XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3041
Onorevoli Deputati! - Nel corso dell'ultimo decennio
abbiamo assistito a notevoli cambiamenti negli scenari
dell'economia mondiale. Secondo autorevoli esponenti della
comunità accademica ed importanti istituzioni internazionali
come le Nazioni Unite o la Banca mondiale, alcune tra le più
rilevanti trasformazioni si sono registrate nel campo della
finanza e della distribuzione del reddito. L'accelerazione dei
processi di deregolamentazione finanziaria è stata
accompagnata da fenomeni di instabilità sempre più vistosi,
soprattutto in campo valutario. Inoltre, il pressoché completo
abbattimento dei vincoli alla libera circolazione
internazionale dei capitali ha fortemente ristretto i gradi di
libertà delle politiche economiche nazionali. E la
combinazione tra instabilità finanziaria e impotenza della
politica economica ha notevolmente contribuito alla
inquietante divaricazione dei redditi verificatasi, durante
gli anni '90, sia tra i Paesi che all'interno dei singoli
Paesi.
E' ormai vastissima la letteratura economica in grado di
dare fondamento e supporto ai nessi appena delineati. Sul
piano teorico, i recenti studi sull'incompletezza dei mercati,
sulle asimmetrie informative, sul comportamento speculativo
hanno ridestato l'attenzione degli economisti nei confronti
del problema dell'instabilità finanziaria e valutaria. Sul
piano dell'evidenza empirica, il succedersi continuo di crisi
valutarie in Europa, in Russia, nel sud est asiatico e in
America Latina, l'assenza di "basi oggettive" in grado di
spiegare gli enormi, repentini afflussi e deflussi di capitale
che spesso attraversano i Paesi meno sviluppati, l'esuberanza
irrazionale che ha guidato l'ascesa e il declino dell'economia
americana e gli squilibri di bilancia dei pagamenti ad essa
associati, questi e molti altri eventi hanno sollevato
fortissimi dubbi sulle proprietà taumaturgiche della mano
invisibile del libero mercato, in particolare del mercato
finanziario. In tal senso, gran parte della comunità
accademica sembra ormai aver fatto propria una famosa
affermazione del premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz,
secondo il quale il sostegno politico degli ultimi vent'anni
alla deregolamentazione finanziaria è stato "fondato più su un
legame ideologico nei confronti di una concezione idealizzata
dei mercati che sull'analisi dei fatti o della teoria
economica".
La medesima concezione idealizzata dei mercati ha spesso
indotto a trascurare le straordinarie divaricazioni dei
redditi associate al dilagare dei fenomeni di instabilità
valutaria e finanziaria. Eppure, a conferma dell'allargamento
della forbice distributiva basterebbe ricordare le forti
sperequazioni che sono state determinate dalle minacce di fuga
dei capitali e dalle conseguenti politiche restrittive e
disinflazioniste, o i costi in termini di compressione dei
salari e della spesa sociale fatti pagare ai lavoratori e alle
categorie più svantaggiate per conferire ai singoli Paesi
credibilità internazionale, oppure ancora l'arresto della
crescita economica e la disoccupazione scaturiti dallo scoppio
delle bolle speculative derivanti dall'apertura di molti Paesi
emergenti ai capitali internazionali. Messico, Indonesia,
Corea del Sud, Russia, ma in parte anche la stessa Italia nel
corso dei primi anni '90, sono solo alcuni dei moltissimi
Paesi che hanno vissuto simili fenomeni di spostamento dei
redditi e della ricchezza, generalmente a favore dei
possessori di attività finanziarie e a danno dei lavoratori e
dei beneficiari della spesa pubblica.
