Maurizio GASPARRI, Ministro delle Comunicazioni. Ringrazio l’onorevole Burani Procaccini per questa ulteriore occasione di approfondimento e di riflessione su un tema di grande interesse, che ci deve vedere tutti, Parlamento, Governo e operatori dell’informazione, capaci di produrre delle decisioni utili.
Preliminarmente occorre osservare come in realtà il bambino sia molto meno inerme e passivo di come ce lo immaginiamo: anzi spesso si avvicina ai programmi televisivi per imparare qualcosa del mondo adulto, per "spiare" il mondo. Parallelamente, la sua competenza tecnologica lo rende spesso indipendente e autonomo.
Bisogna anche dire che la teoria del bambino competente è stata troppo spesso utilizzata come alibi deresponsabilizzante per emittenti e produttori e, in questo senso, va considerata con molta cautela. Al contrario, gli effetti della televisione sono forti e dimostrati: in particolare, per quanto riguarda la rappresentazione televisiva della violenza, è abbondantemente verificata la sua azione nel creare paura e diffidenza generalizzate, percezione distorta degli effetti, giustificazione e desiderio di imitazione negativa.
Ma non ci sono solo gli effetti della violenza. L’induzione ossessiva al consumo, la trasmissione di stereotipi sessuali e sociali, l’imposizione di una concezione della vita fatta di un superficiale edonismo, l’induzione di rapporti con l’altro falsati o competitivi, sono le principali conseguenze negative di un consumo eccessivo dei media. Anzi oggi i ricercatori di più ampie vedute tendono a sottolineare soprattutto la negatività di questo tipo di influenze, ben più nocive, perché più subdole e trasversali.
L’argomento è così rilevante da aver interessato anche uno dei maggiori filosofi dei nostri tempi, Karl Popper. In un piccolo pamphelet del 1994, intitolato Cattiva maestra televisione (Edizioni Reset), Popper, grande teorico della società aperta e della democrazia occidentale, sottolineò come nel rapporto tra bambini e televisione ci si trovi di fronte anche ad un problema evolutivo: i bambini vengono a questo mondo strutturati per un compito, quello di adattarsi all’ambiente che li circonda, dipendendo così da quest’ultimo, in misura considerevole, nella loro evoluzione mentale. In pratica, noi chiamiamo educazione ciò che influenza l’ambiente in un modo che giudichiamo buono per lo sviluppo dei bambini.
Noi mandiamo i bambini a scuola perché possano imparare qualcosa. Ma che cosa significa realmente "imparare"? E che cosa significa "insegnare"? Significa influenzare il loro ambiente in modo che possano prepararsi per i compiti futuri: il compito di diventare cittadini; il compito di acquisire e trasmettere valori; il compito di diventare padri e madri di una nuova generazione. Per questo, come generazione precedente, abbiamo la responsabilità di creare le migliori condizioni ambientali possibili. Ora il punto è che la televisione, che dipende solo dagli adulti, è diventata parte dell’ambiente dei bambini. Gli adulti, insomma, hanno una forte responsabilità nel percorso formativo dei bambini anche in quanto "gestori" del mezzo televisivo.
I bambini si accostano alla televisione e la guardano con motivazioni che differiscono in misura significativa da quelle prevalenti fra gli adulti. La maggior parte dei quali, per loro stessa ammissione, guarda la televisione "per divertimento". I bambini, invece, pur trovandola divertente, guardano la televisione soprattutto perché cercano di capire il mondo.
Inoltre, i bambini, pur apprezzando gli aspetti di intrattenimento della televisione, hanno più difficoltà – a causa della loro limitata comprensione del mondo – a discernere i fatti dalla finzione. Sono, quindi, più vulnerabili degli adulti. Gli influssi primari che i bambini subiscono - la famiglia, i coetanei, la scuola e la televisione – operano tutti insieme. I bambini non sono molto capaci di separare ciò che imparano in questi diversi contesti. Anzi, l’utilità dell’informazione ottenuta in uno di essi dipende in parte da ciò che imparano negli altri. Senza il sostegno della famiglia, gran parte di ciò che succede a scuola perderebbe di importanza. Se i ruoli della scuola e della famiglia fossero più efficaci, la televisione non sarebbe tanto potente. I coetanei, infine, esercitano il loro influsso e il loro potere nella misura in cui la famiglia e la scuola non esercitano il proprio.
