Gianluca NICOLETTI, Direttore editoriale
RAI-NET. Io vorrei iniziare parlando delle macchine delle meraviglie, perché in fondo
il paradosso di cui mi sono accorto, ascoltando gli altri interventi, è che noi stiamo
parlando di macchine usate come passatempo, come gioco o per lo meno create per essere
giocattoli, per impegnare il tempo libero, che stanno lentamente erodendo e corrodendo
quello che è il tempo dell'attività, il tempo del lavoro. Ci condizionano dunque più le
macchine che abbiamo pensato per passare felicemente il nostro tempo libero, che le
macchine con le quali ogni giorno abbiamo un contatto diretto e costante per svolgere
attività professionali, una sorta di paradosso post-luddista, per il quale luomo
rischia di essere alienato non dalle macchine con cui deve lavorare, ma da quelle con cui
"deve comunque" giocare.
Io, negli ultimi dieci anni, ho osservato con attenzione tutte le macchine e le meraviglie
a nostra disposizione e ho capito quanto in fondo l'uso atipico di queste macchine crei la
vera meraviglia. La forzatura di una tecnologia oltre i limiti duso per cui è stata
progettata, crea la vera l'irruzione del meraviglioso, ma allo stesso tempo favorisce
l'evoluzione delle stesse macchine che si specializzano e maturano solo se usate oltre i
limiti. Il telefono cellulare ha oggi il suo boom come strumento di scambio di
messaggistica scritta e di piccole illustrazioni in grafica elementare, ma era nato come
unespansione del telefono fisso che a sua volta nasce come uno strumento per
comunicare tra imbarcazioni e terra ferma. Insomma la deriva imprevedibile delle macchine
affina il loro rapporto con lumanità.
Vorrei fare un esempio, che mi è venuto in mente proprio ascoltando i miei colleghi. Io
ho davanti a me un traduttore simultaneo, potrei provare il passatempo di ascoltare me
stesso tradotto in lingua inglese. Ma sarebbe ben poco se in questo momento non volessi
coinvolgere una persona che appartiene a una rete parallela, che viveva fuori dal circuito
di comunicazione, attraverso cui noi ci stiamo relazionando. Questa persona che vorrei
coinvolgere è la signora con la giacca a scacchi che sta nella cabina della simultanea
alle mie spalle; da ora, suo malgrado, è diventata protagonista e deve in tradurre me che
parlo di lei, probabilmente questo le pesa, se interviene sul fatto di essere stata
chiamata in causa di persona, lei esce dai suoi mandati professionali, quindi sta
traducendo me stesso che parlo di lei, della sua perfetta pronuncia, della sua giacca a
scacchi.
Quasi nessuno della platea che mi ascolta però ora condivide con me il divertimento di
sentire la voce di questa signora iper professionale al punto di non contaminare la sua
perfetta traduzione partecipando emotivamente a questo gioco. Nessuno, tranne una sola
persona in questa stanza, che è la signora seduta tra il pubblico di fronte a me, che è
l'unica ad avere la cuffia perché è lunica straniera presente qui. Lei fino ad ora
era isolata dal contesto di comunicazione perché noi parlavamo tutti l'italiano, lei era
l'unica a usufruire della traduzione simultanea in inglese perché è l'unica ad avere la
cuffia.
Infatti la signora straniera che era necessariamente isolata ora sta sorridendo perché si
sta rendendo conto di essere stata coinvolta in una nuova rete di comunicazione, è stata
tirata fuori dal suo isolamento, io sto usando in maniera impropria questa macchinetta
fatta per uso semplicissimo, quello di permettere a chi non conosce l'italiano di seguire
in inglese i nostri discorsi; in questo momento ho quindi creato un network, ho
creato una relazione fra me, la signora affascinante alle mie spalle, la signora
affascinante di fronte a me con la cuffia, abbiamo creato una rete parallela, noi stiamo
comunicando in qualche maniera, usando impropriamente lo strumento che oggi mi era stato
messo a disposizione semplicemente per fare questo tipo di convegno. Il fascino di cui
parlo è attribuibile naturalmente più alleterodossia della modalità di
comunicazione che a circostanze oggettive. Questo per dimostrare che in fondo le macchine
delle meraviglie, perdono questa loro possibilità di meravigliare quando vengono chiamate
mezzi di comunicazione o ancora di più la perdono quando diventano oggetto di
interpretazione, di studio, che giustamente e lecitamente investe l'Accademia, ma
allontana, o per lo meno rende difficile la possibilità di una reale esperienza sul
potenziale di queste macchine e sul loro uso sociale.
