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Pastore


PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pastore.

ANDREA PASTORE, Presidente della 1a Commissione del Senato. Introduco il tema da un punto di vista molto vicino a quello del presidente Bruno, ma in qualche passaggio differente, a causa della diversità di disciplina regolamentare tra Camera e Senato. Innanzitutto, vale per tutti una premessa: il nostro assetto istituzionale, soprattutto dopo l'introduzione della novella costituzionale sulla riforma del titolo V, parte seconda della Costituzione, è sempre più caratterizzato da un forte policentrismo normativo. Il ricorso sempre più frequente alla delega legislativa e all'uso di regolamenti governativi di delegificazione, il nuovo riparto di competenze legislative regolamentari tra Stato e regioni, sono tra i fattori più recenti che hanno contribuito a delineare un sistema di fonti complesso ed articolato. A queste fonti dobbiamo aggiungere gli statuti regionali, degli enti locali e tutta la regolamentazione attuativa che ne discende.
In questo frastagliato panorama, in cui i confini tra le diverse fonti normative si intersecano con un grado di complessità alto, direi altissimo, la qualità della legislazione trova un primo ed ineludibile momento di garanzia nella verifica del rispetto dei distinti ambiti di competenza. Noi oggi parliamo di qualità della legislazione ordinaria dello Stato, ma dobbiamo porci anche il problema della qualità della legislazione costituzionale, da parte del Parlamento. Se il parametro di riferimento non presenta quei requisiti di qualità, che tutti auspichiamo siano presenti nell'intero ordinamento giuridico, certamente diventa più difficile, a questo riferimento costituzionale, parametrare l'intervento del legislatore ordinario.
Al Senato, come è stato detto da più parti, il controllo sulla qualità della legislazione non è affidato ad un Comitato analogo a quello istituito dalla Camera. Il controllo viene svolto in sede decentrata, presso ogni Commissione di merito, e trova un suo momento unitario nell'attività consultiva che la Commissione affari costituzionali è chiamata a svolgere sulla totalità dei disegni di legge e sui relativi emendamenti. Tra i parametri in base ai quali vengono vagliati i disegni di legge e gli emendamenti vi sono, infatti - oltre, ovviamente, al rispetto della Costituzione - criteri quali la valutazione della necessità di un intervento con norma di rango primario, la compatibilità con le competenze delle regioni e così via.
In questo quadro, come accennavo all'inizio del mio intervento, si inserisce la nuova competenza che la 1a Commissione del Senato, così come quella della Camera, ha assunto a partire dallo scorso 23 ottobre. La Giunta per il regolamento del Senato, in sintonia con la Giunta per il regolamento della Camera, ha affidato alla Commissione affari costituzionali il compito di esprimere il proprio parere sui disegni di legge e sugli emendamenti presentati in Commissione ed in Assemblea (questa è la novità), nonché (ulteriore novità) sugli schemi di atti normativi del Governo sottoposti al parere parlamentare, anche se di competenza, nel merito, di altre Commissioni. Tutto ciò, al fine di valutare la conformità al mutato assetto costituzionale di riparto di competenze normative tra Stato e regioni. Si tratta, com'è ovvio, di una competenza, che definirei extra ordinem, attribuita in via sperimentale e transitoria, in attesa dell'attuazione dell'articolo 11 della novella costituzionale, cioè in attesa della costituzione di quella Commissione mista Stato-regioni-autonomie locali che, pur dotata di poteri limitati, però ha un potere che agli operatori parlamentari non sfugge: quello di obbligare, in caso di parere dissenziente o con osservazioni, le Camere a pronunciarsi a maggioranza assoluta. Non si tratta di un dato da sottovalutare, soprattutto al Senato, dove sono presenti anche senatori non elettivi, che quindi modificano, in qualche modo, queste maggioranze altamente qualificate.
Ricordiamoci che si tratta della stessa maggioranza necessaria per approvare la riforma costituzionale in seconda lettura, ancorché sottoponibile a referendum.
Direi quindi che questa funzione della Commissione non va sottovalutata. Mi auguro, anzi, che il Comitato istituito per studiare l'attuazione di questo articolo 11 possa concludere i suoi lavori nel più breve tempo possibile, in modo che sia la Camera sia il Senato possano procedere, anche se non sarà facile. Certamente, si tratterà di un importante passo avanti quale camera di mediazione politica tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali. Tale mediazione però avviene nei confronti del legislatore ordinario poiché non è previsto analogo organo di mediazione verso il legislatore regionale, e questo è un problema de iure condendo che sottopongo ma che, naturalmente, non ho intenzione di trattare in questa sede.
Recentemente, la Commissione affari costituzionali del Senato, per un provvedimento altamente delicato sotto vari profili (complessità giuridica, impatto politico e mole anche quantitativa), ha sperimentato questa funzione transitoria. Mi riferisco alla legge finanziaria: ha emesso un parere che ha raccolto, nella sua prima parte di carattere generale, un consenso pressoché unanime espresso nel corso della discussione generale, cosa che ci fa ben sperare per un'attuazione sempre più responsabile della riforma costituzionale.