La rinnovata presa di coscienza nei confronti della
strutturale instabilità dei mercati monetari e finanziari e
dei danni che essa è in grado di provocare, ha riaperto il
dibattito sulla necessità di attribuire alla politica
rinnovati strumenti di controllo e di governo delle dinamiche
economiche. Sul piano valutario, l'attuale impotenza delle
istituzioni politiche nazionali si manifesta oggi nella
esiguità delle riserve delle Banche centrali in confronto alla
enorme massa di capitali privati circolanti, nella sostanziale
incapacità dei singoli Paesi di controllare le ondate di
capitale in entrata e in uscita, nell'impiego massiccio
dell'arma suicida dell'innalzamento dei tassi d'interesse per
tentare di rimediare alle crisi di fiducia. All'impotenza
delle autorità nazionali si aggiunge poi la drammatica
inadeguatezza delle istituzioni internazionali, come
dimostrato dalla fallimentare gestione della crisi asiatica da
parte del Fondo monetario internazionale. E' dunque sempre più
sentita l'esigenza di conferire alla politica nuove leve,
nazionali e internazionali, di controllo e di governo dei
mercati. Un'esigenza così forte da aver indotto il premio
Nobel per l'economia Amartya Sen ad invocare una riforma
radicale dell'ordine monetario mondiale, una riforma che
prenda "esplicitamente le distanze dall'architettura ereditata
da Bretton Woods", ormai inadeguata a soddisfare sia le
esigenze di stabilizzazione dell'economia mondiale che la
domanda di giustizia sociale che sempre più imponente sta
emergendo da tutti gli angoli del mondo.
Non è tuttavia semplice aprire un dibattito sul
delicatissimo tema della riforma dell'ordine monetario
internazionale. La comunità finanziaria vi si oppone e, più in
generale, le resistenze politiche sono ancora molto forti. Un
primo passo nella direzione del cambiamento è stato allora
individuato in una proposta, avanzata per la prima volta nel
1972 dal premio Nobel per l'economia James Tobin, basata sulla
istituzione di un'imposta sulle transazioni valutarie, la
cosiddetta "Tobin tax".
Per quanto semplice e limitata, la proposta di Tobin ha
raccolto negli ultimi anni il consenso di gruppi e movimenti
politici sempre più numerosi e significativi. Riguardo alla
comunità accademica, si è verificata una straordinaria
convergenza a sostegno della Tobin tax da parte di
economisti di diversa provenienza culturale e politica. Le
ragioni di un simile successo sono molte. Sul piano operativo,
spicca il fatto che una tassa sulle transazioni valutarie
appare in grado di contribuire contemporaneamente alla
riduzione dell'instabilità sui mercati valutari, all'aumento
dei margini di manovra delle autorità di politica economica
nazionale e all'intervento redistributivo per rimediare,
almeno in parte, alle sperequazioni dei redditi verificatesi
nel corso di questi anni. Sul piano politico, l'istituzione
della Tobin tax potrebbe simbolicamente rappresentare
una netta inversione di tendenza rispetto alle scelte di
deregolamentazione dell'ultimo ventennio. Uno strumento
semplice, dunque, per il perseguimento di molti obiettivi
complessi, sia operativi che politici.
Il funzionamento della Tobin tax è relativamente
agevole da comprendere. Essa consiste in un'imposta
proporzionale al valore di ogni transazione valutaria
effettuata, ed è pagata in egual misura da entrambe le parti
del contratto. Questo significa, ad esempio, che a fronte di
una conversione di un milione di euro in dollari, un'imposta
dello 0,1 per cento imporrebbe a ognuno dei contraenti di
versare al fisco 1.000 euro o il loro equivalente in
dollari.
Per avere un'idea intuitiva del modo in cui questo tipo di
imposta persegue gli obiettivi menzionati è opportuno
soffermare l'attenzione sul funzionamento del mercato
valutario. Una parte importante delle transazioni effettuate
su questo mercato è di natura speculativa. Esse sono cioè
realizzate da operatori che scommettono sull'andamento futuro
dei tassi di cambio. L'opinione dominante è che l'instabilità
dei cambi derivi proprio da questo tipo di transazioni: alcuni
ritengono infatti che la loro preponderanza sugli scambi
commerciali tenda a dissociare i tassi di cambio da qualsiasi
base oggettiva; altri, più semplicemente, affermano che gli
speculatori, agendo in base ad un'ottica di brevissimo
periodo, tendono a sconvolgere i piani a più lungo termine che
caratterizzano gli investimenti produttivi e gli scambi
commerciali. Ad ogni modo, l'istituzione di una Tobin tax
introdurrebbe una novità: essa infatti indurrebbe gli
speculatori ad effettuare soltanto le operazioni più
redditizie, quelle cioè il cui guadagno atteso sia in grado di
compensare l'imposta pagata. Pertanto, ridimensionando
l'attività speculativa, questo tipo di imposta dovrebbe anche
ridurre le oscillazioni delle valute e i relativi turbamenti
per l'attività produttiva e commerciale. Riguardo poi
all'obiettivo dell'ampliamento dei margini di manovra della
politica economica nazionale, va tenuto presente che gli
operatori finanziari orientano i loro acquisti verso le valute
in grado di assicurare i tassi d'interesse più elevati.
