XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1233
Onorevoli Colleghi! - In seguito alle crisi finanziarie
del Sud-est asiatico, dell'America latina e della Russia, è
diventato sempre più necessario regolamentare i mercati
finanziari controllando fenomeni negativi dovuti alla sempre
maggiore internazionalizzazione dei mercati stessi, come le
transazioni finanziarie a breve o brevissimo termine, ma anche
attuando modalità alternative per affrontare su scala globale
problemi quali la povertà e il degrado ambientale.
Nei tre decenni scorsi abbiamo assistito a un progressivo
allontanamento dell'economia finanziaria da quella reale, un
"divorzio" che ha trasformato profondamente la struttura
dell'economia mondiale.
Nella maggior parte dei Paesi occidentali, negli anni
ottanta, ogni controllo sui capitali è stato progressivamente
ridotto, come ogni controllo e limitazione delle attività
delle banche commerciali e di investimento. Quest'ondata di
liberalizzazione ha fatto sì che nel decennio successivo molti
Paesi in via di sviluppo abbandonassero a loro volta i
controlli sui movimenti di capitali.
1. Globalizzare i diritti.
Nel corso degli ultimi anni, in molti Paesi, si sono
moltiplicate le iniziative anche parlamentari tese a formulare
proposte per porre un freno alla speculazione finanziaria
internazionale e per prevenire i rischi di destabilizzazione
delle valute, delle economie e delle società nazionali.
Tra le proposte più note figura quella avanzata da James
Tobin, premio Nobel per l'economia nel 1981. La sua proposta è
diventata un po' l'emblema della volontà di riconquistare alla
democrazia gli spazi ad essa confiscati dall'espandersi del
dominio della sfera finanziaria su scala planetaria, e della
volontà di operare una ridistribuzione della ricchezza tra il
nord ed il sud del mondo, fornendo importanti risorse per
finanziare la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla
povertà.
A partire da quel contributo si è sviluppato un ampio
dibattito a livello scientifico internazionale che ha
approfondito la concreta praticabilità della Tobin tax;
in questo dibattito sono di rilievo i contributi di Rodney
Schmidt e di Paul Bernd Spahn (Feasibility of the Tobin
Tax, Ministero delle finanze del Canada - 1977; The
Tobin Tax and Exchange Rate Stability- 1996).
Certo la Tobin tax non esaurisce di per sé il
dibattito sulla regolazione dell'economia su scala globale,
sulla mondializzazione e sulle relazioni nord-sud. Ma può
costituire un passo in avanti verso la costruzione di una
economia mondiale nella quale la crescita sia messa al
servizio di uno sviluppo cooperativo e della riduzione delle
ineguaglianze.
Questa proposta solleva vari altri temi:
quello dei "paradisi fiscali" utilizzati da molte grandi
aziende per sfuggire agli impegni di solidarietà sociale non
contribuendo adeguatamente al proprio dovere fiscale (come
fanno, per ammissione dell'interessato, anche quelle possedute
dal nostro Presidente del Consiglio dei ministri);
quello della tassazione dei movimenti di capitali in
generale;
quello del controllo dei fondi speculativi;
quello delle politiche del Fondo monetario
internazionale e della Banca mondiale;
quello dei debiti dei Paesi in via di sviluppo.
Più in generale, essa solleva il tema di una nuova
architettura finanziaria, economica e sociale
internazionale.
Infatti, non si può pensare di globalizzare solo il
mercato ed i profitti, ma occorre globalizzare
contemporaneamente e soprattutto i diritti.
"Globalizzare la solidarietà" è il progetto lanciato
da Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace del
1998: "La sfida insomma è quella di assicurare una
globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza
marginalizzazione" scrisse il Pontefice nel discorso "Dalla
giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti" del 1^
gennaio di quell'anno.
Nel '900, tramite l'organizzazione, le lotte dei movimenti
operai e la spinta dei ceti popolari, si è realizzato un
sistema di Welfare State che ha consentito non solo la
coesione sociale ed una maggiore giustizia, ma anche uno
sviluppo più forte dei sistemi produttivi nazionali.
Oggi, con la mondializzazione, con la crisi dello Stato
nazionale (terreno fondamentale e soggetto attivo del
Welfare), con lo sviluppo impetuoso dei flussi
finanziari, di beni, di servizi e di popolazione, esiste un
serio rischio (peraltro già in atto) di ritorno ad un
capitalismo selvaggio, senza regole, che condanna miliardi di
uomini, donne e bambini a livelli di vita indegni di una
persona umana.
