XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3547


PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BERTINOTTI, VALPIANA, GIORDANO, DEIANA, TITTI DE SIMONE,
ALFONSO GIANNI, MASCIA, MANTOVANI, PISAPIA, RUSSO SPENA,
VENDOLA


Disposizioni per la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni sanitarie a favore dei soggetti non
autosufficienti e dei soggetti affetti da malattie mentali e
per l'incremento dei trattamenti pensionistici dei soggetti
svantaggiati


Presentata il 16 gennaio 2003


        
Onorevoli Colleghe, onorevoli Colleghi! - Con la
presente proposta di legge intendiamo rendere esigibile su
tutto il territorio nazionale il diritto alla salute delle
persone non autosufficienti a seguito di malattie croniche o
ad alto rischio invalidante. Occorre a tal fine rimuovere ogni
possibile discriminazione derivante dalla malattia, dalla
durata delle cure e dall'età della persona. Intendiamo inoltre
rendere esigibile su tutto il territorio nazionale il diritto
alla prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali
lievi e gravi nell'intero ciclo della vita delle persone. Ci
proponiamo infine di rendere esigibile, senza limiti di età,
il diritto all'incremento delle pensioni da parte delle
persone con invalidità civile totale, o sordomute, o cieche
civili assolute, titolari di pensioni, o di pensione di
inabilità, che hanno i requisiti di reddito richiesti per
accedere alle maggiorazioni sociali. Interveniamo, in
sostanza, per una questione di giustizia sociale e di
eguaglianza sostanziale.
        
L'arbitraria esclusione, sulla base del criterio dell'età,
di una parte delle persone con invalidità civile totale,
sordomute e cieche civili, dall'accesso all'incremento delle
pensioni in favore di soggetti svantaggiati, decisa con la
legge finanziaria 2002 (legge n. 448 del 2001), esige un
intervento perequativo in attuazione del principio di
uguaglianza di cui all' articolo 3 della Costituzione.

        
Le difficoltà delle persone non autosufficienti in
conseguenza di malattie croniche, o affette da malattie
mentali, ad accedere alle cure sanitarie senza limiti di
durata sono diventate insostenibili a seguito
dell'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento alla
Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002,
concernente i livelli essenziali di assistenza sanitaria, ora
recepito dall'articolo 54 della legge finanziaria 2003 (legge
n. 289 del 2002). Come è noto, questo decreto ha stabilito che
sino al 60 per cento del costo delle cure a lungo termine per
le persone con malattie croniche e mentali deve essere coperto
dai comuni. I comuni, a loro volta, chiedono una
partecipazione alla spesa alle persone interessate o alle loro
famiglie. Come è noto infatti le prestazioni erogate dai
comuni hanno carattere assistenziale e, a differenza di quelle
sanitarie, la loro erogazione a titolo gratuito è subordinata
all'accertamento di una condizione di bisogno economico.
Vengono così esclusi dall'accesso alle cure gratuite garantite
dal Servizio sanitario nazionale proprio coloro che ne hanno
più bisogno: persone non autosufficienti in conseguenza di
malattie croniche, o con disabilità fisiche, psichiche e
sensoriali, o affette da malattie psichiatriche. Condizioni,
tutte, che richiedono una assistenza infermieristica,
terapeutica, fisioterapica e riabilitativa, sia essa
domiciliare, residenziale o semiresidenziale. Ma non si
cancellano - non lo si fa per legge - i bisogni di cure
sanitarie. Essi restano, e per soddisfarli si dovrà ricorrere
al mercato, con il sostegno di "buoni" per l'acquisto dei
servizi (con criteri di accesso ed entità differenziate nei
diversi comuni) o agevolazioni fiscali, o infine
all'assistenza prestata in famiglia. Si chiamano cioè ancora
una volta le donne, in particolare quelle delle classi
subalterne, a sobbarcarsi un enorme carico di lavoro in ambito
domestico, con il viatico di contributi e agevolazioni fiscali
che ne scoraggiano l'inserimento nel mercato del lavoro, per
supplire alla demolizione dello stato sociale. Si ripropone
così, in forme nuove, ma non per questo socialmente meno
dirompenti, quel particolare intreccio tra stato sociale,
mercato del lavoro e famiglia, quella propensione a
perpetuare, come se fosse biologicamente determinata, la
divisione sessuata del lavoro, ad attribuire al reddito da
lavoro delle donne lo "status" di reddito complementare
che ne penalizza i processi di emancipazione e di liberazione,
vanificando il progetto politico di sottrarre il lavoro di
riproduzione sociale alla sfera domestica per ricondurlo a
quella pubblica e riconoscerne il valore economico e sociale.
Non si tratta cioè di discriminazione nell'accesso al lavoro,
che pure sussiste. E' questione di riconoscimento in senso
pieno della cittadinanza femminile, che investe lo statuto più
generale dei diritti di cittadinanza: lo svilimento
dell'attività di riproduzione sociale si estende infatti al
mercato del lavoro, dove viene oggi derubricata ad attività a
mero carattere custodialistico e ridotta a lavoro servile,
precario e sottopagato. Peggiora così, nello stesso tempo, la
qualità del lavoro e la qualità dei servizi prestati.
L'esperienza ci insegna che per questa via peggiorano le
condizioni di salute della popolazione, dando luogo a pesanti
discriminazioni legate al censo, al genere, all'età, alla
particolarità della malattia, senza per questo ridurre la
spesa sanitaria. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS)
indica il sistema sanitario degli Stati Uniti - campioni della
sanità privata - tra i più costosi sul piano economico e più
iniqui sul piano sociale. Esso detiene contemporaneamente il
primato mondiale della spesa sanitaria e quello
dell'ineguaglianza nell'accesso alle cure tra i Paesi
occidentali. Il sistema sanitario statunitense produce una
mortalità infantile che non ha pari nei Paesi
industrializzati, la ricomparsa e la diffusione di malattie
debellate da tempo, l'impoverimento di intere famiglie a causa
di malattie gravi e croniche. Larghe fasce di popolazione - la
vasta e variegata area delle lavoratrici e dei lavoratori
disoccupati e precari - sono escluse dall'accesso alle cure,
perché non assicurate o male assicurate.