Pertanto, a parità di altre condizioni, una politica monetaria
espansiva, che comporti tassi d'interesse interni più bassi di
quelli prevalenti a livello internazionale, rischia di dar
luogo ad ingenti vendite di valuta nazionale. L'istituzione di
una Tobin tax potrebbe entro certi limiti disincentivare
quelle vendite, attribuendo così alle autorità di politica
monetaria un maggiore spazio di manovra sui tassi d'interesse.
A tutto ciò, e nonostante il fatto che l'imposta di per sé
riduca il volume di transazioni, occorre infine aggiungere il
gettito che da essa potrebbe scaturire. Secondo le ipotesi più
prudenti, un'imposta dello 0,1 per cento applicata alle
transazioni effettuate nell'Unione europea dovrebbe assicurare
un gettito di circa 30 miliardi di euro, una cifra superiore
agli attuali stanziamenti per lo sviluppo delle aree depresse
dell'Unione.
Questo tipo di descrizione del funzionamento della Tobin
tax ha ricevuto critiche di vario genere. Ad esempio, vi
è stato chi ha sostenuto che l'imposta è distorsiva, poiché
pregiudicherebbe l'allocazione efficiente delle risorse
determinata dal libero operare delle forze di mercato. Ma
questa obiezione si basa sull'ipotesi che il mercato si trovi
perennemente in condizioni ottimali e che la speculazione sia
sempre stabilizzante; assunzioni che la letteratura più
avanzata considera ormai improponibili, e che sopravvivono nel
dibattito politico solo in base all'interesse o al pregiudizio
ideologico. Altri hanno invece evocato il pericolo che
l'imposta colpisca le transazioni commerciali piuttosto che
l'attività speculativa. Ma, dato il basso livello
dell'aliquota, è ragionevole ritenere che l'imposta
inciderebbe essenzialmente sugli speculatori, cioè su coloro
che, effettuando il maggior numero di scambi valutari,
sarebbero costretti a pagarla più spesso. Altri ancora hanno
parlato di un pericolo di illiquidità o del fatto che
l'imposta colpirebbe anche le operazioni di copertura contro
il rischio. Ma pure nei confronti di tali perplessità la
letteratura economica favorevole alla Tobin tax ha
offerto argomentazioni convincenti, come ad esempio il fatto
che, riducendo l'instabilità dei cambi, l'imposta potrebbe in
molti casi liberare gli operatori dalla necessità stessa di
coprirsi contro il rischio. Del resto, come è stato ammesso in
un recente rapporto sulla Tobin tax del Parlamento
europeo, è ormai assodato che le obiezioni più significative
all'introduzione della tassa non sono di natura analitica, ma
si riferiscono alla sua effettiva praticabilità politica.
L'ostacolo fondamentale all'istituzione di un'imposta
sulle transazioni valutarie è infatti sempre consistito nella
difficoltà di immaginare un accordo mondiale per
l'applicazione simultanea della stessa su tutte le piazze. Un
simile accordo è ritenuto necessario per evitare di veder
migrare gli scambi valutari nei mercati in cui l'imposta non
sia applicata. Ma al di là di pochi, timidi tentativi delle
Nazioni Unite a metà degli anni '90, un'intesa del genere non
è mai stata effettivamente perseguita nelle sedi della
politica internazionale.
L'accordo multilaterale e simultaneo, insomma, appare
difficilmente praticabile. Nostra opinione, tuttavia, è che
l'impraticabilità di un simile accordo derivi in gran parte
dalla pretesa che esso debba emergere dal nulla, anziché
magari da un complesso di iniziative minori già consolidate.
E' in questo senso che riteniamo fondamentale, allo stato
attuale del dibattito, promuovere l'introduzione di un'imposta
sulle transazioni valutarie all'interno dell'Unione europea.
Ed è nella medesima ottica che proponiamo, in subordine, che
un'imposta ancor più contenuta venga istituita anche soltanto
in Italia. L'Italia in Europa e l'Europa nel mondo potrebbero
in tal modo assumere il ruolo di battistrada per il
raggiungimento di un'intesa a livello mondiale.
