Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 677 del 26/9/2005
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TESTO AGGIORNATO AL 27 SETTEMBRE 2005

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Discussione della proposta di legge S. 414-B - Senatore Consolo: Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (Approvata dalla II Commissione permanente del Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato) (A.C. 150-3282-3867-3884-4204-B) (ore 16,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa


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del senatore Consolo, già approvata dalla II Commissione permanente del Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato: Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 150-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle ulteriori modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che le Commissioni II (Giustizia) e XII Commissione (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la XII Commissione, onorevole Anna Maria Leone, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANNA MARIA LEONE, Relatore per la XII Commissione. Signor Presidente, ritengo che con la proposta di legge in esame il nostro paese abbia compiuto un primo, significativo passo avanti verso l'eradicazione di una pratica inumana. Era, però, necessario arrivare alla formulazione di un testo che non prevedesse soltanto la configurazione di un reato per chi pratiche simili mutilazioni - ciò avrebbe comportato il diffondersi del sommerso e della clandestinità - ma anche l'individuazione di strumenti efficaci affinché si possa arrivare ad una mediazione culturale che faccia superare credenze che, in certe popolazioni, sono estremamente radicate. In tali culture, infatti, non avere subito la mutilazione genitale significa isolamento: le bambine e le donne non infibulate vengono considerate esseri privi di ogni maturità.
In Italia vivono alcune decine di migliaia di donne infibulate. Ogni anno, numerose bambine - con genitori provenienti soprattutto dai paesi dell'Africa subsahariana - rischiano di essere sottoposte a tale rituale. Il periodo nel quale viene praticata l'infibulazione cambia sia geograficamente che per gruppo etnico di appartenenza. Sebbene l'età per la mutilazione vari da una settimana di età fino ai venti anni, l'infibulazione viene eseguita sempre più spesso su bambine fra i tre e gli otto anni.
Noi dobbiamo urlare il diritto di ogni bambina al rispetto dell'integrità psichica e fisica, il diritto al rispetto dell'infanzia e ad una futura sessualità felice.
Il nostro impegno come legislatori si è orientato non solo per evitare che cose simili avvengano nel nostro paese, ma anche per favorire una crescita culturale per le donne africane immigrate in Italia, rendendole consapevoli dei loro diritti all'integrità fisica e ad una sessualità completa, per far sì che siano in prima persona protagoniste di un reale cambiamento.
Per questo, la prima parte del testo di legge prevede la predisposizione di campagne informative rivolte agli immigrati dei paesi in cui sono effettuate tali pratiche sia al momento della concessione del visto presso i consolati italiani sia al loro arrivo alle frontiere italiane.
Sostanzialmente, tali campagne saranno dirette a diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona, con particolare riguardo alle donne ed alle bambine. Inoltre, verranno promosse iniziative di sensibilizzazione con la partecipazione delle organizzazioni non profit, delle strutture sanitarie, in particolare dei centri riconosciuti di eccellenza dall'Organizzazione mondiale della sanità, per far capire loro quali siano i diritti atti a preservare l'integrità fisica e psichica della persona e per far loro comprendere che la mutilazione è soltanto un atroce delitto e non un rituale religioso.
Bisogna partire da questa sensibilizzazione, perché le credenze e le usanze che circondano le differenti forme di mutilazione genitale femminile sono tuttora diffuse e radicate. Questo calvario è spesso accettato dalle altre donne della famiglia come un dato normale, inevitabile, della