        
L'alternativa esiste. Occorre però ribaltare i termini del
problema. Anziché assumere come dato di partenza la necessità
di contenere la spesa sanitaria pubblica, occorre stanziare
fondi pubblici sufficienti a finanziare collettivamente la
quantità e la qualità dei servizi, anche di prevenzione,
necessari per garantire il diritto di tutti e tutte alla
salute insieme ai diritti del lavoro. Solo per questa via si
può contribuire alla riduzione della morbilità e al
miglioramento delle condizioni di salute dell'intera
popolazione, ottenendo una diminuzione delle condizioni di non
autosufficienza e di disagio mentale e quindi anche, nel medio
e lungo periodo, la stabilizzazione del rapporto tra
popolazione bisognosa di cure e popolazione attiva. Si pone
cioè una questione di fiscalità generale e di ridistribuzione
del reddito. Un sistema sanitario che garantisce le cure a
tutti e tutte può reggere a due condizioni: il finanziamento
fondato sul prelievo fiscale progressivo sui redditi e
indipendente dal bisogno di cure, e il controllo pubblico e
partecipato sulla spesa. Inadeguatezze e limiti del nostro
sistema sanitario - che tuttavia, come testimonia l'OMS, è il
caso di ribadirlo, è ancora uno dei migliori del mondo quanto
a risultati di salute - derivano dal mancato rispetto di
questi due presupposti, su cui poggiava la riforma sanitaria
del 1978.
        