In tale parere - che cercherò di analizzare in maniera più approfondita, tempo permettendo - si tratteggiano i compiti della Commissione in questa sede, in cui è chiamata ad esprimere una valutazione politico-costituzionale responsabile e flessibile che tenga conto della necessità di non determinare fratture che potrebbero compromettere l'integrità dell'ordinamento giuridico. Vi esimo dall'ascoltare alcune annotazioni sui meccanismi regolamentari attualmente in vigore per il Senato. Nel corso del suo intervento di poco fa, il professor Ridola ha tratteggiato in maniera completa i riferimenti normativi, regolamentari e legislativi volti a determinare questa relazione, questa cooperazione tra la Corte costituzionale e le due Camere. Direi, tuttavia, che il successo è estremamente modesto perché i nostri pareri, così come i nostri interventi, non possiedono alcuna caratteristica di cogenza. Soprattutto, sull'opzione giuridica prevale l'opzione che chiamerei "di schieramento" - non voglio definirla politica bensì, come ho detto, di schieramento - per cui, di fronte a scelte che coinvolgono spesso impostazioni programmatiche da parte del Governo in periodi particolari, anche su atti specifici, la valutazione di costituzionalità, pur potendo essere operata dalla Commissione con serenità - il che è sempre molto difficile - viene però poi recepita per lo più con scarsa attenzione.
La dottrina rileva comunque come la Corte costituzionale, nell'elaborazione dello strumentario di cui si avvale per le sue pronunzie, abbia da sempre dato vita a tipologie di sentenze dettate proprio dalla consapevolezza che ben difficilmente il Parlamento avrebbe provveduto a dare seguito - come si diceva prima - alla pronuncia di illegittimità costituzionale.
La Corte stessa, per esempio, ha creato sentenze additive di principio, mediante le quali quest'ultima, dopo aver affermato la necessità e l'urgenza dell'intervento del legislatore, indica un principio la cui applicazione, ex articolo 136 della Costituzione, si impone ai giudici in attesa dell'intervento riparatore del Parlamento. Tuttavia, la nostra esperienza ci dimostra che quest'ultimo è intervenuto in occasioni estremamente rare. Del resto, il campo dei rapporti fra Corte costituzionale e Parlamento, nel contempo, si è andato allargando sempre più a causa dei due connessi fenomeni della giurisdizionalizzazione dei conflitti politici - la Corte essendo sempre più spesso chiamata ad esprimersi su temi prima considerati di pertinenza esclusiva della sfera politica - e della costituzionalizzazione di nuove materie, delle quali si riconosce la rilevanza per il diritto costituzionale e su cui quindi la Corte può ancora essere chiamata ad esprimersi.
Tale rapporto Corte-Parlamento coinvolge altresì come terza parte necessaria anche il giudice comune, laddove questi è chiamato ad applicare la legge del Parlamento trasformandola in norma vivente - un dato che è sovente assunto dalla Corte come elemento necessario nel suo ragionamento - a valutarne la conformità con la Costituzione, a prospettarne i profili di legittimità alla Corte e infine ad applicare, nel caso, la norma quale interpretata dalla Corte secundum Costituzione. La premessa per una restaurazione dei limiti reciproci tra Corte e Parlamento, pur se relativi e pur se storicamente mutevoli, consiste in un forte recupero di chiarezza e di coerenza della legislazione, quest'ultima, oggi, talmente frammentaria, complicata ed oscura da lasciare largo spazio per gli interventi correttivi della Corte, i quali sono ispirati a canoni di ragionevolezza creati volta per volta senza un riferimento, che non sia quello puramente formale, a norme costituzionali di raffronto.
Per tale via emerge un'ulteriore valenza di quel complesso di interventi posti in essere negli ultimi anni per quell'obiettivo che si suole sinteticamente indicare con l'espressione "qualità della legge", suscettibile di ricondurre rispettivamente Parlamento e Corte nell'alveo di ruoli definiti. Questo vale anche a proposito della magistratura, la quale risulterà tanto meno indotta a ruoli di supplenza e all'esercizio di poteri caratterizzati da eccessiva latitudine allorquando sarà chiamata ad applicare comandi legislativi nella cui redazione avrà avuto un peso rilevante il valore della certezza, e anche per questo essa sarà stata più agevolmente sottoposta ad un vaglio di costituzionalità.
Tale complesso di interventi, laddove integrato da strumenti capaci di inverare quel seguito di cui si è detto, potrà mirare all'ulteriore obiettivo di evitare alla Corte il ricorso a quello strumentario peculiare che è stata, per così dire, costretta - e qui esprimo un giudizio di valore positivo nei riguardi di questa costrizione - ad inventare ed utilizzare, consapevole che alle sue pronunce il legislatore non avrebbe di regola, purtroppo, dato seguito alcuno.
In tale prospettiva un riferimento utile è rappresentato per un verso dalle vicende relative alla quantificazione degli oneri a copertura finanziaria delle leggi e più recentemente, per altro verso, dagli interventi volti a migliorare la qualità della legge. Entrambi gli esempi sono accomunati dal maturare di una volontà politica ampiamente condivisa al di là degli schieramenti e dal tradursi di tale volontà politica in procedure, apparati e strumenti tecnici la cui applicazione limita solo in apparenza la discrezionalità, prima assoluta, del legislatore, ma che in realtà produce il risultato di una forte responsabilizzazione di tutti gli attori istituzionali, ciascuno ricondotto al ruolo che gli è proprio.
