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Seduta del 30/4/2003


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Audizione del professor Mario Draghi, direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Mario Draghi, direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro.


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Professor Draghi, è stato mai sentito da altre autorità per i fatti al nostro esame ed a lei noti?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, mai.

PRESIDENTE. Vuole per favore declinare le sue generalità?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mario Draghi, nato a Roma il 3 settembre 1947.

PRESIDENTE. Siamo avidi di conoscere e, per il rango avuto all'epoca, lei è nelle condizioni di illustrare determinati passaggi fondamentali, perciò le chiedo se abbia mai verificato l'esercizio dei poteri di controllo da parte della Corte dei conti, nelle forme che conosce, in ordine al consiglio di amministrazione di Telecom Italia per la vicenda Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Presidente, mi sta chiedendo se abbia mai verificato il potere di controllo della Corte dei conti?

PRESIDENTE. Sì!

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non riesco a capire la domanda.

PRESIDENTE. Lei sa che la Corte dei conti doveva partecipare alle adunanze; sa se questo è avvenuto?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non lo so.

PRESIDENTE. Nel gennaio 1997 vi è stato un incontro con Ernesto Pascale e Biagio Agnes, rispettivamente amministratore delegato e presidente di STET fino al gennaio-febbraio 1997, successivamente al quale i medesimi soggetti rassegnarono le proprie dimissioni dalle rispettive cariche. Chi era presente a quell'incontro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. All'incontro con il dottor Agnes i presenti erano l'allora ministro del tesoro Ciampi, il dottor Agnes e il sottoscritto; all'incontro con Pascale mi pare di ricordare che fossero le stesse persone.

PRESIDENTE. Per quale ragione e per volere di chi Pascale ed Agnes furono invitati a dimettersi dai rispettivi incarichi, nonostante durante la loro dirigenza si fossero registrati incrementi di utili da parte delle società quotate in borsa, Italcable, SIP, Telecom e STET?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. La sostituzione dei vertici STET comincia a prendere corpo con l'inizio del processo di privatizzazione; in particolare gli advisor dell'IRI (all'epoca la banca Morgan Stanley), non del Tesoro ma assunti dall'IRI ben prima che il processo fosse condotto dal Tesoro, si esprimono in questi termini: «Il giudizio dei mercati sarà essenzialmente determinato dagli annunci in ordine ad eventuali cambi al vertice della società risultante dalla fusione». Il giudizio dato dall'esecutivo sui vertici della società - per quello che posso ricordare - non era dato per il passato (i vertici erano stati apprezzati e di ciò si dà riconoscimento anche nel comunicato che recita della loro sostituzione) quanto per il futuro.
In altre parole, il profilo professionale del presidente e dell'amministratore delegato viene giudicato non adatto - non sufficiente - a condurre un processo di privatizzazione che vedeva le azioni di questa società collocate sui mercati internazionali, tramite l'operazione finanziaria più grossa che fosse stata compiuta per dimensioni. Si richiedeva ai vertici della società la capacità di comunicare con i mercati dato che questa avrebbe operato in un ambiente concorrenziale, mentre prima si era mossa sostanzialmente ed essenzialmente in un ambiente monopolistico.
Il giudizio appare abbastanza chiaramente in più punti dopo che l'annuncio fu


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dato: mi riferisco, per esempio, all'intervista rilasciata a il Sole-24 ore del 25 gennaio dall'allora ministro del tesoro che dice «Il ribaltone al vertice della società rappresenta il segno concreto che la privatizzazione della STET va avanti». Ancora, sempre su il Sole-24 ore si legge «Avete cambiato i capi della STET, perché? Nel Governo c'era un accordo» - risponde - «avremmo rinnovato i vertici della società capofila della fusione, poteva essere Telecom, è stata STET, Rossi e Tommasi del resto sono scelte eccellenti».

PRESIDENTE. Si fermi un istante, professor Draghi. Non sono riuscito a capire, e non credo che la perplessità sia solo mia, in forza di quali dati obiettivi si potesse escludere una competenza per il percorso della privatizzazione atteso che i due brani da lei letti denoterebbero il contrario, cioè che la privatizzazione prosegue, che è stata intrapresa.
Secondo aspetto: lei ha letto l'espressione «accordi con il Governo» che prescindono - pur essendo legittima ogni scelta - dal merito tecnico-professionale di chi avrebbe dovuto condurre questa iniziativa. Non si riesce a capire quale fosse la migliore qualificazione dei successori e quali deficit oggettivamente erano stati valutati: sottolineo i termini «oggettivamente valutati» per la considerazione che avevano conseguito fatturati utili ed immagine. Ripeto, non si riesce ad interpretare tranne che lei non dica che fu una scelta politica tout court, per cui a quel punto ogni osservazione cade. Se la scelta si presenta come professionale, abbiamo elementi di segno contrario per quanto lei ci ha letto e per quello che conosciamo noi.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Direi che è stata una scelta anche tecnica e questo viene detto dalla considerazione dell'advisor. La banca Morgan Stanley, in presenza di queste operazioni, dà un giudizio dei vertici e si chiede se questi vertici riusciranno a vendere le azioni in giro per il mondo. Le operazioni che oggi diamo per scontate non erano molto semplici, perché si trattava di convincere una platea di investitori che per fortuna stava aumentando di numero. Ci sono stati più momenti critici in questo processo. Certe capacità di presentazione più che di gestione - oggi si dice di leadership ma non è molto esatto - venivano valutate dall'advisor che, a quell'epoca, suggeriva la necessità di un cambiamento.
Il giudizio emerge chiaramente in un'audizione alla Camera dell'allora ministro del tesoro in cui si dice: «In occasione della decisione per la quale la STET incorporava Telecom, si è anche ritenuto di operare un mutamento nei vertici aziendali. Era un momento di frattura tra il passato ed il futuro e, tenuto anche conto del tipo di operazione che abbiamo di fronte, si è ritenuto di dare maggiore importanza a professionalità più squisitamente specializzate nelle due operazioni che si debbono fare, perché non è più la sola privatizzazione ma anche la fusione. Non vi è dubbio che coloro i quali hanno gestito la STET fino a pochi giorni fa, lo hanno fatto con professionalità e capacità ed anche con risultati positivi, ma si è ritenuto di utilizzare questo momento di cesura per assicurare ai vertici aziendali caratteristiche più appropriate ai due nuovi momenti che la società deve affrontare».

PRESIDENTE. Per entrare nel concreto, a lei risulta che Chirichigno non fosse per niente contrario alla strategia delle privatizzazioni e che addirittura discusse con lei una questione riguardante SEAT, che si concluse con una quota azionaria del 20 per cento rimasta di proprietà Telecom. In buona sostanza, Chirichigno non era contrario alla privatizzazione, purché fosse ben fatta. Sappiamo da Pascale ed Agnes che intendevano procedere per gradi, per non disperdere i cosiddetti gioielli di famiglia, con la teoria del carciofo; ed allora, perché sostituirli? È vero che Chirichigno, conscio dai limiti posti dal trattato di Maastricht, le propose vari progetti di privatizzazioni accelerate? Infine, non le pare che l'affare


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Telekom-Serbia abbia causato vere e proprie difficoltà finanziarie per il nostro paese?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Alla terza domanda rispondo «no»: l'affare Telekom-Serbia non ha causato vere e proprie difficoltà finanziarie.

PRESIDENTE. Lei la considera l'operazione più grossa che sia stata fatta?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Telekom-Serbia?

PRESIDENTE. Sì. Lei ha parlato della più grossa operazione: a cosa intendeva riferirsi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Alla privatizzazione di Telecom.

PRESIDENTE. E come considera l'operazione Telekom-Serbia? Rientrava nella logica ordinaria oppure suscitava qualche perplessità, data la situazione di quel paese e alla luce dello scenario internazionale che si presentava?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il tesoro è venuto a sapere di Telekom-Serbia ben dopo la sua attuazione. Quindi un giudizio su quest'operazione non l'ha mai espresso.
Ricordo una conversazione con il dottor Chirichigno sulla collocazione di SEAT; il problema in quel caso, se ricordo bene, era se scorporarla subito, se venderla, ma dentro SEAT c'erano altre operazioni ed altre società. Si trattava di un'operazione complessa. Il dottor Chirichigno mi suggerì un percorso, che non so se sia andato in porto: mi pare di sì, perché in effetti a Telecom è restato il 20 per cento della SEAT. Questo lo ricordo bene. Mi pare che l'esito del processo sia stato quello previsto dal dottor Chirichigno.

PRESIDENTE. Dunque, costui era un uomo idoneo per la privatizzazione, tanto è vero che lei ha detto che la «teoria Chirichigno», definiamola così, ha resistito agli ulteriori eventi.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, credo che il dottor Chirichigno fosse un manager abile, come abile era il dottor Pascale e competente e professionalmente valido anche il dottor Agnes.

PRESIDENTE. Ma perché spogliarsi di tante competenze e professionalità?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il giudizio espresso all'epoca dal Governo fu che la persona individuata fosse più «equipaggiata» nel condurre quest'operazione di privatizzazione e di fusione. Ho appena letto le dichiarazioni del ministro Ciampi, che sono quelle che fanno testo.

PRESIDENTE. Ma in forza di quali elementi? Qui non stiamo scegliendo un principio. Io posso convenire con il ministro dell'epoca sul principio, che è oggettivamente valido, ma si sceglie una persona che lo deve incarnare. Questa persona ha delle qualità particolari? Se si dice che in questo ruolo un altro è più idoneo di lei, trattandosi di una carica pubblica (perché nel privato non si deve dare conto a nessuno), si devono avere dei riflessi oggettivi per affermare che la rimozione avviene in considerazione del fatto che l'altro è più tecnicamente attrezzato ed ha più competenze. Credo sia nell'ordine naturale delle cose.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il giudizio espresso all'epoca fu anche tecnico; è importante ricordarlo.

PRESIDENTE. Insisto: un giudizio anche tecnico, ma fondato su che cosa?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Fondato


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sul fatto che dei dirigenti che avevano guidato delle società in regime di monopolio e di proprietà pubblica non fossero i più adatti a condurre delle società in regime di concorrenza e di proprietà privata. Questo fu il giudizio espresso.

PRESIDENTE. In via di principio?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. In via di principio.

PRESIDENTE. Lei ha detto poco fa che il Tesoro ha saputo dell'operazione in un secondo momento. Ma non avevate un vostro uomo, il professor Izzo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

PRESIDENTE. Come no?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

PRESIDENTE. Izzo allora cos'era?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi dispiace. Ho letto il verbale delle audizioni precedenti, ma c'è un equivoco: il Tesoro non ha propri consiglieri. La nomina di tutti i consiglieri della società è avvenuta nell'assemblea del 25 febbraio 1997; a quel punto non c'erano consiglieri del Tesoro, c'erano solo consiglieri di tutta l'assemblea degli azionisti.

PRESIDENTE. Izzo da chi è stato nominato?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del Tesoro. Dall'assemblea degli azionisti.

PRESIDENTE. In rappresentanza del Tesoro, ci ha detto lui.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del Tesoro. Non c'era un rappresentante del Tesoro. I consiglieri rappresentavano tutta l'assemblea degli azionisti. Il Tesoro presenta in assemblea la lista di tutti i consiglieri e l'assemblea li nomina. È importante che i poteri speciali derivanti dalla golden share - in virtù dei quali il professor Izzo viene ad essere considerato il rappresentante del Tesoro soltanto in particolari situazioni, quelle previste dalla legge sulla golden share - sono stati attribuiti con decreto del ministro del tesoro nell'ottobre 1997, dopo la delibera dell'operazione Telekom-Serbia. Quindi, al momento della delibera dell'operazione Telekom-Serbia il tesoro non aveva rappresentanti.

PRESIDENTE. Alla domanda specifica in ordine alla delibera, Izzo ha detto che rappresentava il Tesoro e che ha assistito in questa veste all'operazione, che si svolse in cinque o sei minuti e che era inserita nella voce «varie ed eventuali», quasi a schermarla. Ebbene, Izzo ha dichiarato di rappresentare il Tesoro e di non avere alcun dovere di riferire in ordine a questa circostanza. Lasciamo stare l'apprezzamento del dovere di Izzo, però la sua qualità viene riconosciuta dallo stesso interessato...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del Tesoro. Ha sbagliato! Le cose stanno agli atti, che lui lo riconosca o meno. Il Tesoro presenta all'assemblea una lista di consiglieri; si tratta dell'assemblea di tutti gli azionisti. Ricordiamo che per il 47-48 per cento sono azionisti di mercato. Si vota una lista, in cui c'è anche il nome del professor Izzo, ma poi ci sono tutti gli altri.

PRESIDENTE. Quindi sono autorizzato a concludere che Izzo non sa quel che dice, in quanto si attribuisce una qualifica che in effetti non aveva.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non è esatto neanche questo.

PRESIDENTE. Allora me lo spieghi lei.


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Izzo non aveva questa qualifica al momento dell'attuazione dell'operazione; viene a rivestire questa qualifica - non è nemmeno esatto parlare di «rappresentante del Ministero del tesoro», visto che era semplicemente autorizzato ad esercitare i poteri attribuiti al tesoro dalla golden share - soltanto nell'ottobre 1997, dunque ben dopo l'attuazione dell'operazione Telekom-Serbia.

PRESIDENTE. L'ottobre 1997 è un periodo che non ci interessa per le nostre indagini.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. In quel momento non aveva quella qualifica.