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vita comunitaria, un segno di appartenenza, un codice d'onore da rispettare senza pensare al trauma o all'handicap sessuale, ma crea forti instabilità psicologiche e gravi traumi che durano tutta la vita.
Le motivazioni che mantengono in esistenza questa tradizione inumana sono stupefacenti, contraddittorie, mascherate da falsi concetti religiosi, ipocriti pregiudizi sociali e con l'unica costante di creare una mutilazione non solo fisica, ma anche psicologica della giovane donna che la subisce.
Proibire, dunque, non è sufficiente. È necessario agire a livello di modificazione e presa di coscienza sulle donne, cercando di far capire loro che l'infibulazione non ha nulla a che vedere con la tradizione e con la cultura etnica da conservare, ma nega la sessualità e devasta il corpo.
L'infibulazione, come tutte le lesioni fisiche, morali e psicologiche, non può trovare legittimazione nella scelta religiosa o di mantenimento della tradizione. È soltanto violenza. Il dialogo individuale, l'evitare di apparire come portatori di verità che vogliono uccidere le loro tradizioni ci impongono, dunque, di agire con gradualità, attraverso un'opera di convincimento verso donne e uomini, spiegando l'assurdità di questa mutilazione ed evitando che la ripetano sulle loro figlie.
Per questo, si prevede ancora l'organizzazione di corsi di formazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzate ad una corretta preparazione al parto, così come si prevede la formazione specifica del personale sanitario, in quanto non ha familiarità con tali tipi di mutilazioni.
Anche l'ambito scolastico sarà interessato da queste campagne di informazione, in quanto riteniamo necessario promuovere appositi programmi di aggiornamento per gli insegnanti i quali si trovano ad operare non solo con bambine o adolescenti già menomate, ma anche con retaggi religiosi molto forti. Di conseguenza, potranno avvalersi della collaborazione di persone esperte nella mediazione culturale, coinvolgendo sia i genitori che i bambini e le bambine immigrati.
Un ultimo aspetto di questa prima parte del testo normativo riguarda l'istituzione di un numero verde finalizzato a ricevere segnalazioni da parte di chiunque venga a conoscenza dell'effettuazione sul territorio italiano di tali pratiche, nonché a fornire informazioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle strutture sanitarie che operano presso le comunità di immigrati provenienti da paesi dove sono usuali tali pratiche; ad esso dovrà essere data attraverso i media la maggiore pubblicità possibile.
La seconda parte del provvedimento si occupa, nello specifico, della fattispecie penale, configurandovi il reato, le pene e le sanzioni accessorie. Le modifiche introdotte dal Senato riguardano, oltre all'aggiornamento all'anno 2005 della copertura finanziaria, disposizioni di natura penale. In particolare, l'altro ramo del Parlamento è intervenuto sull'articolo 6 che introduce nel codice penale il reato per le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (articolo 583-bis), apportando alcuni aggiustamenti alla formulazione della fattispecie penale.
Si ricorda che l'articolo 583-bis punisce con la reclusione chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagioni una mutilazione degli organi genitali femminili. Al fine di evitare dubbi interpretativi, la disposizione specifica che cosa si intenda per pratiche di mutilazione punite dal citato articolo.
Inoltre, è stata introdotta una norma di chiusura volta a punire anche quelle condotte che non rientrano nella definizione di cui sopra, ma che comunque provocano, sempre in assenza di esigenze terapeutiche, lesioni agli organi genitali femminili, al fine di menomare le funzioni sessuali quando dal fatto derivi una malattia nel corpo o nella mente.
È poi prevista una ipotesi aggravante nel caso in cui le condotte punite siano commesse a danno di un minore. Il Senato ha modificato tale fattispecie penale intervenendo sia sul precetto che sulla sanzione.


