XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 310 - 434 - 436 - 1343 - 1372 - 2486 - 2913 - 2919 - 2965 - 3035 - 3043 - 3098 - 3106 - 3184 - 3274 - 3286 - 3303 - 3447 - 3454 - 3567 - 3588 - 3689-C-bis
Onorevoli Colleghi! - Il sistema radiotelevisivo
italiano è ormai di fronte all'esigenza di una profonda
modificazione del suo assetto.
Molte e rilevanti sono le motivazioni che spingono a
questo e tutte ben note ai membri di questa Assemblea. Ci
sembra necessario richiamare almeno quelle che riteniamo siano
fondamentali per una corretta impostazione di una riforma
realmente utile al nostro Paese:
la necessità di inquadrare nel sistema la disponibilità
della trasmissione della tecnica digitale, che migliora la
qualità delle immagini, ma soprattutto amplia di molto la
possibilità di offerta di programmi eliminando così uno dei
limiti che oggi impediscono una adeguata molteplicità di
presenze, favorendo di conseguenza la concorrenza ed il
pluralismo;
la troppo lenta evoluzione delle nostre principali
imprese radiotelevisive, poco diversificate, poco rilevanti
sui mercati esteri e quindi a rischio di debolezza nel
confronto con forti soggetti internazionali e rispetto alla
sopravvenienza di questi nel nostro sistema;
l'involuzione della complessiva offerta di programmi
caratterizzati in misura rilevante dall'intrattenimento in
funzione della promozione commerciale e dalla degenerazione
della cosiddetta reality Tv: questi programmi risultano
complessivamente poco adatti a corrispondere ad una richiesta
di buona qualità diffusa ed alla comunicazione di valori
socialmente condivisi;
il permanere di forti ingerenze politiche di parte, in
specie nella attività di servizio pubblico, che ne minano la
funzione legata all'interesse generale e, nel caso della
Società RAI-Radiotelevisione italiana, ne feriscono anche la
condizione aziendale;
il protrarsi da lungo tempo della forte prevalenza di
due soli soggetti, che hanno dominato il sistema,
ostacolandone la struttura pluralistica e frenandone
l'evoluzione tecnica, economica e dell'offerta di
programmi.
Non è inopportuno segnalare che l'evoluzione tecnica
incidente sul sistema radiotelevisivo non si limita alla
disponibilità della tecnica digitale nella trasmissione
mediante onde hertziane, ma investe la capacità di
trasmissione in fibra ottica ed anche in tecnica DSL nella
normale rete telefonica, che potranno fornire, in un futuro
non lontano, immagini in movimento di buona qualità destinate
al terminale televisivo.
Nel complesso si delinea la concreta possibilità di un
sistema capace di trasmettere capillarmente oltre i
tradizionali programmi radiofonici e televisivi i nuovi
servizi della società dell'informazione.
Una nuova disciplina del sistema radiotelevisivo non può
ignorare che con essa si coinvolgono momenti essenziali
dell'esercizio e del godimento di diritti di libertà
individuali che nella nostra Costituzione, ma certo non solo
nella nostra, costituiscono l'elemento qualificante del
sistema democratico e ne sono in qualche modo sintomo di
qualità e profondità. Siamo tutti d'accordo, vogliamo
ritenere, che affrontare questo tema sotto il limitato, per
quanto significativo, profilo economico, costituirebbe un
errore difficilmente rimediabile: il pluralismo delle idee, la
possibilità della loro rappresentazione, la corretta
concorrenza tra i soggetti fornitori dell'informazione
radiotelevisiva, sono i parametri non dissociabili delle
scelte che il legislatore si appresta a fare. In questa
cornice debbono essere perseguibili tre obiettivi di fondo: lo
sviluppo del sistema, un'offerta di programmi coerente con
l'interesse generale ad obiettivi di evoluzione civile e
democratica, un nuovo servizio pubblico tutelato rigorosamente
da ingerenze politiche di parte.
Il nostro settore radiotelevisivo è troppo contratto e
lascia perciò poco spazio economico ad una adeguata
molteplicità di soggetti e ad una loro aperta concorrenza. Lo
sviluppo economico del settore è quindi una delle premesse
importanti, anche se non esaustiva, per un aumento della
offerta di programmi ed una sua conseguente molteplicità di
contenuti e di fonti, ma anche per un aumento complessivo del
fatturato del sistema che consenta appunto la equilibrata
presenza di soggetti più numerosi e sia fattore di crescita
economica generale. Per questo motivo l'imprenditorialità
privata, l'impegno finanziario pubblico e l'iniziativa
politica devono mirare alla promozione della tecnica digitale
nella trasmissione per onde hertziane ed alla evoluzione della
trasmissione per rete.