PRESIDENTE. Per usare un'espressione di sintesi, Izzo è afflitto da labirintite, perché è lui stesso a riferirci certezze dalle quali discendono considerazioni importanti. Infatti, quello di Izzo è un nome su cui si sono giocate partite di credibilità in questa sede per gli auditi successivi. Lasciamo Izzo al suo destino, ma ne riparleremo, in quanto abbiamo bisogno di ulteriori esplicitazioni. Ma non è lei ad essere interrogato su questo.
L'IRI a questo punto era il controllore. Possiamo definirlo così?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. A quale punto?

PRESIDENTE. L'IRI è o no il controllore di un'azienda di Stato, nel caso specifico di Telecom Italia?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Prima che Telecom Italia passasse al Tesoro.

PRESIDENTE. Naturalmente.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

PRESIDENTE. Una volta passata al tesoro, Telecom Italia nei confronti del Tesoro ha dei doveri di informazione e di autorizzazione e così via?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo è un punto che vorrei chiarire, perché è molto importante. Facciamo un passo indietro: prima del 1992, prima dell'avvio del processo di privatizzazione, il controllore delle aziende di Stato era il Ministero delle partecipazioni statali; la procedura con cui le informazioni arrivavano dalle aziende di Stato a tale dicastero era sia informativa sia autorizzativa. Successivamente alla trasformazione dell'IRI da ente di diritto pubblico a società per azioni, avvenuta nel luglio 1992, nell'ambito del gruppo IRI sussisteva un sistema informativo che veniva disciplinato con lettere dell'IRI alle società, inviate una nell'ottobre 1992 e un'altra nel febbraio 1996. Con quest'ultima si sono riviste alcune procedure del 1992: le società direttamente o indirettamente controllate dall'IRI avevano un obbligo meramente informativo relativamente agli atti societari indicati, la cui gestione e la cui responsabilità rientravano nella sfera di autonoma competenza delle società interessate. Quindi, non c'era più un potere autorizzatorio in capo all'IRI.
È interessante come questa procedura veniva vissuta in concreto dalle società. Per fare un esempio, nel marzo 1996 il consiglio di amministrazione di Telecom delibera la costituzione di una società con il Governo serbo, dà mandato all'allora amministratore delegato di continuare le trattative e di spendere fino a 1.200 miliardi di lire dell'epoca. Di questa operazione, che non è l'acquisto ma è la costituzione di una società, nulla viene comunicato alla STET - ma non lo so con certezza -, ai vertici IRI, al consiglio di amministrazione, neanche nelle periodiche audizioni che il dottor Pascale e il dottor Agnes facevano al consiglio di amministrazione dell'IRI, nelle semestrali e neppure nei piani di azienda.

PRESIDENTE. Tutto segreto?


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Tutto questo avviene un anno prima dell'attuazione della delibera. Dico questo semplicemente per descrivere il modo in cui queste procedure informative venivano vissute nella realtà.
Detto questo, arriviamo al momento in cui la società Telecom viene trasferita al Tesoro, il quale non recepisce, non importa - se vogliamo usare questo termine - dall'IRI questa procedura informativa. Un decreto del ministro del tesoro afferma che il Tesoro subentra nei rapporti attivi e passivi delle società, ma poi tale decreto deve essere attivato con altri decreti ministeriali; in sostanza serve soltanto a dire che i consulenti assunti fino ad allora dalla Telecom e dall'IRI sono automaticamente assunti dal Tesoro, tant'è che dei decreti ministeriali a questo fine vengono effettivamente emanati.
Ripeto, questa procedura informativa non arriva in capo al Tesoro, e pertanto non esisteva un obbligo di informativa all'azionista tesoro simile a quello che c'era prima e che comunque con l'IRI non veniva rispettato.

PRESIDENTE. Mi scusi, professor Draghi, avete dato un mandato in forza del quale eravate nelle condizioni di limitare l'attività di iniziativa fino a 1.200 miliardi, mentre oltre questa cifra, se ho ben capito, erano necessari taluni passaggi autorizzativi.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Forse non mi sono spiegato. Il consiglio di amministrazione di Telecom dell'epoca - presidente Silvestri, amministratore delegato Chirichigno, consiglieri di amministrazione Pascale ed altri - ha dato mandato all'amministratore delegato di condurre trattative al fine di costituire una società per un importo non superiore a 1.200 miliardi.

PRESIDENTE. C'è stato un equivoco di interpretazione.
A questo punto, atteso che l'affare ha superato i 1.200 miliardi ed è diventato di maggiore consistenza, è sfuggito ad ogni controllo perché non è stato comunicato a STET - e di questo non avete responsabilità - e neppure al Tesoro.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. A nessuno.

PRESIDENTE. E tutto questo può accadere? Una società controllata può fare quello che vuole all'insaputa dell'IRI?

GIUSEPPE CONSOLO. È anche diverso dalla delibera!

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Voglio rispondere all'osservazione del senatore Consolo: ho fatto questo esempio per dimostrare come anche questa procedura informativa non funzionasse molto bene. Poi cosa ci fosse dietro non mi riguarda e non mi interessa. Il fatto fondamentale è che, nonostante la seconda lettera dell'IRI prevedesse l'informativa anche quando le operazioni trattavano di costituzione di società e non soltanto di acquisizioni o di cessioni, un'operazione di questo tipo non fu comunicata in tutte le sedi di cui ho parlato prima.

PRESIDENTE. Possiamo definirla anomala, questa procedura, oppure è normale?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Quale procedura?

PRESIDENTE. Quella di non passare all'informazione, come ha detto lei qualche istante fa.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non so come definirla. Io ho notato semplicemente che alcune cose venivano riferite ed altre no. Questa non venne riferita, ma il Tesoro a quell'epoca non c'entrava niente.


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Un anno prima della privatizzazione il Tesoro era azionista dell'IRI; dobbiamo fare attenzione, perché non c'era una procedura che prevedesse che le società IRI informassero il Tesoro, c'era una procedura secondo cui le società IRI dovevano informare l'IRI e non il Tesoro.

PRESIDENTE. E allora la procedura di comunicazione IRI-Tesoro non esisteva; la procedura di conoscenza dell'IRI era obbligatoria.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. È un obbligo che l'IRI aveva imposto alle sue società.

PRESIDENTE. Venne evaso anche quest'obbligo. Ho il diritto di chiederle, dal punto di vista logico, se lei sia nelle condizioni di esprimere un giudizio di legittimità dell'atto e di normalità del comportamento. Lei evidentemente è un uomo qualificatissimo ed è addentro a queste cose.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Grazie per l'apprezzamento. La mia impressione - non essendo questione che riguarda il Tesoro, la guardo con un po' di distacco - e la mia esperienza è che in gruppi molto grandi, con società articolate, in parte controllate e in parte no, come era il caso di Telecom, che a loro volta hanno molte società sotto - e ognuna di queste fa i propri affari - è molto complicato avere delle procedure informative, che sono per loro natura rigide, perché sono una lettera in cui uno specifica le istanze, in cui chiede di essere informato, addirittura dà i tempi («voglio essere informato dieci giorni prima della decisione», ci sono tutti i tempi, c'è tutto). Che queste procedure possano non funzionare è abbastanza possibile, ecco. Questa è un po' la mia impressione.

PRESIDENTE. Pur non restando noi indifferenti...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Scusate un istante: questa considerazione riguarda l'IRI, attenzione. Il Tesoro non c'entra niente, perché nel caso del Tesoro - voglio tornare sull'argomento - non c'era neanche quella procedura informativa. Quindi la società non era tenuta ad informare il Tesoro.

PRESIDENTE. A questo punto l'IRI, essendo stato scavalcato, perché ignorato, non era nelle condizioni o nei poteri o nei doveri di esercitare a sua volta una azione di intervento nei confronti della società che l'aveva reso al di fuori dell'informazione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo non glielo so dire, perché, in effetti, le procedure, le lettere, diciamo, che chiedono alle società di adempiere agli obblighi di informativa non contengono previsioni sanzionatorie. Quindi, quale fosse la sanzione è un altro dei problemi, comunque in generale. Nei gruppi industriali se ci si accorge che un bravo manager di una società a valle controllata - soprattutto quando sono società che non sono sul mercato - travalica i compiti, i propri mandati (nel campo informativo, non nel campo effettivamente operativo, perché lì è più serio) cosa si fa? Non è ovvio che bisogna procedere con una sanzione. Questo mi chiedo nel caso dell'IRI. Ma, in ogni caso, questo era un problema che riguardava i vertici dell'IRI dell'epoca, non il Tesoro.

PRESIDENTE. In definitiva, aveva una licenza, per come ha dimostrato di avere - questo, ovviamente, non lo chiedo alla sua responsabilità ma al suo giudizio di tecnico -, di poter fare quello che voleva, perché se anche quello che voleva era al di fuori delle regole, non c'era una norma sanzionatoria. È così?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non è così. Non è che ci siano delle norme


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sanzionatorie... Uno deve giudicare, ad un certo punto, l'inadempienza rispetto ad un certo obbligo: se la cosa è molto grave, viene portata in consiglio... Prima di tutto bisogna saperla, questa è la prima cosa, e, in effetti, si viene a sapere di Telekom-Serbia solo dopo che la società era passata dall'IRI al Tesoro. In secondo luogo, come dicevo, quando si viene a sapere, si porta la cosa in consiglio di amministrazione, si discute e il consiglio d'amministrazione decide cosa fare.

PRESIDENTE. Lei sta, a questo punto, riutilizzando il termine «Tesoro». Io mi sto fermando all'IRI. L'IRI in tutta questa vicenda resta inerte; sa, praticamente, che è stato saltato...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non so se lo sa: questo è il punto. Perché siccome non appare dagli atti, non so se lo sa.

PRESIDENTE. Quindi è un'attività clandestina, tipicamente carbonara, per cui ognuno fa quello che vuole e non deve dare conto a nessuno. Nessuno può intervenire, perché così è risultato.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Nessuno, che sappia io, è intervenuto.

PRESIDENTE. Nessuno è intervenuto perché se, alla fine, c'è il silenzio da parte della Telecom, che non informa l'IRI, l'IRI non sa e dice di non essere intervenuto perché non sa, il discorso si chiude e si potrebbe usare l'espressione, che lei forse conosce, «tutto finì a tarallucci e vino» (per chi è astemio, solo «a tarallucci»).
Le risulta se Agnes e Pascale accettarono di buon grado o malvolentieri il suggerimento di rassegnare le proprie dimissioni?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Le due reazioni furono diverse. La reazione del dottor Pascale fu di accettazione tranquilla: si vide che era una notizia che, chiaramente, gli arrecava dispiacere e che probabilmente trovava ingiustificata; ma la reazione fu tranquilla, fu di accettazione.

PRESIDENTE. Incassò bene, diciamo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì. Il caso del dottor Agnes fu diverso. Come egli ricorda (e qui i nostri ricordi coincidono), quando il ministro del tesoro di allora, oggi Presidente, Ciampi, gli comunico il desiderio che si dimettesse, il dottor Agnes disse «no, rifiuto» e (anche qui i nostri ricordi coincidono) e il ministro del tesoro non insistette, in quel momento. Il dottor Agnes era molto sconvolto, era chiaramente in uno stato di gran pena, di gran sofferenza.

PRESIDENTE. Di prostrazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Forse di prostrazione. Certamente anche egli considerava questa richiesta ingiustificata. E fu un po' questo, in effetti, il motivo per cui, a quel punto (e qui i nostri ricordi divergono), alla conclusione della colloquio io mi alzai e lo accompagnai. Lo accompagnai perché ricordo abbastanza bene che mi dispiaceva che ad una persona che aveva servito - come ho detto anche nella lettera che ho mandato al Corriere della sera - con dignità il paese per tanti anni gli si chiudesse dietro la porta e si trovasse davanti la porta di un ascensore. Quindi lo accompagnai e fu con l'intenzione di un gesto di massima solidarietà, totale e profonda solidarietà ad una persona che si trovava in una situazione molto difficile. Che poi da questo si potesse equivocare e mi si potessero far dire le cose che ho visto vengono dette dal dottor Agnes in interviste e durante l'audizione, francamente non me lo sarei aspettato.

CARLO TAORMINA. Ha detto il falso Agnes?

GIUSEPPE CONSOLO. È stata una cattiva interpretazione!


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non solo. Se vogliamo, possiamo entrare nei dettagli. Io scrivo nella lettera che la richiesta di dimissioni del dottor Agnes non ha niente a che vedere con Telekom-Serbia, mentre nella prima audizione il dottor Agnes dice...

PRESIDENTE. Che lei avrebbe detto: «È Prodi che lo vuole».

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, quella è un'altra cosa ancora. Nella prima audizione il dottor Agnes dice...

ALFREDO VITO. C'è il riferimento alla famiglia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, quella è ancora una terza cosa.

PRESIDENTE. Lasciamo parlare il dottor Draghi, altrimenti, alla fine, ci audiamo tra noi e risolviamo tutto...!

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Veniamo al primo punto. Il primo punto è che nella prima audizione il dottor Agnes sembra dire che le sue dimissioni dipendono dal fatto Telekom-Serbia; io nella lettera scrivo che non avevano niente a che fare con questo, ma i motivi sono quelli che abbiamo discusso prima. Nella seconda audizione il dottor Agnes addirittura minaccia di calunnia chi osi dire che le sue dimissioni abbiano a che vedere con l'affare Telekom-Serbia. Quindi, in sostanza, sul primo punto il dottor Agnes concorda come, cioè le sue dimissioni non hanno niente a che vedere...

