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La Loggia


PRESIDENTE. Do adesso la parola al Ministro La Loggia.

ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. Grazie soprattutto per questo incontro, nel quale dobbiamo essere tutti soddisfatti nel fare una constatazione essenziale: questo argomento, che sino a poco più di un anno fa raccoglieva nel più generalizzato disinteresse una notevole dose anche di difficoltà interpretativa rispetto alle circostanze che si erano già verificate, cioè la riforma costituzionale, il referendum successivo, l'entrata in vigore di questa riforma, ha raggiunto - di questo dovremmo essere tutti soddisfatti - un livello di consapevolezza. Un certo percorso per arrivare alla piena consapevolezza del problema - visto che con molti dei presenti ho contatti continui, ma con molti altri non ho avuto occasione di sperimentare le nostre diverse valutazioni - dovrà essere realmente compiuto. Proprio per questo farò alcune notazioni rapide, arricchite dal dibattito che sin qui si è svolto, che mi ha dato ulteriori spunti in ordine a una ulteriore valutazione della realtà, ma anche delle cose che occorre fare per superare positivamente questa realtà.
Il sistema normativo italiano, caratterizzato da una pluralità di fonti e da una pluralità di attori, è oggi, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, connotato da una notevole complessità determinata dal capovolgimento del criterio di attribuzione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, oggi meglio "istituzioni locali", e dalla sempre maggiore produzione normativa dell'Unione europea. Tale complessità rende evidenti i presupposti indispensabili per il suo funzionamento: un chiaro e netto riparto di competenze, onde evitare il sovrapporsi delle norme (il documento che ci avete fornito questa sera sullo sviluppo del contenzioso, su cui peraltro io, man mano, sono andato aggiornando, nelle nostre riunioni di Consiglio dei ministri, i colleghi di governo, vedo che è fatto molto bene e colgo l'occasione per complimentarmi) degli efficaci raccordi istituzionali per consentire una produzione legislativa complessivamente coordinata; degli organi di regolazione per risolvere in via preliminare i conflitti e gli eccessi di competenza; una distinzione istituzionale specifica per le Regioni a statuto speciale, cosa che nella riforma del Titolo V è rimasta vagamente sottaciuta, che anche oggi non emerge con sufficiente chiarezza nella determinazione di un indirizzo, che per la parte attuativa, ma soprattutto per la parte ulteriormente riformatrice, dovrebbe invece avere. Questo ha causato e continua a causare una percentuale altissima di problemi con riferimento ai rapporti legislativi tra Stato e Regioni. Difatti allo stato attuale, nessuno di questi presupposti ai quali mi sono riferito risulta realizzato. Su questo credo che abbiamo il dovere tutti di fare un ulteriore sforzo di approfondimento.
Anzitutto non è sicuro in più materie il riparto delle competenze legislative. Tra la legislazione esclusiva dello Stato, la legislazione concorrente, la legislazione residuale delle Regioni il confine non è così netto come potrebbe sembrare e ciò a causa di fattori di varia natura: la necessaria genericità della definizione delle rispettive materie lascia ampi spazi all'interpretazione tesa a stabilirne i relativi confini; nelle materie concorrenti da sempre è punto dolente l'individuazione del preciso confine tra i principi fondamentali di spettanza statale e la normativa di dettaglio di competenza regionale; le materie affidate alla competenza residuale delle Regioni non sono elencate e questo costituisce, indubbiamente, un ulteriore supplemento di problema.
Ma ulteriori problemi si pongono anche sul fronte comunitario a causa dell'espandersi, di trattato in trattato, delle materie "comunitarizzate" e del conseguente affievolirsi della linea di ripartizione tra competenze degli Stati membri e competenze della Commissione, nella tendenza espansiva della Commissione che si manifesta col ricorso, oltre che ai tradizionali strumenti dei regolamenti e delle direttive, alle decisioni, alle raccomandazioni, oltre agli atti di indirizzo approvati dal Parlamento europeo, ai pareri del Comitato delle Regioni, non vincolanti ma comunque rilevanti.