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Sotto quest'ultimo profilo è stata ridotta nel minimo la pena della reclusione prevista per la condotta base: mentre il testo della Camera puniva tale condotta con la reclusione da sei a dodici anni, il Senato ha previsto per tale condotta la reclusione da quattro a dodici anni.
Viene inoltre soppresso l'inciso secondo cui i reati introdotti dal provvedimento in esame sussisterebbero anche con il consenso della vittima. Il Senato ha proceduto a tale modifica, come si evince dai lavori preparatori, al fine di evitare che da tale inciso potesse ingenerare l'equivoco che le lesioni o mutilazioni degli organi genitali femminili potessero o meno essere sottoposte a consenso.
Un'altra modifica riguarda l'aggravante alla quale si è fatto sopra riferimento, in quanto il Senato ha previsto come nuova aggravante anche l'ipotesi in cui il fatto sia commesso a fini di lucro.
Modifiche di formulazione sono state apportate, infine, all'ultimo comma dell'articolo 583-bis, riguardante la punibilità dei fatti commessi all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, o in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.
Il Senato, inoltre, ha trasformato in un ulteriore articolo del codice penale (articolo 583-ter) la previsione in precedenza contenuta nel comma 1 dell'articolo 9 della proposta di legge licenziata dalla Camera, apportandovi anche alcune modifiche. Viene infatti previsto che all'esercente la professione sanitaria, che sia stato condannato per uno dei delitti di cui all'articolo 583-bis, e non quindi che abbia commesso il delitti citati, si applichi la pena accessoria dell'interdizione della professione da tre a dieci anni; in precedenza, era prevista l'interdizione per dieci anni.
Viene inoltre prescritto che della sentenza di condanna sia data comunicazione all'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Il comma 2 dell'articolo 6 del provvedimento, introdotto durante l'esame presso l'altro ramo del Parlamento, detta modifiche di formulazione letterale all'articolo 604 del codice penale, relativo al fatto commesso all'estero.
Concludendo, posso affermare che, con l'approvazione di questa proposta di legge, il Parlamento ha cercato di contrastare una pratica atroce, tenendo presente però la pari dignità delle diverse culture e l'importanza di dialogare con tolleranza con chi sia portatore di valori e culture differenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

DOMENICO DI VIRGILIO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanotti. Ne ha facoltà.

KATIA ZANOTTI. Signor Presidente, nel corso dell'LXXXI congresso della Società italiana di ginecologia e ostetricia, che si è svolto la settimana scorsa a Bologna, il professor Aldo Morrone, direttore del Servizio di medicina delle migrazioni dell'istituto San Gallicano di Roma, è tornato a lanciare l'ennesimo allarme sulle pratiche di mutilazione genitale femminile.
Il professor Morrone afferma che sono più di duemila le bambine a rischio ogni anno in Italia. Non importa se nel nostro paese non è legale: c'è sempre una nonna, un'anziana, qualcuno disposto per un po' di soldi a procedere clandestinamente allo scempio che si continua a perpetrare sul corpo delle donne. Se clandestinamente si ricorre ad un medico, può costare anche 500 euro. Oppure si torna durante la pausa estiva nel proprio paese di origine per sottoporre le ragazzine a questa terribile mutilazione che provoca profonde, profondissime lacerazioni, anche psicologiche.
Più di 130 milioni di donne nel mondo - l'abbiamo detto più volte - sono vittime di mutilazioni sessuali; oltre due milioni di bambine sono sottoposte ogni anno all'infibulazione.