L'offerta complessiva di programmi è oggi molto
influenzata da due importanti tendenze. La prima è la
promozione pubblicitaria che ha bisogno di raggiungere
quantità e qualità di pubblico adatta alla commercializzazione
dei prodotti e quindi di programmi funzionali a questo fine e
che perciò, non possono certo essere prioritariamente
informati all'obiettivo di comunicare valori largamente
condivisi.
L'altra è una tendenza con aspetti, diciamo così,
intimisti, molto studiata nella società moderna, che tende a
misurare la società in termini psicologici, come se contassero
quasi solo le circostanze immediate della vita. Il rischio
correlato a questi programmi è che i valori sociali siano
intesi come prodotti dei sentimenti individuali e che ne
derivi una grande difficoltà a diffondere valori
collettivi.
Questa situazione rende necessari programmi che,
nell'interesse generale, inseriscano nella offerta complessiva
un flusso consistente di contenuti ispirati a valori sociali
largamente condivisi: anche da questo deriva la
indispensabilità della attività di servizio pubblico. Questo
flusso di programmi deve fare riferimento ad indirizzi
generali, non condizionati dalla contingenza politica e della
semplice maggioranza parlamentare, ma relativi ai tratti
fondamentali della identità del nostro Paese ed a valori ed
obiettivi largamente condivisi. E' evidente che per esercitare
questa funzione di riequilibrio complessivo dei programmi
l'attività di servizio pubblico non può essere destinata ad
una audience ristretta o per tipologia dei programmi o
per tempo di trasmissione. E' altrettanto evidente che la
riproposizione di grandi obiettivi di servizio pubblico
pretende che questo sia salvaguardato da ingerenze politiche
di parte, con la predisposizione di strumenti di garanzia che
solo le forze parlamentari nel loro complesso possono
offrire.
Il testo unificato approvato dalla maggioranza della
Commissione, avallando le modifiche peggiorative introdotte
nel corso dell'esame del Senato, ed ora sottoposto all'esame
dell'Assemblea non risponde ad alcuno degli obiettivi e dei
principi che prima molto brevemente abbiamo richiamato.
L'individuazione del "sistema integrato delle
comunicazioni", quale "mercato rilevante" per la verifica
della sussistenza di posizioni dominanti e del rispetto dei
limiti al cumulo dei programmi e alla raccolta delle risorse
di cui agli articoli 15 e 16 del disegno di legge, comporta il
superamento del divieto di incroci proprietari tra i mercati
della televisione e della carta stampata, e comunque di limiti
antitrust riferiti esclusivamente a segmenti di mercato.
Tale superamento è attuato attraverso l'individuazione di
limiti rapportati ad un mercato più vasto, che comprende tutti
gli, operatori delle comunicazioni, accorpando in tale sistema
segmenti produttivi che attengono all'informazione e segmenti
produttivi quali l'editoria libraria, le imprese di produzione
e distribuzione cinematografica, le imprese fonografiche
eccetera, che non hanno attinenza con l'informazione. Le
dimensioni e l'eterogeneità di un mercato di riferimento così
definito rendono di estrema difficoltà il calcolo della sua
quantificazione e, conseguentemente, estremamente difficoltosa
se non impossibile l'individuazione delle posizioni dominanti.
Tale circostanza contrasta palesemente con l'articolo 21 della
Costituzione nella lettura che di esso fornisce la Corte
costituzionale, in particolare con la sentenza n. 420 del
1994, nella quale si afferma "che il diritto all'informazione
garantito dall'articolo 21 della Costituzione implica
indefettibilmente il pluralismo delle fonti e comporta il
vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni
dominanti" e che "la necessità di consentire l'accesso al
massimo numero possibile di voci non può essere intesa come
mera idoneità minima di una qualsivoglia disciplina
antitrust". L'individuazione del sistema integrato delle
comunicazioni quale unico mercato rilevante per le verifiche
antitrust, a causa della sua indeterminatezza,
genericità ed eterogeneità contrasta, inoltre, con la
necessità, affermata dalla Consulta, di individuare limiti
antitrust settoriali e intersettoriali. A tale
proposito, infatti, nella citata sentenza n. 420 del 1994 si
afferma: "né l'inidoneità del limite antitrust è in
alcuna misura diminuita dall'ampliamento della prospettiva a
tutta l'area dei mezzi di comunicazione, atteso che - come
emerge dalla giurisprudenza costante della Corte - il
principio del pluralismo delle voci deve avere specifica e
settoriale garanzia nel campo dell'emittenza radiotelevisiva
(anche) in ragione della peculiare diffusività e pervasività
del messaggio televisivo".