Essi sono alla base di questa proposta di legge. E'
opportuno ricordare che alle origini del deficit della
finanza pubblica italiana c'è la mole del debito accumulato
dal sistema mutualistico che ha preceduto l'introduzione del
Servizio sanitario nazionale, e che è dimostrato e
dimostrabile che i sistemi sanitari pubblici costano meno e
sono più efficaci sul piano dei risultati di salute di quelli
privati. Dal 1978 ad oggi, in nome del contenimento della
spesa pubblica, il Fondo sanitario nazionale è stato
cronicamente sottofinanziato, e quote crescenti del costo sono
state trasferite a carico delle famiglie attraverso
ticket e tagli delle prestazioni. La spesa sanitaria
pubblica italiana è oggi più bassa di quella della maggior
parte dei Paesi industrializzati, e lo sarebbe ugualmente se
si fosse anche solo mantenuta la quantità di risorse destinate
alla sanità pubblica nel 1990 (il 6,4 per cento del prodotto
interno lordo) (PIL). Per questo, riteniamo necessario che le
risorse destinate al Fondo sanitario nazionale non siano
inferiori all'8 per cento del PIL. Esattamente all'opposto, le
risorse per la sanità pubblica sono state progressivamente
ridotte. Su questa linea, con la sola, parziale, rottura
rappresentata dalla riforma sanitaria del 1999 - subito
abbandonata - si sono mossi i diversi governi che si sono
succeduti negli anni '90 come negli anni '80. Questo ha
abbassato la qualità dei servizi e peggiorato le condizioni di
lavoro, producendo disfunzioni e gravi discriminazioni
nell'accesso alle cure, sia su base territoriale (il
Mezzogiorno) sia sociale. Il citato decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 che ha escluso gran
parte del costo per le cure a lungo termine dai livelli
essenziali di assistenza sanitaria aggraverà queste
diseguaglianze. La preoccupazione sugli effetti di quel
provvedimento è stata del resto apertamente manifestata nel
corso del dibattito parlamentare da esponenti di diverse forze
politiche, che però si orientano su interventi a carattere
assistenziale o previdenziale. Tratto comune di queste
proposte è che intervengono nel solco tracciato dalla legge 8
novembre 2000, n. 328, che prevede interventi a carattere
assistenziale (articolo 15) per il sostegno domiciliare, di
persone non autosufficienti in condizione di disagio economico
(articolo 25), nonché l'utilizzo di fondi integrativi per
coprire le spese sostenute dall'assistito per le prestazioni
sociali finalizzate a garantire la permanenza a domicilio o in
strutture residenziali o semiresidenziali delle persone
anziane e disabili che necessitano di programmi assistenziali
intensivi e prolungati (articolo 26). Questo quadro
legislativo si fondava però su una premessa precisa ed
esplicita: "Ferme restando le competenze del Servizio
sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e
riabilitazione, per le patologie acute e croniche,

particolarmente per i soggetti non autosufficienti" (articolo
15).
        
Questa premessa è oggi venuta meno, per effetto
dell'articolo 54 della legge finanziaria 2003 (legge n. 289
del 2002), che dà forza di legge al citato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001.
L'effetto di questa disposizione è la cancellazione dal nostro
ordinamento giuridico della gratuità delle prestazioni di
prevenzione, cura e riabilitazione per le persone non
autosufficienti, che sino ad ora facevano interamente carico
al Servizio sanitario nazionale, nell'ambito delle attività ad
alta integrazione sociosanitaria, in attuazione del comma 4
dell'articolo 3-septies del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, introdotto dall'articolo 3 della legge
19 giugno 1999, n. 229. Si è così ovviato alla illegittimità
del decreto in questione, che alcuni comuni avevano sollevato
davanti al tribunale amministrativo regionale, proprio perché
contravveniva al citato decreto legislativo n. 502 del 1992.
Confermando la partecipazione alla spesa delle prestazioni
sanitarie per le malattie croniche, la citata legge
finanziaria 2003 mette in discussione il principio solidale
fondato sulla fiscalità generale e progressiva. Secondo questa
impostazione la sanità si farà carico per intero solo della
fase intensiva delle malattie, di quelle che hanno durata
breve, oppure di alcune malattie croniche che hanno una certa
rilevanza medica. Nel merito, ricordiamo che nel solo corso
del 1999 due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la
soglia della povertà per le spese sostenute per curare una
persona con una malattia cronica; e che il diritto alle cure
sanitarie gratuite e senza limiti di durata nei casi di
malattie della vecchiaia, è stato introdotto nel nostro Paese
dalle leggi 30 ottobre 1953, n. 841, e 4 agosto 1955, n. 692,
con le quali sono stati introdotti prelievi contributivi
aggiuntivi, mai abrogati. Una intera generazione di
lavoratrici e lavoratori che ha versato una maggiorazione
contributiva per assicurare a sé e alle proprie famiglie le
cure sanitarie nell'intero ciclo di vita si trova ora, nel
momento in cui ha bisogno dei servizi, a non poterli esigere.
Occorre perciò intervenire, per ristabilire l'eguaglianza
nell'accesso alle cure sanitarie delle persone non
autosufficienti in conseguenza di malattie croniche e di
quelle con malattie mentali, superando ogni indebita
discriminazione tra malattie acute e croniche e una concezione
residuale della sanità pubblica.
        