MICHELE LAURIA. Anche nella prima audizione...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ho sbagliato io, allora.

PRESIDENTE. La prego, non risponda a nessuna interruzione. I colleghi avranno poi la possibilità di fare le domande, se vorranno.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Va bene. La seconda questione riguarda il fatto che io gli avrei detto «tiene famiglia»: leggerlo mi ha lasciato allibito. Questo non è né il mio stile né il mio linguaggio. Ho letto il resoconto dell'audizione ed ho visto che l'onorevole Taormina parla di un «linguaggio truculento»: non è mai stato il mio stile. Ma, soprattutto, professor Taormina, non c'era alcun bisogno di essere truculenti, perché il consiglio d'amministrazione di Telecom era formato in maggioranza da dipendenti IRI, quindi bastava un colpo di telefono per mandarli a casa (Commenti).

PRESIDENTE. Non raccolga le interruzioni.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non mi ha interrotto. Mi scusi, presidente, ma non mi ha interrotto.

PRESIDENTE. Ma se lei colloquia con il professor Taormina, il quale ha il potere e il dovere di esercitare il suo mandato...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ha ragione.

PRESIDENTE. Lo farà tra poco, con le contestazioni. Altrimenti, perdiamo noi la direttrice.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Chiedo scusa.

PRESIDENTE. Dunque, stava dicendo che non è né abitudine, né stile, né costume suo usare questo linguaggio.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. E, soprattutto,


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che non c'era neanche bisogno di essere truculenti, perché il consiglio d'amministrazione della società era formato essenzialmente - comunque in maggioranza - da dipendenti IRI. Era, anzi, una procedura di particolare cortesia quella che fu usata.

PRESIDENTE. La famiglia non fu evocata per nessuna ragione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ma no! La famiglia non fu evocata.

PRESIDENTE. Secondo: quello che ci interessa di più, lasciando stare la famiglia, poiché questo appartiene ad Agnes...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Le dico subito che quello che rifiuto totalmente della descrizione che si è fatta di questo incontro è questo tono, come dire, vagamente mafioso. Io in quella occasione - ricordo perfettamente - espressi delle parole di profonda solidarietà, per forza generiche, perché non conoscevo Agnes. Ci siamo incontrati due volte: una fu proprio quella, l'altra fu la volta precedente in cui, come che egli dice (in questo i nostri ricordi coincidono) discutemmo di privatizzazione e di strategie.

PRESIDENTE. Avrà potuto dire lei «si goda la famiglia», visto che era prossimo alla pensione, invece che «lei tiene famiglia»? Questo termine «famiglia» è stato usato e poi l'interpretazione ne è stata deformata, dall'uno o dall'altro: è possibile questo, o esclude anche un tale passaggio?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non escludo che possa avergli detto non di godersi la famiglia, perché questa di nuovo è una espressione che non rientra nel mio stile... oltretutto, gli ho anche detto che la vita non finiva lì, che c'erano altre prospettive professionali. Può essere che abbia usato la parola «famiglia», non posso escluderlo a distanza di sei anni; ma l'idea che io abbia usato un tono mafioso per costringerlo a fare qualcosa per cui non c'era alcun bisogno... no, questo no.

PRESIDENTE. La seconda espressione è quella che interessa di più la Commissione (la prima interessa Agnes, la seconda interessa noi): «lo vuole Prodi».

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi, presidente, ma vorrei tornare indietro su un altro punto, perché questa cosa mi ha costretto anche ad andare a rivedere le dichiarazioni del dottor Agnes in altre occasioni. Ho visto la prima intervista che egli rilasciò sull'argomento sul il Giornale nel gennaio-febbraio (non ricordo) 2000, in cui non fa menzione del «tiene famiglia» e non fa menzione del «Prodi è un amico» o cose del genere. Quindi, riguardo alla domanda che lei mi fa su Prodi, nella prima intervista si dice semplicemente che io avrei detto «lo vuole Prodi»: in realtà, anche questo non può essere, perché non era solo Prodi che lo poteva volere. Questa era una decisione di Governo, come, tra l'altro, ho scritto nella lettera.

PRESIDENTE. Ma esemplificativamente, essendo Prodi il Presidente del Consiglio, si può dire. Non suscita allarme dire questo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi permetta una digressione di carattere amministrativo: il ministro del tesoro esercita il potere dell'azionista e, quindi, formalmente propone al consiglio d'amministrazione e all'assemblea il ricambio dei vertici; nei fatti, non è che la sostituzione dei vertici di una società come Telecom o come STET potesse essere decisa soltanto dal ministro del tesoro. Tutto il Governo ha deciso, e quando dico Governo intendo il Presidente del Consiglio, il sottosegretario alla Presidenza, il ministro del tesoro, il ministro delle comunicazioni, il ministro dell'industria...


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PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, ma le dico che riusciamo da soli ed interpretare questo, poiché ci siamo fatti una piccola cultura sul tema. Quello che io le ho proposto, e che è il nostro tema di indagine, è un altro: lei, magari per sintesi, usa l'espressione «lo vuole Prodi, lo vuole il Governo, è un atto politico...» o qualcosa del genere?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, io dissi che era il Governo, il Presidente del Consiglio e il Governo che chiedevano la sua sostituzione, in vista della privatizzazione, per le ragioni che abbiamo discusso prima.

PRESIDENTE. Quindi, questo è stato detto.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, certamente.

PRESIDENTE. Professore, all'epoca di Telecom la STET era una partecipata?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. STET all'epoca era una partecipata del...

PRESIDENTE. Sì. Allora le chiedo: il Ministero del tesoro aveva la prerogativa di autorizzare le acquisizioni effettuate all'estero da parte delle società partecipate?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Abbiamo visto prima che non c'era questa prerogativa.

PRESIDENTE. Non l'aveva.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Né autorizzativa né informativa.

PRESIDENTE. Noi andiamo per passaggi. Le cose che a lei sono note...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi, presidente, ma siccome abbiamo fatto una lunga disquisizione su quelli che erano i procedimenti informativi e autorizzativi, questi valevano sia per l'interno che per l'estero.

PRESIDENTE. Sa qual è la differenza tra lei e noi? Che lei usa l'ascensore e noi le scale, per cui diventa più faticoso seguirla.
Le risulta che vi fossero delle circolari o delle direttive, emanate dall'allora Presidente del Consiglio Prodi, dirette a disciplinare la procedura di acquisto di partecipazioni all'estero o l'eventuale obbligo di informativa al Ministero del tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non mi risulta.

PRESIDENTE. In occasione dell'acquisto da parte di Telecom Italia del 29 per cento della Telekom-Serbia le risulta se fu data comunicazione o richiesta alcuna autorizzazione al Ministero del tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non mi risulta.

PRESIDENTE. Sulla scorta di quanto riferito da Pascale e Chirichigno, secondo lei senza l'assenso del Ministero del tesoro la STET, quindi la Telecom Italia, sarebbe stata legittimata a dare corso ad una operazione che avrebbe comportato un onere di spesa che, come abbiamo visto, va oltre i mille miliardi di vecchie lire?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Certo.

PRESIDENTE. Può confermare un completo disinteresse istituzionale da parte del Ministero del tesoro per tale affare, nonché fornire una spiegazione,


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una motivazione sul punto, anche se ne ha accennato in altra parte del suo intervento?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non capisco l'espressione «disinteresse istituzionale».

PRESIDENTE. Nel senso che è stato detto poco fa che il Ministero del tesoro non aveva l'obbligo di controllare l'andamento delle operazioni.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non aveva l'obbligo, né le società avevano l'obbligo di informare. Di fatto, il Tesoro non sapeva, quindi non poteva controllare ciò che non sapeva.

PRESIDENTE. Perfetto.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Se questo era il «disinteresse istituzionale», così stanno le cose.

PRESIDENTE. Tecnicamente, in sintesi, questo è.
Il Ministero del tesoro dell'epoca era a conoscenza dell'affare?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

PRESIDENTE. Quale era il ruolo dei rappresentanti del Ministero del tesoro all'interno dei consigli d'amministrazione di Telecom e di STET, come si procedeva alla individuazione dei rappresentanti e da chi venivano nominati?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo l'abbiamo visto prima. Quando l'operazione Telekom-Serbia viene fatta, non ci sono rappresentanti del Tesoro nel consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE. Quindi, non essendoci rappresentanti del Tesoro, il Tesoro non aveva questo cordone ombelicale di comunicazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non c'erano procedure consolidate di comunicazione...

PRESIDENTE. Abbiamo visto che il «povero» Izzo va a ruota libera, ma questo è un discorso che non riguarda lei. In qualità di direttore generale del Ministero del tesoro all'epoca dei fatti, le chiedo se mai sia venuto a conoscenza di una delibera del consiglio di amministrazione di Telecom datata 18 marzo 1996, nella quale venne deciso l'acquisto di una quota Telekom-Serbia in modo, diciamo, a dir poco originale. E, se ne ebbe notizia, quali determinazioni furono assunte in proposito.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Questa delibera è quella cui ho fatto riferimento ora, quindi precede il trasferimento di Telecom Italia dall'IRI al Tesoro ed è la delibera con cui viene dato mandato - come dicevo prima - all'allora amministratore delegato dottor Chirichigno di costituire questa società con lo Stato serbo. Di tale delibera io non ero al corrente, ovviamente.

PRESIDENTE. Lei conosce il professor Augusto Zodda?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

PRESIDENTE. Che rapporti ha avuto con il Tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Era un dipendente del Tesoro.

PRESIDENTE. Un dipendente del Tesoro.


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Al momento dei colloqui intervenuti con Agnes e Pascale, erano già stati individuati i loro successori?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo non glielo so dire. Anzi, glielo so dire, per quel che mi riguarda, perlomeno. E qui, come in tutte le altre occasioni, io parlo per ciò che concerne il Tesoro, perché era il flusso informativo di cui ero al corrente. La risposta è: no. Per quel che mi riguarda, io non ero al corrente dei successori quando quei colloqui avvennero.

PRESIDENTE. A chi spettava la nomina?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. La nomina dei successori?

PRESIDENTE. Sì.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. La nomina dei successori spetta, come dicevo prima, all'azionista, il quale esercita questo potere proponendo una lista di consiglieri - cosa che fa in quella occasione - all'assemblea, e l'assemblea nomina il presidente. Per quanto riguarda l'amministratore delegato, probabilmente la procedura è diversa: viene prima proposto all'assemblea il nome del consigliere, il quale viene cooptato nel consiglio d'amministrazione, e poi il consiglio d'amministrazione della società dà al consigliere scelto dall'assemblea le deleghe di amministratore delegato.

PRESIDENTE. Il professor Guido Rossi ci ha detto di aver ricevuto una telefonata dal Presidente Prodi che gli preannunciava la nomina prima ancora del formale incontro con lei e con Ciampi. Tutto ciò avveniva spesso oppure era un fatto sui generis?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non glielo so dire.

PRESIDENTE. Nel mese di dicembre 1996 l'IRI cede il pacchetto di maggioranza della STET al Ministero del tesoro, che diventa direttamente il maggiore azionista; prima lo era indirettamente perché a sua volta aveva il 100 per cento dell'IRI. È corretto questo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. È corretto.

PRESIDENTE. Abbiamo appreso dell'esistenza ai tempi dell'IRI di disposizioni che obbligavano società come la STET a riferire all'azionista di maggioranza con una «informativa» prima di fare un investimento che avesse una particolare rilevanza societaria. Si chiedeva giustamente una sorta di autorizzazione all'IRI, che a sua volta otteneva il benestare dal Governo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo non è corretto.

PRESIDENTE. Le completo la domanda e poi, nella sua risposta, potrà correggere le imprecisioni. Le risulta che questa informativa venne abolita con il passaggio del controllo della STET dall'IRI al Tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, ho già risposto a questa domanda. Il regime informativo che preesisteva al passaggio della società Telecom dall'IRI al Tesoro non viene recepito. Il regime che preesisteva a questo passaggio non era autorizzativo - per questo dicevo che non è corretto quanto ora letto - ma solo informativo, e l'IRI nelle lettere che manda nel 1993 e nel 1996 per disciplinare i flussi informativi all'interno del gruppo è molto attenta a precisare che la responsabilità delle operazioni restano in capo alle società che le attuano.

PRESIDENTE. Le risulta che questa operazione venne condotta a trattativa privata?


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Quale operazione?

PRESIDENTE. Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non ne so nulla.

PRESIDENTE. Il 12 marzo 2003, dal suo stesso microfono, ha parlato il senatore Cossiga. In quella circostanza, ad una domanda specifica sul fatto che il Governo non potesse non sapere, vista la presenza di rappresentanti «nominati dal Tesoro» (uso l'espressione del senatore Cossiga) il Presidente rispose che il ministero sicuramente informato era quello del tesoro e parlando di lei disse che le comunicazioni delle sostituzioni e delle nomine dei manager erano «un suo tragico compito», che effettuava a nome del Governo.
Conferma quanto detto dal Presidente Cossiga?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non lo confermo.

