XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 404
Onorevoli Colleghi! - Come dimostrato dalle ultime
consultazioni elettorali, l'obiettivo di una reale
rappresentanza delle donne in campo politico, lungi dal
rappresentare una conquista ormai consolidata, costituisce, al
contrario, un'aspirazione sovente tradita.
I dati sulla presenza (o, meglio, sull'assenza) delle
donne nelle cariche politiche sono assai eloquenti: tra le
elezioni del 1994 e quelle del 1996 la presenza femminile a
Montecitorio è passata dal 14 all'11 per cento, percentuale
che si è mantenuta sostanzialmente stabile nelle ultime
consultazioni elettorali, interrompendo la sia pur lenta
crescita che aveva caratterizzato i due decenni precedenti.
Tale situazione, come è noto, costituisce la diretta
conseguenza della sentenza n. 422 del 6 settembre 1995, con
cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
delle leggi elettorali del 1993, che, da un lato, prevedevano
per i consigli comunali e provinciali una rappresentanza non
superiore ai due terzi per ciascun sesso, e, dall'altro, per
la quota proporzionale dei candidati alla Camera dei deputati,
l'alternanza di un uomo e di una donna.
Le conseguenze dell'abolizione delle quote si sono fatte
sentire, ovviamente, anche a livello locale: le elezioni
amministrative svoltesi negli ultimi anni hanno visto quasi
ridotta alla metà la presenza delle donne, sia come candidate
che quali consigliere.
Le cause della scarsa rilevanza e visibilità conseguite
dalle donne in campo politico sono molteplici: innanzitutto,
come emerge da ricerche condotte a livello internazionale
(Direzione per la ricerca del Parlamento europeo,
"Differential impact of the electoral systems on female
political representation" - Women's Rights Series
n. 8, 1997; Unione interparlamentare "Electoral systems:
a worldwide comparative study" Ginevra, 1993; "Men and
Women in politics: democracy still in the making", Ginevra,
1997"), le candidature femminili sono penalizzate nei sistemi
elettorali a carattere maggioritario uninominale o a carattere
misto, quale quello adottato per l'elezione dei candidati alla
Camera dei deputati in Italia, in quanto, in genere, esse sono
prive di quei supporti finanziari ed informativi di cui
tradizionalmente godono le candidature maschili, che sono
assolutamente indispensabili nell'ambito di un sistema
connotato da forte concorrenzialità fra i candidati e
dall'azione decisiva delle lobbies nella campagna
elettorale; assolutamente insufficiente appare, a tale fine,
la norma recata dall'articolo 3 della legge 3 giugno 1999, n.
157, che prevede che i partiti destinino una quota pari almeno
al 5 per cento dei fondi pubblici ricevuti a titolo di
rimborso elettorale ad iniziative volte ad accrescere la
partecipazione attiva delle donne alla politica. Dall'altro
lato, scarsa è la visibilità accordata alle donne dai mass
media durante le campagne elettorali: estremamente
significativi sono a tale fine i dati rilevati durante
l'ultima campagna per le elezioni europee: su oltre cento
presenze maschili nelle tribune elettorali e politiche, ci
sono state solo nove presenze femminili. Il fenomeno su
descritto è ricollegabile allo scarso appeal e credito
personale di cui le candidate donne godono presso l'elettorato
locale, soprattutto femminile, imputabile, principalmente, al
basso livello di coesione sociale e al basso grado di
solidarietà che caratterizza le interrelazioni sociali
femminili.
Emerge dunque con assoluta evidenza la centralità della
questione relativa al riequilibrio della rappresentanza
femminile in campo politico, posta al centro dell'attenzione
di un gran numero di governi, partiti politici ed istituzioni
dell'Unione europea, che postula l'esistenza di una differenza
sessuale come il portato di una diversa condizione sociale e
culturale, e dunque di una diseguaglianza di fatto, che
legittima l'adozione di misure di "diritto diseguale".
A sostegno del principio di una equilibrata partecipazione
dei sessi alle cariche elettive militano argomenti di ordine
politico, economico e sociale. Il principio democratico
suggerisce di estendere una migliore rappresentanza delle
donne e degli uomini in un'ottica di democrazia basata sulla
parità. Il principio della migliore utilizzazione delle
risorse umane suggerisce di trarre pienamente profitto dai
talenti e dal potenziale delle donne. Infine, il principio
della giustizia sociale suggerisce di assicurare una parità
de facto nell'accesso a tutte le risorse economiche e di
potere disponibili.
In considerazione di ciò, dunque, la strada da percorrere
consiste nel ripristino dell'eguaglianza dei punti di
partenza, predicata dalla teoria liberale classica, secondo
cui "è sufficiente che siano comuni le regole del gioco e che
chiunque sia messo nella condizione di potervi partecipare"
(Bobbio, "Eguaglianza ed egualitarismo", in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 1976, 326); in
sostanza, una politica di pari opportunità che coincide con la
nozione di azione positiva propugnata dalla sentenza n. 109
del 1993 della Corte costituzionale, nella quale si afferma
che: "le finalità perseguite attraverso le azioni di pari
opportunità costituiscono l'espressione dei doveri
fondamentali che l'articolo 3, secondo comma, assegna alla
Repubblica (...)" e che: "Le azioni positive sono il più
potente strumento a disposizione del legislatore, volto ad
innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di
persone socialmente svantaggiate al fine di assicurare alle
categorie uno statuto effettivo di pari opportunità di
inserimento anche a livello politico".
Le esperienze maturate in altri Paesi europei (Danimarca,
Paesi Bassi, Finlandia) dimostrano che un ruolo di assoluto
rilievo nel riequilibrio della rappresentanza è attuato
attraverso l'adozione di provvedimenti legislativi volti a
garantire un equilibrio tra uomini e donne nel processo
decisionale politico.
Con la presente proposta di legge costituzionale si
intende pertanto consacrare il principio delle pari
opportunità nel campo della rappresentanza politica a livello
di Carta fondamentale dello Stato e riservare (con riserva
assoluta) al legislatore ordinario, sulla scorta delle
esperienze citate, il compito fondamentale di promozione di
una politica di riequilibrio delle diseguaglianze, al fine di
perseguire l'effettiva presenza paritaria delle donne nella
vita pubblica e nelle cariche rappresentative del Paese.
Sotto il profilo della tecnica legislativa, si intende
modificare l'articolo 51 della Costituzione: da un lato, si
intende infatti ribadire il principio di eguaglianza formale,
già consacrato al primo comma dell'articolo 3 della
Costituzione, per quanto concerne l'accesso delle donne agli
uffici pubblici, che è garantito in condizioni di eguaglianza,
secondo i requisiti stabiliti dalla legge, in ossequio ad un
principio, che dovrebbe essere considerato patrimonio ormai
acquisito da parte di uno Stato liberale, di pari soggezione
di tutti i cittadini alla legge; dall'altro lato, nel secondo
comma dell'articolo 51 della Costituzione, si intende
conferire rango costituzionale alle azioni positive nel campo
della rappresentanza elettiva, da realizzare ad opera del
legislatore ordinario, nel rispetto del primario imperativo
costituzionale di rimozione dei limiti di fatto
all'eguaglianza, consacrato al secondo comma dell'articolo 3
della Costituzione, al fine di garantire la piena
autodeterminazione e la pari dignità sociale delle donne anche
in questo campo.