E stata evocata la televisione, non si può fare a meno di nominarla dato che oggi
si parla di nuove tecnologie comunicative come di filiazioni improprie della televisione,
io non sarei del tutto daccordo anche se nellimmaginario comune tutto ciò che
trasmette immagini è figlio della televisione, ma la rete sarebbe meglio considerarla per
gli aspetti di differenza con la televisione piuttosto che per le similitudini.
La televisione nasce come un surrogato quotidiano domestico del teatro, se la osserviamo
nel suo hardware, nella sua costituzione meccanica, la televisione degli albori
doveva mimetizzarsi nel salotto della casa, era fatta in radica, doveva nascondersi
perché si sentiva il forte pregiudizio di essere una macchina delle meraviglie, che non
aveva nulla a che fare con la rigida austerità di un salottino medio borghese in cui
veniva introdotta, quindi ancor di più veniva mascherata, coperta con una tendina, quasi
le famiglie pensassero e avessero idea che da quella televisione potesse uscire fuori
qualcosa che esse non avrebbero più controllato. Infatti, oggi non solo non controlliamo
la televisione, ma la televisione ha deviato completamente il motivo della sua nascita,
vale a dire di essere stata creata appunto come un medium ossia un evocatore di
immaginario. Oggi il pubblico della televisione non considera più un mezzo la
televisione, ma la considera un fine.
Nella televisione bisogna collocarsi, bisogna entrare, conquistare spazio, la televisione
è l'oggetto che certifica la nostra esistenza, la nostra realtà, sancisce i nostri
meriti, anche se ne possediamo una scarsa misura, autonomamente, al di là di chi voglia o
possa controllare, pensare, immaginare i contenuti della televisione. Ormai è un discorso
vecchio, trovo molto "retro" parlare di professionalità riguardo alla
televisione, questa si fa da sola da anni, non ha più bisogno di un pensiero forte al suo
interno perché il pensiero forte è essere lei stessa un sostituto alla realtà.
Oggi il palinsesto televisivo è tenuto in piedi dalla velleità del pubblico della
televisione di collocarsi all'interno della stessa, la televisione riproduce specularmente
la realtà umana, banale nelle sue abiezioni e nei suoi splendori. Più la realtà esterna
si sente rappresentata dalla televisione più tende ad entrarci dentro, perché lì si è
qualcuno senza essere nessuno, anche la propria vicenda personale individuale può entrare
a far parte di una vicenda collettiva. Sarebbe del tutto innocuo se ci si fermasse a
questa fase, ma poi la televisione in realtà non presenta un modello neutro, ma piuttosto
dei correttivi, dei cambiamenti continui sul modello umano che rappresenta.
Mutazioni da prima impercettibili, diventano sempre più sostanziali quando poi la specie
umana cerca di identificarsi quanto più possibile al modello televisivo, noi siamo
circondati da persone che operano delle forzature abnormi nelle loro fattezze corporee ma
non ce ne rendiamo conto, perché sono dei modelli fisici mutati per avere una loro
presenza, una loro vivacità sotto la luce, sotto le angolature, sotto le ottiche della
televisione. Le stesse mutazioni sotto locchio della realtà; sono delle terribili
deformazioni, questi uomini con i capelli corvini nonostante abbiano oltre sessant'anni,
queste donne dalle ridondanze abnormi, sono grottesche viste per strada e invece passano
per bellissime nellempireo televisivo. Tutto questo appartiene alla generazione di
adulti di cui in fondo sono esito i bambini virtuali di cui stiamo parlando e quindi
probabilmente la riflessione da fare è questa: virtuale è la famiglia che circonda il
bambino, che si dovrebbe muovere tra questi mezzi di cui poco se ne sa e poco si immagina.