Non riteniamo infatti che il patto di stabilità non possa
essere messo in discussione nel momento in cui mette a rischio
la tutela del bene salute, e non pensiamo che il risanamento
della finanza pubblica debba necessariamente passare per il
ridimensionamento di una spesa sanitaria che è la più bassa
tra i Paesi europei e la demolizione di un sistema sanitario
tra i migliori del mondo per risultati di salute.
        
Solo dopo aver garantito a tutte e tutti, a carico della
fiscalità generale e progressiva, il diritto alle cure
sanitarie senza limiti di durata, aumentando a tal fine le
risorse destinate alla sanità pubblica, si potrà correttamente
valutare quali interventi assistenziali integrativi si rendano
necessari.
        
Allo stesso modo, la proposta di ricorrere a fondi
integrativi, dopo che sono stati esclusi dal Servizio
sanitario nazionale servizi e prestazioni sanitarie
essenziali, non è altro che un intervento sostitutivo del
diritto alle cure sanitarie.

La condizione delle persone non autosufficienti a seguito
di malattie croniche o ad alto rischio invalidante.

        
La condizione sanitaria delle persone non autosufficienti
a seguito di malattie croniche o ad alto rischio invalidante è
davvero precaria.
        
Ci sono oggi in Italia tra le 800.000 e le 900.000 persone
in queste condizioni, affette da patologie singole o plurime.
Tra le persone anziane primeggiano le malattie neurologiche
gravi, come la malattia di Alzheimer.
        
La maggior parte di queste persone vive in famiglia, per
scelta o per l'impossibilità di ricovero gratuito in strutture

qualificate a costi accessibili. I costi attuali di ricovero
sono un peso insostenibile per la famiglia, spesso composta
solo dalla persona direttamente interessata, o dalla stessa e
dal coniuge, entrambi anziani, e si registra una diffusa
difficoltà, quando non la materiale impossibilità, di ottenere
cure adeguate attraverso i servizi di medicina sul
territorio.

La situazione dei servizi di medicina sul
territorio.

        
Le persone non autosufficienti a seguito di gravi malattie
che richiedono cure continue hanno il diritto teorico alle
cure domiciliari, sotto la forma della "assistenza domiciliare
integrata" (ADI) o della "ospedalizzazione a domicilio",
quando ce ne siano le condizioni cliniche e con il consenso
della persona malata e del suo nucleo familiare di
convivenza.
        
Le cure domiciliari che le aziende unità sanitarie locali
prestano tramite il servizio ADI consistono in genere nella
presa in carico della persona da parte del medico di base, che
la visita più di frequente, nelle prestazioni infermieristiche
necessarie e, in alcuni casi più rari, nelle visite
specialistiche. Teoricamente, l'assistenza sanitaria è
assicurata nell'arco delle 24 ore e in ogni giorno dell'anno
attraverso il servizio di guardia medica.
        
L'ADI prevede anche l'intervento del comune che - dove
questo servizio esiste - fornisce l'assistenza e le
prestazioni domestiche, di pasti, pulizia della casa e simili.
L'ADI non è garantita e diffusa in tutte le regioni, e gli
stessi servizi di guardia medica non sono strutturati per
coprire questo bisogno di servizi. Anche dove esistono, non
sono in grado, salvo rarissime eccezioni, di risolvere tutti i
casi che si presentano o di dare risposta a tutte le persone
non autosufficienti che possono essere curate a casa.
        
La "ospedalizzazione a domicilio" non esiste, salvo
rarissime eccezioni. In molte regioni non è neppure
prevista.
        
