Maria Rita PARSI, Università della Calabria, Presidente della Fondazione Movimento Bambino. Vorrei iniziare la mia introduzione, attingendo alla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia (New-York 20/11/89) "L’educazione e la partecipazione ai media è un diritto del bambino. Gli Stati parti riconoscono l’importante funzione svolta dai mass-media e devono assicurare che il fanciullo abbia accesso a informazioni e a programmi provenienti da diverse fonti nazionali e internazionali, in particolare quelli che mirano a promuovere il suo benessere sociale, spirituale, morale, nonché la sua salute fisica e mentale (articolo17); il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione (articolo 13); gli Stati parti devono assicurare al fanciullo capace di formarsi una propria opinione, il diritto di esprimerla liberamente ed in qualsiasi materia (articolo 12).
Proprio a proposito del diritto di "formarsi una propria opinione ", poiché è scientificamente dimostrato che i media hanno una forte influenza nel modo di pensare, di agire, di esprimersi di bambini ed adolescenti, è bene sottolineare che, senza una grande attenzione sociale, culturale, etica, ai problemi che riguardano l’utilizzo dei media, non si fanno i veri interessi dei ragazzi!"
Quando, poi, si parla dei mass-media in rapporto a bambini e adolescenti, si pensa subito alla televisione. La televisione, se si considera il numero elevatissimo di ore che i bambini passano davanti alla Tv (si parla di una media di tre ore al giorno anche per bambini di 4/5 anni), diventa una vera e propria agenzia educativa, insieme alla famiglia e alla scuola, dalla quale i bambini apprendono (e sono, ovviamente, stimolati ad imitare-emulare ciò che vedono) sia allorquando "fruiscono direttamente" di programmi a loro indirizzati sia allorquando, come "fruitori passivi" (vedi: "fumatori passivi") vengono coinvolti dalla fruizione che gli adulti fanno di programmi a loro indirizzati.
Vorrei a tale proposito riproporre la trama di un film che forse avrete visto. E’ l’ultimo film girato da un grande attore, Peter Sellers, e si intitola "Oltre il giardino". E’ la storia di Change Giardiniere, ormai 50 enne, cresciuto, senza mai uscire né studiare né frequentare nessuno, nel palazzo di un uomo ricchissimo che lo ha adottato. Change è ingenuo come un bambino. Anzi, è un bambino mai nato perché quel palazzo è stato per lui un contenitore, un grembo nel quale è rimasto chiuso per 50 anni come per una sorta di vita intrauterina mai interrotta. Change è cresciuto da solo ed ha imparato a muoversi, a mangiare, a parlare guardando la TV. Sta sempre davanti alla televisione, fa tutto quello che vede fare in televisione. E’ sempre solo con in mano il telecomando. E cambia canale per cambiare cose da fare, da dire, da mangiare. Imita ogni cosa che vede fare nella "scatola delle immagini". E la televisione è la sua maestra.
Quando, poi, non sta davanti alla televisione ad imitarla, Change è in giardino a fare il giardiniere. Quello è il suo contatto con la natura. Un contatto che lo salva. Infatti, quando Change, alla morte del suo protettore, viene messo fuori del palazzo e deve affrontare il mondo "oltre il giardino", sarà proprio utilizzando il linguaggio del giardiniere, il linguaggio del mondo della natura (fioritura, potatura, semina, raccolta, ritmo delle stagioni, grandine, tempeste ecc.), linguaggio "profetico" quanto basta per mettere in crisi gli uomini di potere, a consentirgli di fare la sua parte nel mondo "oltre il giardino" e, anzi, di ritagliarsi un ruolo decisivo come saggio (e futuro presidente degli Stati Uniti che, alla fine del film, cammina sull’acqua, come Cristo.) Change, dunque, va "oltre il giardino", lascia, perché costretto, la dipendenza che lo lega alla televisione, sua unica madre-maestra, suo conforto in tanta solitudine, per affrontare, da giardiniere, legato alla natura e ai suoi ritmi, la giungla della vita, i rapporti con gli altri e con i potenti della terra.
