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D'Atena


PRESIDENTE. Do ora la parola al prof. D'Atena, direttore dell'Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie "Massimo Severo Giannini" del CNR.



ANTONIO D'ATENA, Direttore dell'Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle Autonomie "M.S. Giannini" - C.N.R. Quest'anno, il Rapporto nazionale sullo stato della legislazione, che giunge alla sua terza edizione e di cui qui vengono anticipati alcuni contenuti, presenta una evidente rilevanza, che ne fa un Rapporto a sé. Si tratta, infatti, del primo rapporto dopo la riforma del titolo V Cost. Esso, quindi, può dar conto del primo collaudo del rovesciamento dell'enumerazione delle competenze legislative. Un collaudo, tanto più rilevante, nella prospettiva, annunciata, di una possibile rivisitazione della riforma. La quale, ove dovesse affrontare, com'è da ritenere, il tema del riparto delle competenze, non potrebbe prescindere dalle risultanze della esperienza.

Aggiungo che i dati che abbiamo oggi non sono ancora definitivi: non soltanto per il breve periodo che è passato, ma anche perché il sistema non è ancora a regime. D'altra parte, è comprensibile che, all'indomani di una riforma di portata così profonda, permangano delle viscosità di ordine culturale e che esse non consentano la piena metabolizzazione del grado di novità della riforma stessa. Ciò nondimeno, i dati sono significativi. Essi si riferiscono ad alcune materie "strategiche": sia per la loro intrinseca importanza, sia per il fatto di formare oggetto di diverse tipologie di competenza. Si tratta della tutela della salute, dell'energia, dell'agricoltura, delle infrastrutture e della finanza.

Quali sono i dati che emergono da questa prima ricognizione dell'esperienza sin qui maturata relativamente a queste materie?

C'è un dato che si impone su tutti ed è stato ricordato anche negli interventi introduttivi: l'intreccio delle competenze. L'esperienza maturata fa, infatti, giustizia dell'idea che il nuovo sistema del riparto di competenze corrisponda, per intero, al modello del separatismo di tipo duale. In realtà, ci si rende conto che tra i diversi ambiti di competenza sussistono consistenti margini di sovrapposizione, se non di intreccio, in larga misura dovuti all'esistenza di competenze dinamiche, di tipo trasversale, le quali possono incidere su altre competenze. Per esempio, con riferimento ai campioni che abbiamo considerato, è significativo il caso dei lavori pubblici: in materia di lavori pubblici c'è interferenza con la tutela della concorrenza, con la tutela dell'ambiente, con il governo del territorio. E interferenze non minori si registrano in un altro ambito: quello dell'agricoltura.

Non ci si può nascondere che questa interferenza di competenze crea notevoli incertezze, e rende difficile rispondere alla domanda cruciale: "chi fa che cosa?". Tali incertezze sono confermate da una crescita esponenziale del contenzioso.

Aggiungo che un ulteriore elemento di incertezza è rappresentato da quelle che chiamerei le "materie-fantasma": dalle materie, cioè, che sono scomparse dall'elenco del vecchio articolo 117 per non affiorare in nuovi elenchi. Esse - a stretto rigore - dovrebbero essere attratte nella competenza residuale delle Regioni. Ma la situazione è più complicata. Anzitutto, perché anche tali materie sono soggette all'influenza delle competenze trasversali (o finalistiche) dello Stato; inoltre, perché in certi casi non si può escludere che esse abbiano perduto l'originaria consistenza, per confluire in materie diverse (sottoposte a differenti regimi competenziali). La seconda ipotesi è stata - ad esempio - avanzata per la materia "lavori pubblici", ipotizzandosi che le singole opere siano assoggettate al regime competenziale della materia cui esse, di volta in volta, accedano (o alla quale siano funzionali).

Che giudizio dare di questa situazione?

Dico subito che sarebbe riduttivo ascriverla, per intero, a difetti della riforma. Non perché difetti non ci siano. Le incongruenze degli elenchi di cui all'art. 117 sono state, infatti, largamente segnalate in sede dottrinale. Non può, però, ignorarsi che, nelle esperienze federali e regionali, l'intreccio delle competenze è un elemento fisiologico. Non è, infatti, infrequente che le materie non si presentino come mutuamente esclusive. Né è privo di significato che la giurisprudenza costituzionale europea cui si deve la teoria della "pietrificazione" delle materie - la giurisprudenza costituzionale austriaca - abbia sentito il bisogno di elaborare la diversa teoria del "punto di vista": alla cui stregua i medesimi oggetti possono ricadere sotto l'una o l'altra materia, a seconda del profilo regolativo, di volta in volta, preso in considerazione.