PRESIDENTE. Francesco Chirichigno ci ha raccontato che lei, D'Alema e Maccanico sostenevate la sua candidatura ad amministratore delegato della società che era in procinto di nascere dalla fusione Telecom-STET. Tale candidatura era però bocciata da Prodi. Abbiamo appreso in più circostanze che tutti coloro che vennero «defenestrati» avevano «stoppato» l'affare Telekom-Serbia. Non voglio chiederle nulla perché lei ha detto che ne apprende in fase successiva, ma questa vicenda riferita da Chirichigno - cioè che lei, D'Alema e Maccanico sostenevate la sua candidatura ad amministratore delegato della società - risulta vera?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Senta, io non so cosa D'Alema e Maccanico pensassero di Chirichigno; come ho detto prima, penso che il dottor Chirichigno sia un abile manager...

PRESIDENTE. Non è un giudizio di valore quello che le chiedo: c'era un concerto tra lei, D'Alema e Maccanico?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non c'era.

PRESIDENTE. Non vi siete sentiti su questo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, assolutamente. Il referente di ogni direttore generale del Tesoro è il ministro del tesoro, non sono gli altri ministri, i presidenti o segretari di partito. Mi scusi per il contorno, ma questo è il punto: quindi, non c'era nessun concerto.

PRESIDENTE. Professor Draghi, poiché nessuno di noi è nato ieri o nascerà domani, queste vicende, sul piano della legittimità istituzionale, possono realizzarsi con un'intesa in cui ad un certo punto lei, rappresentando il ministro, ha i poteri per attivare coordinamenti ai fini di una nomina.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non è mai stata consuetudine dei ministri del tesoro farsi rappresentare dai funzionari nelle questioni relative alle nomine; tali questioni vengono discusse tra ministri, tra persone di Governo, tra politici.

PRESIDENTE. Quale tipo di coordinamento esisteva tra il suo ministero e quello degli esteri? In particolare, in occasione di acquisizioni di quote azionarie o costituzione di nuove società all'estero da parte di aziende controllate dallo Stato, come la STET-Telecom, avevate un confronto, un interfaccia?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.


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PRESIDENTE. Il professor Guido Rossi ha mai avuto modo di lamentarsi con lei della gestione della azienda da parte di Tommasi? Parlò dei poteri esorbitanti che gli erano stati concessi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

PRESIDENTE. In quali termini, e che fece lei?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Nulla, dicendo che erano poteri esorbitanti e che lui aveva in mente delle aziende guidate in maniera diversa; se ricordo, l'espressione che lui continuava ad usare era quella del «capo azienda». Era un sistema di governo delle aziende che lui non condivideva. Ma tenga presente che il Tesoro a quel punto è fuori; lei mi ha chiesto che cosa feci io: nulla, perché il Tesoro era fuori. La società era già privatizzata.

PRESIDENTE. È una risposta.
Facciamo un passo indietro, come diceva Dumas, e torniamo a Pascale, il quale ha dichiarato di averla incontrata il giorno prima dell'incontro «drammatico» e di aver parlato con lei degli ottimi risultati conseguiti, senza che ci fosse da parte sua un riferimento alla minima avvisaglia di quello che sarebbe accaduto il giorno dopo. Lei quel giorno già sapeva ciò che sarebbe successo dopo e per prudenza istituzionale non disse nulla?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, anzi ricordo che il dottor Pascale non parlò solo di questo. Il giorno in cui mi venne a trovare era apparso un articolo su la Repubblica in cui si preannunciava la sua imminente sostituzione e mi chiese che cosa ne sapessi. Io risposi: nulla, perché non sapevo nulla.

PRESIDENTE. È vero che attraverso lei chiese una smentita del ministro, perché si parlava di privatizzazione e di inidoneità alla stessa?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo non lo ricordo.

PRESIDENTE. Nel febbraio 1998 Tommasi dà le dimissioni da amministratore delegato di STET. Lei sa di queste dimissioni?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Scusi, nel 1998 si tratta di Telecom. Nel 1998 la STET non esiste più.

PRESIDENTE. Ha ragione: è stata una mia improprietà. Lei sa di queste dimissioni?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

PRESIDENTE. Lei ne conosce il motivo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

PRESIDENTE. Vorremmo ora il suo contributo tecnico per capire se la procedura usata per l'acquisizione di Telekom-Serbia sia stata regolare o meno, cioè per dirci se da parte di STET per questa operazione vi fossero le necessarie autorizzazioni o sussistesse quanto meno un obbligo di informativa e se ci può descrivere, oltre le cose dette, il regime informativo-autorizzativo per operazioni analoghe a quella di Telekom-Serbia prima e dopo il passaggio del controllo dall'IRI al Tesoro.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Credo di aver già risposto a questa domanda...

PRESIDENTE. No, mi scusi: c'è un passaggio che vorremmo conoscere. La procedura che venne adottata allora e che lei ha seguito successivamente non più come responsabilità istituzionale ma per


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curiosità istituzionale, chiamiamola così, secondo lei è esente da eccessi, da irregolarità o altro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Presidente, purtroppo le mie conoscenze riguardo all'operazione Telekom-Serbia, su come è stata fatta, sulle procedure, eccetera, sono limitatissime, se non inesistenti, anche perché ho lasciato il Tesoro ormai da due anni e non vivo neanche più in Italia. Quindi, devo dirle che francamente non so quasi nulla dell'operazione, soprattutto delle procedure con cui fu attuata.

PRESIDENTE. Le faccio le ultime due domande, professore, perché credo di averla stressata abbastanza.
Ha mai avuto contatti con esponenti politici o burocrati del Ministero degli esteri sulla vicenda Telekom-Serbia? È stato contattato da soggetti coinvolti in questa vicenda (mediatori, soggetti istituzionali e così via)?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

PRESIDENTE. In conclusione, a suo avviso, il Tesoro aveva in qualche modo delle competenze da esercitare sull'affare Telekom-Serbia? Se sì, le ha esercitate regolarmente o lei ha ravvisato all'epoca qualche anomalia?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non aveva competenze e non potevo ravvisare anomalie perché non ero al corrente dell'operazione.

PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti.

ALFREDO VITO. Lei ci ha detto che nel marzo 1996 il consiglio di amministrazione di Telecom assume una delibera per la costituzione di una società per l'eventuale acquisto ad un prezzo non superiore a 1200 miliardi di una partecipazione in Telekom-Serbia; una delibera che è stata profondamente contestata, nel senso che Pascale non la ricorda, Chirichigno addirittura pensa ad un falso: non c'è una traccia molto chiara.
Parlandoci di questa delibera lei ha detto che nulla viene comunicato ad alcuno al riguardo; dobbiamo quindi ritenere che nulla venne comunicato al Tesoro, all'IRI o alla STET. Mi scusi, ma lei come fa allora a conoscere questa vicenda?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Nel momento in cui sono stato convocato da questa Commissione sono andato a verificare - perché ormai i miei ricordi sono molto vaghi - quale fosse la procedura informativa seguita, come fosse possibile che il Tesoro non fosse al corrente, e devo confessare che anch'io resto sorpreso quando la questione Telekom-Serbia viene alla luce. Quindi ho ricostruito passo per passo esattamente cosa il Tesoro, e quindi io, potessi o dovessi sapere di questa operazione. Ho riscontrato quello che ho appena detto e sono anche andato a chiedere all'IRI se mai ci fossero stati esempi di operazioni che, deliberate dalle società a valle, non fossero state comunicate alle società a monte. Questo è il modo in cui l'ho saputo.

ALFREDO VITO. E l'IRI è tra le tante società che ha controllato, vero? Ho un altro sospetto, francamente, per quanto riguarda il motivo per cui lei ha voluto fare riferimento proprio a questa vicenda; lei ha dato dimostrazione di essere una persona molto razionale. Credo che abbia scelto espressamente questa vicenda (lo dico per informarla perché probabilmente, non avendo letto gli atti della Commissione, non sa che Pascale, Chirichigno ed altri addirittura pensano che mai una decisione sia stata assunta nel corso di quel consiglio di amministrazione) tra le tante di cui avrebbe potuto parlarci (perché sicuramente l'IRI non è stata informata non solo su questa vicenda dalle società partecipate) per giustificare, come


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se di Telekom-Serbia se ne parlasse già da tempo. Quando il Tesoro subentrò all'IRI?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il 16 dicembre 1996 l'assemblea dell'IRI delibera il trasferimento della partecipazione STET al Ministero del tesoro.

ALFREDO VITO. Naturalmente il processo si avvia perché si cominciano ad attuare le privatizzazioni ed il Tesoro tende a diventare l'arbitro di tutte queste vicende. Lei dice però che il Tesoro non recepisce la procedura informativa esistente in precedenza tra l'IRI e le società appartenenti; siccome queste ultime facevano affari in Italia e nel mondo ed in qualche modo ne informavano l'IRI (lei dice che era solo un fatto informativo e non autorizzativo)...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi, non lo dico io.

ALFREDO VITO. Lei lo ha detto prima.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, ma non lo dico io: sta nelle carte dell'IRI, che non chiede che le società vengano autorizzate...

ALFREDO VITO. Lei ha detto che c'erano due tipi di informazione...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. L'autorizzazione finisce con il Ministero delle partecipazioni statali.

ALFREDO VITO. Ora, praticamente l'IRI veniva informata dalle società appartenenti. Il Tesoro, nel momento in cui subentra all'IRI nel controllo delle società appartenenti, in un momento in cui si va verso una razionalizzazione del sistema in vista delle privatizzazioni non ha ritenuto necessario confermare la precedente procedura: francamente sembra un po' strano.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non è strano, per due motivi. Quel passaggio avviene non soltanto perché ci si avvia verso le privatizzazioni: sicuramente anche per questo, ma c'è un percorso che in un certo senso era già stato seguito per molte altre società. Quel passaggio avviene perché (non ricordo più l'articolo specifico del codice civile che sarebbe stato applicato), se l'IRI non avesse trasferito Telecom Italia al Tesoro incassando un importo che ora non ricordo, non avrebbe fatto fronte ai debiti che aveva e quindi, con una successiva assemblea di bilancio - credo fosse in aprile o maggio - sarebbe fallito. Quindi, in un certo senso l'IRI è costretta dalla situazione finanziaria in cui era a trasferire questa partecipazione. Tra l'altro, il trasferimento preludeva in un certo senso ad una drammatica riduzione del ruolo dell'IRI nella società e nell'economia italiana ed era fortemente voluto dalla Commissione europea.

ALFREDO VITO. Mi scusi, professore, ma mi pare che indirettamente lei finisca per confermare quello che pensavo. Nel momento in cui l'IRI si trova fortemente indebitato - probabilmente questo avviene, fra i tanti motivi, anche per i debiti delle società ad essa appartenenti - appare strano che il Tesoro non recepisca quanto meno una procedura informativa in ordine alle attività che queste società vanno compiendo. Comunque, il non recepire la procedure informativa, quando una precedentemente sussiste... Una azienda che dipende dall'IRI e sa che quest'ultimo vuole essere informato delle attività che l'azienda stessa va ponendo in essere passa al Tesoro; il Tesoro non dice niente; se non ci sono nuovi interventi rispetto alla procedura sussistente, è chiaro che quest'ultima è confermata. Lei non può venirci a dire che la procedura precedente non è confermata perché il Tesoro non ha scritto: la riconfermo. Il Tesoro non ha scritto nulla e quindi è chiaro che è confermata la procedura preesistente.


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non sono d'accordo.

ALFREDO VITO. È una diversa valutazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non è solo questo: anche tecnicamente, esiste un decreto del ministro del tesoro che viene attivato per singole aree da successivi decreti. Questo decreto è stato attivato soltanto per i rapporti in essere tra l'IRI e i consulenti. Quindi, il fatto che non venisse attivato per tutte le altre aree che definivano, per così dire, il controllo che l'IRI aveva su tutte le sue partecipate dimostra che c'era una volontà del Tesoro. Come ho detto prima, era abbastanza spiegabile questo fatto; il Tesoro voleva solo vendere quella partecipazione; non voleva interessarsi delle operazioni della partecipata perché in effetti l'enfasi era tutta sulla cessione.
Le dico di più. Il fatto è che il Tesoro voleva dare un segnale, cioè che all'epoca faceva un passo indietro rispetto alla gestione della società in rapporto a quanto faceva l'IRI. L'idea è questa: dobbiamo vendere delle azioni tra poco, sono tante, è un'operazione finanziariamente molto difficile perché i mercati forse non le assorbiranno (si diceva: come faranno i mercati ad assorbire questi ammontari?); dobbiamo dare tutti i segnali possibili per cui i mercati alla fine si fideranno di noi. E fidarsi del Tesoro significava non avere nessuna interferenza che potesse essere vista dai mercati come di tipo politico. Ciò ha portato ad una serie di comportamenti, di cui questo è un esempio.

ALFREDO VITO. Il 25 febbraio 1997 si insedia il consiglio di amministrazione della Telecom, nominato dall'assemblea sulla base, come avviene sempre, di una lista preparata dal Tesoro. I criteri di preparazione di questa lista - per chi fa politica, e qui siamo tutta gente che la fa ahimé da troppi anni - sono ben noti e quindi su questo non le chiediamo nulla; tuttavia è chiaro che il consiglio di amministrazione viene nominato sulla base di una lista presentata da uno degli azionisti di riferimento, che è appunto il Tesoro. Pensare che i consiglieri di amministrazione non siano in rappresentanza del Tesoro (nessuno o tutti) è un divagare: c'è chi può dire che nessuno rappresenta il Tesoro e chi può ritenere che tutti siano rappresentanti di quest'ultimo. Sta di fatto, comunque, che vengono assunte decisioni importanti, e l'importanza non è nell'ordine economico dell'affare - perché 1500 miliardi (che poi diventano 800 perché si acquista solo una frazione della partecipazione) possono anche non essere la cifra maggiore sotto il profilo dell'entità dell'affare intrapreso dalla Telecom - ma in quello politico. Si compie una operazione con un paese verso il quale l'embargo era cessato da qualche mese e del quale si parlava come teatro di una possibile guerra; si conclude un'operazione dai dubbi contenuti tecnologici...

