Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le politiche comunitarie. Cara Presidente, cari colleghi, signori e signore, il tema che voi avete scelto di affrontare ha una straordinaria rilevanza. La lotta contro l'abuso ai bambini, la lotta per l'affermazione dei diritti ai bambini è una lotta che caratterizza ogni Nazione civile e il fatto che voi abbiate organizzato questo convegno, sulla base di un lavoro che serve in Italia, è un segnale della nostra volontà di far fronte alle sfide del nostro tempo.
Per la verità in Italia ci sono molte iniziative in questo ambito, c'è la Commissione che ha elaborato una sua proposta, c'è il Ministro Prestigiacomo che sta lavorando ad una proposta su base nazionale, io da quando sono diventato Ministro per le politiche comunitarie ho subito instaurato un Comitato sulla questione minorile nell'Unione Europea, nella convinzione che questo potesse essere un tema di interesse europeo, da affrontare nell'ambito di un generale coordinamento: una procedura di coordinamento aperto, come si usa dire adesso a livello europeo, perché evidentemente sono materie di competenza nazionale anche se è importante un coordinamento europeo per facilitare una comunicazione, per diffondere le migliori pratiche di soluzione dei problemi e per arrivare ad una regolamentazione se non uniforme, almeno analoga nei diversi Paesi europei.
Il mio collega Roberto Maroni, Ministro per il lavoro e le politiche sociali, ha portato ancora oltre questa iniziativa e nel prossimo Consiglio dei ministri degli affari sociali europei a Lucca, il 25 settembre, verrà messo all'ordine del giorno il tema della tutela dei minori, il tema del garante europeo, che può avere una utile funzione di stimolo e anche di coordinamento generale nei diversi Paesi.
Il tema della tutela dei minori nel senso di cui ne parliamo adesso non è nuovissimo, anche se non è antico; se ne parla, fondamentalmente, credo a partire dal 1989, quando c'è stata la Convenzione dei diritti del fanciullo a New York, il 20 novembre di quell'anno. A quel tempo facevo un mestiere diverso da quello di adesso, ero professore, e ho partecipato alla elaborazione di quella Convenzione, per la verità non per conto dello Stato italiano, bensì per conto della Città del Vaticano, e ricordo che ci fu un gruppo di lavoro che si occupò a fondo della vicenda. Emersero, allora, alcuni profili che poi hanno avuto la loro conferma e continuano a definire aspetti importanti della problematica di cui ci stiamo occupando, e che sono poi riemersi anche con la Carta europea dei diritti del fanciullo del Parlamento europeo nel 1992 e con tutti gli atti successivi. Il Consiglio d'Europa è tornato sul tema del difensore dell'infanzia con una raccomandazione del 1996, in cui invitava tutti i Paesi aderenti a promuovere l'istituzione di una struttura indipendente al fine di favorire un miglioramento della qualità di vita dei minori. Poi quattro anni dopo, nel 2000, con la raccomandazione 1460 sempre il Consiglio d'Europa è tornato a chiedere al Comitato dei ministri di invitare gli stati membri che non l'avessero ancora fatto a istituire il protettore dei diritti dell'infanzia, il garante. C'è stata anche la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo nel 1996, e lì si parla in modo più sfumato di specifici organi per la promozione e l'esercizio dei diritti dei fanciulli. Questo è un poco il quadro europeo dentro il quale si situa l'iniziativa della presidenza italiana per dare un coordinamento europeo al tema del garante per l'infanzia. Devo dire che non è vero che nella Costituzione europea proprio non si parla di questo tema. Nel progetto di Costituzione il tema torna più di una volta, nella parte seconda: gli articoli 24 e 32 parlano proprio dei diritti del bambino e ci dicono che i bambini hanno diritti alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; essi possono esprimere liberamente la propria opinione e questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. Invece nell'articolo 32 troviamo il divieto del lavoro minorile, la protezione dei giovani sul luogo di lavoro, la tutela del diritto all'istruzione. Fondamentale è poi l'articolo 33 ed è da questo che io poi vorrei far partire le mie osservazioni.