È auspicabile, pertanto, uno sforzo che definirei di fantasia e di creatività, per dar vita a strumenti e forme di raccordo fra Corte e Parlamento che si rivelino, questa volta, efficaci e che possano andare a beneficio di entrambi.
Vorrei fornirvi ora alcune brevi indicazioni sulle attività che la 1ª Commissione permanente del Senato sta svolgendo e colgo l'occasione anche per esprimere un giusto riconoscimento del notevole lavoro che i colleghi senatori stanno svolgendo, con gli strumenti tecnici che abbiamo a disposizione e che sono sostanzialmente rimasti quelli di ieri.
Innanzitutto, le audizioni sono iniziate già da alcune settimane e speriamo di portarle avanti (una volta superato il ciclone della finanziaria, se possiamo così definirlo) almeno fino alle vacanze di Natale, con qualche coda nel mese di gennaio, in modo da ottenere un quadro complessivo, anche se non univoco, delle riflessioni che tanti attori della vita giuridica e di quella politica, istituzionale e sociale, ci potranno fornire.
Vedo presente il professor Elia, il quale ha introdotto i lavori, in qualità di presidente emerito della Corte, e devo dire che la sua relazione è un esempio di chiarezza e anche di equilibrio per quanto riguarda l'interpretazione della nuova normativa costituzionale.
In secondo luogo, il parere sulla legge finanziaria (spero che vi sia stato distribuito), come ricordavo, è risultato estremamente difficile sotto il profilo politico, tecnico e anche sotto quello della possibilità di valutare una serie di testi che hanno i contenuti più vari. Ritengo però che sia opportuno che questo parere venga valutato nel suo giusto peso perché, per quanto riguarda la prima parte (che non è, diciamo, toccata dall'opzione che chiamavo prima di schieramento politico), vi è stato in Commissione un consenso pressoché unanime e mi auguro che questo possa rappresentare un segnale almeno per quanto riguarda la presenza del Parlamento, un segnale importante della volontà di attuare la riforma costituzionale senza tensioni di carattere partitico.
Sostanzialmente, il parere si divide in tre parti. Nella prima si svolge un'ovvia riflessione, nel senso che la normativa costituzionale ha bisogno di attuazione, la legislazione attuativa non c'è, manca una normativa costituzionale transitoria e, quindi, proprio facendo tesoro della giurisprudenza della Corte costituzionale, occorre procedere ad interpretazioni, valutazioni di carattere politico-costituzionale estremamente responsabili e flessibili, che possano modificarsi anche nel tempo, laddove queste difficoltà di attuazione dovessero non più presentarsi come tali, ma tradursi in resistenze all'attuazione del dettato costituzionale. Nella seconda parte si fa riferimento, in particolare, alle leggi finanziarie in genere e agli strumenti finanziari, richiamando alcune norme della Costituzione - l'articolo 117, comma secondo, lettera e); l'articolo 117, comma terzo e l'articolo 119, così come novellati con la legge n. 3 del 2001 - in cui si esprime la necessità, in questo campo, della ricerca di questa armonizzazione che lo stesso legislatore costituzionale impone.
Si ricorda inoltre come la legge finanziaria soddisfi l'esigenza di dare una risposta al patto di stabilità con la Comunità europea, patto di stabilità che per noi costituisce un vincolo di natura comunitaria e come tale la novella costituzionale assurge a vero e proprio principio, direi ispiratore, dell'intero sistema delle competenze legislative. Ricordo al riguardo che il potere sostitutivo, e comunque il comma dell'articolo 117, richiama proprio i vincoli derivanti dalla legislazione comunitaria.
In tale contesto, va considerata la necessità che, per poter giudicare sulle lesioni di attribuzioni delle regioni e di altri enti locali, in questa armonizzazione finalmente si associ all'autonomia di spesa l'autonomia impositiva, altrimenti la commistione dei vari livelli non potrà mai consentire l'attribuzione di poteri assolutamente autonomi.
Vi è infine un punto che desidero sottolineare: si tratta di un invito al legislatore, anche in attesa di queste necessarie norme di armonizzazione, a compiere uno sforzo per venire incontro alle esigenze del sistema delle autonomie. Credo sia doveroso da parte nostra fare questo sforzo, laddove non ci siano incompatibilità o interessi così forti dell'ordinamento - non interessi di parte - che sconsiglino di intraprendere questa marcia di avvicinamento. Negli altri titoli si fanno alcuni riferimenti puntuali alla normativa e su questi punti vi è stato un voto di dissenso.
Mi auguro che l'attività svolta dalla Commissione, che ora sta impegnando ed impegnerà l'omologo organo della Camera, possa rappresentare, almeno, un binario utile per proseguire nel difficile compito di attribuire alla legislazione una sempre migliore qualità, pur in presenza di un passaggio costituzionale così altamente problematico.

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