Sul fronte europeo, partendo dal vertice della piramide legislativa, il primo raccordo tra Unione europea e Stato membro è dettato dalla partecipazione di questo alla formazione delle direttive e dei regolamenti comunitari. Sappiamo già che la gran parte di questi provvedimenti vengono adottati a maggioranza semplice, o anche a maggioranza qualificata, ma certamente non sempre con il pieno gradimento di tutti gli Stati membri e questo costituisce un forte limite all'esercizio della sovranità, tanto del Parlamento quanto dei Consigli regionali, e non mi pare che sino a questo momento, questo argomento di così rilevante importanza sia stato sufficientemente approfondito, mentre è, nel vertice della legislazione, quello che, probabilmente, dovrebbe essere tenuto maggiormente in considerazione, perché è l'involucro al di là del quale non abbiamo potestà ad intervenire.
Ma proprio per scongiurare, nei limiti del possibile, contrasti sfavorevoli tra la normativa nazionale e la normativa comunitaria e tenendo conto delle competenze legislative regionali, opportunamente la riforma costituzionale ha previsto la partecipazione delle Regioni alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e questa partecipazione va regolata con legge. E' quello che il Governo si appresta a fare con il disegno di legge generale di attuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, l'Atto Camera 3590 attualmente all'esame della Commissione affari costituzionali.
Vi è un'ulteriore parte di problemi che riguarda il modo di far partecipare il sistema delle autonomie regionali e delle istituzioni locali anche alla formazione degli atti comunitari, ma questo è argomento di cui, da qui ad un certo numero di settimane, credo che dovremo farci tutti carico, nel momento in cui si andrà a cominciare a scrivere, per quello che riguarda questa parte, la prossima Costituzione europea.
Ma intanto, nella legislazione nazionale da tempo è stato previsto un obbligo di trasmissione di tutte le proposte normative comunitarie alle Camere per le eventuali osservazioni, ma tale sistema, disciplinato anche nei regolamenti rispettivi di Camera e Senato, non ha avuto sinora una regolare, cadenzata attuazione, tanto che a questo punto credo che bisognerebbe far tornare alla ribalta, maggiormente di quanto non sia accaduto sino a questo momento, l'istituto della cosiddetta riserva di esame parlamentare.
Anche qui abbiamo potuto già fare un primo tentativo, che pongo alla vostra attenzione, nel disegno di modifica della "legge La Pergola", l'Atto Camera 3123. Bisogna però che, conseguentemente, le Camere si attrezzino realmente per far fronte all'esigenza di rapidità che è insita in questo sistema, che talvolta consente pochissimi giorni per poter decidere. Intanto la Commissione per gli affari europei della Camera e la nuova Commissione XIV, Politiche dell'Unione europea, del Senato svolgono un eccellente lavoro di valutazione della compatibilità dei disegni e progetti di legge con la normativa comunitaria.
Sul fronte interno (non mi soffermo più di qualche secondo) la riformulazione dell'articolo 117 della Costituzione ha profondamente modificato il riparto delle varie specifiche competenze legislative tra Stato e Regioni. Credo che debba essere data una particolare attenzione, da parte delle istituzioni, ai processi di elaborazione normativa delle Regioni. Ma lì è tutto da inventare un meccanismo che, laddove accettato dal sistema delle Regioni - visto che non siamo nelle condizioni di poterlo imporre ai sensi del nuovo articolo 114 della Costituzione - posti ad un dialogo costruttivo, che indubbiamente, da parte nostra, non c'è alcuna difficoltà ad iniziare. Sappiamo bene che nel momento in cui avremo iniziato a discutere di questo argomento formalmente, saremo andati certamente in rotta di collisione rispetto all'indirizzo fin qui dato all'attuazione di un pieno federalismo. Le due cose non possono camminare assieme, possono soltanto camminare insieme laddove vengano reciprocamente accettate dalle istituzioni regionali e locali e da parte del Governo e del Parlamento della Repubblica, ma diversamente non sarebbe possibile - e io sarò certamente garante di queste prerogative delle Regioni - per semplice iniziativa parlamentare o governativa, andare ad interferire nel sistema delle autonomie e delle Regioni, come è stato già riconosciuto con la riforma costituzionale.