Il compito che abbiamo di fronte è dunque molto più
complesso che nel passato e si svolge su scala planetaria: è
quello di ottenere una più equa distribuzione della ricchezza
e di garantire in maniera universale i diritti sociali
fondamentali e di libertà. Questo obiettivo non risponde solo
ad un'esigenza di giustizia elementare, ma corrisponde, come
ha ben capito anche uno dei maggiori protagonisti della
finanza internazionale, Georges Soros, anche all'interesse
strategico dei Paesi più ricchi e sviluppati.
Lo ripete da almeno dieci anni, come dimostra questo brano
dell'enciclica Centesimus annus del 1991, lo stesso
Pontefice: "Oggi è in atto la cosiddetta mondializzazione
dell'economia, fenomeno, questo, che non va deprecato, perché
può creare straordinarie occasioni di maggior benessere.
Sempre più sentito, però, è il bisogno che a questa crescente
internazionalizzazione dell'economia corrispondano validi
Organi internazionali di controllo e di guida, che indirizzino
l'economia stessa al bene comune, cosa che ormai un singolo
stato, fosse anche il più potente della terra, non è in grado
di fare".
2. Volatilità dei capitali e crisi.
Dopo lo sganciamento, avvenuto nel 1971, del valore del
dollaro USA da quello dell'oro e la liberalizzazione del
mercato delle valute, il volume delle transazioni monetarie si
è moltiplicato per 83. Nel 1973 ancora l'80 per cento delle
transazioni monetarie era collegato al commercio. Dal 1986 al
1999, il volume delle transazioni sul mercato delle valute è
passato da una media di 200 miliardi di dollari al giorno ad
una di 1.800-2.000 miliardi di dollari "al giorno" (il doppio
del nostro prodotto interno lordo nazionale annuale, tanto per
avere un'idea della dimensione in gioco), secondo i dati della
Banca per i regolamenti internazionali.
Per fare un paragone, il totale degli scambi annuali di
beni e servizi è stimato in 4.300 miliardi di dollari, in
pratica l'equivalente di meno di una settimana di transazioni
sul mercato delle valute.
Attualmente, più del 95 per cento delle transazioni
finanziarie non ha nessun legame con lo scambio di merci, di
servizi o con investimenti, ed è puramente speculativo. Più
del 40 per cento di queste transazioni corrisponde a delle
operazioni di acquisto e di rivendita che si esauriscono in un
periodo inferiore ai tre giorni, e l'80 per cento del volume
globale delle transazioni corrisponde a delle operazioni che
si svolgono in meno di una settimana!
L'informatica e le telecomunicazioni hanno dato un impulso
fortissimo ad una tendenza che solo venti anni fa
rappresentava un fenomeno marginale. Gli operatori speculano
su delle variazioni anche minime dei tassi e dei corsi di
cambio tra le valute, anticipandole o provocandole.
Le risorse valutarie che le Banche centrali possono
movimentare equivalgono appena al volume delle transazioni
quotidiane sul mercato mondiale. In virtù del loro carattere
imprevedibile, questi movimenti di capitali possono in poche
ore provocare il crollo di una moneta, la crisi dell'economia
di un intero Paese e fare sprofondare tutta la sua popolazione
nella recessione. Non si tratta di un pericolo astratto: basta
avere a mente la crisi messicana del 1995, la crisi del
Sud-est asiatico del 1997, la crisi russa del 1998, la crisi
brasiliana del 1999; e se non vogliamo andare a vedere solo in
casa degli altri, basta ricordare il ruolo del Fondo
Quorum di Georges Soros nella crisi del Sistema
monetario europeo nel 1993.
Nel corso della crisi del Sud-est asiatico del 1997, il
crollo delle monete dell'area si è immediatamente tradotto in
una fuga rapida e massiccia dei capitali investiti che a sua
volta ha provocato la chiusura di migliaia di imprese, una
ondata massiccia di licenziamenti, un calo medio della
produzione del 10 per cento ed in alcuni Paesi fino al 16 per
cento.
"Anche una caduta del 10 per cento del prodotto nazionale
lordo può non sembrare gran cosa", sostiene Amartya Sen nel
suo saggio "Lo Sviluppo è Libertà", "se viene dopo una
crescita economica del 5-10 per cento annuo durata per
decenni; eppure questa diminuzione può decimare la popolazione
e gettare milioni di persone nella sofferenza se il suo peso
non viene ripartito fra tutti ma si permette che gravi per
intero sulle persone meno capaci di reggerlo. I disoccupati e
coloro che sono stati appena trasformati in "esuberi"".