In un numero limitato di aziende unità sanitarie locali o
di distretti sono state attivate le "dimissioni protette"
dagli ospedali. Si tratta di accordi fra ospedali e aziende
unità sanitarie locali nei quali viene stabilito che la
divisione ospedaliera informa il servizio di dimissioni
protette prima di dimettere le persone malate non
autosufficienti che possono essere curate a casa utilizzando
l'ADI. In teoria le dimissioni dovrebbero avvenire quando
l'ADI è stata attivata, senza che si interrompa la continuità
delle cure sanitarie.
        
In altre aziende unità sanitarie locali o distretti sono
state attivate le "unità di valutazione geriatrica",
organizzate in modo diverso da una azienda unità sanitaria
locale all'altra, senza rispondenza e uniformità con quanto
previsto dal Progetto obiettivo nazionale del 1992 "Tutela
della salute degli anziani".

La situazione dei servizi semiresidenziali e
residenziali.

        
I centri diurni presso cui fornire l'assistenza alle
persone non autosufficienti a seguito di malattie croniche che
vivono in famiglia non sono uniformemente diffusi e sono
organizzati e regolamentati in modo molto differenziato per
prestazioni offerte, qualificazione e condizioni contrattuali
del personale, orari e regole per l'accesso al servizio.
        
Inoltre, c'è una diffusa propensione a classificare i
centri diurni come servizi di sollievo alle famiglie, anziché
come servizi sanitari, chiamando le persone e le famiglie a
partecipare alla spesa. Questo sulla base di una indebita
classificazione delle malattie "inguaribili" come malattie
"incurabili" mentre, per limitarsi a un esempio significativo,
la medicina basata sull'evidenza clinica registra un
miglioramento della funzione cognitiva e del comportamento a
seguito di interventi centrati sull'orientamento alla realtà
nel caso della malattia di Alzheimer.
        
Le "residenze sanitarie assistenziali" (RSA), pur avendo
caratteristiche diversissime fra di loro, per il numero di
persone ricoverate, per tipologia di struttura, per
qualificazione e condizioni contrattuali del personale e per
stato giuridico, hanno due aspetti in comune. In primo luogo
le persone ricoverate sono quasi tutte persone malate gravi

non autosufficienti (le patologie più ricorrenti sono quelle
tumorali, cardiovascolari, neurologiche e psichiatriche). In
secondo luogo, l'ammissione al ricovero è subordinata
all'accettazione di un contratto con il quale la persona da
ricoverare, piuttosto che parenti o conviventi, accetta di
pagare una retta per il ricovero di rette richieste, diverse
da regione a regione, sono insostenibili per molte famiglie.
Quando si tratta di persona sola, priva di parenti e
sprovvista di mezzi economici, il pagamento della retta intera
o di una parte di essa è sostenuto dal comune di residenza al
momento del ricovero.
        
La maggior parte delle persone malate croniche non
autosufficienti viene dimessa dagli ospedali (o non viene
ricoverata) con modalità che non sembra eccessivo definire
"selvagge", senza cioè fornire loro alcuna comunicazione sul
diritto a ottenere cure sanitarie domiciliari, residenziali o
semiresidenziali. Questa situazione è stata provocata dalla
nuova modalità di finanziamento degli ospedali da parte del
Servizio sanitario nazionale prevista dal decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 502, cioè dal pagamento delle cure "a
prestazione" (DRG) in luogo del pagamento "a giornata di
degenza". Su questa base, e con l'obiettivo economico del
pareggio del bilancio, gli ospedali sono, di fatto,
incoraggiati ad aumentare la quantità di prestazioni meglio
pagate a scapito di quelle meno remunerative. Tra queste
ultime ci sono, appunto, quelle per le malattie croniche.
        
E' anche necessario ricordare che gli ospedali generali
non hanno lo scopo di curare esclusivamente le malattie
"acute". Al contrario, le leggi prevedono che i posti-letto
degli ospedali debbano essere programmati per malattie acute,
malattie croniche, lungodegenze e convalescenze; e che per le
lungodegenze deve essere previsto un posto-letto ogni mille
abitanti. Il rispetto di questi standard non è ad oggi
garantito su tutto il territorio nazionale.

Gli interventi e le strutture per la salute mentale.