La critica principale che viene rivolta a tale "strategia
dal basso", alternativa all'accordo multilaterale e
simultaneo, è che la migrazione delle transazioni verso le
piazze esentate dall'imposta sarebbe immediata e imponente.
L'ipotesi è che la reattività degli operatori finanziari
all'introduzione di una simile imposta sia molto alta, anche
nel caso in cui l'aliquota sia contenuta, e che non
sussisterebbero ostacoli significativi allo spostamento di
enormi volumi di transazione da una piazza all'altra. La
letteratura economica, tuttavia, ha ormai chiarito che tali
assunzioni riflettono solo una possibilità estrema all'interno
di un ventaglio molto più ampio di esiti possibili. Non va
dimenticato, in tal senso, che sono già esistite in passato
situazioni di coesistenza di regimi fiscali differenziati in
un contesto di libera circolazione dei capitali, e che solo di
rado si sono riscontrate reazioni immediate e violente da
parte degli operatori finanziari. Ma soprattutto, è bene
chiarire che il vizio fondamentale delle critiche basate sulla
migrazione delle transazioni sta nel fatto che tali critiche
assumono implicitamente lo scenario politico come un dato
immutabile, laddove invece l'obiettivo fondamentale di una
"strategia dal basso" verte proprio sull'intento di scuotere
quello scenario, per sollecitare l'applicazione dell'imposta
da parte di tutti i Paesi e più in generale per dimostrare che
i tempi sono maturi per il rilancio del dibattito sulla
riforma del sistema monetario internazionale.
La Tobin tax non è la panacea. E' uno strumento
operativo di cui ormai conosciamo tutti i limiti, ma anche le
oggettive potenzialità. E' inoltre un simbolo politico di
rinnovamento, un possibile segnale di svolta dopo anni di
irresponsabile arretramento della politica dalla gestione
della moneta e della finanza. La scelta di una proposta di
legge di iniziativa popolare è stata pensata nell'ottica di
tale possibile svolta. Con essa si vuole esprimere la volontà
di inaugurare un nuovo modo di fare politica, basato
sull'esperienza della democrazia partecipativa, sperimentata
con successo dal comune di Porto Alegre e dallo Stato del Rio
Grande do Sul. La partecipazione politica "dal basso" è
testimoniata dall'emergere di un consenso ampio, plurale e
trasversale attorno agli obiettivi concreti della legge. La
raccolta di firme necessaria a presentare questa proposta di
legge, infatti, è frutto di una campagna ideata e condotta
dalla rete internazionale dell'Associazione per la tassazione
delle transazioni finanziarie e per l'aiuto ai cittadini
(ATTAC), una campagna che in Italia e in Europa ha ricevuto il
sostegno di varie associazioni, organizzazioni non
governative, sindacati, reti, istituzioni locali, e di
moltissime personalità del mondo della politica, della cultura
e dello spettacolo.
Con l'entrata in vigore della legge, l'Italia si
assumerebbe il prezioso incarico di promuovere l'imposta
all'interno dell'Unione europea. Una commissione mista
verrebbe istituita al fine di elaborare una proposta
legislativa da presentare alle istituzioni comunitarie
competenti. In un secondo momento, queste ultime riceverebbero
una ulteriore sollecitazione politica dall'istituzione di una
moderata aliquota d'imposta sulle sole transazioni valutarie
effettuate nel nostro Paese, un'aliquota che andrebbe
periodicamente allineata a quelle eventualmente introdotte
dagli altri Paesi membri dell'Unione europea.
Il sentiero delineato dalla legge è razionale e
praticabile. Esso riflette non solo l'esigenza specifica di
affrontare problemi finanziari e distributivi concreti, ma
anche la volontà più generale di aprire un confronto tra le
istituzioni e i movimenti per porre rimedio agli strutturali
fallimenti economici e sociali scaturiti dal rozzo impianto
liberista degli indirizzi politici dell'ultimo ventennio. Dopo
aver direttamente subìto gli effetti di quei fallimenti,
milioni di cittadini in Italia e nel mondo esigono che
finalmente si compia un primo passo per inaugurare, a livello
nazionale e internazionale, l'apertura di un cantiere
progettuale alternativo, necessario preludio per una nuova
stagione di conquiste politiche e sociali. E' in quest'ottica
generale, concreta e ambiziosa al tempo stesso, che
l'iniziativa italiana per un'imposta europea sulle transazioni
valutarie andrà letta e giudicata.