PRESIDENTE. Onorevole Vito, faccia la domanda.

ALFREDO VITO. Nessuno di questi rappresentanti ha ritenuto di dover informare il Tesoro? Quest'ultimo ha nominato persone giudicate di propria fiducia, ma nessuno di esse lo ha informato, per cui, all'atto della conclusione del contratto, non era a conoscenza di nulla. Il Tesoro non ha mai saputo nulla in ordine a questa vicenda?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

ALFREDO VITO. Professore, lei ha detto che Pascale e Agnes furono sostituiti nel momento in cui prese corpo la privatizzazione, mentre sei mesi prima uno dei due, mi pare Agnes, era stato riconfermato.
La privatizzazione non è stata una decisione politica maturata dalla sera alla mattina, perché si inseriva all'interno di una politica economica tendente a portare l'Italia nell'area dell'euro: il Governo dell'epoca


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designa un nuovo presidente e sei mesi dopo lo cambia, perché costui non è adatto alla politica della privatizzazione. Delle due l'una, o ha cambiato idea lungo la strada, il che sembrerebbe piuttosto sprovveduto, oppure sono intervenuti fatti nuovi. Lei che cosa ne pensa?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Lo chieda al Governo dell'epoca.

ALFREDO VITO. Poiché l'incarico che ricopriva le consentiva di conoscere parecchi fatti, non si è fatto un'opinione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

ALFREDO VITO. Non si è mai posto domande?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. A questo ho già risposo all'inizio quando il presidente mi ha chiesto quali fossero i motivi in base ai quali fu sostituito il vertice della società, cioè il presidente e l'amministratore delegato. Prima ho citato l'audizione del ministro del tesoro dell'epoca, che è l'opinione dell'esecutivo dell'epoca; perché quell'esecutivo abbia cambiato idea, bisogna chiederlo a quell'esecutivo; io non ho opinioni in merito.

ALFREDO VITO. La ringrazio.

PRESIDENTE. Do la parola al senatore Consolo.
È galateo istituzionale ringraziare chi è intervenuto; in questo caso non ho ringraziato l'onorevole Vito e non ringrazierò chi prenderà più tempo del previsto.

GIUSEPPE CONSOLO. Il gruppo di Alleanza Nazionale non ha potuto partecipare alla seduta odierna e quindi solo io, in qualità di rappresentante di gruppo, porrò qualche domanda.
Vorrei capire una cosa, professore Draghi: il suo referente - se mi passa il termine - era il Presidente del Consiglio o il ministro del tesoro? A volte, abbiamo letto che una cosa è stata detta da Prodi, altre volte da Ciampi, all'epoca rispettivamente Presidente del Consiglio e ministro del tesoro. Lei era portavoce e direttore generale e parlava per conto di chi? Del Governo, ossia il Presidente del Consiglio, o di Ciampi, ministro del tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Come forse ho detto prima, il direttore generale del tesoro ha un solo referente, che è il suo ministro.

GIUSEPPE CONSOLO. Il professore Rossi dice che, in genere, il professor Izzo presentava le sue argomentazioni in consiglio in modo molto accurato. Che a lei risulti ci sono state consultazioni tra il ministro del tesoro e il professor Izzo sulle varie questioni di competenza del tesoro?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il professor Izzo in una occasione espose le sue opinioni e la sua analisi sul settore delle telecomunicazioni al Ministero del tesoro. Non ricordo esattamente le circostanze, ma ci fu quell'esposizione.

GIUSEPPE CONSOLO. Il ministro del tesoro aveva un suo punto di vista e lo manifestò a lei quale direttore generale sul pagamento di mediazioni riguardo gli affari da concludere in campo internazionale? Non dimentichi che anche dopo il passaggio dell'IRI era comunque l'azionista di maggioranza.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, assolutamente no.

GIUSEPPE CONSOLO. Non c'erano direttive in materia di pagamento di mediazioni?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Assolutamente no.


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GIUSEPPE CONSOLO. Il professor Rossi ha detto a questa Commissione di aver presentato al Ministero di cui lei era direttore generale, un memorandum sulla posizione anomala di Tommasi, amministratore delegato e direttore generale di Telecom: che fine fece il memorandum? Che conseguenze produsse?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non ne sono al corrente, non lo ricordo; in questo momento francamente non ricordo di aver visto alcun memorandum del professor Rossi al Ministero del tesoro.

GIUSEPPE CONSOLO. Abbiamo preso atto di quanto da lei ha detto su Pascale e Agnes, ma c'è una piccola incongruenza che le prego di spiegare alla Commissione.
C'è un comunicato del ministero che dava atto della sostituzione di Pascale ed Agnes rilevando e sottolineando l'eccellente gestione dell'azienda: è un fatto di cortesia oppure la sostanza era la sostituzione e la forma per cortesia?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ripeto quanto detto in precedenza. La sostituzione del vertice - come appare molto chiaramente nelle interviste e nelle audizioni parlamentari dell'epoca - non venne accompagnata da alcun giudizio negativo sulle capacità dimostrate nel periodo in cui veniva amministrata la società. La sostituzione venne motivata, come ho letto all'inizio, con la necessità di scegliere dei profili professionali più adatti a condurre un processo di privatizzazione e una gestione di società in un clima concorrenziale. Questo spiega il comunicato del Tesoro.

GIUSEPPE CONSOLO. Il ministro del tesoro dell'epoca quali rapporti aveva con l'amministratore delegato Tommasi di Vignano?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il ministro del tesoro poteva avere con l'amministratore delegato della società Tommasi di Vignano i rapporti che può avere un'azionista.

GIUSEPPE CONSOLO. Professor Draghi, deve farmi capire perché io sono più terra terra degli altri. Che avesse i rapporti di un'azionista lo so anche io, voglio capire se erano rapporti personali, di fiducia, se era stato scelto intuitu personae o per le sue capacità. Vorrei capire innanzitutto se vi erano rapporti.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questa è una domanda che bisogna rivolgere al dottor Tommasi di Vignano e al ministro del tesoro dell'epoca.

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi a lei non risulta alcun rapporto? Possiamo dire così?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. A me non risulta alcun rapporto.

GIUSEPPE CONSOLO. Quale ascolto ebbe al Ministero al richiesta di chiarimento sull'affare Telekom-Serbia effettuata dalla Consob? Le ricordo che Colaninno diede alla Consob una risposta negativa sostenendo che non emergeva l'esistenza di alcuna passività; successivamente, non solo non si trovò nulla in cassa, ma pare si fossero portati via casse, cassette e cassettini, date le notevoli passività. La Consob, organo ufficiale, interviene, e voi ministero, azionista di maggioranza, come avete giudicato la risposta di Colaninno?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Posso sbagliare, ma non mi risulta che la Consob abbia fatto richieste al Ministero del tesoro in merito.

GIUSEPPE CONSOLO. Professore, abbiamo la copia della richiesta!


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Allora, dovrò rivedere e chiedere alle persone.

GIUSEPPE CONSOLO. Le posso chiedere di documentarsi e, se il presidente lo consente, far pervenire alla Commissione un chiarimento scritto?

PRESIDENTE. Assolutamente sì.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Certamente.

GIUSEPPE CONSOLO. Risulta a lei che vi siano state precedenti acquisizioni con le procedure utilizzate per Telekom-Serbia? Le ricordo, perché lei è un tecnico, che Telekom-Serbia fu acquisita senza due dilegence; che la delibera fu adottata in pochi minuti ed inserita tra le voci «varie ed eventuali» anziché nell'ordine del giorno; che l'autorizzazione STET non vi fu; che una sorta di valutazione - non la due diligence - effettuata da una banca venne bocciata per difetto nonostante di norma sia interesse dell'acquirente che il prezzo sia il più basso possibile.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi sta chiedendo se ci sono state altre operazioni fatte in questo modo?

GIUSEPPE CONSOLO. Sì.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Spero di no.

GIUSEPPE CONSOLO. Come valuta l'operazione? Il presidente potrà, all'occorrenza, ricordare i termini esatti utilizzati, che vanno dall'«originale» al «pessimo»: non uno degli interessati, compresi i vertici istituzionali, che abbia detto che si è trattato di un'operazione normale; ci si è mossi dal «cattivo» al «poco buono»: come giudica l'operazione il professor Draghi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questa operazione si giudica da sola andando a vedere le minusvalenze che le varie gestioni della società Telecom hanno dovuto appostare.

GIUSEPPE CONSOLO. La ringrazio.

PRESIDENTE. Do la parola al senatore Eufemi.

MAURIZIO EUFEMI. Torno per un attimo all'incontro con il dottor Agnes, il quale fa riferimento a due incontri, uno dei quali molto cordiale. Vorrei qualche elemento in più.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Di quell'incontro ho un ricordo abbastanza vago e ritengo che la lettura delle dichiarazioni del dottor Agnes coincida con quanto posso ricordare. Fu una discussione di carattere generale sulle strategie di privatizzazione della società; era la prima volta che ci incontravamo e fu una presa di contatto.

MAURIZIO EUFEMI. D'accordo, però il dottor Agnes ha sottolineato che la STET era stata portata alla borsa di New York l'anno prima e considerava allucinante l'ipotesi di privatizzarla, dato che l'operazione era stata fatta sulla borsa di New York. Si trattava di verificare strategie che erano assolutamente confliggenti.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi, ma non ho capito la domanda.

MAURIZIO EUFEMI. Il dottor Agnes ha sottolineato che l'operazione STET aveva un rilievo internazionale essendo stata portata alla borsa di New York l'anno prima. Quindi, loro potevano ben essere considerati dei manager aperti al mercato, non poteva essere espresso un giudizio negativo.


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il discorso è un po' diverso. La privatizzazione consisteva nella cessione quasi integrale del pacchetto azionario posseduto dall'IRI e poi dal Tesoro, e nella guida di una società che cambiava regime, dal pubblico al privato, passando da una situazione di quasi monopolio ad una di concorrenza. Portare la STET alla borsa di New York rappresentava il collocamento di una partecipazione minoritaria, dato che l'identità del proprietario restava quella che era e lo stesso valeva per la situazione in cui la società operava, cioè il monopolio. Il collocamento a New York è qualcosa di interessante, apprezzabile ed è il riconoscimento che la società forse era ben amministrata, ma non è un mutamento radicale di conduzione, cosa che avviene con la privatizzazione.

MAURIZIO EUFEMI. Vengo al punto: come mai la scelta cade su Tommasi, che non era estraneo alle partecipazioni statali provenendo dalle telecomunicazioni di area pubblica?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Come ho già detto in precedenza, è sufficiente leggere le audizioni ed i testi delle interviste dell'epoca in cui Tommasi è considerato l'uomo con il profilo adatto per condurre quell'operazione.

MAURIZIO EUFEMI. Torno alla nomina del professor Izzo, che si sentiva rappresentante del Tesoro. A questa Commissione ha detto esplicitamente che in quel consiglio non c'era solo lui, ma anche il dottor Augusto Zodda. Come è possibile che due rappresentanti del Tesoro non riferiscano all'azionista di riferimento valutazioni in ordine a scelte aziendali di così rilevante importanza?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Al fatto che fossero rappresentanti del Tesoro ho risposto prima: lo sono o, meglio, lo è solo Izzo a partire da quando gli sono attribuiti dal Ministero del tesoro con decreto i poteri relativi alla golden share, mi pare fosse il novembre 1997 e, quindi, ad operazione avvenuta.
Né il professor Izzo, né il dottor Zodda sono rappresentanti del Tesoro quando l'operazione avviene; sono parte di un gruppo di consiglieri che l'azionista Tesoro propone con lista all'assemblea degli azionisti e da questa vengono votati, come i consiglieri della società.

PRESIDENTE. Scusi l'inserimento, senatore Eufemi. Lei, professor Draghi, ha detto che il dottor Zodda era un funzionario del Tesoro: nel consiglio di amministrazione chi rappresentava?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Rappresentava tutti gli azionisti della società. Il consiglio di amministrazione deve fare gli interessi di tutti gli azionisti della società, di maggioranza e di minoranza, del piccolo e del grande azionista.

PRESIDENTE. Chi ha scelto Zodda?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Zodda è stato scelto dall'azionista Tesoro, che ha scelto tutti gli altri nomi del consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE. Zodda, una volta scelto, non aveva un dovere di comunicazione con voi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non c'erano procedure specifiche per cui il consigliere doveva informare; ripeto nuovamente quanto detto prima, nel caso specifico si voleva dare il segnale di una presa di distanza dell'autorità politico-burocratica dalla gestione della società in vista della privatizzazione. Quella commistione non c'era.

MAURIZIO EUFEMI. Professor Draghi, con questa affermazione lei rivaluta il sistema delle partecipazioni statali in tutta


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la catena di comando. La mia vuole essere un'affermazione politica perché c'era il problema della azienda, della finanziaria, dell'IRI, del Governo e delle partecipazioni statali. Abbiamo registrato un black out totale rispetto a questa evenienza.
Poco fa ha sostenuto che il direttore generale del Tesoro non si interessava di alcune scelte avendo rimandato tutte le responsabilità alla politica.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi l'interruzione, ma non ho detto questo. Il direttore generale del Tesoro è partecipe di importanti processi di decisione politica ed economica, condivide le responsabilità, eccetera.