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Se è vero che in alcuni paesi, come in molte comunità del Senegal, la pratica è stata abbandonata, è pur vero che la battaglia è ancora, ahimé, solo all'inizio.
Le mutilazioni genitali femminili costituiscono una gravissima forma di violazione dei diritti fondamentali della persona, un male millenario che fa soffrire le bambine, minaccia la loro salute, la loro stessa vita. Contengono una carica simbolica che riconduce alla sopraffazione sulle donne, alla poligamia maschile, alla servitù femminile.
Per noi, il provvedimento legislativo presenta, quindi, un grande valore; abbiamo dato prova del nostro impegno in tutte le fasi di lavoro delle Commissioni riunite della Camera.
Il modo con il quale il provvedimento è stato affrontato dal Parlamento - come è noto, con modifiche che ne hanno, via via, ampliato il contenuto -, risponde alla convinzione secondo la quale il lavoro svolto per il riconoscimento e l'affermazione dei diritti delle donne rappresenta una strada precisa (molto precisa) per entrare nel merito e dare contenuto alla democrazia ed allo sviluppo quali componenti inscindibili l'una dall'altro. Tale lavoro si basa sulla convinzione che, anche su un tema così delicato, è necessario operare ponendo in primo piano l'esigenza della ricerca di punti comuni nel confronto con le differenze.
In buona sostanza, il tema che ci si presentava dinanzi nel momento in cui ci apprestavamo a lavorare sul progetto di legge era il seguente: come avremmo potuto aiutare una donna sottoposta a mutilazione senza che tale intervento si fosse tradotto in una critica o in una denuncia della sua cultura? Denuncia che avrebbe potuto assumere le forme dell'integralismo, con il rischio, tutt'altro che remoto, di trasmettere un messaggio secondo il quale ognuno deve, per così dire, restarsene a casa propria per poter difendere la propria cultura.
Ma come dimostrare, allora, concreta solidarietà alle donne, allontanando il timore che loro stesse possano interpretare il provvedimento come una pretesa di superiorità della nostra cultura rispetto alla loro? Dal lavoro parlamentare, non semplice, è emersa, a questo riguardo, l'estrema complessità del fenomeno; si è registrato un importante accordo tra le forze politiche sulla necessità di predisporre una normativa che non poteva limitarsi a reprimere le mutilazioni genitali femminili ma doveva agire contestualmente sulla prevenzione, garantendo alle vittime anche una serie di aiuti di natura sociale e sanitaria.
Sulla base di tale ispirazione, abbiamo lavorato, convinte e convinti che la delicata questione non poteva essere e rimanere racchiusa solo nel recinto penale, inerendo ai diritti umani delle donne, innanzitutto; al dialogo interculturale tra donne e uomini delle comunità coinvolte e gli operatori delle società di accoglienza, poi; all'educazione ed all'informazione, infine.
In Italia, la pratica delle mutilazioni rappresenta uno dei problemi che l'immigrazione si è portata dietro, mettendoci bruscamente a contatto con usanze di cui poco o niente sappiamo; la presenza in Italia di donne sottoposte ad una qualche forma di mutilazione ci pone dinanzi - già è stato osservato, come tutti rammentiamo, nel corso della precedente discussione svolta in Assemblea e nelle Commissioni - a problemi particolari che richiedono misure e soluzioni specifiche.
Tale specificità è emersa in primo luogo anche nella nostra discussione, allorquando abbiamo parlato di strutture sanitarie che si sono trovate a fronteggiare un'emergenza dovuta ad un tipo di richieste, di patologie e di terapie per le quali il personale medico, e non solo, appariva ed appare scarsamente attrezzato; scarsamente attrezzato non certo soltanto dal punto di vista sanitario ma soprattutto sotto il profilo culturale.
Ancor più complessa è la situazione che si profila sul piano dei diritti di cittadinanza dove ad essere in gioco è - lo ripetiamo - il precario equilibrio tra la