Gli fa eco un documento del Consiglio dei vescovi
latino-americani ancora riservato (citato da Roberto Rotondo
in Questi popoli che piacciono alla Chiesa- Limes -
I popoli di Seattle- n. 3/2001), ma arrivato alla sua
quarta e quasi definitiva stesura, che si intitola "Le
sfide della globalizzazione e la nuova evangelizzazione in
America Latina", e che spiega che "nella Chiesa abbiamo una
certa tendenza a demonizzare gruppi e persone che vivono
dentro il mondo della finanza. Ma quando si vedono le cose con
lucidità si capisce che il problema non sono i soldi in quanto
tali ma la finanza che non viene dal lavoro: le speculazioni,
il denaro che produce denaro".
Dopo la crisi asiatica si era sviluppato un dibattito
sulla necessità di una profonda riforma del sistema
finanziario e sulla necessità di "una nuova architettura
finanziaria internazionale". Sono passati quattro anni, ma
niente è cambiato. Il sistema finanziario internazionale è
sempre lo stesso, vulnerabile ed esposto oggi come allora agli
effetti dei suoi propri eccessi.
3. A cosa può servire la Tobin tax?
Innanzitutto occorre rilevare come la stragrande
maggioranza delle transazioni sulle valute (l'82 per cento)
viene effettuata su 8 piazze finanziarie, il 96 per cento
delle transazioni su 16 piazze: in pratica l'Europa, gli USA,
il Giappone, Hong Kong, Singapore e poco più. Circa il 50 per
cento degli scambi avviene all'interno dell'Unione europea e
circa l'80 per cento su piazze situate nei Paesi del G7 o
dell'Unione europea. Questi dati delimitano il terreno
d'azione per fare adottare l'imposta Tobin su scala
internazionale.
Per formulare la sua proposta, James Tobin ha ripreso una
intuizione del 1936 di Keynes, il quale esaminando le cause
della crisi del 1929 già all'epoca proponeva di tassare sia
pure in misura ridotta tutte le transazioni finanziarie.
La maggior parte delle speculazioni sul mercato delle
valute consiste nel giocare d'anticipo su variazioni anche
minime dei tassi e dei cambi delle monete; questa pratica può
consentire grossi guadagni a causa delle somme rilevanti
impiegate e si possono così determinare reazioni a catena di
dimensioni gigantesche.
La proposta della tassa Tobin consiste in un'imposta con
un'aliquota molto bassa che non coinvolge gli scambi di beni e
servizi e gli investimenti, ma che colpisce le transazioni
speculative che operano molteplici andirivieni, operando come
un freno per tali pratiche. James Tobin paragonava questa
imposta ad un "granello di sabbia negli ingranaggi della
finanza internazionale".
Se l'aliquota fosse dello 0,1 per cento quale sarebbe il
potere di dissuasione della Tobin tax? Valutando per un
determinato giorno una variazione dello 0,2 per cento del
cambio tra due monete, l'operazione di acquisto e di rivendita
su 1 miliardo di dollari può fruttare 2 milioni di dollari:
l'esatto ammontare dell'imposta. Per l'operatore l'operazione
perde il suo interesse ed egli non interverrà sul mercato che
per variazioni prevedibilmente superiori allo 0,2 per
cento.
Gli economisti sostengono che in realtà il potere di
dissuasione sarebbe più significativo, perché il differenziale
da prendere in considerazione deve fare riferimento al tasso
di profitto di un investimento "senza rischio", ad esempio, in
titoli del tesoro del Paese della moneta di partenza. Si
calcola che il potere di dissuasione reale dell'imposta
sarebbe superiore per una data operazione al doppio del valore
dell'aliquota. L'operazione speculativa, infatti, è
"interessante" per gli operatori se il guadagno atteso ha un
tasso superiore alla somma della percentuale di profitto
dovuto ad un investimento "sicuro" nel Paese della moneta di
origine al quale va aggiunto il doppio dell'aliquota della
Tobin tax.
Per questo gli economisti che sostengono il valore
dell'introduzione di questa imposta propongono un'aliquota
molto bassa pari allo 0,05 per cento.
Gli effetti positivi della Tobin tax sarebbero
tre:
una certa stabilizzazione dei flussi finanziari;
una maggiore autonomia degli Stati e delle Banche
centrali nella gestione della propria politica monetaria;
la creazione di un gettito importante.
4. Cosa fare con il gettito della Tobin tax?
Innanzitutto occorrerebbe fare delle previsioni sulle
risorse che si renderebbero disponibili. Nata per frenare le
transazioni speculative questa imposta avrebbe come effetto la
diminuzione del proprio potenziale imponibile di partenza: è
quella che gli americani chiamano una sin tax, "una
tassa sui peccati", come le accise sui tabacchi o sugli
alcolici. Dunque non è facile fare previsioni.