La soluzione adottata di individuazione del Sistema
integrato delle comunicazioni, con la formulazione introdotta
nel corso dell'esame da parte del Senato, è stata valutata
dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato come del
tutto inadeguata al fine del contenimento del potere di
mercato delle imprese che ora si trovano in una posizione di
incontrastato predominio nel settore televisivo. Sulla base di
una consolidata giurisprudenza nazionale e comunitaria, si
intende per mercato rilevante solo quello che si caratterizzi
in quanto comprendente prodotti e servizi che risultino non
soltanto sostituibili in termini di caratteristiche
tecnologiche, ma soprattutto in relazione alla loro capacità
di soddisfare, allo stesso modo, le preferenze dei
consumatori. Tale presupposto viene negato in radice dal testo
ora all'esame di questa Camera, privando di qualsiasi
efficacia la soglia antitrust indicata.
Siffatta soluzione sembra voler disattendere
deliberatamente le pronunce della Corte Costituzionali nonché
la normativa comunitaria in materia di disciplina dei mercati
e, con particolare riguardo, a quello delle comunicazioni,
recentemente ridefinito nel pacchetto delle direttive 2002/19,
2002/20, 2002/21, 2002/22.
Per di più, la circostanza che i limiti antitrust
previsti dagli articoli 15 e 16 saranno efficaci solo
"all'atto della completa attuazione del piano nazionale di
assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in
tecnica digitale" e che fino al verificarsi di tale evento
resta congelata la situazione del mercato televisivo,
caratterizzata da un altissimo tasso di concentrazione (oltre
il 90 per cento dell'audience e il 97 per cento del
mercato della raccolta pubblicitaria è nelle mani del gestore
pubblico e di Mediaset) viola palesemente l'articolo 21 della
Costituzione come confermato dalla giurisprudenza costante
della Consulta e in particolare dalle sentenze n. 420 del 1994
e n. 466 del 2002. A tale proposito non appare affatto
soddisfacente la previsione che autorizza la prosecuzione
dell'esercizio delle reti eccedenti i limiti antitrust
nella fase di transizione fino alla completa attuazione del
piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica
digitale. Il nuovo meccanismo infatti modifica le modalità di
calcolo del limite del 20 per cento lasciando inalterata la
situazione attuale ripetutamente censurata dalla Corte
costituzionale da ultimo con la recentissima sentenza n. 466
del 2002. Nè appare rilevante sostituire la "fase transitoria"
con la "fase di avvio": la fase transitoria non è determinata
dal nome ma dalla "specialità" del regime che si applica; e
nel caso in esame c'è e resta un regime speciale di
"sanatoria" (tutti possono continuare a trasmettere sui canali
che occupano, a prescindere dal superamento "passato" dei
limiti antitrust, e sperimentare il digitale, ancorché
in una cornice meno "selvaggia"). La Corte costituzionale,
come è noto, con la richiamata sentenza n. 466 del 2002, ha
affermato la "illegittimità costituzionale dell'articolo 3,
comma 7, della legge n. 249 del 1997, nella parte in cui non
prevede la fissazione di un termine finale certo, e non
prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003,
entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti
i limiti antitrust devono essere trasmessi
esclusivamente via satellite o via cavo": modificare le
modalità di accertamento di tali limiti a partire dal gennaio
2004, allargando la base di calcolo, risulta essere, giova
ripeterlo, soltanto un modo per eludere il rispetto delle
sentenze citate in modo da lasciare tutto così com'è. La
Consulta, peraltro, nella medesima sentenza n. 466 del 2002,
afferma che "il regime transitorio, agganciato al criterio
dello sviluppo effettivo e congruo dell'utenza dei programmi
radiotelevisivi via satellite e via cavo, non è destinato a
concludersi in tempi ragionevolmente brevi" e ancora:
"rispetto a quella esaminata dalla sentenza 420 del 1994, la
situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili per la
televisione in ambito nazionale con tecnica analogica si è
accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul rispetto
dei principi del pluralismo e della concorrenza e con
aggravamento delle concentrazioni. Tale situazione, pertanto,
non garantisce l'attuazione del principio del pluralismo
informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi"
ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in
materia. La Corte ha, infatti, costantemente affermato la
necessità di assicurare l'accesso al sistema radiotelevisivo
del "massimo numero possibile di voci diverse", ed ha
sottolineato l'insufficienza del mero concorso fra un polo
pubblico e un polo privato ai fini del rispetto delle esigenze
costituzionali connesse all'informazione".