        
Le leggi n. 833 e n. 180 del 1978 sono rimaste largamente
inattuate anche per quanto riguarda le cure psichiatriche.
Quanto definito nei progetti obiettivo per la tutela della
salute mentale viene attuato in modo differenziato e con
criteri in larga misura discrezionali, non avendo quelle norme
sufficiente forza giuridica e non essendo adeguatamente
finanziate.
        
La conferenza nazionale sulla salute mentale tenuta
all'inizio del 2000 ha denunciato la pressoché totale assenza
di servizi e strutture per l'età evolutiva. Le famiglie, è
stato testimoniato, si rivolgono al privato che, oltre essere
a pagamento, non sempre garantisce l'appropriatezza e
l'adeguatezza delle prestazioni.

Le finalità della proposta di legge.

        
Questa sia pur sintetica analisi della situazione
evidenzia la necessità di determinare e rendere esigibili i
livelli essenziali delle prestazioni sanitarie per la non
autosufficienza e la salute mentale che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale in attuazione del
combinato disposto degli articoli 3 e 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione.
        
Si tratta, in sostanza, di portare a compimento
l'esperienza politica e sociale che ha contrassegnato il
passaggio novecentesco dai regimi liberali a quelli
democratico-sociali, esperienza che oggi è sorretta da norme
di diritto positivo anche negli Stati federali europei.
        
Nel nostro Paese quell'esperienza si è tradotta in un
ordinamento costituzionale peculiare, fondato sulla centralità
attribuita ai diritti civili e sociali: essi costituiscono una
componente essenziale della democrazia italiana e del progetto
di emancipazione sociale delineato nella parte prima della
Costituzione.
        
Il carattere programmatico ed evolutivo del patto sociale
iscritto nella nostra Costituzione pone il rispetto dei
diritti civili e sociali fondamentali come limite non
superabile di un ordinamento federalista: nel nostro Paese
questa forma di ordinamento deve in ogni caso fornire la
garanzia dell'effettività di tali diritti. La norme
costituzionali che li riconoscono possono restare sprovviste

di leggi attuative, o essere solo parzialmente attuate, come è
anche avvenuto; ma non possono in alcun modo essere
contraddette dalla legislazione ordinaria. In particolare, non
si può contravvenire al principio di uguaglianza sostanziale
affermato all'articolo 3, che nella nostra Costituzione è un
vero e proprio criterio sovraordinatore, cui la legislazione
deve uniformarsi.
        
Gli elementi di differenziazione territoriale dei processo
di emancipazione sociale introdotti dall'ordinamento
federalista trovano perciò nella nostra Costituzione il limite
invalicabile del rispetto del principio di uguaglianza nelle
condizioni di vita di tutti i cittadini e le cittadine.
        
Con questa proposta di legge intendiamo garantire il
rispetto di quel principio fondamentale di uguaglianza,
individuando i livelli essenziali di assistenza sanitaria che
devono essere assicurati per le non autosufficienze e la
malattia mentale su tutto il territorio nazionale,
indipendentemente dalla tipologia della malattia e dall'età
della persona e stabilendo altresì che i soggetti
svantaggiati, a parità di condizioni di reddito, hanno diritto
all'incremento delle pensioni indipendentemente dall'età.
        
Per rendere esigibili tali diritti, occorre definire con
chiarezza chi sono gli aventi diritto; quali soggetti hanno
l'obbligo di fornire i servizi e le prestazioni; i contenuti
degli interventi; le modalità organizzative; le sedi di
erogazione dei servizi e delle prestazioni; i tempi di
attuazione e l'esercizio delle attività sostitutive; le fonti
di finanziamento. L'erogazione delle prestazioni con le
modalità appropriate alle necessità di cura delle persone,
individuate nella presente proposta di legge, costituisce
perciò componente strutturale dei livelli essenziali di
assistenza sanitaria.
        
A tal fine, la presente proposta di legge riordina la
normativa in materia inserendo i servizi e le prestazioni in
un sistema uniforme, che consenta a tutti i cittadini e le
cittadine, ovunque residenti, di conoscere i diritti esigibili
alla prevenzione, cura e riabilitazione delle persone non
autosufficienti a seguito di malattie croniche o ad alto
rischio invalidante e con malattie mentali.
        