Chi ha dei bambini da quattro a sei anni da seguire nelletà del primo approccio al
mondo dell'informatica, della rete, della navigazione, dei videogioco, sa benissimo che il
sancta sanctorum domestico si sta spostando lentamente dal salottino con l'angolo
della televisione, alla stanza dove il papà e la mamma lavorano fisicamente con un
computer. Io che lavoro alla macchina delle meraviglie per molto tempo della mia giornata
ormai ricevo e gestisco i miei bambini nel luogo dove lavoro, una rete casalinga, dove
c'è il computer, che serve per il lavoro del papà e quello con cui giocano i bambini.
Il loro addestramento e la loro educazione procede attraverso queste macchine, non potrei
fare a meno di far passare la loro esperienza attraverso queste macchine, ma allo stesso
tempo stare attento e trasferire quello che voglio comunicare ai figli. Fino a qualche
generazione fa abbiamo raccontato il mondo ai bambini attraverso strumenti e
rappresentazioni simboliche della realtà che potrebbero essere la favola, il disegno, i
primi cartoni animati visti assieme, i libri illustrati e alcune modalità anche
lievemente più realistiche, come particolari giocattoli che riproducevano utensili per
adulti per lavorare, ma anche per combattere. Dalla paletta e secchiello al piccolo
chimico, al monopoli alle armi giocattolo. Oggi tutto ciò è travasato nel computer. Il
computer non è soltanto la versione più avanzata del gioco che diventa videogioco, è
metafora meravigliosa invasiva, ma penetrante e immaginifica allo stato assoluto per far
comprendere quelli che sono gli aspetti più propri della favola a un bambino in maniera
veloce, perché il bambino deve abituarsi che oggi il tempo richiede una contrazione, che
occorre velocizzare tutto, è inutile pensare di imporre i nostri tempi di apprendimento
ai bambini, i quali senz'altro ci sorpasserebbero.
Occorre avere comunque degli strumenti di gestione di queste macchine, che però vanno al
di là dei piccoli tecnicismi del saper usare appunto i sistemi software, ed è quindi
necessario capire di cosa si tratta, si deve gestire una nuova area della propria
emotività. Io penso che, osservando il fenomeno, e non credo di dire proprio una
bestialità, la prima causa di adulterio nella classe media, impiegatizia, professionale
non sarà più la frequentazione del compagno di scrivania, del vicino di casa o
dell'amico della moglie o dell'amica del marito, ma sarà il frequentare i luoghi di
comunicazione virtuale.
Io ho fatto esperienze molto forti in questo campo, addirittura per un periodo ho navigato
insieme a una mia amica scrittrice, volevamo fare un romanzo su questo, poi abbiamo visto
che la realtà può superare ogni possibile immaginazione, trovo che la maniera di
relazionarsi tramite la rete è una maniera totalmente nuova e sconvolgente, perché
avvicina tutti i passaggi che normalmente noi conoscevamo nella relazione con l'altra
persona. In una mezz'ora circa, se una persona ha una buona esperienza, conosce il mezzo,
ha una capacità di intuizione, di introspezione, ma anche una buona maniera di esprimersi
attraverso la letteratura e la poesia, riesce a colpire e ad avvicinare i tempi, perché
è possibile farsi un amante nel giro di mezza giornata.
Viene detto che poi ci debba essere necessariamente un incontro sul piano reale, invece
questo è sconsigliabile perché, questo è importante nella riflessione che si fa sul
bambino, nella relazione virtuale il corpo è un grande peso, un grande fardello, più si
va avanti nella conoscenza e nell'apprendimento e nel fascino che dà questa maniera
abnorme di relazionarsi perché è assoluta e totale, è assolutamente priva di ogni
inibizione, di ogni censura su noi stessi, più si arriva all'essenza dell'altro e il
corpo ha un peso perché noi ci siamo nel frattempo costruiti una nostra fattezza, che è
quella che noi vogliamo e non quella che noi abbiamo, mai vorremmo arrivare a dimostrarci
per quello che noi siamo.
Ora immaginate che tutto questo stia diventando un gioco anche un po pericoloso
degli adulti:, è chiaro che i genitori dovrebbero dare degli strumenti di tutela ai
propri figli, sarebbe altrimenti come uno strumento indiscriminato, incondizionato nelle
mani dei minori che attraverso questa maniera stabiliscono nuove regole di relazione con i
loro coetanei e non soltanto con loro, anche perché la limitazione anagrafica non ha
assolutamente nessun senso in rete; incontravo ieri una mia collega e mi diceva che ha
avuto la grande delusione di un appuntamento al buio con un maturo settantenne che le ha
mandato foto e l'aveva veramente sedotta via rete, quando si sono incontrati si sono presi
un caffè e si sono salutati.