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difesa dei diritti umani, da una parte, ed il rispetto delle differenze culturali, dall'altra; equilibrio difficilissimo.
È stato quindi fondamentale lavorare su questa proposta di legge dotandosi di un preciso obiettivo: evitare che le donne immigrate percepissero il provvedimento come una misura contro di loro; ciò, nella consapevolezza che l'efficacia del provvedimento dipende strettamente dalla fiducia che si instaura, dalla serietà del dialogo interculturale.
Da tali considerazioni è scaturita anche la nostra insistenza di donne appartenenti al gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, che hanno lavorato su questo progetto per la costruzione di un serio sistema di interventi di carattere prevalentemente sociale, che ampliasse il precedente testo licenziato dal Senato della Repubblica puntando sulla prevenzione e la sensibilizzazione, attraverso la promozione di programmi di aggiornamento per gli insegnanti, la sensibilizzazione culturale e la formazione e l'aggiornamento per l'intero personale sanitario, nonché programmi di educazione sanitaria per i consultori.
Alcune questioni sollevate dal nostro gruppo, tuttavia, non hanno trovato soluzione nel testo in esame. Ne vorrei citare alcune, tutt'altro che marginali, poiché riteniamo che anche da esse dipenda l'incisività e l'efficacia del provvedimento. Rimangono confuse, infatti, le attribuzioni e le competenze dei vari ministeri, e non è sufficientemente definito il ruolo delle regioni, le quali, dopo la riforma in senso federalista dello Stato, detengono precise competenze in materia sanitaria, nonché nel campo delle politiche sociali.
Siamo altresì convinte e convinti che un ruolo determinante debba essere svolto dal volontariato, dalle organizzazioni femminili che da decenni si battono contro le mutilazioni genitali e dai centri di eccellenza dell'Organizzazione mondiale della sanità, che hanno maturato un'esperienza specifica e che dovrebbero essere sostenuti molto di più.
Manca, inoltre, qualsiasi vincolo temporale nella predisposizione dei programmi, come da previsione di legge (mi riferisco al giusto elenco previsto dal provvedimento). Non è previsto, inoltre, un monitoraggio costante della situazione, attraverso l'istituzione di un osservatorio, sempre collegato ai servizi territoriali, indispensabile per comprendere la dimensione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del fenomeno, nonché per verificare l'efficacia e l'incisività del progetto di legge in esame.
Se si intende davvero dotare gli interventi di efficacia, autorevolezza e rigore, come ci siamo detti, vorrei altresì osservare come la previsione di un investimento pari a 5 milioni di euro non costituisca una risposta seria e convincente. Per questo motivo, chiediamo ancora, con determinazione, che tale impegno sia modificato in senso migliorativo, disponendo lo stanziamento di maggiori risorse finanziarie.
Il provvedimento in esame, secondo le nostre valutazioni - tradotte, peraltro, in proposte emendative che sono state respinte nel corso del precedente esame in Assemblea -, avrebbe dovuto contenere, quale elemento qualificante, anche la previsione del diritto di asilo per le donne che, in caso di rimpatrio, rischiano di essere costrette a subire, nei paesi di origine, mutilazioni genitali.
Vorrei ricordare che, come gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, abbiamo insistito con particolare foga e determinazione su questo aspetto. Esso, a nostro avviso, avrebbe infatti prodotto un importantissimo salto di qualità in forza del riconoscimento dello status di rifugiato.
Secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, un rifugiato è un individuo che ha fondato motivo di ritenere che vi sia una persecuzione a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un particolare gruppo sociale o ad un'opinione politica. L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha riferito che, all'inizio del 2003, le donne costituivano il 51 per cento della popolazione di competenza della stessa organizzazione. Lo status di rifugiato, nelle Convenzioni internazionali e