Una stima di alcuni economisti (Felix D. e R. Sau -
Oxford University Press) sulla base degli scambi
effettuati nel 1995 prevede, con un'aliquota pari allo 0,05
per cento, un gettito di circa 100 miliardi di dollari.
Generalmente sulla base dei dati del 1998 e del 1999, si
calcola il gettito della Tobin tax tra i 50 ed i 250
miliardi di dollari, ossia tra i 114 mila e i 570 mila
miliardi di lire al cambio attuale.
Per fare dei paragoni occorre considerare che il Programma
delle Nazioni unite per lo sviluppo (PNUD) valutava i costi
del programma per soddisfare i bisogni nutrizionali e sanitari
di base in 13 miliardi di dollari l'anno, e quelli del
programma di accesso all'acqua potabile in 9 miliardi di
dollari. Il PNUD valutava il costo complessivo delle azioni
per eliminare le forme più estreme di povertà, per fornire
acqua, energia, strutture sanitarie ed educative di base nei
Paesi del terzo mondo tra i 30 ed i 40 miliardi di dollari
all'anno.
Dunque il gettito della Tobin tax darebbe un forte
impulso ai programmi di lotta alla povertà e per lo
sviluppo.
E' anche, del resto, l'opinione di molti importanti
economisti, tra i quali ci piace citare Susan George, autrice
di ricerche sul debito dei Paesi in via di sviluppo, che in un
suo saggio del 1995, scriveva: "è inoltre indispensabile un
codice di condotta per le società transnazionali, che dovranno
essere assoggettate a un'imposta, alfine di (...) attuare
trasferimenti di risorse (per scopi ben definiti) a vantaggio
delle fasce di popolazione più deboli, sia nel mondo
sviluppato che in quello in via di sviluppo. Le banche
commerciali e le transazioni in valuta dovrebbero pure essere
soggette a un'imposizione (in base al programma delle Nazioni
unite per lo sviluppo <Pnud> la tassa dello 0,05 per cento
proposta da M. Tobin darebbe annualmente un gettito di 150
miliardi di dollari)".
Le operazioni sulle piazze italiane rappresentano
all'incirca l'1 per cento delle transazioni, per cui il nostro
gettito dovrebbe oscillare tra i 1.100 ed i 5.700 miliardi di
lire. Attualmente il nostro Paese spende ogni anno circa 1.000
miliardi di lire per la cooperazione allo sviluppo.
5. Le obiezioni "tecniche".
L'obiezione più comune è quella che paventa il
dirottamento dei flussi finanziari verso i Paesi che non
applicano tale tassa o verso centri off-shore, cioè
verso Paesi a regimi fiscalmente privilegiati ossia verso i
cosiddetti "paradisi fiscali".
Questo pericolo è volutamente amplificato. Se fosse del
tutto vero perché i mercati dei cambi non sono già oggi tutti
collocati nei centri off-shore? La risposta è che
esistono ben altri motivi per indurre un istituto di credito a
localizzare le sue operazioni nei Paesi più importanti
dell'economia mondiale.
C'è da considerare che misure simili alla tassa Tobin sono
state introdotte negli ultimi anni, in Paesi quali il Cile e
la Malesia, per scoraggiare i flussi di capitali a breve
termine, ad esempio, imponendo una cauzione calcolata come
quota percentuale del capitale investito in relazione alla
durata dell'impiego, con ricadute positive sulla stabilità
monetaria e sugli investimenti.
Occorre ricordare anche come diversi ed importanti mercati
finanziari applicano già oggi delle imposte sulle transazioni
del mercato azionario come a Singapore (0,2 per cento), a Hong
Kong (0,4 per cento) negli USA (0,0034 per cento) ed in
Francia (dallo 0,6 allo 0,3 per cento a seconda dell'ammontare
e della tipologia della transazione).
Inoltre, i motivi per cui si utilizzano le grandi piazze
finanziarie sono molteplici ed importanti: la sicurezza e la
struttura evoluta del mercato stesso sono caratteristiche che
fanno sì che i centri off-shore non possono facilmente
sostituire Londra o Wall Street. Peraltro una misura
dissuasiva può essere quella di tassare con un'aliquota alta
tutte le uscite di capitali da un centro off-shore verso
una grande piazza finanziaria.
Queste misure aiuterebbero anche l'azione dei governi nel
quadro della lotta internazionale al riciclaggio del denaro
sporco.