MAURIZIO EUFEMI. Mi consenta di arrivare alla domanda. Nel 1999 partecipò ad una riunione interministeriale alla Presidenza del Consiglio in ordine all'atteggiamento di voto da tenere all'assemblea di Telecom, da svolgersi a Torino, relativa alla golden share. Non si è mai verificata una riunione interministeriale che ha trattato questi temi rispetto alle questioni emerse?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non si è mai verificata perché non c'era la conoscenza dell'operazione.

MAURIZIO EUFEMI. Poco fa lei ha detto di essere stato al Tesoro fino al 2001, mentre il problema del bilancio di Telecom è esploso nell'assemblea del giugno 2001, come saprà: che tipo di reazione ebbe rispetto a quanto si era determinato? Mi riferisco alla integrazione del bilancio da parte dei revisori e soprattutto ai valori di bilancio dell'operazione Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. La reazione che ho avuto leggendo di queste minusvalenze che si succedevano è stata molto negativa; non c'è stata solo la decisione di svalutare la partecipazione, ma una serie, ossia due o tre decisioni di progressiva svalutazione della partecipazione.

PRESIDENTE. Avete disposto indagini o accertamenti oppure vi siete limitati ai risultati acquisiti?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. A quel punto la società non era più del Tesoro. Le indagini che possono essere disposte al riguardo sono quelle che può compiere l'autorità giudiziaria; l'autorità amministrativa, anche in via civilistica, non può fare più di quello che fanno il collegio sindacale, il consiglio di amministrazione o i revisori dei conti della società.

PRESIDENTE. Quindi, non avete chiesto ulteriori informazioni e vi siete limitati a conoscere il fatto come l'abbiamo appreso tutti: è così?

ALFREDO VITO. Avete comunicato qualcosa alla Corte dei conti?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. La Corte dei conti, se partecipava al consiglio di amministrazione di Telecom, doveva essere al corrente.

PRESIDENTE. Questa è la risposta alla prima domanda.

MAURIZIO EUFEMI. Un'ultima domanda, alla quale tengo: dopo l'uscita dal Tesoro lei ha mantenuto qualche legame oppure ne è uscito completamente?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ne sono uscito completamente.

MAURIZIO EUFEMI. Non ha mantenuto legami diretti o indiretti?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Sono nel settore privato ormai da circa un anno e mezzo.


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PRESIDENTE. La parola al senatore Lauria.

MICHELE LAURIA. Se ho capito bene, poiché molto spesso si è battuto sulle dimissioni sollecitate di Pascale ed Agnes, sostanzialmente queste hanno rappresentato un segnale da inviare ai mercati finanziari, uno strappo anche di immagine rispetto al passaggio dal monopolio al regime di concorrenza. Fra l'altro vi erano in questo senso sollecitazioni del commissario Van Miert. Mi pare che anche i giornali dell'epoca avessero una visione non contraria alla privatizzazione, ma con un modello diverso da quello di Pascale ed Agnes. Chiedo conferma, ma mi sembra che questa sia la motivazione sostanziale.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

MICHELE LAURIA. Per quanto riguarda i risultati ottenuti dalla STET-Telecom prima della privatizzazione, che sono reali, mi pare ci sia una coincidenza in quegli anni di grandi successi nei mercati borsistici per tutto il settore delle telecomunicazioni; addirittura si parla di bolla speculativa. Le aziende con un minimo di solidità hanno goduto di quel traino, e pertanto, oltre alla bravura dei professionisti, vi è stato questo effetto traino; la situazione va inquadrata in quest'ottica.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Credo che anche indipendentemente dai corsi di borsa - che certamente in quegli anni hanno premiato il settore delle telecomunicazioni, ma avrebbero fatto così ancora di più negli anni successivi, vale a dire nel periodo 1999-2001-, il giudizio sull'operato del vertice Telecom-STET dell'epoca per quel che riguarda il passato possa essere positivo.

MICHELE LAURIA. C'è questa coincidenza tra la bravura dei vertici e l'andamento del mercato.
Mi pare di aver capito, ma chiedo conferma, che di un'ipotesi di creazione di una società Telecom Italia-Telekom-Serbia si parlasse all'interno del gruppo già nel marzo 1996.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Così sembra dalle delibere.

MICHELE LAURIA. Anche i dirigenti interni sapevano, ma a un certo punto finivano di sapere; nessuno dei grossi vertici ha negato di conoscere l'operazione, ma poi hanno preso le distanze. Sarà interessante, signor presidente, sentire Tomaso Tommasi.

PRESIDENTE. Sarà ascoltato per ultimo, e lei sa perché.

MICHELE LAURIA. Per evitare che si crei un equivoco, devo dire che Agnes, se ricordo bene, nel corso della prima audizione, sollecitato da alcuni commissari, ha affermato che semmai dopo può aver fatto un collegamento fra le sue dimissioni e l'affare Telekom-Serbia. Questo anche per una precisazione.

PRESIDENTE. Ha detto che aspettava il giudizio universale per saperlo!

MICHELE LAURIA. Si è parlato poi dei contrasti tra Rossi e Tommasi, ma siamo in uno scenario in cui tra l'altro il Ministero del tesoro non ha che il potere della golden share, da esercitare solo nei confronti di eventuale ingresso di soci stranieri.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Esattamente.

MICHELE LAURIA. Mi pare di ricordare - non so se lei ne abbia memoria - che le divaricazioni tra Rossi e Tommasi, l'uno uomo della finanza e l'altro uomo dell'azienda, quindi due scuole di formazione, fossero riportate ampiamente sui giornali; non è un fatto strano, che si


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scopre adesso. Ad un certo punto i due cominciarono a polemizzare e i giornali riferirono di queste polemiche per differenti visioni gestionali. Ha un ricordo in questo senso?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Le polemiche o comunque le diversità di vedute tra i due erano oggetto di attenzione della stampa. Credo che il presidente Rossi abbia rilasciato anche un'intervista in questo senso.

GUIDO CALVI. Il professor Draghi ha letto prima alcune interviste rese a Il Sole-24 Ore dall'allora ministro Ciampi. Chiedo se possano essere lasciate agli atti.

PRESIDENTE. Avevo già annotato questa richiesta.

CARLO TAORMINA. Professor Draghi, vorrei tornare un attimo al colloquio. Fu presente a quel colloquio?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

CARLO TAORMINA. Mi è parso di capire che questo colloquio si sia concluso con un rifiuto da parte di Biagio Agnes di rassegnare le dimissioni e senza alcun'altra osservazione da parte degli altri presenti.

PRESIDENTE. No, c'è stata una condivisione da parte del ministro Ciampi, il quale ha detto di comprendere le sue ragioni, se non vuole dimettersi...

CARLO TAORMINA. Se non vuole...

PRESIDENTE. C'è stata un'apertura in questo senso.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo non lo ricordo.

PRESIDENTE. È stato detto da Agnes.

MICHELE LAURIA. Ha detto che non ha insistito.

PRESIDENTE. Il ministro Ciampi avrebbe detto: capisco le sue ragioni e quindi non ho motivo di insistere. Lei giudichi come crede.

CARLO TAORMINA. Quindi, a conclusione di quel colloquio - vediamo se dico una cosa esatta - la questione delle dimissioni di Agnes era chiusa.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì. Era chiusa nel senso che doveva dimettersi. La determinazione era non del ministro del tesoro ma del Governo affinché il presidente Agnes...

CARLO TAORMINA. Per collocare meglio la questione: quando siete usciti dalla stanza di Ciampi, prima che lei accompagnasse Agnes all'ascensore per fare un certo tipo di discorso, quale conclusione era stata raggiunta? Quella che si doveva dimettere?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, la conclusione era che il ministro del tesoro, attualmente Presidente Ciampi, aveva chiesto al presidente Agnes le dimissioni. Quest'ultimo ha detto: io non mi dimetto. Basta, per quel che ricordo.

CARLO TAORMINA. Infatti mi fermo alle sue dichiarazioni. Posso dire, per quel che lei ha constatato durante quella riunione, che quando avete chiuso la porta del ministro Ciampi la questione era chiusa nel senso che Agnes non voleva rassegnare le dimissioni e che il ministro Ciampi non ebbe nulla da obiettare? È esatto?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non disse nulla, non è che non ebbe nulla da obiettare.

CARLO TAORMINA. Prese atto.


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Certamente.

CARLO TAORMINA. Anzi, ci sarebbe stata l'aggiunta di una sorta di segno di solidarietà nei confronti di Agnes, oppure no?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Del tipo che ho inteso prima, vale a dire «se vuole non si dimetta»?

CARLO TAORMINA. Esatto.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

CARLO TAORMINA. La questione si concluse così. Prima di questo colloquio a tre aveva parlato con il ministro Ciampi del problema relativo alle dimissioni di Agnes?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Beh, sì. Guardi, non ho un ricordo esatto, ma sicuramente nel convocarmi per questa riunione mi aveva preannunciato il contenuto del colloquio.

CARLO TAORMINA. Quando glielo ha preannunciato o comunque avete parlato (questi distinguo sono difficilmente captabili), che cosa le disse il ministro Ciampi? Le disse: bisogna che questo si dimetta, bisogna fare in modo di raggiungere l'obiettivo delle dimissioni? Le ha fatto un comunicato stampa dicendole quello che voleva fare? Come le ha rappresentato la questione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, era un fatto acquisito, era una decisione che aveva adottato il Governo e non il ministro del tesoro. Al ministro del tesoro era stato chiesto di comunicarla in via personale, probabilmente per un atto di cortesia nei confronti del presidente Agnes, affinché non l'apprendesse dal consiglio di amministrazione. Il ricordo che ho di questa eventuale conversazione - perché non la ricordo precisamente - è di una cosa scontata.

CARLO TAORMINA. Ormai bisognava raggiungere l'obiettivo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Una questione che ormai era chiusa.

CARLO TAORMINA. Che era già stata decisa.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Che era stata decisa.

CARLO TAORMINA. E quindi andava comunicata. Allora l'interlocuzione a tre di cui abbiamo parlato in precedenza serviva soltanto a comunicare. Il rifiuto di Agnes a che serviva?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non lo so. Lo chieda a lui!

CARLO TAORMINA. Serviva soltanto a comunicare?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, serviva solo a comunicare.

CARLO TAORMINA. Ho capito.
L'atteggiamento assunto da Agnes durante questa riunione non fu quindi suscettibile di essere interpretato da Agnes stesso come una conclusione a lui favorevole, come a dire: mi hanno chiesto di dare le dimissioni, io non le do e ho chiuso.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

CARLO TAORMINA. Come la intese Agnes?


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Agnes deve averla intesa così, perché questo è ciò che dichiara.

CARLO TAORMINA. Deve averla intesa nel senso che il problema era chiuso a suo favore.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Deve averla intesa nel senso che probabilmente, trattandosi di una persona esperta, rimanevano per lui dei margini di manovra. Deve avere inteso questo, ma la domanda va fatta a lui e lui ha già risposto che questi margini esistevano.

CARLO TAORMINA. In che termini il discorso fu ripreso da lei o da Agnes dopo che avete chiuso la porta di Ciampi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ne ho parlato prima. I termini sono quelli.

CARLO TAORMINA. A parte la famiglia, che non mi interessa.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. A parte la famiglia. Io potevo benissimo non accompagnarlo.

CARLO TAORMINA. Ho capito, ma perché è emerso il problema?

GIUSEPPE CONSOLO. Si è trattato di un gesto di cortesia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Si è trattato di un gesto di cortesia, dopo di che scendendo ho espresso questa solidarietà veramente sincera, perché vedevo lo stato in cui si trovava il dottor Agnes. Abbiamo parlato delle dimissioni e di cosa accade dopo; erano espressioni che non potevano assolutamente essere equivocate.

CARLO TAORMINA. Lei aveva ricevuto dal ministro Ciampi un mandato per portare a compimento l'operazione relativa alle dimissioni di Agnes?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non ce n'era bisogno, perché il mandato andava a compimento da solo.

CARLO TAORMINA. Se lei mi dice che ci poteva essere un margine di manovra o che si poteva ritenere, con l'esperienza di Agnes, che tale margine esistesse...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Il mandato andava avanti da solo e non sarebbe andato avanti...

CARLO TAORMINA. Cosa sarebbe accaduto se Agnes non si fosse dimesso?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sarebbe bastata una telefonata ai consiglieri di amministrazione, che erano a maggioranza IRI e che avrebbero sfiduciato pubblicamente il dottor Agnes ed il dottor Pascale (ma per il dottor Pascale non ce n'era bisogno, perché si era già dimesso). Non solo, ma se per caso ci fossero stati dei margini di manovra, non è certo il direttore generale del tesoro, cioè un funzionario, a poter chiudere una questione lasciata aperta. Per questo la consideravo una cosa chiusa.

PRESIDENTE. Scusate se mi inserisco, ma quando il ministro Ciampi dice, di fronte alla riluttanza a dimettersi da parte di Agnes, «comprendo le sue ragioni, faccia come crede», dice una cosa sicuramente impropria, perché si trattava di una decisione in atto che andava soltanto notificata. È così?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Bisogna chiederlo a lui. L'incontro avvenne per comunicare una decisione.