L'articolo 33 ci ricorda che è garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. Come mai nel 1989 si sente l'esigenza di cominciare a parlare di diritti del bambino? Credo che dobbiamo partire da un dato, l'indebolimento delle strutture che tradizionalmente difendono il bambino. Soprattutto la famiglia moltiplica casi di patologia sociale per i quali non si identifica chiaramente chi sia il destinatario della obbligazione che corrisponde al diritto. Perché non c'è diritto senza un'obbligazione corrispondente, da un lato e dall'altro lato in una relazione non sempre definita con queste situazioni si diffonde anche una ideologia la quale punta a valorizzare i diritti considerandoli come inerenti unicamente agli individui, secondo una polarità che è quella individuo-Stato. Questa è un'ideologia abbastanza lunga in fondo già Max Horkheimer e poi Theodor Wiesengrund Adorno ricordavano che la socializzazione del bambino è un elemento fondamentale di tutti i regimi totalitari, che tendevano a sottrarre il bambino alla famiglia per incorporarlo direttamente nelle pubbliche istituzioni. Questo è un pericolo a cui dobbiamo stare molto attenti anche nel presente, perché può capitare che difendendo i diritti del bambino si finisca con l’indebolire i diritti della famiglia o che si pensi di difendere i diritti dei bambini contro la famiglia, anziché insieme con la famiglia.
Credo che sia un'opinione abbastanza diffusa tra tutti gli esperti di queste cose che in genere una cattiva famiglia è pur sempre meglio di una buona istituzione pubblica, salvo naturalmente gli esempi più macroscopici di abusi e di negazione dei diritti. Vedo che in questo tema ci sono delle decisioni anche politiche importanti da prendere. Ad esempio in alcuni Paesi, quando si parla dei diritti del fanciullo, si parla anche di cose belle, come il diritto di essere amati, rispettati, il diritto ad un nutrimento adeguato, alla salute, all'identità, ma non si parla di un diritto ad avere un padre e una madre. Credo invece che a livello europeo e a livello di legislazione italiana dovremmo sottolineare il diritto del bambino ad avere una famiglia - una famiglia naturale, se possibile, una sostitutiva altrimenti - valutando adeguatamente la legislazione in materia di adozione e di affido, e sottolineo di affido. Realizzare il diritto alla famiglia è il primo modo di realizzare il diritto fondamentale del bambino, perché è nella famiglia che si costruisce l'identità del bambino. Io appartengo ad una generazione che ha vissuto tutta la fase della ribellione antiautoritaria contro la famiglia, quelli che hanno la mia età si ricordano libri come quello di David Laing, "L'io diviso" in cui l’autore mostra come la famiglia sia l'origine di tutte le patologie. Il difetto fondamentale del libro di Laing è che la famiglia è sì all'origine di tutte le patologie, perché è all'origine anche di tutti i beni del bambino, è all'origine del bambino; se la famiglia funziona bene, il bambino avrà un sostegno adeguato, se la famiglia funziona male, il bambino riuscirà patologico e allora bisogna aiutare le famiglie. Il sostegno al bambino deve avere continuamente la famiglia come suo punto di riferimento ed è molto difficile aiutare il bambino non passando attraverso la famiglia. Il sostegno alla famiglia, perché sia in grado di dare sostegno al bambino, credo che debba essere un punto fondamentale a cui fare riferimento esplicito nel tentativo che noi facciamo in Italia, adesso, di organizzare questa struttura.
Non ci manca legislazione che riguarda i minori in Italia, è persino possibile che ne abbiamo troppa. Il problema più grave è che il bambino è trattato come un oggetto di diverse amministrazioni e quindi il far valere i suoi diritti diventa molto difficile, perché gli manca il sostegno per potersi avvalere di legislazioni peraltro vigenti. Allora credo che posto come primo blocco il rapporto con la famiglia, interlocutore indispensabile di tutte le politiche sociali, il secondo punto debba essere che la funzione del garante sia quella di riconsiderare tutti i problemi dal punto di vista del bambino, cioè non dal punto di vista dell'amministrazione, la quale si deve occupare di un pezzo di bambino e se non trova la mira esatta sul pezzo di cui è competente, giustamente se ne disinteressa, bensì considerare i problemi dal punto di vista del bambino e chiamare tutte le amministrazioni a collaborare perché al centro ci sia il bambino. Che non capiti che per ogni particolare problema ci sia un responsabile, ma del bambino come persona non si occupi nessuno, che manchi quindi la capacità di una sintesi mirata sullo specifico e unico problema di quel bambino diverso da ogni altri bambino esistente!