Un'altra importante obiezione concerne i dubbi relativi
alla sua realizzazione in un solo Paese. La nostra proposta di
un'aliquota zero in attesa della sua adozione da parte dei
Paesi della Unione europea risponde già in parte a questa
obiezione. Bisogna poi considerare, come abbiamo già visto
prima, che i mercati dei cambi sono molto concentrati ed in
pratica l'80 per cento delle transazioni avviene in soli otto
Paesi. Da qualche parte occorre ben iniziare. Proponiamo che
inizi l'Unione europea (e non solo i Paesi della zona euro) al
fine di creare quella che potremo chiamare "un'area Tobin".
L'Unione europea ha un peso economico equivalente a quello del
Nord America e rappresenta circa la metà del mercato mondiale
delle valute. Dispone dunque dello spazio economico e politico
sufficiente per iniziare ad applicare l'imposta tra l'euro e
tutte le altre valute. Si potrebbe anche prevedere un
meccanismo incentivante per allargare i confini dell'"area
Tobin": praticare un'aliquota più bassa per gli scambi tra le
valute dei Paesi dell'area. Non è prevedibile una fuoriuscita
di capitali dall'Unione, né una delocalizzazione permanente:
chi lo farebbe rinuncerebbe ad un mercato decisivo. Ne
varrebbe la pena per sfuggire alla Tobin tax?
Alcuni ritengono che la Tobin tax non sia uno
strumento sufficiente per opporsi alla speculazione. Dobbiamo
distinguere diversi casi. Possiamo ipotizzare una prima
possibilità nella quale la speculazione ordinaria, quella che
gioca e/o provoca le fluttuazioni minime quotidiane delle
quotazioni delle valute, sfoci in un attacco speculativo di
più ampia portata. Quando un pugno di speculatori influenti
testano la solidità di una moneta e realizzano buoni guadagni,
possono trascinarsi dietro un numero crescente di speculatori.
L'utilità della tassa Tobin è quella di agire a monte,
scoraggiando le prime operazioni speculative.
Una seconda ipotesi è quella relativa al caso in cui si
coalizzano un numero significativo di speculatori per fare
cadere il corso di una valuta anche del 20 o del 30 per cento,
mobilitando risorse superiori a quelle che può mettere in
campo la Banca centrale del Paese preso di mira (vedi la
speculazione contro la sterlina e contro la lira nel 1992). La
risposta consiste nell'aumentare l'aliquota dell'imposta in
proporzione all'intensità dell'attacco speculativo. Si
potrebbe adottare in sede internazionale la proposta formulata
dall'economista tedesco Paul B. Spahn di un sistema monetario
internazionale nel quale le principali monete si impegnano a
fluttuare, sul modello dello SME, dentro un intervallo
stabilito in precedenza (ad esempio: -5 per cento e +5 per
cento); nel caso che si superino i limiti di tale intervallo,
l'aliquota dell'imposta aumenterà ad un livello molto più
elevato. Questo meccanismo avrebbe sia un carattere dissuasivo
che uno repressivo.
In merito alle difficoltà tecniche della sua attuazione
dovute alle nuove tecnologie delle comunicazioni, occorre
riflettere come queste tecnologie creino nuove opportunità per
evadere l'imposta, ma anche e soprattutto mezzi aggiuntivi a
disposizione delle pubbliche amministrazioni per renderla
effettivamente obbligatoria.
Si potrebbe utilizzare INTERNET per creare sistemi di
pagamento privati tra grandi gruppi o banche multinazionali
per evitare di pagare la Tobin tax. Questa possibilità
esiste ma non è di così semplice attuazione perché esistono
problemi di costi e di sicurezza. Il diritto internazionale è
in materia in rapida evoluzione. Dal 1990 sono stati
sottoscritti accordi internazionali tra le Banche centrali dei
dieci principali Paesi chiamati "standard minimi
Lamfalussy" (Presidente della Commissione della Banca per i
regolamenti internazionali (BRI), la cosiddetta "Banca
centrale delle banche centrali" con sede a Basilea, Svizzera),
accordi confermati nel 1998. Essi consentono alle Banche
centrali di ogni Paese di rifiutare l'accesso al sistema
domestico di pagamento di cui hanno la sorveglianza, a tutti
gli operatori finanziari privati, nazionali o stranieri, che
rifiutino di applicare la legislazione nazionale, ad esempio
la Tobin tax.