Si potrebbe augurare ai bambini di oggi, catturati da una TV che essi non hanno ancora "addomesticato" (come auspica che essi facciano, il dottor Alberto Pellai, nel suo libro "Il bambino che addomesticò il televisore") e che, anzi, li ha "addomesticati" ed, ancora di più, in verità, "ha addomesticato" i loro genitori, di superare la "sindrome del bambino televisivo" e distaccarsi dalla Tv per recuperare, nel rapporto con la natura, con il gioco, con il sapere, con gli altri, la loro possibilità di crescere e di svilupparsi armonicamente. Senza che la loro fantasia, la loro creatività, i loro progetti, le loro scoperte, la loro esigenza di ricercare e di sperimentare, vengano fagocitate da una Tv, perennemente accesa. Già Vittorino Andreoli, nel suo libro: " Dalla parte dei bambini - per difendere i bambini dalla violenza", parlava con preoccupazione proprio della "sindrome del bambino televisivo": un bambino che è ingozzato di immagini; che non ha spazio per pensare; che non riesce a "creare legami" ("poiché il pensiero è eros" e i legami, come ricorda lo psicanalista Lucio Russo, si stabiliscono proprio "pensando"); un bambino che non comunica ne si relaziona agli altri in modo tale che questo possa favorire, stimolare, potenziare il suo sviluppo intellettuale ed emotivo. E, cito Vittorino Andreoli: "Il bambino televisivo preferisce la virtualità alla realtà, il mondo dello schermo al mondo concreto intorno a sé.
I suoi punti di riferimento non sono più quelli dell’ambiente che lo circonda ma della televisione. Diventa comprensibile, così, la reazione di smarrimento e di angoscia che lo attanaglia quando, spento il televisore, scompaiono anche i punti di riferimento di quel "suo mondo oltre il mondo familiare". In tutto questo c’è naturalmente la responsabilità del "sistema famiglia" che lascia il bambino davanti al televisore come ad una baby-sitter elettronica. Un sistema familiare che fa in modo che la televisione suggerisca, induca e/o imponga modelli di comportamento, stili di vita e di comunicazione, eroi, eroine, miti, ai bambini, ai ragazzini che, per crescere, hanno bisogno di punti di riferimento, di modelli da imitare. Proprio poche settimane fa, una rivista scientifica molto accreditata "Scienze" ha pubblicato una ricerca del Professor Leffrey Johnson e dei suoi colleghi della Columbia University e dell’Istituto psichiatrico dello Stato di New York, secondo la quale i bambini, lasciati davanti alla televisione, diventano giovani e adolescenti più aggressivi (direi meglio: distruttivi) di quelli che la televisione l’hanno vista molto poco.
Si tratta, finalmente, di ricerche scientifiche, frutto di indagini portate avanti per anni, con attenzione, su gruppi di bambini, poi, diventati adolescenti e giovani, guardando o no, la televisione. Per sensibilizzare i genitori nei confronti di un uso disciplinato, corretto, ridotto al minimo e mirato a programmi adatti ai bambini e ragazzi, tanto si è detto ed anche si è fatto (si pensi al Consiglio Nazionale degli Utenti che si è interessato di sottolineare l’importanza dei problemi connessi al rapporto tra New-media, in particolare Tv ed Internet, e i bambini e, ancora, ai Codici Europei e al Codice Italiano di autoregolamentazione nei rapporti tra Tv e minori (5 febbraio 1997), la redazione del quale è stata coordinata da Francesco Tonucci e sottoscritta da Tv pubblica e Tv privata). Ma, nonostante alcuni mutamenti nel senso della "presa di coscienza" dei genitori e/o riguardanti l’atteggiamento e le scelte di responsabili e di operatori culturali dei mezzi di comunicazione di massa, i risultati di tali interventi, trasformazioni, soprattutto se si guardano gli odierni palinsesti televisivi o i comportamenti dei genitori, non sono entusiasmanti. E così, io credo, sarà fino a quando le famiglie, anche e soprattutto attraverso la scuola, le istituzioni, l’associazionismo non verranno direttamente, sistematicamente e, sempre di più, coinvolte a riflettere e a intervenire su questi temi e problemi. Il che, naturalmente, è un invito a riflettere sulla modalità del comunicare all’interno delle famiglie stesse.
