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La Loggia


PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro degli affari regionali, senatore La Loggia, che ringrazio per la sua presenza.

ENRICO LA LOGGIA, Ministro degli affari regionali. Signor Presidente, mi scuso per il ritardo, ma in questo periodo gli aerei non sono proprio così precisi nel portarci a destinazione.
La parte del dibattito che ho ascoltato conferma una mia convinzione, che credo possa essere di tutti, cioè che la fase di trasformazione e di transizione, iniziata lo scorso 8 agosto con l'entrata in vigore della riforma del titolo V della Costituzione, aggiunge un problema agli altri normalmente collegati con la qualità della legislazione.
Vi sono alcuni aspetti che abbiamo già cominciato a verificare in questi primi giorni e, in vista dell'entrata in vigore, anche nelle settimane precedenti. Innanzitutto, l'esigenza di un raccordo indispensabile - peraltro, sarebbe impensabile fare diversamente - tra il Governo, il Parlamento e le regioni.
Le questioni che possono essere sollevate sono tante e altrettanto complesse le soluzioni che possono essere rinvenute, ma mi limiterò a ricordare i problemi nascenti dalla cospicua previsione di materie affidate alla legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, laddove viene riservata allo Stato una definizione di principi, lasciando la legislazione alla competenza delle regioni.
Si tratta di una questione già sperimentata, peraltro, da diversi decenni; faccio l'esempio della regione siciliana che proprio in questo settore, in questa specifica competenza, ha visto sorgere il maggior numero di contenziosi con lo Stato.
Un indispensabile raccordo tra Governo, Parlamento e regioni viene auspicato non soltanto dal Governo, ma anche dalle regioni stesse, le quali, come dicevo, non solo in queste ultime giornate, ma anche nelle settimane precedenti hanno più volte avanzato la proposta di una sorta di cabina di regia che potrebbe essere posta alla base di un meccanismo di raccordo. I numerosi incontri già avvenuti, alcune analisi già effettuate ed altre appena iniziate ci conducono dinanzi ad un bivio: o continuiamo ad accrescere il lavoro della Corte costituzionale con una serie di vecchie e nuove questioni, restando in attesa che la Corte, nei tempi che potrà dedicare a questa importante materia, ci dia una risposta, oppure tentiamo, in tutti i modi, di prevenire l'insorgere di contenziosi.
Prevenire il contenzioso tra lo Stato e le regioni significa, innanzitutto, stabilire una procedura, e tale procedura è già di per sé resa complessa dalla permanenza delle Conferenze Stato-regioni e Stato-città e dalla Conferenza unificata, le quali dovranno confrontarsi con le nuove e più pregnanti funzioni previste per la Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata (quando lo sarà) dai rappresentanti delle regioni. Questo è un primo problema procedurale che abbiamo già iniziato a discutere e ad approfondire; forse, proprio in questa parte del problema è possibile trovare la soluzione anche per il necessario raccordo.
I Presidenti delle Camere, a mio avviso molto opportunamente, hanno già investito le Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato di un compito aggiuntivo, se vogliamo, quale la valutazione di conformità rispetto alla legislazione in corso d'esame presso il Parlamento. Abbiamo già sperimentato, come ha ricordato il presidente Pastore, tale nuova procedura presso la Commissione affari costituzionali del Senato durante l'esame della legge finanziaria; con qualche reciproca comprensione tra maggioranza, opposizione e Governo, è stata trovata una soluzione che se, in linea di principio, non può dirsi soddisfacente per tutti, ha quanto meno consentito di rimuovere un ostacolo alla prosecuzione della discussione e, dunque, all'approvazione della legge finanziaria.
Credo che questo sia necessario ma non sufficiente, perché vi sarà un numero talmente elevato di materie sulle quali ci troveremo a decidere, da qui a qualche settimana o a qualche mese, che ritorno alla mia valutazione di partenza: se non troviamo una procedura e un raccordo e non iniziamo a definire quali possano essere i confini della legislazione statale, al di là di ciò che è già detto nel nuovo titolo V all'articolo 117 - che, così come è formulato, non ritengo sufficiente - si potrebbero presentare conflitti di competenza tra lo Stato e le regioni.
Potrebbe sorgere, inoltre, un problema aggiuntivo sul quale so che molti, in dottrina, stanno già facendo le loro valutazioni. Quali siano le competenze esclusive dello Stato, segnate nell'articolo 117, è chiaro. Sottolineo: indicate nell'articolo 117 il quale, com'è ovvio, non è certamente esaustivo di tutte le competenze legislative esclusive dello Stato. Le materie in regime di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni sono anch'esse segnate nell'articolo 117. Ciò che non vi troviamo - ma è il modello che è stato utilizzato - è invece l'elenco delle materie attribuite alla legislazione esclusiva delle regioni, se non per la formula "(…) tutto ciò che non appartiene alla competenza legislativa dello Stato". Dinanzi a giudici così autorevoli della Corte costituzionale, non posso nascondere come questo possa creare una vasta area di possibile contenzioso tra lo Stato e le regioni che finirà per aggiungersi all'altra vasta area di potenziale conflitto, quella inerente alla definizione dei confini relativi alla legislazione concorrente. Dunque, siamo già di fronte a due aree abbastanza vaste di potenziale contenzioso: ciò giustifica non la conclusione - perché è ovvio che oggi è ancora prematuro -, ma almeno l'inizio del ragionamento sul quale stiamo tentando di muoverci.