Numerosi studi, effettuati a partire dai primi anni sessanta, concordano poi sul fatto che i bambini di entrambi i sessi, che guardano molto la televisione, sono più aggressivi di quelli che non la guardano spesso. Assistere a programmi televisivi violenti ne influenza non soltanto il comportamento ma anche atteggiamenti, credenze e valori.
Sono tanti i potenziali, e troppo spesso reali, effetti negativi dei media che si finisce col trascurare o emarginare un altro filone di ricerca, quello che cerca di sondare la possibilità di usare i media per indurre comportamenti socialmente desiderabili. Non bisogna dimenticare che i media sono appunto mezzi e che possono essere usati per promuovere effetti socialmente positivi: le ricerche internazionali ci dicono che possono essere efficaci, ad esempio, per attenuare fobie, per promuovere la relazionalità, per rimuovere stereotipi etnici. Evidentemente, il problema si pone anche in termini squisitamente politici: l’efficacia della televisione in senso negativo o in senso positivo è ampiamente dimostrata.
E’ fatale, tra l’altro, che i minori siano attratti soprattutto dal mezzo televisivo, come e più degli adulti, non fosse altro che per la loro naturale tendenza ad assorbire informazioni e modelli di riferimento. E’, quindi, da più di un decennio che, nel nostro Paese, si cerca di disciplinare (con risultati purtroppo non ottimali) il rapporto tra media e minori, anche al fine di orientare positivamente i media, in primis la televisione, a svolgere una funzione costruttiva nella formazione del minore.
Il problema della tutela dei minori dalle trasmissioni televisive inidonee deve comunque essere affrontato in un’ottica di potenziamento degli strumenti già esistenti e di introduzione di nuovi meccanismi di protezione.
Per quanto riguarda il primo punto, è indubbia la necessità di un maggiore controllo sul rispetto dei codici di autoregolamentazione, che disciplinano la materia, la cui concreta attuazione è però attualmente rimessa alla sola buona volontà dei firmatari. Anche le norme di legge, che riguardano il settore, non sembrano risultare idonee a contrastare il fenomeno. Occorre anche aggiungere che alcune di queste non sono mai state attuate.
Tra le iniziative che sono attualmente allo studio del Ministero delle Comunicazioni, va segnalata la proposta di introdurre, direttamente negli atti di concessione delle frequenze per l’esercizio radiotelevisivo, obblighi inerenti al rispetto delle normative pubbliche o convenzionali sulla tutela dei minori. Il mancato rispetto delle stesse potrebbe essere sanzionato con provvedimenti che vadano ad incidere temporaneamente o permanentemente sulla concessione stessa, ovviamente in maniera graduale e proporzionata all’entità della violazione.
Un’iniziativa più incisiva potrebbe riguardare l’approvazione di una legge che superi l’attuale disorganicità del quadro normativo e convenzionale, con la fissazione di principi generali e contestuale richiamo delle norme contenute in un codice unico di autoregolamentazione, introducendo anche efficaci sanzioni in caso di reiterata violazione di quest’ultimo.
Il Ministero delle Comunicazioni ha infatti affidato alla Commissione ministeriale per il riassetto del sistema radiotelevisivo il compito di redigere il citato codice unico di autoregolamentazione, che renda il vigente sistema dei controlli convenzionali più efficace, organico e, soprattutto, univoco, superando la frammentazione determinata dalla presenza di numerosi codici.
