiva e differenziata: prima di
tutto degli operatori. Popper era forse angustiato dalle ombre che si addensano quando uno
spirito laico getta l'occhio sull'Eterno; può avere esagerato nei timori. Ma è
giustissimo insistere sulla necessità di una formazione specifica e costante degli
operatori. Ci si deve, poi, occupare della formazione degli adulti, dei genitori in
particolare. Non con una piatta pedagogia; ma con un uso consapevole dello stesso
strumento televisivo, mettendone a frutto le specificità. Gli operatori e i programmatori
dovrebbero concentrare la loro attenzione su questo punto: come utilizzare la televisione
per "educare", a fini "didattici"; non in modo noioso e improprio, ma
approfittando di tutti i suoi linguaggi e tutte le sue potenzialità.
Importantissima, a me sembra, è anche la "educazione" alla produzione di spot
pubblicitari. E relativamente più facile contrastare programmi dove ci sono
violenze esplicite, che esplicitamente si possono condannare e che vanno cancellate quando
possono essere coinvolti i minori. Assolutamente indifesi sono invece i minori di fronte a
messaggi e modelli deformanti proposti dalla pubblicità. E' una riflessione alla quale si
prestano anche i telegiornali. Non penso certo a intenti perversi; ma è la realtà stessa
a offrirsi documenti spesso sconvolgenti; anche quando non si ecceda in compiacimento (che
va comunque evitato) ma ci si attenga rigorosamente al dovere/diritto di cronaca. D'altro
canto, i bambini devono imparare che la realtà è fatta di bene e di male, di gioie e di
dolori, di bontà e di cattiveria: è una delle condizioni dell'educazione, dell'imparare
a vivere.
La minaccia più grande è, però - io credo - la passività, e la sua più potente
alleata: la solitudine; soprattutto questa dobbiamo contrastare. Scusate se mi riferisco
alla mia esperienza privata, ma lo facciamo un po' tutti. Ho una coppia di nipotini
gemelli che quasi sempre vedono - ovviamente - la televisione insieme. Si dice che i
gemelli hanno loro specifici problemi che risparmiano gli altri bambini. Ma, di fronte
alla televisione sono un po più difesi, perché non sono mai soli. Di fronte a
immagini che spaventano, sconcertano, possono rivolgersi all'altro: questo è
importantissimo.
E' la solitudine l'insidia vera. Il che rinvia ad un problema più generale:
l'organizzazione della vita delle nostre famiglie. Quando cè poca disponibilità di
tempo, c'è sicuramente poca volontà, poca capacità di intervenire per non lasciar i
figli soli di fronte al teleschermo. Ci sono anche ragioni di carattere culturale; il che
rinvia al tema dell'educazione complessiva di cui ho già parlato, ma ancora una volta
alla disponibilità di tempo, perché anche educare se stessi richiede tempo. E pur se si
dispone delle capacità culturali, la padronanza sul nostro tempo quotidiano non è tale
da consentirci di eliminare la solitudine dei nostri figli davanti al teleschermo.
E non deve essere considerato solo il tempo di cui dispongono gli adulti per non lasciar
soli i minori; conta il tempo complessivo spesso assai lungo - durante il quale i
minori stanno davanti alla televisione. Tutti gli studi dicono che sono sì importanti i
contenuti; ma gli effetti più duraturi e - se possiamo usare questo termine - i
condizionamenti più pesanti sono piuttosto legati alla durata del tempo in cui il minore
"esposto" al televisore, soprattutto se in condizioni di solitudine.
Al tempo è legata anche la formazione non solo intellettiva, sentimentale ma anche
verbale. E' passato tanto tempo ma ricordo ancora vivamente un episodio della mia
infanzia. Degli adulti parlavano in mia presenza e io sentii la parola "sesso".
Per me era una parola sconosciuta e ne chiesi il significato. La reazione di quegli adulti
fu sbagliata: mi dissero che ero troppo piccolo per capire. Ricordo ancora la
frustrazione, l'offesa che provai per quelle parole. Diciamo "minori", ma con
questo termine indichiamo un pezzo di vita molto ampio, che comprende situazioni
diversissime. Solo una segnalazione; dovremo abituarci a condurre più frequentemente
"analisi differenziate".
Questo convegno promosso dalla Commissione infanzia è importante. Tanto più perché in
Italia si sta sviluppando - forse con un po di ritardo rispetto ad altri paesi - una
sensibilità attenta nella opinione pubblica alla quale corrisponde un lavoro importante
da parte delle istituzioni. C'è stato recentemente un convegno del CENSIS. Il Parlamento
si è dotato di numerosi strumenti. Ci sono i risultati del lavoro del Comitato nazionale
di bioetica. Spero che queste iniziative siano affiancate da un'azione più ampia degli
operatori dell'informazione e della comunicazione.
Confido nell'arricchimento delle proposte televisive per i minori. Negli ultimi anni anche
a seguito dello sviluppo tecnologico e dell'allargamento del mercato, c'è stato un salto,
se non altro quantitativo. Sono circa 87, nel mondo, i canali per i minori, una
cinquantina dei quali nati negli ultimi anni. Si deve, dunque, e si può, approfondire che
cosa sia un canale, una fascia di programmazione per i minori. Unattenzione
fortissima - lo ripeto - va dedicata alla pubblicità. E' illusorio pensare che la
pubblicità venga espunta del tutto dai canali dei minori. Senza risorse non ci sarebbero
neppure i canali. E' però possibile, e opportuno, pensare a una pubblicità ad hoc.