Ma c’è un argomento ancor più spinoso da trattare e da affrontare, questa volta, in modo preventivo, proprio tenendo conto del già esistente problema della "sindrome del bambino televisivo". Si tratta del "bambino virtuale" ovvero dell’uso di Internet, delle strade "senza leggi" del virtuale, sulle quali, come nel bosco della vita, i ragazzini, pur restando chiusi in casa, possono perdersi mentalmente ed emotivamente. E’ di questo e su questo che oggi vorremo porre l’accento poiché, negli studi professionali di molti psicologi e psicoterapeuti che curano bambini ed adolescenti, già comincia a farsi sentire la IAD , INTERNET ADDICTION DISTURB ("ovvero" disturbo di dipendenza da Internet) sia nei bambini, sia nei ragazzi (n.b.: tale disturbo riguarda anche e moltissimo gli adulti, sul comportamento a rischio dei quali hanno, in Italia, per primi, relazionato i Professori Tonino Cantelmi e Massimo Talli).
A motivo di questo disturbo, bambini e ragazzi (e adulti) rimangano per ore incollati al computer o per giocare o per navigare su Internet, isolandosi dal resto del mondo, alimentando una dipendenza interattiva che fa regredire le persone a livelli di "simbiosi da allattamento" e stabilendo rapporti virtuali con altri navigatori, nascosti dietro la maschera di un "nick-name" che può occultare la presenza di chiunque. Così, Internet, che, pure, costituisce una risorsa formidabile di scoperte, ricerche, approfondimento, divertimento, comunicazione e scambio, può trasformarsi in una pericolosa arma a "doppio taglio". Anche perché molti genitori e molti nonni con i quali i bambini crescono, sono, rispetto a certi moderni strumenti della comunicazione, degli "analfabeti di ritorno". I "nuovi bambini" "nascono digitando" e molti adulti, genitori, insegnanti, educatori, nel nostro paese (e, soprattutto, negli altri paesi industrializzati, che pure rappresentano soltanto, una piccolissima parte del mondo e, dunque, una piccolissima parte della popolazione del pianeta), stentano a prendere in considerazione il fatto che la società è, ormai, profondamente mutata e, in breve, ulteriormente si modificherà, proprio a motivo della rivoluzione tecnologica che "alla velocità della luce", supera con le sue ricerche e le sue realizzazioni, perfino "i tempi di adattamento" necessari all’uomo comune per prendere atto dei vantaggi e per prevenire i pericoli che ne derivano.
I bambini e gli adolescenti, dunque, sono e diventano, sempre di più, fruitori di tecnologia. Ragione per la quale è necessario (poiché la comunità virtuale ricalca, nel bene e nel male, quella reale ma ne enfatizza tutti gli aspetti e tutti i pericoli), fare opera di "prevenzione". Ovvero, fornire, alla società, prontamente e per tempo, analisi scientificamente valide in merito al rapporto, positivo e/o a rischio, tra bambini, adolescenti e internet (senza trascurare gli adulti che, in tal modo, peraltro, vengono responsabilizzati a riflettere su quel che per loro stessi può diventare pericoloso); strumenti di intervento efficaci e, soprattutto, capaci di produrre realmente "sensibilizzazione e ascolto" in una società di consumi e pubblicità qual è la nostra, e strategie a breve, lungo e medio termine, per dare l’avvio ad azioni, permanenti ed integrate nel sistema educativo, legislativo e della comunicazione, a protezione dei minori. (Questo, tenendo naturalmente conto che esiste già un’ "Action Plan on Promoting Safe Use of the Internet " adottato dal Consiglio e dal Parlamento Europeo il 25 gennaio 1999). E, ora, prima di dare il via alla nostra tavola rotonda, vorrei ribadire l’importanza della proposta annunciata dalla Presidente della Commissione infanzia, on. Maria Burani Procaccini, di redigere un vademecum sull’uso intelligente dei nuovi media.
Si tratta, per dirla con il Professor Ammaniti, di un "home visiting" per interposta "Guida all’uso corretto di televisione ed Internet", da inviare, attraverso i Comuni, le Province, le Regioni, direttamente a tutte le famiglie e alle scuole italiane. Si tratta di un modo per iniziare un discorso ancor più approfondito ed allargato su questi temi e per creare, fornendo anche i riferimenti telematici e telefonici relativi ad uno "Sportello di consultazione" per le famiglie e gli operatori, competente e a disposizione, su questi temi, quell’indispensabile "ponte di fiducia e di azione culturale" quelle sinergie, dunque, che sono necessarie a produrre un reale cambiamento della società, nel rivoluzionario senso di una "Società a misura di bambino". Dei bambini e degli adolescenti intorno a noi. Dei bambini e degli adolescenti dentro di noi".