Questo non pensate che appartenga a delle frange limitate, è una corsa comunissima a chi
ci lavora ogni giorno, nelle redazioni dei giornali, tra il collega o la collega che si sa
che ha la propria storia virtuale, macerato dal fatto di appalesare o no la sua vera
realtà, ma intanto la storia cresce e soprattutto la generazione adulta si sta lentamente
riappropriando di alcune modalità relazionali tipiche dell'infanzia, perché non si vuole
mai crescere, non si vuole mai uscire, non ci si vuole mai staccare da un cordone
ombelicale e si vive in un perenne sogno, in una perenne illusione che è tanto bella e
tanto accogliente perché ce la siamo creata noi.
Quindi, è unulteriore conseguenza del fatto che questa generazione di adulti, sia
notevolmente appiattita su un modello televisivo e dia così poca importanza al mondo
reale, tanto da certificare la propria esistenza nel proprio passaggio televisivo. Perché
è così importante oggi possedere le chiavi del potere televisivo? Perché si hanno le
chiavi del paradiso non tanto per i tempi, per gli spazi e per la presenza equilibrata di
quello o di quell'altro politico, ma, e non so se ne è consapevole chi su questo pensa e
ragiona, si hanno veramente le chiavi dell'esistenza dell'umanità.
Oggi dire "ho la televisione in mano" significa fornire la potenzialità di un
paradiso immaginario per uninfinità di persone. Io vivo in un quartiere romano
molto vicino ai palazzi della RAI, dove il sabato e la domenica si fa il casting per i
programmi soprattutto per i bambini e vedo questa sfilata di madri che vengono dalle
province più remote d'Italia, con i loro piccoli per le mani: da qui al '47-'48 di Bellissima
non è passato assolutamente nessun tempo e c'è stata una sorta di immobilizzazione
dellimmaginario. Le piccole illusioni di felicità, le smanie e le ansie, delle
frustrazioni delle madri trovano oggi illusorio conforto anziché nel cinema, nel
quotidiano televisivo. Ma la rete è un'altra cosa, e non voglio sembrare apocalittico, la
rete non è solo un sistema di visione, non è l'evoluzione della televisione, non solo è
un'altra televisione più personalizzata che consente l'interattività.
La rete è una formidabile modalità per relazionarsi attraverso parametri totalmente
diversi, la classe adulta in parte conosce possibilità e chi la conosce non sempre poi sa
gestirla; quello che occorre fare è dare gli strumenti non soltanto tecnologici per
muoversi in questa realtà, sarebbe ben poco spiegare come si scarica un client per
potersi collegare via rete se io non spiego e non faccio capire qual è l'immenso pericolo
di rimanere affascinati da questo gioco e se può rimanervi affascinato un adulto, un
bambino può rimanerne totalmente perso, perché l'adulto ha sempre il retroterra di
un'esperienza precedente, che può ad un certo punto farlo nuovamente progredire verso
delle relazioni naturali e normali, che abbiano attualizzazione sul piano concreto. Il
bambino invece può rimanerne schiavo, come Alice nel paese delle meraviglie, perennemente
schiavo della macchina delle meraviglie.
Quindi, concludendo, probabilmente bisognerebbe rendere più lieve possibile il dibattito
su questi argomenti e scoprire, smascherare, in senso benevolo, e portare alla luce l'uso
che sta facendo la gran parte dei genitori di questo mezzo. Se i genitori hanno un bisogno
di fuga, hanno un bisogno di deriva, hanno un'insoddisfazione che viene colmata attraverso
questi strumenti, è giusto che risolvano le loro ansie come meglio credano.
Esiste però una generazione che non è inquinata ancora dalla televisione, ma è segnata
da una totale inesperienza a relazionarsi, ma pure da unistintiva manualità
nellusare le nuove macchine di relazione, per cui molto più facilmente, molto più
velocemente, potranno entrare nel paese delle meraviglie, ma ci dovrà essere accanto a
loro qualcuno capace di far capire la differenza tra paese delle meraviglie e realtà.