Va ricordato, altresì, come il 19 febbraio scorso, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia assegnato al Ministero delle Comunicazioni il numero "114", con il quale bambini ed adolescenti, vittime di maltrattamenti o in condizioni di grave difficoltà, potranno accedere gratuitamente ad un servizio di emergenza. Tale servizio sarà gestito da un operatore individuato, in tempi rapidissimi, dal Ministero delle Comunicazioni, in base ad una oculata valutazione dei requisiti richiesti dalle normative comunitarie, tra i quali: esperienza, copertura sulle intere 24 ore e utilizzo di personale di elevata competenza e specializzazione.
Da questo quadro emergono alcune considerazioni rilevanti di fondo. Innanzitutto, la tutela dei minori non può essere affidata solo agli operatori dei media, né ad una regolamentazione legislativa che, quand’anche fosse organica, non potrebbe contemplare l’enorme varietà dei casi e dovrebbe comunque tradursi in pratica attraverso interpretazioni e applicazioni concrete delle quali, in ultima analisi, dovrebbe farsi carico il sistema giudiziario. E’, quindi, opportuno predisporre apposite iniziative di tutela, di sensibilizzazione, di promozione di un uso costruttivo dei media, di appoggio alle strutture familiari, di sviluppo di una concezione più adeguata del rapporto tra media e minori.
La tutela dei minori si esprime in tante forme, ma deve essere sempre retta dal concetto fondamentale che essa è pure assistenza al loro sviluppo come persone, anche nel bisogno fondamentale di avere una corretta interazione con il mondo circostante e, in particolare, con quelle componenti che, come i media, di fatto hanno un ruolo determinante nella formazione dei minori.
Un’altra considerazione va accennata: la costruzione di un valido rapporto tra media e minori non può essere intesa solo in modo difensivistico, cioè ponendo limiti più o meno drastici ai contenuti dell’informazione e dello spettacolo.
Insomma, il problema non può essere affrontato come se si trattasse di eliminare dal campo percettivo dei minori le problematiche più dolorose della società, che esistono e rispetto alle quali il minore va preparato sicuramente non esponendolo indiscriminatamente, ma altrettanto certamente non rimuovendone ipocritamente la sua conoscenza e la capacità di farvi fronte con spirito critico. Saranno, quindi, da evitare soluzioni regolatrici che finiscano per assomigliare alla censura e alla rimozione.
Nella tutela dei minori, comunque, il compito dello Stato è, e continuerà ad essere, solo complementare e non certamente sostitutivo di quello della famiglia, che è da considerare la principale cellula educativa della società moderna. Occorre, quindi, che la famiglia sia la principale protagonista dell’attività di tutela dei minori dalla presenza spesso invasiva dei media, aiutata in ciò anche da un maggiore ruolo di stimolo culturale della scuola, che deve fornire ai giovani gli strumenti di conoscenza indispensabili per avere un rapporto con i media critico e non di passiva soggezione. Insomma, può sembrare banale ma, senza dubbio, non c’è nessun luogo di controllo migliore della famiglia.
Riguardo all’utilizzo dell’altro importante strumento di comunicazione moderna, Internet, è opportuno che le famiglie non lascino i bambini da soli davanti ad un computer. Rivolgo, però, ai genitori l’appello di non considerare Internet una diavoleria dei tempi moderni. Internet è anche una risorsa che può servire per organizzare un viaggio, per conoscere le previsioni del tempo, per fare tante altre innumerevoli cose utili alla famiglia. Il mio consiglio per i genitori è di guardare la rete non come un oggetto diabolico o solo come portatore di illegalità. Occorre sottolineare gli aspetti della rete positivi per i minori, che oggi possono conoscere cose importantissime rispetto, ad esempio, all’uso delle lingue, all’accesso a biblioteche, a banche dati e altro ancora.
C’è una virtuosa positività della rete, che consente nella scuola e nella famiglia di accedere a informazioni che già la mia generazione, per non dire le generazioni precedenti, non aveva. La diffusione della rete fa sì che le generazioni mano a mano siano più aperte alla stessa. Sono del parere che occorra spingere anche i genitori ad avvicinarsi alla rete, perché possano consapevolmente controllare con quali siti si collegano i figli e cosa fanno. Io auspico, insomma, una maggiore alfabetizzazione informatica delle famiglie; tale da consentire loro di cogliere mille e mille opportunità non solo per il lavoro, la cultura, ma anche per le attività più banali, più semplici, che passano comunque attraverso la rete.