Ma il mercato delle valute è un mercato all'ingrosso dove
gli istituti di credito realizzano circa il 90 per cento delle
transazioni. Le banche realizzano le loro transazioni tramite
dei sistemi di pagamento nazionali oggetto di una
regolamentazione nazionale assai rigorosa e la cui
applicazione è sotto la sorveglianza delle Banche centrali di
ogni Paese. Questi sistemi di pagamento nazionali utilizzano
in maniera intensiva le nuove tecnologie, a tale punto che si
può oramai parlare di sistemi di pagamento elettronici. Essi
permettono di identificare una transazione finanziaria stilata
nelle due diverse valute, così come l'identità delle banche
che operano la transazione. E' dunque tecnicamente possibile
identificare un'operazione di cambio e prelevare l'imposta
realizzando le necessarie modifiche nei programmi informatici
per il suo prelievo automatico. Il costo del prelievo
dell'imposta sarebbe in questa maniera molto contenuto.
Nell'ambito dell'Unione europea un sistema di posta
bancaria elettronica chiamata "Target", sotto la
responsabilità della Banca centrale europea, è stato
istitutito per compatibilizzare i sistemi di pagamento di
tutti gli Stati membri. Un progetto più ambizioso mira a
creare, sotto la guida dei venti più importanti istituti di
credito del mondo, una banca dei regolamenti centralizzata su
scala globale (Continuous Linked Settlement, CLS
Banck).
Una possibilità di evadere la Tobin tax è legata ai
prodotti finanziari innovativi (i cosiddetti "derivati")
alcuni dei quali consentono di evadere le transazioni di
valute tradizionali. Se l'imposta è prelevata nel luogo della
regolazione (settlement site), dal punto di vista del
sistema di pagamento non c'è distinzione tra una transazione
classica ed un derivato, perché ambedue implicano un cambio di
valute. Se il derivato non prevede un cambio di valute i tassi
delle valute non ne risentiranno: è proprio lo scopo della
Tobin tax! Si potranno inventare nuovi prodotti
finanziari sempre più complessi e costosi. Ma ne vale la pena
solo per sfuggire ad una modestissima tassa sui cambi?
Infine ci è stato obiettato che molte transazioni, anche
di breve o brevissimo periodo, non sarebbero di natura
speculativa ma al contrario operazioni di copertura
assicurativa. Si stima che un ordine di cambio dato da
un'impresa alla sua banca dà luogo ad un numero di transazioni
compreso tra 5 e 10, per evitare di addossarsi il rischio di
cambio, fino a quando i clienti finali (spesso operatori non
bancari) assumono il rischio. Queste operazioni di rivendita
ad altre banche rappresentano le operazioni di copertura
assicurativa. Questo fenomeno è sicuramente presente ma le
banche speculano anche per proprio conto sui cambi ritardando
le operazioni di copertura sperando in un'evoluzione
favorevole dei tassi di cambio. A volte stabiliscono tra di
loro accordi per portare l'attacco ad una moneta, infine
prendono commissioni importanti per le operazioni di cambio.
E' dunque legittimo sottoporle alla Tobin tax.
Per rispondere alle obiezioni tecniche, sollevate in buona
o in cattiva fede, nei riguardi dell'istituzione di un'imposta
sulle transazioni finanziarie valutarie, da anni al centro di
un intenso dibattito internazionale, sono state elaborate
almeno una decina di ipotesi. Lo stesso Parlamento europeo ha
prodotto uno studio di fattibilità sulla Tobin tax
(The feasibility of an international "Tobin Tax" - Econ-107
EN - marzo 1998). In tale Rapporto si può leggere (a pagina
72) nelle conclusioni: "La fattibilità della tassa Tobin in
realtà dipende meno da fattori tecnici ed economici che dagli
sviluppi politici a livello internazionale".
Dunque, la scelta a favore dell'introduzione della Tobin
tax è innanzitutto di carattere politico.
Serve dunque "una certa audacia nelle decisioni dei
Governi, che dia speranza ai più poveri", come è stata
invocata recentemente da Monsignore Gianpaolo Crepaldi,
Segretario del Pontificio Consiglio per la giustizia e la
pace.
6. Un movimento internazionale a favore della Tobin
tax.
Un movimento a favore della Tobin tax si è
sviluppato da diversi anni in diversi Paesi. Fuori dall'Unione
europea l'iniziativa più importante è rappresentata
dall'approvazione da parte del Parlamento canadese, nel marzo
1999, con una maggioranza dei due terzi, di una mozione a
favore dell'introduzione di questa imposta. Altre iniziative
hanno interessato i Parlamenti del Brasile e perfino il
Congresso degli Stati Uniti d'America.
Insieme ad altri colleghi italiani il primo firmatario
della presente proposta di legge ha personalmente sottoscritto
un appello, firmato da circa mille parlamentari di tutto il
mondo, a favore della Tobin tax.