Al riguardo, sembra indispensabile sottolineare come anche
la disciplina delle procedure di assegnazione delle frequenze
nella nuova tecnologia digitale - dispositivo che non ha visto
le necessarie revisioni neanche da parte dell'altro ramo del
Parlamento - risulta del tutto in contraddizione con la nuova
disciplina comunitaria disposta dalle richiamate direttive, la
quale, in ragione della circostanza che si tratta comunque di
risorse limitate, dispone che la loro allocazione e
assegnazione debba avvenire unicamente sulla base di criteri
obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati
(articolo 9 della direttiva quadro 2002/21; articolo 7 della
direttiva autorizzazioni 2002/20; articolo 4 della direttiva
concorrenza 2002/77). Il testo del disegno di legge, invece,
confermando la titolarità delle frequenze ora in uso in
tecnica analogica, a prescindere dalle modalità di
acquisizione delle stesse, ai fini dell'ammissibilità
all'assegnazione delle frequenze nel nuovo sistema digitale,
finisce per perpetuare la grave situazione di discriminazione
ora esistente anche nel futuro sistema. In altre parole, in
ragione dell'attuale regime duopolistico e di elevate barriere
all'entrata, si rischia di riprodurre tale situazione anche
per il nuovo sistema trasmissivo digitale terrestre,
palesemente disattendendo la richiamata normativa
comunitaria.
Del pari insoddisfacenti sono le soluzioni prospettate dal
Governo e dalla maggioranza in relazione al delicato profilo
del governo del servizio pubblico. Per brevità di esposizione
vorremmo soffermarci su due punti che riteniamo fondamentali:
nel periodo transitorio, che è destinato a durare fino ad una
improbabile e complessa privatizzazione del capitale della
Società Rai, il governo del servizio pubblico viene trasferito
interamente nelle mani dell'esecutivo in quanto unico
azionista della società e della maggioranza parlamentare
rappresentata nella Commissione parlamentare per l'indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi,
aggravando il condizionamento politico dell'organismo
direttivo della società concessionaria, con buona pace di
qualsiasi forma di garanzia delle forze parlamentari e del
rispetto di principi venticinquennali affermati dalla Corte
Costituzionale. Ai poteri di nomina e di indirizzo si
accompagnano i poteri già esistenti in materia di rilascio
delle concessioni e di determinazione delle fonti di
finanziamento. Con ciò in sostanza rendendo questa Società
espressione esclusivamente delle forze di maggioranza che al
momento appoggiano il Governo. Per il periodo a regime si
prevede invece il passaggio ad una public company con
forti limiti quantitativi al possesso delle azioni che
renderanno molto complesso il completamento del processo di
dismissioni e nel contempo non potranno garantire gli
obiettivi di pluralismo e di autonomia che qualificano e
giustificano l'esistenza di un servizio pubblico
radiotelevisivo. Rimane poi l'equivoco e l'ulteriore anomalia
di una società privata finanziata direttamente da una forma
parafiscale quale il canone di abbonamento che in una ipotesi
di buona conduzione della società si tramuta in profitto per i
medesimi azionisti.
Anche gli elementi di ipotizzata garanzia contenuti in
alcune disposizioni concernenti la nomina del presidente e la
formazione della lista degli aspiranti membri formata dal
Ministro dell'economia e delle finanze sulla base di intese
con i Presidenti delle Camere pare destinata ad aumentare la
confusione di poteri e responsabilità nella gestione del
servizio pubblico: basta considerare che nella prassi
manifestatasi in questo periodo di principio maggioritario i
due Presidenti sono espressione della maggioranza che appoggia
il Governo, limitando, evidentemente, l'ampiezza della
dialettica che questi possono stabilire con l'esecutivo. Noi
siamo dell'opinione che nella forma di governo del servizio
pubblico bisogna essere chiari e definiti nelle procedure e
nella individuazione di responsabilità. Bisogna avere il
coraggio di definire con chiarezza i programmi e i contenuti
ascrivibili ad un servizio pubblico radiotelevisivo
distinguendoli nettamente da quelli destinati al mercato e
definire le procedure, tutte parlamentari, per la nomina degli
organi di amministrazione, con maggioranze qualificate che
assicurino il massimo del consenso sulla figura del presidente
quale organo di garanzia e la rappresentanza paritetica delle
opposizioni tramite ricorso a forme di voto limitato.
Onorevoli colleghi, per queste ragioni, ancorché
velocemente accennate, non proponiamo un testo alternativo, ma
la non approvazione del provvedimento all'esame
dell'Assemblea.
Enzo CARRA, Relatore di minoranza
per la VII Commissione.
Giorgio BOGI, Relatore di minoranza
per la IX Commissione.