XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 705




        Onorevoli Deputati! - Chi, anzi, cosa sono per noi gli animali? Sono cibo, amici, parassiti, portatori di malattie, mezzi di lavoro, fonte di godimento estetico, mezzi di divertimento, risorse "rinnovabili", produttori di alimenti, predatori, oggetto di ricerca con terapeuti, fonti di materie prime ed altro ancora.
        Avversari, risorse, oggetti di divertimento: via via a ragioni antiche se ne sono aggiunte di nuove e la guerra non è mai cessata. Possiamo ben vedere negli animali le truppe in rotta di un regno che quasi non esiste più, i sopravvissuti sbaragliati ai quali, finalmente, bisognerebbe dichiarare la pace.
        La vita di ciascun animale ha un valore, sia esso un animale selvatico, di affezione, domestico o al confino, che cioè, anche se selvatico, è prigioniero in zoo, circhi, negozi, acquari, oppure, anche se domestico, si è parzialmente o totalmente rinselvatichito o ancora, infine, si è insediato in epoca remota o recente accanto all'uomo ma conserva la sua indipendenza.
        L'animale nasce, impara, è curioso, corre, mangia, ha relazioni con i suoi simili, si accoppia. Tutto questo, ed altro ancora, cerca di farlo il più a lungo possibile, nel modo che è proprio della sua specie. Né migliore né peggiore del nostro, solo diverso.
        Si tratta di ovvietà, almeno per chi ha avuto a che fare con un animale. Eppure sia il nostro modo di pensare che i nostri comportamenti sono, per lo più, informati alla convinzione che gli animali non contino come individui, ma solo (e non sempre) come specie; che non soffrano, non abbiano, esperienze di pensiero, non siano consapevoli, non temano la morte ed altro ancora. E tali convinzioni resistono nonostante l'etologia e la riflessione filosofica stiano via via mettendo in chiaro che nella maggior parte dei casi si tratta di semplici pregiudizi, con cui abbiamo piegato, senza limiti, gli animali.
        La peculiarità della specie umana non viene per questo negata: non più di quanto si possa negare quella di qualunque altra specie. Né si tratta di respingere il senso di appartenenza particolare che possiamo sentire verso la nostra stessa specie. Da questo però non deriva la nostra collocazione "naturale" in cima ad una piramide di importanza e di valori.
        L'etologia e la neurofisiologia comparata, oltre che il buon senso, evidenziano che sofferenza, gioia, amore, coscienza di sé, altruismo, comunicatività, capacità di analisi e risoluzione di problemi, eredità culturali non sono caratteristiche esclusive della specie umana e che, anzi, in particolari casi, alcune di esse si possono riscontrare persino con maggior evidenza in individui appartenenti ad altre specie. Tali prerogative, prima fra tutte la capacità di provare dolore e piacere, sono sufficienti a conferire dei diritti a chi le possiede; più precisamente il diritto ad un'equa considerazione delle proprie esigenze fisiologiche e comportamentali.
        Il cammino della civiltà risulta strettamente correlato al superamento delle discriminazioni. La spinta all'annullamento di antinomie quale padrone-schiavo, aristocratico-plebeo, bianco-nero, uomo-donna, ha storicamente condotto non solo a conquiste di ordine etico, ma anche a fondamentali progressi in termini di qualità di vita.
        Il riconoscimento di diritti anche ad individui non appartenenti alla specie umana costituisce un corretto sviluppo di questa tendenza.
        La società ha riconosciuto l'esigenza di proteggere in modo particolare gli individui più indifesi. Così il comune sentimento si rivolge alla loro tutela tanto più quanto più grande si rivela la difficoltà oggettiva a far valere i propri diritti. Se tale ottica è ritenuta significativa, è legittimo estenderla a qualunque titolare di diritti, indipendentemente dal gruppo, razza o specie di appartenenza.
        La conoscenza delle caratteristiche etologiche delle diverse specie animali ha anche contribuito ad interpretare molti aspetti del comportamento dell'uomo, facilitando il rifiuto di quella visione esclusivamente antropocentrica della natura che mette in pericolo la sua e la nostra sopravvivenza. Seppure è vero che non c'è bisogno di provare amicizia od amore nei loro confronti, c'è forse bisogno di provare amicizia ed amore verso tutti gli umani per ritenere moralmente sbagliato uccidere, provocare sofferenze, privare della libertà i nostri simili?
        Il legislatore ha iniziato ad affrontare questo nodo riformulando nel 1993 l'articolo 727 del codice penale contro il maltrattamento degli animali e affermando nell'articolo 1 della legge 14 agosto 1991, n. 281, che "Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente".
        Formulazioni "illuminate", ma insufficienti.
        Dall'Europa giungono invece concreti segnali: nel giugno 1997 il Vertice di Amsterdam per la riforma dei trattati dell'Unione ha trasformato la "Dichiarazione sulla protezione degli animali" già approvata a Maastricht nel 1991 in un "Protocollo sul benessere degli animali", in cui gli animali vengono riconosciuti come esseri senzienti, non più come prodotti agricoli, e diversi Lander tesdeschi (Brandeburgo, Turingia, Berlino) hanno inserito nelle proprie Costituzioni regionali questo importante principio.
        Per questo è necessario un riconoscimento di diritti agli altri animali nella Costituzione della Repubblica.




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