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nella Costituzione, è generalmente riconosciuto non solo in ragione della semplice soggezione a qualsiasi violenza fisica o morale, ma anche quando tale soggezione annulla, limita od offende la libertà e la dignità della persona.
Concedere lo status di rifugiato, all'interno del provvedimento in esame, alle donne che intendano sottrarsi, o sottrarre le figlie minori, al rischio di mutilazioni avrebbe significato riconoscere, dunque, non solo che tali violenze riguardano il corpo, ma che esse offendono anche la stessa dignità e libertà delle donne. Il riconoscimento di tale status, inoltre, avrebbe offerto alle donne la possibilità di uscire dal circuito di dominio cui sono costrette (mi riferisco al dominio maschile, di clan o di gruppo), ed avrebbe consentito loro di spezzare i legami di comunità, acquisendo, grazie allo status di rifugiato, una serie di diritti.
Il mancato inserimento di tale norma - è nostra convinzione - conduce inevitabilmente ad un arretramento dello stesso impianto del provvedimento, che introduce una serie di valori importanti, nell'ambito dei quali il riconoscimento dello status di rifugiato avrebbe consentito un particolare e coraggioso salto di qualità a tutto l'impianto normativo. Si è preferito rinviare invece la questione - a seguito di una brutta discussione in Assemblea, nel passaggio precedente del provvedimento in questo ramo del Parlamento - alla sede dell'esame della legge sul diritto di asilo, per inserirla in modo organico in quest'ultimo provvedimento. A nostro avviso, si è persa un'importante occasione per dimostrare che di fronte ad una pesante violazione dei diritti umani delle donne l'ordinamento sarebbe stato disposto a compiere una scelta coraggiosa, introducendo misure specifiche, in armonia con lo spirito di tutela dei diritti e dell'integrità psicofisica della donna. A tal riguardo, sul tema del riconoscimento dello status di rifugiato, preannunzio la presentazione di un ordine del giorno da parte del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo. Le nostre idee sono state in parte capaci di modificare il testo in discussione, e rivendico tale merito perché è giusto riconoscerlo.
Non è avvenuto altrettanto per il tema dello status di rifugiato. Nel testo è comunque stata affermata l'idea che la repressione del reato debba essere doverosamente severa, ma debba avvenire a seguito di una serie di misure ed iniziative di prevenzione. È stata accettata l'idea che le attività di prevenzione debbono essere svolte anzitutto nei paesi di origine, attraverso i meccanismi della cooperazione allo sviluppo. Vi è l'idea che la prevenzione debba essere posta in essere attraverso un concerto di iniziative ed una pluralità di soggetti coordinati tra loro.
La valutazione delle modifiche introdotte dal Senato, già anticipate dalla relatrice per la XII Commissione, onorevole Anna Maria Leone - che sono conformi a quanto da noi più volte auspicato - può ritenersi, nel complesso, positiva nella parte sanzionatoria, poiché introduce, attraverso una più attenta considerazione, una modifica dell'articolo 583-bis del codice penale, che fissa in quattro anni il minimo edittale della pena, con ciò consentendo al giudice, anche in relazione al massimo edittale indicato, 12 anni, di modulare ed articolare - ed era ciò che chiedevamo - adeguatamente la sanzione, in relazione alla varietà della, o delle, tipologie e delle fattispecie concrete.
Ritorno sull'ottantunesimo congresso dei ginecologi e degli ostetrici, svoltosi la scorsa settimana a Bologna. In tale convegno i ginecologi hanno sottoscritto una mozione indirizzata al Ministero della salute, invitandolo, dopo l'approvazione del testo in discussione alla sua più ampia diffusione. Il dottor Morrone ha pubblicato di recente un libro dal titolo: «Corpi e simboli», sulle mutilazioni genitali femminili, in cui afferma che «risulta quanto mai urgente intervenire nei confronti delle complicanze mediche, psicologiche e sessuali determinate dalle motivazioni e supportare le richieste di informazione del personale medico, assieme ad una costante sensibilizzazione tra le famiglie e le comunità immigrate, che parta dal basso e


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sia conforme a modalità di comunicazione culturalmente condivise. Dunque, mentre le famiglie hanno bisogno di essere sostenute nel processo di abbandono di pratiche così laceranti, sono sempre più gli operatori sanitari che richiedono formazione adeguata per affrontare un fenomeno, fino a pochi anni fa sconosciuto, nelle strutture ambulatoriali ed ospedaliere». Il dottor Morrone insiste molto su tale aspetto, nel libro appena pubblicato.
Sappiamo che una legge non è il «viatico» per estirpare tali pratiche, che sono legate ad un diritto consuetudinario molto forte, ad una vera e propria obbligazione sociale in alcuni paesi ed in alcune realtà di tali paesi. Tuttavia, ritenevamo - e riteniamo - che una legge che identifica il reato specifico di mutilazioni genitali femminili e tenta di prevenirle sia un provvedimento magari non sufficiente ad estirpare il fenomeno, ma certamente necessario, perché non solo manifesta l'urgenza di reagire per difendere valori universali non negoziabili, ma definisce gli strumenti per iniziare concretamente a farlo.
Questo provvedimento non corrisponde - ed ho cercato di spiegarne le ragioni - a ciò che noi avremmo voluto; tuttavia, con le modificazioni apportate dal Senato, merita molta attenzione e la nostra approvazione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle ulteriori modifiche introdotte dal Senato.

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