Mi limito soltanto ad aggiungere, prima di concludere queste brevi note, che abbiamo già una serie preoccupante di organismi di confronto. Adesso ne aggiungeremo, probabilmente, degli altri, ma forse è realmente arrivato il momento in cui dobbiamo mettere mano definitivamente a quello che dovrebbe essere l'assetto del Senato federale o della Camera delle autonomie, o quello che sia, l'unico organo costituzionale all'interno del quale si possa svolgere istituzionalmente questo confronto, perché accanto alla Conferenza Stato-Regioni, alla Conferenza Stato-Città, alla Conferenza unificata, alla Commissione bicamerale per gli affari regionali, che opportunamente occorre integrare, in attesa che finalmente arrivi il Senato federale o Camera delle autonomie, sicuramente occorreranno diversi arbitri istituzionali per poter disciplinare il traffico delle competenze, ma anche della sovrapposizione dell'esame su specifiche materie che avvengono in contemporanea, su organismi diversi che hanno, per tanti versi, una pari dignità istituzionale e che potrebbero, come spesso è già accaduto, arrivare a conclusioni totalmente diverse l'una dall'altra, con, l'aggiunta, sottolineatura che credo non vada mai sottaciuta, del potere - spero che nessuno voglia metterlo in discussione - del Parlamento, sovrano di poter decidere, dopo comunque avere ascoltato tutti, anche gli organismi di raffronto reciproco tra Governo, Regioni e istituzioni locali.
Accanto a questo, l'argomento relativo ai controlli, argomento sul quale un ulteriore approfondimento credo debba essere fatto. Il controllo che avviene soltanto attraverso la disciplina dettata da parte dell'organo che deve essere sottoposto allo stesso controllo, è una procedura che ha scarsi precedenti nel nostro ordinamento giuridico e costituzionale. Ne comprendo la ragione, devo dire che condivido tale ragione, ma questo non ci può esimere dall'immaginare un rimedio di emergenza laddove i controlli non venissero fatti con l'adeguata cura e con il necessario scrupolo. Da qui la necessità di un'attuazione quanto più rapida e completa dell'art. 120 della Costituzione sull'esercizio del potere sostitutivo, che nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, scendendo dallo Stato attraverso le Regioni, per arrivare alle istituzioni locali, dia comunque la possibilità di un controllo essenziale rispetto ad omissioni o violazioni che possano essere compiute dagli organi istituzionali diversi dallo Stato o dalle Regioni stesse. A questo proposito abbiamo pensato di inserire, nell'ambito del nostro disegno di legge di attuazione, la possibilità che vi sia una attività di controllo anomalo, in un certo senso, di verifica, più che di controllo, degli equilibri di bilancio da parte degli enti territoriali in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, attraverso un organo terzo che istituzionalmente è preposto a questo genere di incarichi, cioè la Corte dei conti attraverso le proprie sezioni regionali, alle quali abbiamo pensato di poter far partecipare, se richiesti, componenti nominati dalle stesse Regioni e dal sistema delle istituzioni locali, regione per regione. Un po' il modello che in Sicilia si è sperimentato con qualche successo dal 1946, con il Consiglio di giustizia amministrativa come organo di appello rispetto alle decisioni di primo grado che riguardano i tribunali amministrativi regionali.
Concludo, Presidente, ringraziandola ancora per questa opportunità, per poter avere preso atto della maturazione collegiale, collettiva, finalmente a livello pluristituzionale, di questi complicati e difficili problemi, ma anche con l'auspicio che, se si continua con un ragionamento costruttivo, forse, al di là di pregiudizi che talvolta possono anche essere giustificati dal punto di vista politico ma certamente mai giustificabili dal punto di vista dell'interesse comune del nostro Paese, riusciremo a fare qualche ulteriore passo avanti. L'argomento, in questo momento non è solo connesso con la qualità della legislazione, ma con il necessario approfondimento rispetto a chi competa di fare legislazione in un ordinamento costituzionale che allo stato voglio considerare soltanto in una fase transitoria, ma che necessita di urgenti, immediate riformulazioni, di ulteriori riforme costituzionali.

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