C'è però un dato, che non può essere ignorato. E, cioè, che, negli ordinamenti a base decentrata del continente europeo, la complessità conseguente agli intrecci ed alle interferenze di cui si è appena detto è in genere governata attraverso gli strumenti della cooperazione.

E', tuttavia, noto che uno dei maggiori deficit del sistema italiano si registra proprio sul terreno della cooperazione. Fino a questo momento, infatti, non è stato possibile sciogliere il nodo della Camera delle Regioni, la cui centralità è stata ricordata un momento fa dal Presidente Casini, né ha ricevuto attuazione il surrogato di tale istituzione: la "Bicameralina" di cui all'art. 11 L. cost. 3/2001, che pure è stata ricordata.

Che cosa è accaduto, però? Che, per la forza delle cose, la cooperazione, bandita dal disegno costituzionale, è rientrata dalla finestra, attraverso molteplici canali. Soffermandomi sui due principali, posso ricordare: da un lato, il ruolo delle conferenze, d'altro lato, le audizioni informali di rappresentanti delle Regioni da parte delle Commissioni parlamentari di merito.

E' inutile dire che queste prassi sono da salutare con assoluto favore, colmando un vuoto della disciplina costituzionale.

C'è però un punto critico, che non può non essere segnalato. Mi riferisco al rischio dell'emarginazione dei legislativi: rischio, che si coglie sia a livello statale sia a livello regionale. In particolare, La concertazione a livello di esecutivi irrigidisce i procedimenti ai quali si riferisce, riducendo drasticamente i margini di autonoma determinazione delle Assemblee. In certi casi, si realizza un autentico effetto-blindatura, del quale i dati sui quali abbiamo soffermato la nostra attenzione offrono significativi esempi.

Limitando l'attenzione ad un caso particolarmente significativo, può ricordarsi il d.d.l. collegato alla finanziaria recante completamento e modernizzazione del settore agricolo, sul quale la Commissione di merito è stata chiamata a pronunziarsi di nuovo, poiché l'intesa in sede di Conferenza si è realizzata dopo che essa era pervenuta alla definizione del testo.

Casi come questo lasciano trasparire una evidente eterogenesi dei fini. Poiché strumenti rivolti a realizzare il necessario raccordo tra diversi livelli territoriali di governo alterano l'equilibrio tra gli organi costituzionali: finendo, quindi, in ultima analisi, per incidere sulla forma di governo.

Fenomeni di questa natura costituiscono il punto di emersione di un problema più ampio, posto sul tappeto da entrambe le riforme da cui è stato interessato il Titolo V: quella di cui alla L. cost. n. 3 del 2001 e la riforma dovuta alla L. cost. n. 1 del 1999. A livello regionale è - ad esempio - noto che proprio questo problema rende difficile la conclusione della fase statutaria.

Che cosa si deve evitare? Si deve evitare che si determini un cortocircuito: che, in altri termini, il rafforzamento degli Esecutivi, da un lato, e la riforma del Titolo V, dall'altro, ridimensionino il ruolo delle assemblee legislative. Le quali presentano una qualità istituzionale unica, preziosissima per la democrazia. Sono, infatti, i luoghi in cui il principio maggioritario è bilanciato dalla partecipazione delle minoranze ai processi di decisione.

Come reagire a questo? Le vie sono state indicate dal Presidente Casini. Da un lato, in una prospettiva de jure condito, c'è l'attuazione della "Bicameralina", la quale dovrebbe assicurare una sede "parlamentare" di concertazione. E dovrebbe, quindi, ridurre il pericolo che accordi tra gli Esecutivi comprimano i margini di determinazione delle Assemblee. D'altro lato, in una prospettiva de jure condendo, dovrebbe finalmente sciogliersi il nodo della seconda Camera: l'istituzione, che, nelle esperienze federali, costituisce il perno della cooperazione tra centro e periferia.

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