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PRESIDENTE. Lei non ha ricordo di questa espressione del ministro Ciampi rivolta ad Agnes?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non ho ricordo di questa espressione.

PRESIDENTE. Dato che questa espressione venne dichiarata anche ai giornali, lei non ebbe mai modo di commentarla con il ministro Ciampi neanche successivamente?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

CARLO TAORMINA. Il fatto di discuterne nuovamente durante il tragitto verso l'ascensore fu sostanzialmente inutile?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Fu una discussione sostanzialmente inutile. Fu l'espressione di un gesto di cortesia, perché l'alternativa...

CARLO TAORMINA. Va bene, ma a parte la cortesia...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi scusi, le spiego perché...

CARLO TAORMINA. Poiché Agnes la pensa diversamente....

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ho capito.

CARLO TAORMINA. Ha capito. Poiché Agnes la pensa diversamente e pensa invece, trasferendo questa sua interpretazione dei fatti alla Commissione, che lei dopo avrebbe continuato l'opera di insistenza perché si dimettesse, il risultato dell'operazione infine è stato questo o no? A parte il fatto di pensare alla famiglia, il margine di trattativa c'era ancora.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, questo è quel che credeva il dottor Agnes, non era la realtà.

CARLO TAORMINA. Nessuno glielo ha detto che non c'erano margini di trattativa.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Scusi, si potevano seguire due percorsi: non accompagnare Agnes dopo il suo rifiuto di rassegnare le dimissioni, indire un consiglio di amministrazione, sfiduciare il presidente o addirittura tenere un'assemblea straordinaria. Questo percorso avrebbe esposto pubblicamente i protagonisti, ma soprattutto non sarebbe stata utile ad una società che a breve avrebbe dovuto essere privatizzata. I mercati e in particolare gli investitori internazionali non sanno molto di quanto avviene ed avrebbero visto solo un'ennesima nostra querelle. L'alternativa era di procedere in modo informale. Questo è quanto è successo. Il dottor Agnes alla fine ha deciso di dimettersi, ma non per le mie pressioni; lei mi attribuisce troppa importanza!

CARLO TAORMINA. Sì, ma vorrei capire: quanto è durato l'incontro con il ministro Ciampi? Venti secondi? Ciampi gli ha detto: si dimetta. Lui ha risposto: non mi dimetto. Chiuso.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, perché come emerge dal resoconto del dottor Agnes è intervenuto prima un discorso di vario tipo. L'incontro non è durato venti secondi.

CARLO TAORMINA. Lei era presente quando il ministro Ciampi ha comunicato ad Agnes che si doveva dimettere?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

CARLO TAORMINA. Che parole ha usato? Ha detto: lei si deve dimettere? È


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bene che si dimetta? Probabilmente lei dovrà dimettersi? Come dite voi burocrati? Io non lo so, perché quando mi sono dimesso mi hanno cacciato via a calci!

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Posso riferire una delle formule d'uso, ma non posso dirle che sia quella che l'allora ministro del tesoro ha utilizzato in quell'occasione. Normalmente è la seguente: il Governo ha raggiunto la determinazione di chiederle di mettere a disposizione il suo mandato. Si tratta di una formula frequente e abbastanza neutra.

CARLO TAORMINA. Lei conferma che nel trasferimento dalla stanza di Ciampi all'ascensore si parlò di Governo e non di Prodi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Confermo che si parlò di Governo e forse si è parlato anche del Presidente del Consiglio, in quanto primo motore di tutto il processo di privatizzazione. Non si dimentichi che l'articolo 1 della legge n. 474 individua nel Presidente del Consiglio il soggetto istituzionale che emana i decreti proprio alla luce della privatizzazione. Ma si è parlato di Governo.

CARLO TAORMINA. Cosa sa lei dei rapporti tra Prodi ed Agnes?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Assolutamente nulla.

CARLO TAORMINA. Non c'erano o non sa nulla?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Se rispondo che non so nulla, vuol dire che non so nulla, non vuol dire che non c'erano. Non so nulla.

CARLO TAORMINA. Avete parlato della delibera del 18 marzo 1996?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

CARLO TAORMINA. Lei quando ha saputo dell'esistenza di questa delibera, se l'ha saputo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. L'ho saputo a seguito della convocazione di questa Commissione.

CARLO TAORMINA. Della nostra Commissione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sissignore.

CARLO TAORMINA. Quindi non ha mai saputo assolutamente nulla dell'esistenza di questa delibera?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Non potevo saperlo, perché non è apparsa in nessun posto.

CARLO TAORMINA. D'accordo. Lasciando da parte l'esistenza di procedure, il fatto che procedure preesistenti siano state o meno trasferite al momento del passaggio di Telecom al Tesoro nel dicembre 1996; lasciando da parte le formalità ed i rapporti ufficiali, le chiedo: dal punto di vista delle sue personali consapevolezze - nel 1996 lei era direttore generale del Tesoro, nel 1997 era direttore generale del Tesoro - in questi due anni non ha mai saputo niente della vicenda Telekom-Serbia? Assolutamente niente di niente? Si tratta di una vicenda che noi riteniamo abbastanza importante, al punto da aver costituito una Commissione, che ha il suo rilievo, allo scopo di dar conto ai cittadini della spendita di denaro pubblico (parlavamo, originariamente, di 1.200-1.300 miliardi). Lasciando stare se vi sia stata la riunione del consiglio d'amministrazione, del consiglio di gabinetto o quant'altro, lei non è mai stato informato di niente rispetto


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alla questione Telekom-Serbia da quando è entrato al Ministero del tesoro fino a quando ne è uscito?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Fino a quando ne sono uscito no, perché è venuta sui giornali.

CARLO TAORMINA. Ecco, se non ne avessero parlato giornali, lei, come direttore generale del Tesoro, non avrebbe mai saputo niente di Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, non è esatto neanche questo. Io ho saputo dell'operazione Telekom-Serbia quando essa appare nella relazione semestrale ai mercati e nel prospetto informativo della società quando la società viene privatizzata.

CARLO TAORMINA. Cioè?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Quando la società viene privatizzata e le azioni vengono vendute, cioè nell'ottobre 1997.

CARLO TAORMINA. Quindi ad operazione compiuta.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ad operazione completamente avvenuta, quando, ovviamente, tutte le partecipazioni possedute dalla Telecom vengono valutate dai revisori, dal collegio sindacale, dei mercati, dagli advisor e, dunque, viene valutata anche questa. Allora io vengo a conoscenza di questa operazione.

CARLO TAORMINA. Ma quando il Tesoro è diventato proprietario di Telecom... Io non sono un tecnico di queste cose ma, domando: si cerca di capire che cosa transita, qual è il portafoglio, quali sono le situazioni debitorie e le situazioni creditorie, quali sono le situazioni in sofferenza, quali sono i problemi sui quali ci si può soffermare? Lo domando perché la data è quella del dicembre 1996, il periodo è caldo, essendo l'epoca nella quale si andava in Jugoslavia, l'epoca nella quale si preparava l'affare Telekom-Serbia, l'epoca di non molto precedente quel 9 giugno 1997 nel quale, poi, si sarebbe conclusa l'operazione. Io manifesto, per così dire, una valutazione da cittadino, da uomo della strada e mi domando come sia possibile che nel dicembre 1996, quando voi diventate azionisti al 100 per cento o, comunque, di forte maggioranza di Telecom e tra le varie questioni sul tappeto c'era sicuramente anche questa, lei in qualità di direttore generale e il suo ministro (non so se fosse ancora Ciampi), non siate stati messi al corrente di questa situazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

CARLO TAORMINA. All'uomo della strada questo, per la verità, sembra molto strano.
Lei conosce Tommasi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

CARLO TAORMINA. Chi è Tommasi? Qualcuno le riferì che Tommasi esercitava «poteri esorbitanti», così lei si è espresso rispondendo ad una domanda del nostro presidente.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il professore Guido Rossi.

CARLO TAORMINA. Il professor Guido Rossi. «Esorbitanti» in che senso ed in riferimento a che cosa?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il professor Guido Rossi riteneva...

CARLO TAORMINA. A quale affare, magari a Telekom-Serbia?


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, no. Il professor Guido Rossi si riferiva ai poteri che erano stati dati del consiglio d'amministrazione della società Telecom Italia all'amministratore delegato Tommasi, quindi si riferiva alle deleghe operative che il consiglio d'amministrazione aveva dato al dottor Tommasi. E le riteneva eccessive, ma non soltanto o non tanto (questo bisognerebbe chiederlo a lui) relativamente alla realtà operativa della società, quanto rispetto ad un modello di conduzione della società che egli ritiene sia più valido, cioè un modello in cui non esiste un capo azienda me esiste una condivisione di deleghe anche ad altri consiglieri d'amministrazione, o, comunque, una maggiore sorveglianza, un maggiore scrutinio del consiglio di amministrazione sull'amministratore delegato.

CARLO TAORMINA. Per esempio, senza questa eccessività di deleghe Tommasi non avrebbe potuto fare da solo l'operazione Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Forse sì, però attenzione...

CARLO TAORMINA. Forse sì o forse no?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Un momento, due osservazioni. Le deleghe al dottor Tommasi non vengono date dal Tesoro...

CARLO TAORMINA. Dal consiglio d'amministrazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Che non c'entra più col Tesoro.

CARLO TAORMINA. D'accordo. Però, siccome il Tesoro ha il 90 per cento, lei mi consenta...

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, no. Mi scusi.

CARLO TAORMINA. Io parlo del 1996. Tommasi ha poteri esorbitanti... Quando viene nominato Tommasi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Tommasi è nominato del 1997, mi pare. Gennaio 1997.

CARLO TAORMINA. Quindi, il Tesoro diventa proprietario di Telecom nel dicembre 1996 e nel gennaio 1997 Tommasi diventa amministratore delegato: quella è l'epoca in cui ha le deleghe. Di queste deleghe, ad esempio, si è servito - per quel poco che ci interessa in questa sede - con riferimento a Telekom-Serbia.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Le deleghe che il dottor Tommasi riceve sono assolutamente compatibili con le deleghe che aveva il dottor Pascale. In questo senso, non sono eccessive né sono poche: sono le stesse, anche se non letteralmente le stesse, e, forse, per sostanza, più ridotte di quelle che aveva il dottor Pascale precedentemente.

CARLO TAORMINA. Ho capito. Però se fosse vero, perché può darsi che non lo sia, che senza quelle deleghe Tommasi non avrebbe potuto gestire in prima persona la vicenda Telekom-Serbia, le domando se quando si parlò a lei dell'esorbitanza dei poteri di Tommasi si fece riferimento non dico a Telekom-Serbia, ma ad operazioni come quelle di Telekom-Serbia, che lei mi dice essere state fatte.

PRESIDENTE. L'onorevole Taormina ha formulato una domanda molto pertinente: il professor Rossi dice di questi «poteri esorbitanti» e, nello stesso tempo, c'è un episodio per cui Tommasi si reca Belgrado per firmare una serie di protocolli di intesa, Rossi avrebbe dovuto accompagnarlo (o Tommasi avrebbe dovuto


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accompagnare Rossi) ma avendo notato questo eccesso di potere rinuncia ad andare a Belgrado. Quindi, se posso permettermi di completarla, la domanda ha anche un altro senso: visto che di Telekom-Serbia si parlava in relazione all'«eccesso», lei ha saputo mai di questa vicenda?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Assolutamente no. Torniamo un attimo alla struttura delle deleghe. La presentazione...

CARLO TAORMINA. Chiedo scusa: con le forme sarete sicuramente a posto. Secondo la forma sono sempre tutti a posto, non è questo il problema. Non è una critica a lei, ma il punto è che vogliamo capire la sostanza delle cose, cioè se tra dicembre 1996 e gennaio 1997, mentre era in gestazione questa colossale truffa ai danni dei cittadini, vi sia stata o meno una consapevolezza non dico da parte dell'usciere, ma del direttore generale del ministero. Tutto qua. Se non è così, pazienza.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Non è così e non poteva essere così.

CARLO TAORMINA. Noi ne prendiamo atto, con la solita posizione di scetticismo che mi sono permesso di manifestare a nome dei cittadini che rappresento.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Se posso, presidente, vorrei fare una osservazione di contorno, che ovviamente non è una risposta alla domanda.

PRESIDENTE. Certo che può.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Le forme nelle comunicazioni sociali, quando si tratta di società quotate sul mercato, sono sostanza.

CARLO TAORMINA. Ma ci sono anche le false comunicazioni sociali, ha capito?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì, ho capito, ma il discorso non è questo. Se l'azionista non poteva sapere... Capisco, condivido anch'io, in un certo senso, il senso di smarrimento che si ha di fronte ad un episodio del genere; sul piano emotivo l'ho condiviso e l'ho provato quando la questione è venuta fuori. Glielo assicuro, poiché la stessa domanda che ha formulato lei, io l'ho rivolta a me stesso. Però, nel caso di società, soprattutto di grandi società, di grandi gruppi, la forma è anche sostanza. Che, poi, di questa forma si faccia uso per raggiungere i propri scopi, questo è un discorso che il Tesoro non poteva sapere.

CARLO TAORMINA. Ancora una domanda; comunque sto concludendo, presidente, e desidero ringraziarla per l'interruzione di prima, che ha consentito una maggiore...

PRESIDENTE. Siamo due cavalieri antichi.

