XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 605




        Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni si è sempre più fatta strada nella coscienza civile e giuridica dell'Occidente l'idea che i princìpi di uguaglianza formale di fronte alla legge, di pari dignità sociale e di libertà individuale, storicamente affermatisi come naturale pertinenza dei maschi bianchi, cristiani, adulti, sani ed eterosessuali, debbano essere riconosciuti come il fondamento stesso della convivenza civile nei nostri paesi, ed estesi quindi anche a tutti gli individui appartenenti a gruppi sociali che ne erano stati inizialmente esclusi o che ne godevano solo in misura limitata. In questo progressivo allargamento della sfera dei soggetti titolari di diritti di libertà può essere vista l'originalità stessa e la peculiaretà della storia della democrazia liberale.
        All'epoca in cui la Costituzione fu approvata, l'esperienza della dittatura, delle leggi fasciste di discriminazione razziale contro gli ebrei e della discriminazione di cui avevano sofferto gli appartenenti alle minoranze linguistiche aveva suggerito di ribadire solennemente nell'articolo 3 il ripudio di ogni discriminazione che fosse fondata, fra l'altro, sulla razza, sulla lingua e sulla religione.
        Anche allora tale elenco avrebbe potuto perfino essere considerato superfluo, e avrebbe potuto essere ritenuta a rigore sufficiente a produrre i desiderati effetti normativi la sola prima parte di quell'articolo: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge". Se i costituenti vollero aggiungere le parole "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche", fu perché il testo della Costituzione doveva segnare una soluzione di continuità con un passato dittatoriale e totalitario, e indicare il nuovo terreno su cui ricostruire l'identità liberale e democratica della Nazione, che rinnovava così l'aspirazione risorgimentale a reintegrarsi nell'Occidente e nell'Europa civile.
        I costituenti vollero bensì che quell'elenco non fosse da ritenere esaustivo, e vi aggiunsero una clausola generale e conclusiva: senza distinzione, anche, di "condizioni personali e sociali". Gli ulteriori espressi divieti di discriminazione che con la presente proposta di legge costituzionale si intende aggiungere dovrebbero quindi in teoria ritenersi anch'essi già coperti dalla formulazione vigente: età, orientamento sessuale e condizioni fisiche e di salute, costituendo, appunto, altrettante "condizioni personali". E anche il rispetto degli impegni internazionali dell'Italia in materia di diritti umani dovrebbe in teoria concorrere a garantire tale risultato.
        Sono tuttavia la realtà della nostra vita sociale e il persistere di pesanti discriminazioni, non solo determinate dal pregiudizio, ma spesso anche dalla legge, che colpiscono, in quanto tali, persone anziane o giovani, omosessuali o transessuali, handicappati fisici o psichici, a suggerire di estendere anche a queste tre categorie di individui un espresso divieto di discriminazione giuridica.
        Lo suggerisce l'opportunità di non scaricare solo sui giudici, e in ultima istanza sulla Corte costituzionale, la responsabilità di assumere decisioni che hanno un'evidente rilevanza etico-politica e che rispecchiano l'evoluzione della nostra coscienza civile; lo suggerisce l'aumento delle aspettative di durata della vita e il mutamento della composizione anagrafica della nostra società, che impongono una rinegoziazione del patto non scritto fra le generazioni; lo suggerisce l'acquisita consapevolezza da parte della coscienza civile e giuridica europea che i problemi posti dalla condizione omosessuale nella società sono nient'altro che semplici problemi di diritti umani, di libertà, di uguaglianza formale e sostanziale, di pari dignità sociale, fin qui terribilmente misconosciuti; lo suggerisce la sempre più acuta coscienza del dovere civico e morale di assicurare agli handicappati le condizioni formali e materiali necessarie per poter godere nella più ampia misura possibile dei diritti e delle opportunità garantiti agli altri consociati.
        E' per questi motivi che le più recenti Carte dei diritti e tutti i progetti di aggiornamento delle Carte dei diritti nazionali e internazionali vigenti si preoccupano di ricomprendere anche le medesime clausole antidiscriminatorie che con la presente proposta di legge costituzionale si chiede di includere finalmente nella Costituzione italiana. Con l'integrazione che viene qui proposta, i casi di vietata discriminazione espressamente citati dalla Costituzione vorrebbero a coincidere con quelli previsti dall'articolo 13 del Trattato che istituisce la Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam, di cui alla legge 16 giugno 1998, n. 209, che detta le regole per l'adozione di normative antidiscriminatorie comunitarie.
        La collocazione qui proposta delle nuove clausole antidiscriminatorie nell'ambito dell'elenco delle discriminazioni vietate dall'articolo 3 muove dal criterio di seguire l'intento originario del costituente del 1948, che aveva preposto le clausole che vietano discriminazioni fondate su caratteri ascritti all'identità degli individui, non modificabili per loro volontà (sesso, razza), a quelle che vietano discriminazioni fondate su caratteristiche origiariamente non oggetto di libera scelta, ma successivamente modificabili per volontà dell'individuo interessato (lingua, religione), nonché a quelle che vietano di discriminare sulla base di scelte liberamente effettuate dall'individuo esercitando libertà costituzionalmente garantite (opinioni politiche). Si propone quindi che le nuove clausole, tutte riferentisi a fattispecie classificabili nel primo gruppo, vengano inserite immediatamente dopo le prime due.
        E' appena il caso di ricordare in questa sede che, secondo una pacifica e consolidatissima giurisprudenza costituzionale, il principio di non discriminazione non richiede che il medesimo regolamento giuridico venga applicato in modo identico a tutte le fattispecie considerate, ma che situazioni giuridiche fra loro identiche vengano trattate in modo identico, e che situazioni giuridiche fra loro diverse vengano trattate in modo diversificato. Quello che il principio di uguaglianza formale richiede è che un trattamento discriminatorio non possa essere previsto in violazione dei divieti costituzionali e senza che esso sia giustificato dal criterio di "ragionevolezza", di cui è giudice la Corte costituzionale.
        In un momento in cui una parte considerevole del Paese nutre, a torto o a ragione, inedite preoccupazioni per la qualità e la saldezza della democrazia nonché per la garanzia delle libertà e dei diritti costituzionali, il rafforzamento dei diritti individuali di libertà potrebbe rinsaldare la fiducia nelle istituzioni repubblicane e il "patriottismo costituzionale" degli italiani; e, non da ultimo, le credenziali liberali e democratiche e il buon nome del Paese nel nostro continente, anch'essi purtroppo, a torto o a ragione, rimessi pesantemente in discussione negli ultimi tempi.




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