Nel Parlamento europeo esiste un intergruppo su
"Tassazione del capitale, fiscalità, mondializzazione" che ha
presentato nel gennaio 2000 una mozione al Parlamento europeo
che prevedeva la tassa Tobin e che non è stata approvata per
soli sei voti.
Nel frattempo il Governo finlandese si è pronunciato a
favore dell'imposta. Dibattiti importanti si sono svolti nella
Camera dei comuni; esistono intergruppi parlamentari e sono
state presentate mozioni in tale senso in vari Parlamenti
europei (Francia, Belgio, Italia, eccetera).
L'Assemblea parlamentare paritaria dell'Unione europea e
dei Paesi ACP (per lo più africani), ossia i rappresentanti di
86 Paesi, si è recentemente pronunciata a favore della Tobin
tax.
Nella scorsa legislatura una mozione ha raccolto le firme
di 60 deputati di vari gruppi de l'Ulivo. Mozioni erano state
presentate da altri parlamentari alla Camera dei deputati e al
Senato della Repubblica. Nerio Nesi ed altri avevano
presentato sempre nella scorsa legislatura una proposta di
legge.
Dopo Seattle una nuova opinione pubblica mondiale chiede
una gestione diversa della mondializzazione dell'economia, che
costruisca una nuova solidarietà internazionale sui terreni
della lotta alla povertà e per lo sviluppo umanamente
sostenibile. Lo stesso movimento per l'introduzione della
Tobin tax si sta organizzando internazionalmente, anche
nel nostro Paese, raccogliendo molteplici associazioni di
diverso indirizzo culturale, inclusa una larga fetta
dell'associazionismo cattolico. Abbiamo appreso con interesse
e soddisfazione che l'onorevole Buttiglione presenterà una sua
proposta di legge per l'istituzione dell'imposta Tobin nel
nostro Paese.
Recentemente gli stessi giovani industriali riuniti a
Santa Margherita Ligure hanno proposto una imposta sulle
transazioni finanziarie internazionali, con la quale
affrontare i problemi dell'ambiente e del sottosviluppo del
mondo.
La recente riunione della sezione italiana
dell'associazione ATTAC svoltasi a Bologna nei giorni scorsi
ha registrato una ampia e motivata partecipazione di cittadini
ed associazioni ed ha avviato una campagna su tale
obiettivo.
A questa campagna hanno aderito a tutt'oggi: Acli,
Adiconsum, Agisci, Anolf, Arci, Associazione nazionale rete
volontari rientrati, Associazione Tornasole, Auser, Banca
popolare etica, Cefa, Cies, Cipax, Cipsi, Comunità
provvidenza, Consorzio Etimos, Cocis, Cospe, Csi, Fondazione
Choros, Intersos, Lila, Mani tese, Mir Italia, Missionarie
della consolata-coordinamento "Giustizia e Pace", Movi,
Nexus-Cgil, Pax Christi e Suam.
Vogliamo ricordare tre ulteriori importanti adesioni:
il 29 giugno 2001, il Ministro delle finanze del Belgio,
Didier Reynders, ha fatto sapere che metterà la Tobin
tax nell'agenda di discussioni del semestre di
presidenza belga della Unione europea; se ne discuterà al
vertice informale dei Ministri finanziari europei a Liegi, il
22 settembre;
nel loro documento unitario sul G8 di Genova, CGIL, CISL
e UIL hanno inserito l'introduzione della Tobin Tax;
nel "Manifesto" elaborato dalle associazioni
cattoliche e presentato a Genova nel corso del convegno del 7
luglio 2001, si chiede l'adozione di una tassa sulle
transazioni valutarie.
L'approvazione della presente proposta di legge può
rappresentare un'occasione per dimostrare con i fatti che si
vuole agire contro il dominio dei mercati finanziari
sull'economia reale e per ridistribuire, sia pure molto
parzialmente, la ricchezza tra i pochi che guadagnano
moltissimo speculando e le popolazioni dei tanti Paesi poveri
che lottano ancora per sopravvivere.
Si tratta in particolare di finanziare adeguatamente, per
la parte che concerne il nostro Paese, l'iniziativa denominata
HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) lanciata nel 1996
dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, a
seguito dell'iniziale impulso del G7. Tale iniziativa ha per
ora permesso di coinvolgere 23 Paesi, con una cancellazione
del debito pari a circa 53 miliardi di dollari, conseguendo un
risultato importante ma non sufficiente, mentre l'Italia ha
già deciso di andare oltre, cancellando il 100 per cento dei
debiti per i Paesi più poveri. Il nostro Paese, infatti, è già
intervenuto in materia con la legge 25 luglio 2000, n. 209.