CARLO TAORMINA. Figuriamoci! Dunque: chi era Tommasi? Non è una provocazione; le domando chi era Tommasi per lei, quali erano i referenti ed i collegamenti di Tommasi che a lei risultavano. Ad esempio, lei sa se avesse rapporti con Prodi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi chiede se lo so oggi o se lo sapevo allora? Se lo so oggi: sì, perché sono usciti su tutti i giornali. Se lo sapevo allora: no.

CARLO TAORMINA. Il nome di Tommasi non le diceva niente, allora?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il nome di Tommasi sostanzialmente non mi diceva nulla.

CARLO TAORMINA. Assolutamente nulla.


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MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Mi venne presentata come una candidatura di persona capace, abile, capace di gestire la società.

CARLO TAORMINA. Da chi le fu presentato?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Chi mi indicò il nome di Tommasi?

CARLO TAORMINA. Ma era inserito nell'ambiente delle comunicazioni?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Il curriculum di Tommasi io non ce l'ho. Era sempre stato, credo, nell'ambiente della STET, della Telecom, così...

CARLO TAORMINA. Era un personaggio conosciuto.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sì.

CARLO TAORMINA. Quindi non ricorda chi glielo ha presentato.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No.

CARLO TAORMINA. Prodi o Ciampi le hanno mai parlato di Tommasi?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Sicuramente... anche nell'audizione dell'allora ministro del tesoro Ciampi c'è scritto che riteneva Tommasi una persona eccellente, come anche il presidente Rossi. Quindi me ne ha parlato, sicuramente.

CARLO TAORMINA. Gliene ha parlato. Quando incontrò Agnes gliene aveva già parlato?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No. Ho risposto prima a questa domanda. Ho detto che quando avviene l'incontro con Agnes...

CARLO TAORMINA. Non sapeva chi sarebbe stato successore.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Esattamente.

CARLO TAORMINA. Va bene. Ho concluso, presidente.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Kessler, anche se, a questo punto, sono curioso di sapere cosa resti ancora da domandare.

GIOVANNI KESSLER. Quasi nulla; infatti, desidero soltanto chiedere al professor Draghi il completamento di una risposta che, in parte, ha già dato.
Lei ha già fatto riferimento alla rilevanza per il Governo di allora della privatizzazione della Telecom e, se non sbaglio, ha collegato sia il passaggio di Telecom al Tesoro sia il cambiamento dei vertici della società a questo disegno di privatizzazione che il Governo di allora aveva in animo; le chiedo se possa riferirci con un po' più di precisione sulla rilevanza che aveva per il Governo questa operazione di privatizzazione.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Era considerata la più importante operazione di privatizzazione che, all'epoca, potesse avvenire. È vero che prima erano state privatizzate banche, società di assicurazione ed anche società meccaniche, acciaio, ma, in fondo, la Telecom era la prima società di servizi - e servizi estesi a tutto il paese - che veniva ad essere privatizzata. Aveva delle dimensioni finanziarie che non rendevano l'operazione ovvia; la rendevano complessa. Quindi, a questa operazione veniva attribuita una grande importanza. Inoltre, l'operazione veniva presentata anche come un inizio di liberalizzazione del settore, quindi un aumento


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della concorrenza, quindi una diminuzione dei costi telefonici. Tutte cose che, in certo senso, andavano verso la dimostrazione di un avvicinamento ai mercati rispetto ad una gestione dei servizi che avveniva, per le telecomunicazioni ma anche per l'elettricità, in regime di monopolio.

GIOVANNI KESSLER. Vi fu in qualche momento da parte del Governo, o comunque da parte del Tesoro, nell'ambito del quale lei ricopriva un incarico di alta responsabilità, la percezione di una difficoltà, di una grave difficoltà o, addirittura, dell'impossibilità di questo processo di privatizzazione?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, fu considerata un'operazione che fu un successo. Questo prima...

GIOVANNI KESSLER. Prima, certo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Ci fu la percezione di alcune difficoltà che avevano a che vedere con la capacità dei mercati finanziari di assorbire questa quantità di azioni, ma poi tutte queste preoccupazioni si rivelarono infondate. La richiesta fu straordinaria e si riuscì a fare un'operazione che i mercati giudicarono un successo. Ma certamente non era un operazione - come dire - di poca entità o di scarsa visibilità.

GIOVANNI KESSLER. E vi fu la percezione, sempre da parte del Governo e del Tesoro particolare, che l'amministratore delegato e il presidente della Telecom potessero essere in qualche modo di ostacolo a questo processo?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questa domanda che mi è stata fatta, in altra veste, prima. Il Governo, l'esecutivo, il Comitato dei ministri per le privatizzazioni ritenne che i profili professionali adeguati a condurre l'operazione di privatizzazione e di gestione della società in concorrenza fossero diversi da quelli dell'allora vertice della società.

PRESIDENTE. L'ultimo iscritto a parlare è il senatore Forlani.

ALESSANDRO FORLANI. Vorrei sapere, professor Draghi, se ebbe conoscenza del contenuto di un articolo uscito sul Financial Times il 2 giugno 1997 in merito alla notizia dell'acquisto del 49 per cento di Telekom-Serbia da parte di Telecom Italia, nonché se ebbe notizia e, eventualmente, quali orientamenti furono espressi in sede governativa in ordine ad una interrogazione parlamentare a risposta scritta presentata il 25 giugno 1997 (la n. 4-06641) a seguito della pubblicazione, sul numero di Panorama del 26 giugno 1997, di un articolo sempre sul questa vicenda. In tale interrogazione, rivolta al Presidente del Consiglio e poi al ministro delle poste e telecomunicazioni, in virtù delle rivelazioni contenute nel citato articolo si chiedeva al Governo «quale rilevante strategia di mercato sia sottesa all'operazione finanziaria condotta dalla STET in Serbia; se la rilevanza di tale strategia giustifichi la conseguenza evidente che tale operazione ha provocato (questa era, appunto, una valutazione politica legata a quella fase contingente): il rafforzamento del regine di Slobodan Milosevic, regime che, tra l'altro, continua a non fornire alcuna collaborazione all'attività del tribunale penale internazionale dell'Aja». Eravate al corrente di questa interrogazione, rivolta, come ho detto, non al ministro del tesoro bensì al Presidente del Consiglio e al ministro delle poste e telecomunicazioni e dell'articolo del Financial Times del 2 giugno 1997?

PRESIDENTE. Per intenderci, l'interrogazione Milio.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. No, io non ero al corrente né dell'articolo di Panorama, né di quello del Financial Times, né dell'interrogazione, ma c'è un'osservazione


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che questa domanda mi sollecita. Si tratta di una considerazione di carattere, in un certo senso diverso, dalla domanda che lei mi ha rivolto. Giudicata da un punto di vista puramente industriale, l'operazione Telekom-Serbia si inquadrava nella strategia di diversificazione internazionale che alla società veniva richiesta; veniva richiesta dall'IRI, veniva richiesta dal Tesoro, veniva apprezzata dai mercati. Poi, naturalmente, l'esecuzione dell'operazione, i rilievi ed i risvolti di politica estera l'hanno resa peculiare e gravida di conseguenza. Questo mi è venuto in mente semplicemente perché ha fatto riferimento all'articolo del Financial Times.

ALESSANDRO FORLANI. Dal punto di vista industriale veniva valutata positivamente?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Dal punto di vista industriale era semplicemente un'operazione che si aggiungeva alle altre. A quell'epoca, Telecom comprava società in Bolivia, in Grecia, a Cuba, in Spagna e in altri posti, per cui la Serbia sembrava una area abbastanza... Da quel punto di vista, l'operazione si sarebbe anche potuta comprendere. Ripeto: l'analisi della strategia internazionale non avvenne perché nessuno era al corrente dell'operazione, questo intendo dire. Però si poteva comprendere se sia inanellava in tutta un'altra serie di operazioni. Quello che era difficile comprendere erano i risvolti di politica estera e l'esecuzione materiale dell'operazione.

ALESSANDRO FORLANI. Quindi, ad una inopportunità di carattere politico non corrispondeva una inopportunità di carattere economico.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Esattamente.

ALESSANDRO FORLANI. Volevo solo rettificare, rispetto alla mia domanda: fu informato anche il Ministero del tesoro in via interlocutoria, anche se l'interrogazione era rivolta ad altri.

PRESIDENTE. Professor Draghi, prima di congedarla ho una curiosità che solo lei può togliermi. Noi siamo dei politici e non dei tecnici; quindi, le cose che possono apparire ovvie o addirittura banali hanno bisogno di confrontarsi con il vostro lessico, la vostra interpretazione, il vostro stile di intendere le cose.
Ad una domanda del senatore Consolo, se mai fosse ripetibile una operazione di questo genere, lei ha risposto icasticamente: speriamo di no. In seguito, insistendo sul tema, a conclusione delle risposte alle domande del senatore Consolo lei ha detto: basta vedere le minusvalenze per capire l'operazione che io - non lei, professore - mi permetto di definire un «disastro annunciato»: posso usare questo termine, in considerazione delle espressioni tecniche che lei ha scelto.
Visto che ci sono anche corsi di borsa (uso ancora le sue parole) che facevano lievitare l'interesse su questo comparto da parte degli azionisti e del mercato, se lei potesse sinteticamente - con qualche parola - definire l'operazione Telekom-Serbia alla luce non tanto del risultato di svendita di oggi (perché ciò dipende dall'alea del mercato: una cosa può essere importante un giorno e risultare infruttuosa il giorno successivo), ma degli elementi di valutazione e dal momento (abbiamo sentito Chirichigno, Agnes, Pascale dire: noi non l'avremmo mai fatto perché era sopravvalutata, perché c'era il rischio-paese, perché c'era la decozione dell'impianto locale), l'espressione usata da me, «disastro annunciato», utilizzata da parte di uno dei tanti auditi, può essere una sintesi della sua definizione oppure, se la corregge, quale definizione può dare?

MICHELE LAURIA. È opinabile!

PRESIDENTE. È un giudizio tecnico: non ho preso un uomo della strada e gli


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ho chiesto che cosa ne pensi di Telekom-Serbia: non è un referendum.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Presidente, le spiego perché ho un momento di incertezza. Non conosco i dettagli sostanziali dell'operazione e quindi non posso parlare di quanto accennava prima l'onorevole Consolo. Indubbiamente il rischio-paese esisteva. Perché ho un momento di incertezza? Perché poi l'operazione viene valutata dai revisori dei conti e dal collegio sindacale della società nella semestrale; viene valutata da tutti gli advisor nel corso della privatizzazione e non vengono al momento appostati fondi a fronte di future perdite. Capisco che qui la distinzione che faceva prima il professor Taormina tra cittadino della strada e tecnico torna ad essere rilevante: se io avessi valutato quell'operazione seriamente affetta da rischi, quale è ad esempio il rischio-paese, avrei avuto il dovere di appostare immediatamente, nel bilancio di Telecom, una perdita a fronte di tale operazione. La perdita poteva riguardare una parte, ma avevo il dovere di far questo ed i revisori, il collegio sindacale, gli auditor dovevano poi confortarmi nel mio appostamento. Nessuno di loro l'ha fatto, dal che si deduce che all'epoca non dessero questa valutazione di disastro annunciato.

PRESIDENTE. Nessuno di loro l'ha fatto: ma questo può essere imputabile a loro colpa per sottovalutazione, per sottostima del rischio, o no?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Evidentemente non avevano la sensazione che il rischio-paese fosse così rilevante da pregiudicare l'esito dell'operazione.

PRESIDENTE. Ma lei sa meglio di me che c'è una due diligence, che l'UBS, nostro advisor, aveva detto una certa cosa e poi fu invitato a gonfiare il prezzo: queste cose non denotano che nell'operazione c'era almeno un segnale di allerta (non voglio arrivare ad altro)?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Indubbiamente l'operazione viene condotta in una area a rischio guerra; quindi se lei mi chiede oggi, senza il beneficio del senno di poi (perché oggi è facile dire: io non l'avrei fatto)...

PRESIDENTE. Lasciamo stare: sarebbe indegno della domanda ed è indegno della risposta.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. C'era oggettivamente un rischio-paese: questa valutazione avrebbe indotto a non fare l'operazione o no? Questa è un'altra domanda ulteriore, la risposta alla quale occorre lasciarla a chi alla fine ha dato la valutazione conclusiva. Resta però il fatto che questo rischio non viene considerato in tutte le valutazioni fatte in sede di bilancio.

PRESIDENTE. Quindi, non potendo dire che non c'era, si può affermare che la situazione di rischio-paese non è stata valutata?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Oppure che è stata valutata ma si è ritenuto che potesse essere superata, o che le potenzialità di questa operazione fossero tali da poter far sopportare il rischio.

MICHELE LAURIA. E allora le operazioni in Sudamerica? È andata peggio!

PRESIDENTE. Non sto parlando del dopo.

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Questo bisogna chiederlo a chi ha espresso le valutazioni operative finali.


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PRESIDENTE. Allora valga come saluto: perché lei ha detto «speriamo di no»?

MARIO DRAGHI, Direttore generale pro tempore del Ministero del tesoro. Perché se uno guarda i risultati di bilancio di quell'operazione, con il senno di poi, non si tratta certamente di una operazione che si possa voler ripetere, né - se le modalità sono quelle esposte dall'onorevole Consolo (ripeto che mi appoggio alle sue osservazioni) - qualcuno potrebbe voler rifare una operazione con quelle modalità.

PRESIDENTE. Per noi basta. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.20.

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