È esattamente lo stesso tema che abbiamo affrontato nella giornata inaugurale dell'Anno europeo dei portatori di disabilità: anche lì noi abbiamo un'ampia legislazione che provvede a tutto, però i disabili molte volte si trovano, non dico senza niente, ma con poco in mano, perché manca la capacità di coordinare dal punto di vista del bambino. Allora è iniziato un lavoro quasi miracoloso in Italia - perché io so che in altri Paesi europei le pubbliche amministrazioni collaborano sempre intensamente e cordialmente fra di loro, senza gelosie, senza preoccupazioni di competenza, ma in Italia devo confessare che non sempre questo avviene - un lavoro di coordinamento in modo particolare fra la sanità e lavoro e affari sociali, proprio per creare un approccio, dicono gli psicologi, mirato sul soggetto specifico.
Questo deve avere interlocutori come la famiglia e la scuola: non è possibile procedere senza un rapporto forte con la scuola. Dobbiamo valorizzare la presenza sul territorio delle organizzazioni che si occupano dei giovani e dei problemi giovanili, quindi benché dal punto di vista giuridico a Costituzione vigente io rivendichi questa come una competenza dello Stato, perché la realizzazione dei diritti è competenza dello Stato, tuttavia sarebbe miope non prevedere strutture forti di raccordo con le dimensioni regionali, provinciali e comunali, perché i diritti poi si realizzano sul territorio e quindi occorre lavorare con il territorio. Naturalmente non possiamo non richiamare la problematica del tribunali minorili, che anch'essi sono in fase di riforma in Italia e costituiscono strumenti specifici di tutela dei diritti del bambino. Dobbiamo avere una grande capacità di lavorare insieme, grande flessibilità: non costruire grandi apparati burocratici, non ce n'è bisogno, si tratta di far funzionare al meglio quello che c'è ponendosi dal punto di vista dell'utente, cioè del bambino.
Ho ascoltato con grande interesse ciò che ci hanno detto i nostri ospiti stranieri. Vorrei ricordare la dimensione del fenomeno che essi hanno indicato, preoccupante, e credo che noi dobbiamo organizzarci per poterla affrontare ma con criteri non dirò di efficienza, dirò di solidarietà e di sussidiarietà. Vorrei ricordare qui il principio di sussidiarietà che credo debba essere una guida alla legislazione in questo ambito. Sussidiarietà significa che la realizzazione effettiva del diritto non può essere posta unilateralmente sulle spalle dello Stato. Se vogliamo non moltiplicare apparati burocratici, ma ottenere effettivamente il bene dell'utente, occorre la cooperazione di molti e occorre che ad ognuno sia dato il livello di responsabilità che gli è proprio, che lo Stato intervenga per aiutare la famiglia a svolgere la sua funzione, per aiutare il comune, la comunità giovanile, la regione a svolgere la propria funzione, ma non sostituendosi ad esse.
Ricordo che negli anni in cui mi occupavo di queste cose per conto di uno Stato amico, ci fu un congresso a Vienna, e io ebbi una discussione con Ronald Dworkin, quello che ha inventato la cultura dei diritti che è esposta in un suo libro ben conosciuto, il cui titolo in italiano è "I diritti presi sul serio". Gli dicevo che i diritti devono avere sempre una corrispondenza in obbligazioni e doveri e che quando si fanno cataloghi di diritti senza indicare chiaramente chi è portatore delle obbligazioni corrispettive si corre un rischio fortissimo. Se il contenuto è positivo, deve essere chiaro chi mi deve dare quel qualcosa. Se questo non è chiaro è quasi soltanto retorica, o si insinua l'idea che è lo Stato che deve realizzare tutti i diritti.
Lo Stato può realizzare tutti i diritti? Sì, a condizione di avere tutti i poteri. Ma lo Stato che ha tutti poteri non è più uno Stato democratico. Allora in questo ambito delicatissimo dobbiamo essere molto attenti al principio di sussidiarietà, a spiegare che lo Stato deve sorvegliare che ognuno faccia il suo dovere, ma non è il portatore di tutti i doveri, e che tutti i problemi dell'infanzia non si affrontano senza un richiamo forte alle proprie responsabilità: della famiglia, della scuola, delle regioni, delle province, dei comuni, delle associazioni, di tutta quella realtà varia e composita che costituisce la Nazione. Questo credo sia il contributo che dal punto di vista del Governo italiano, che oggi ha una particolare responsabilità verso l'Europa, noi possiamo dare, questa è la cultura che noi vogliamo portare in Europa e naturalmente nel nostro Paese.