L'intento è quello di alleggerire il peso del debito
estero di molti Paesi in via di sviluppo per non rallentarne
il processo di sviluppo e di crescita economica. Viene posta
come unica condizione l'impegno, da parte dei Paesi debitori
interessati dalla cancellazione dei debiti, a riconoscere e
garantire i diritti umani e le libertà fondamentali,
rinunciare alla guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e perseguire il benessere e il
pieno sviluppo della persona umana favorendo in particolare la
riduzione della povertà.
L'attenzione è stata rivolta finora in maniera specifica a
favore dei Paesi in via di sviluppo indebitati il cui reddito
medio pro capite annuo non superi i 300 dollari USA. Un
tetto considerato eccessivamente basso: vedi da ultimo la
proposta del premio Nobel per la pace 1996, Jose Ramos-Horta,
su Il Corriere della Sera del 26 giugno 2001, di alzare
tale soglia fino a 1.000 dollari.
Questa imposta deve essere accompagnata da misure di
trasparenza e dissuasione contro la criminalità finanziaria, e
di contrasto dell'utilizzo a fini elusivi degli Stati o
territori con regimi fiscali privilegiati, i cosidetti
"paradisi fiscali", a partire da quelli situati in Europa.
L'articolo 1 prevede l'istituzione di una imposta di bollo
sulle transazioni finanziarie valutarie. L'imposta di bollo
garantisce l'anonimato dei trasferimenti.
Il fine è quello, per un verso, di concorrere con il
gettito dell'imposta ad incrementare in maniera significativa
le risorse destinate dal nostro Paese alla cooperazione allo
sviluppo per raggiungere l'obiettivo di riservare alla
cooperazione lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo
(secondo gli impegni già presi in sedi internazionali ma mai
attuati concretamente), di annullare i crediti che il nostro
Paese vanta nei confronti dei Paesi più poveri e di
contribuire alla lotta alla povertà su scala mondiale.
L'aliquota dovrebbe essere pari allo 0,05 per cento del
valore delle transazioni effettuate: dunque un'aliquota molto
bassa (500 lire per ogni milione!). In pratica si propongono
un'aliquota zero ed un meccanismo di rivalutazione
dell'aliquota sulla base delle aliquote adottate dagli altri
Paesi dell'Unione europea. Questa disposizione risponde
all'obiezione di chi, pur favorevole all'introduzione della
Tobin tax, ritiene che non possa essere applicata che da
più Paesi contemporaneamente.
Dall'imposta sono esenti le operazioni relative a:
a) transazioni tra governi e organizzazioni
internazionali;
b) transazioni intracomunitarie;
c) esportazioni od importazioni di beni e
servizi;
d) transazioni che interessano partecipazioni
qualificate all'estero di imprese nazionali;
e) operazioni di cambio realizzate da persone
fisiche il cui ammontare è inferiore a 150 milioni di lire.
Il Governo è impegnato a promuovere un'azione dell'Unione
europea per conseguire i necessari accordi internazionali, al
fine di estendere ai Paesi nei quali sono ubicati i mercati
finanziari più importanti l'adozione dell'imposta, ed
istituire un fondo internazionale, che veda la partecipazione
dei rappresentanti di governi anche di Paesi non OCSE, di
organizzazioni di rappresentanza sociale e di organizzazioni
non governative, per la raccolta e la distribuzione del
gettito derivante da tale imposta.
Per quanto concerne le transazioni da e per Paesi a regime
fiscale privilegiato (articolo 2), i cosiddetti "paradisi
fiscali", l'aliquota dovrebbe essere pari allo 0,5 per cento
(5 milioni per ogni miliardo), cioè 10 volte l'aliquota
ordinaria.
Sono considerati Paesi a regime fiscale privilegiato
quelli individuati, rispettivamente per le persone fisiche e
per le persone giuridiche, dai decreti del Ministro delle
finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e 24 aprile 1992,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio
1992.
Il Governo è delegato (articolo 3) ad emanare, entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto
legislativo, sentite le Commissioni parlamentari competenti,
per individuare le modalità e la base impositiva dell'imposta
tenendo conto di tutti i possibili strumenti finanziari. Lo
stesso decreto attribuisce agli intermediari finanziari la
funzione di sostituti d'imposta, coordina la normativa con
quella comunitaria e con gli accordi stipulati con altri Paesi
per evitare la doppia imposizione e destina il gettito ai fini
sopradetti. Infine, entro diciotto mesi dalla data di entrata
in vigore del decreto legislativo, il Governo potrà, con uno o
più decreti legislativi, apportare le opportune integrazioni e
correzioni.