In primo luogo, quindi, occorre definire il ruolo e le rispettive competenze delle Conferenze Stato-regioni e Stato-città e della Conferenza unificata in rapporto alle nuove funzioni ed alle nuove competenze della Commissione parlamentare per le questioni regionali. La seconda iniziativa sulla quale ci stiamo muovendo è quella di cominciare a valutare attraverso quale strumento, ammesso che ciò sia realmente indispensabile - a mio avviso, da un primo esame ritengo che lo sia, ma anche questo è oggetto di valutazione -, poter individuare, estrapolandoli dalla legislazione corrente, i principi fondamentali che dovrebbero, in qualche modo, costituire un confine alle competenze rimaste allo Stato ai sensi del nuovo articolo 117, in maniera che da tale ragionamento possa dedursi, con sufficiente precisione, l'esatta dimensione dei limiti della legislazione concorrente delle regioni.
Inoltre, occorre muoversi nella definizione di una procedura, almeno transitoria, in materia di controllo delle leggi regionali. Infatti, è vero che l'8 novembre è entrata in vigore la nuova formulazione del titolo V della Costituzione e che le leggi regionali varate da questo momento in poi saranno sottoposte ad un giudizio di legittimità successivo, e non più preventivo, da parte del Governo; tuttavia, mi domando quale sarà il destino delle leggi già approvate dalle regioni e non ancora inviate al commissario del Governo, ovvero ricevute dal commissario e trasmesse all'esame del Governo, oppure già esaminate dal Governo e rinviate all'esame dei consigli regionali perché già valutate secondo la necessità di una nuova riformulazione da parte di questi ultimi. Occorre, quindi, un'ulteriore valutazione rispetto a questa fase transitoria.
Se a tutto questo aggiungiamo una opportuna valutazione della giurisprudenza della Corte costituzionale (anche il presidente Bruno ha opportunamente trattato tale argomento nel suo intervento) quale oggetto di nuova iniziativa legislativa da parte del Parlamento o del Governo, potremmo colmare alcune lacune o correggere alcune cose che sono state utilmente evidenziate. Ma se a questo lavoro, già di per sè urgente e doveroso, aggiungeremo tutto quello cui ho appena accennato, credo che bisognerà seriamente ripensare, come qualcuno ha detto poc'anzi, ad una nuova formulazione delle funzioni e delle competenze delle Commissioni affari costituzionali sia della Camera sia del Senato: forse occorrerà alleggerirle di alcune funzioni investendole di queste altre, più pressanti e cospicue, perché, diversamente, credo che saremmo realmente in difficoltà nell'operare quel raccordo al quale facevo riferimento all'inizio.
Il Governo sta già facendo la sua parte, continuerà a farla e cercherà di farla nella maniera più rapida possibile. L'impegno assunto reciprocamente con le regioni è quello di lavorare, quanto più possibile, in raccordo. Non oso immaginare che vi possa essere una sorta di rispettiva "moratoria", ma la speranza è sempre l'ultima a cedere il posto. Se saremo bravi e rapidi nell'evitare l'insorgere di contenziosi, da una parte avremmo fatto un servizio al sistema-paese per evitare un pericolo reale di paralisi nella legislazione e, dall'altra, avremmo stabilito quei paletti minimi, indispensabili per consentire a ciascuno di poter operare, con libertà assoluta, nell'ambito delle proprie competenze senza correre il rischio di invadere competenze altrui.
L'insieme di queste cose mi fa essere cautamente ottimista, vista la buona intenzione manifestata da tutti, ma anche preoccupato dalla necessità di una rapidissima evoluzione di questo ragionamento. Al riguardo, i precedenti già esistenti nella giurisprudenza della Corte e, segnatamente, quella parte relativa alle decisioni, alle sentenze ed alle ordinanze in materia di legislazione concorrente tra lo Stato e la regione siciliana, possono certamente costituire un validissimo punto di riferimento per tutti nella definizione dei rispettivi confini di competenza tra lo Stato e le altre regioni.
Ripeto: se tutto questo riuscirà ad essere realizzato in tempi brevi e con sufficiente collaborazione da parte dei diversi livelli istituzionali, potremmo dire di aver concretamente avviato l'attuazione della riforma del titolo V della Costituzione nello stesso momento in cui avremo contestualmente valutato cosa ancora occorra fare, attraverso ulteriori riforme, per realizzare un più compiuto ed efficace modello federale e, allo stesso tempo - ma non è ovviamente questo il momento per approfondire tale argomento -, un bilanciamento dei poteri. Non devo certo ricordare in questa sede che tanto maggiori ed importanti sono i poteri delle regioni e del sistema delle autonomie, tanto più è necessario riformare, per riequilibrare, la forma di Governo centrale. Credo che, in questo caso, l'idea dell'introduzione dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio - ma non è, ripeto, argomento di oggi - possa costituire un efficace bilanciamento rispetto a questi più estesi poteri delle regioni, soprattutto quando, con la nuova riforma, vi sarà un significativo ampliamento della legislazione esclusiva delle regioni che rappresenta, forse, il rimedio rispetto alla quantità potenziale di contenziosi che avremmo certamente davanti se quelle operazioni e quella funzione di raccordo - che potrebbero essere affidate ad una istituenda cabina di regia - non dovessero dare i risultati sperati.

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