Al riguardo, mi sembra opportuno menzionare un interessante progetto che il Ministro delle Comunicazioni sta realizzando d’intesa con la Fondazione "Bordoni" e il Ministero dell’Istruzione. L’iniziativa in questione consiste nel collegamento di alcuni istituti scolastici con le famiglie degli studenti, attraverso computer portatili utilizzabili sia dai genitori sia dai figli. I genitori potranno così controllare l’andamento scolastico dei figli mentre questi ultimi potranno collegarsi con altri studenti o con la scuola per fruire di diversi servizi telematici.
Relativamente agli strumenti di tutela dai pericoli del mezzo telematico, occorre aggiungere che attualmente esistono sistemi che consentono un’attività di "filtro" rispetto all’acceso dei minori alla rete.
Ci sono, infatti, programmi che permettono di attivare modalità controllate di navigazione per i minori. I sistemi in questione consentono diverse opzioni di accesso alla rete: l’adulto può visitare qualsiasi tipo di sito, mentre il bambino non può accedere alle pagine ritenute volgari o violente, individuate grazie all’inserimento di termini specifici contenuti all’interno del web.
In pratica, i genitori possono definire le caratteristiche della navigazione dei loro figli: la durata della connessione e la fascia oraria in cui può essere effettuata, ma anche l’intervallo di tempo che deve intercorrere fra due connessioni. Inoltre, ci sono sistemi che consentono anche l’invio ai familiari adulti di "report" aggiornati sulle pagine web visitate dai minori.
Si tratta di procedure di filtro che attualmente vengono applicate, ovviamente con modalità e caratteristiche diverse, anche alle trasmissioni televisive satellitari, la cui visione può essere impedita durante la messa in onda di contenuti adatti ad un pubblico di soli adulti, al fine di tutelare i minori che casualmente si trovino davanti al televisore senza la presenza dei genitori.
Il problema dell’influenza dei mezzi di comunicazione nei processi educativi, che riguardano i minori, deve essere comunque affrontato con la piena consapevolezza dell’importanza che un’adeguata formazione, anche tecnologica, delle nuove generazioni riveste per il futuro del nostro Paese.
Noi dobbiamo lavorare anche in termini legislativi in maniera leggera ma responsabile, avvalendoci di tante competenze. Per questo ci siamo confrontati sul tema dei minori con l’Autorità per le comunicazioni, con il Consiglio nazionale degli utenti, presieduto dal prof. Mirabelli, che è stato Presidente della Corte Costituzionale, con il nuovo Presidente della RAI, prof. Baldassarre, che è stato anch’egli Presidente della Consulta. Mi sono rivolto proprio a loro perché hanno ricoperto incarichi che li qualificano come portatori di alta competenza.
Infine, qualche accenno al contratto di servizio con la RAI. Noi dovremo, dal mese di luglio, avviare la discussione sul nuovo contratto, che riguarda il Ministero delle Comunicazioni e la RAI. Vorrei introdurre in tale contratto, che scadrà alla fine di quest’anno ed entrerà in vigore dal 1° gennaio del prossimo anno, anche attraverso la collaborazione della Commissione per l’infanzia, aspetti di maggiore cautela e attenzione nella programmazione.
Nel contratto di servizio la televisione per i ragazzi avrà un’apposita direzione e conduzione. La trattativa durerà dal 1° luglio alla fine dell’anno, con tutto il mondo della cultura e dell’informazione, proprio affinché il contratto di servizio dia grande attenzione ai temi sociali e per programmare una produzione che risponda a criteri culturali di identità del nostro Paese.
Credo che avremo molte cose da realizzare insieme e sono sicuro altresì che l’attenzione e la sensibilità della Commissione per l’infanzia saranno per noi motivo di stimolo e di confronto.