XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 367




        Onorevoli Colleghi! - La disposizione di cui all'articolo 51, primo comma, della Costituzione, racchiude un principio che, se pur non ricompreso fra i primissimi articoli della Costituzione, ha tuttavia sicuramente valore di "principio fondamentale" dell'ordinamento costituzionale. Esso ribadisce, con espresso riferimento all'accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, il principio di uguaglianza già sancito dall'articolo 3 della Costituzione, del quale rappresenta una specificazione.
        Nei primi anni dopo la data di entrata in vigore della Costituzione, molto si è discusso sul significato da attribuire alla norma, in relazione al requisito del sesso per l'accesso ai pubblici uffici, dovendosi valutare la legittimità di quella legislazione precostituzionale che escludeva le donne da molti impieghi e funzioni pubblici. La posizione che prevalse nel tempo fu quella, preferita dalla maggioranza della dottrina, che vedeva ribadito nell'articolo 51 il principio di cui all'articolo 3 della Costituzione, anche se all'interno di questa prevalente opzione erano presenti molti indirizzi.
        Mentre per la parte relativa agli uffici pubblici la disposizione dell'articolo 51 è sostanzialmente ripetitiva di un principio già presente nell'ordinamento italiano (la disposizione ha, nella storia dell'Italia unitaria, un suo precedente risalente allo Statuto albertino) per effetto del quale rimane vietata ogni discriminazione nell'accesso ai pubblici impieghi, per la parte concernente le cariche elettive quello stesso articolo 51 costituisce, come ha rilevato la Corte costituzionale nella sentenza n. 383 del 17 ottobre 1991, una innovazione di vasta portata nell'ordinamento positivo italiano e appare in coerente e necessaria derivazione dei princìpi e valori supremi e fondamentali affermati negli articoli 1, 2, 3 e 4 della Costituzione.
        D'altra parte, risulta dagli stessi lavori preparatori che l'Assemblea costituente era arrivata alla convinzione radicata e ampiamente condivisa che il riconoscimento di una piena equiparazione della donna all'uomo non doveva mancare neppure in sede di legislazione costituzionale, trattandosi di dare corpo ad un principio fondamentale in materia di organizzazione amministrativa che si presenta "come una conseguenza logica e necessaria del riconoscimento dell'assoluta uguaglianza civile e politica fra i cittadini dei due sessi" e che giustifica pienamente "per l'entità degli effetti che ne derivano, una apposita solenne affermazione in quell'atto (la Costituzione) che è fonte dei diritti e dei doveri basilari dei cittadini".
        L'articolo 1, primo comma, della legge 9 febbraio 1963, n. 66, ha dato attuazione al dettato costituzionale, disponendo che "la donna può accedere a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento di carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge".
        La legge 9 dicembre 1977, n. 903, e successive modificazioni, recante "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro" ha, poi, vietato qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività.
        A queste disposizioni si sono aggiunte quelle di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni, recante "Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro", e l'istituzione, negli ultimi anni, del Ministro per le pari opportunità, al quale sono state assegnate funzioni di controllo, iniziativa e raccordo.
        Uno degli ultimi interventi legislativi in materia è da individuare nel decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, che ha disciplinato l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità (istituiti dalla citata legge n. 125 del 1991) e stabilito nuove norme ai fini di rafforzare gli strumenti volti a promuovere l'occupazione femminile, a prevenire e contrastare le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro ed a migliorare l'efficacia delle azioni positive stabilite dalla legge n. 125 del 1991.
        Nonostante ciò, ad oltre cinquant'anni dalla data di entrata in vigore della Costituzione e con i raggiunti livelli culturali e professionali, la presenza delle donne nella sfera pubblica risulta minoritaria. Il che significa che l'affermazione di princìpi formali di uguaglianza e di parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive non è sufficiente a vincere tutti quegli ostacoli di ordine sociale e culturale che contribuiscono a creare quello che è stato efficacemente definito "il soffitto di cristallo".
        E' necessario, quindi, promuovere condizioni che consentano la realizzazione dei princìpi di uguaglianza sostanziale e di effettiva parità di accesso, attraverso interventi normativi che trovano riscontro nell'esperienza di molti altri Paesi occidentali e che permettano il riequilibrio della rappresentanza fra i sessi soprattutto in tema di diritti politici.
        La presente proposta di legge costituzionale, recante modifica all'articolo 51 della Costituzione, intende dare fondamento costituzionale a questo obiettivo, affinché sia consentito, attraverso interventi di normazione ordinaria, promuovere azioni volte a tale scopo.




Frontespizio Testo articoli