Fermi restando il principio della universalita e del
finanziamento del Servizio sanitario nazionale a carico della
fiscalità generale, viene fissato un "tetto" alla eventuale
partecipazione al costo per l'assistenza domiciliare integrata
e per il ricovero prolungato in RSA che può comunque essere
richiesta esclusivamente alla persona interessata. Detta
previsione ha la finalità di garantire l'uniformità della
partecipazione alla spesa che può essere richiesta nei limiti
delle quote previste dalla presente proposta di legge.

I percorsi diagnostici e terapeutici per la cura delle non
autosufficienze derivanti da malattie croniche o ad alto
rischio invalidante.

        
La proposta di legge individua i percorsi diagnostici e
terapeutici che dovranno essere assicurati su tutto il
territorio nazionale, come di seguito sinteticamente
delineato:

                
a) programmi di prevenzione: in ogni territorio,
le aziende unità sanitarie locali, in concorso con i comuni,
definiranno un programma di prevenzione attuabile e
verificabile, con la finalità di ridurre in modo consistente
il numero delle persone malate non autosufficienti;

                
b) valutazione dei bisogni: l'unità valutativa
geriatrica, su segnalazione del medico di base o del reparto
ospedaliero, procederà alla diagnosi funzionale della persona
che ha bisogno di cure e ne indicherà il percorso terapeutico
riabilitativo;

                
c) cure domiciliari: questa modalità di cura,
sostenuta dai componenti del nucleo familiare di convivenza,
nei casi in cui ne ricorrano le condizioni e con il consenso
della famiglia e della persona malata, garantirà tutte le cure
medico- infermieristiche necessarie, permettendo la permanenza
al proprio domicilio. Le persone che compongono il nucleo
familiare non hanno alcun obbligo di prestare cure sanitarie e

saranno supportate dal punto di vista materiale, psicologico
e, ove sia necessario, anche economico;

                
d) centri diurni: la persona non autosufficiente
che rimane nella propria dimora, soprattutto se colpita da
patologie neurologiche e da malattia di Alzheimer, deve avere
accesso per l'intera giornata in un centro diurno o in una
comunità terapeutica, dove le saranno garantite le cure
sanitarie a carico della sanità pubblica;

                
e) RSA: si ha diritto al ricovero in una RSA,
anche per periodi limitati, in tutti i casi in cui non vi
siano le condizioni o il consenso della persona malata e del
suo nucleo familiare di convivenza per la permanenza a
domicilio. Le RSA avranno standard di struttura e di
personale definiti in analogia alle strutture sanitarie. Ogni
RSA non potrà essere dimensionata per più di 60 posti-letto.
Tale dimensionamento risponde all'esigenza di garantire
prestazioni medico-specialistiche adeguate a costi
sostenibili. Le RSA dovranno coordinarsi con l'ospedale più
vicino, con priorità di accesso al ricovero, alle visite
specialistiche e agli esami strumentali e clinici. Le grandi
strutture di ricovero, caratterizzate dalla grande
concentrazione, dovranno essere superate, come tutte le
istituzioni totali e spersonalizzanti.

I percorsi diagnostici e terapeutici per la tutela della
salute mentale.

        
La proposta di legge istituisce in ogni azienda unità
sanitaria locale il dipartimento di salute mentale e il
dipartimento di salute mentale dell'età evolutiva. Stabilisce
inoltre l'istituzione di servizi e strutture sulla base di
parametri di popolazione precisi e con un finanziamento non
inferiore al 5 per cento del bilancio di ciascuna azienda
sanitaria locale. La risposta a ciascuna persona affetta da
disagio psichiatrico deve essere data in modo completo e
personalizzato. Prima del bisogno di cura viene quello di
prevenzione, che richiede il coinvolgimento positivo dei
soggetti collettivi e della società civile. L'organizzazione
dell'intervento preventivo è affidata al dipartimento di
salute mentale, che dovrà operare insieme ai comuni, favorendo
l'intervento di tutti i soggetti direttamente o indirettamente
coinvolti.
        
Si dispone inoltre l'istituzione del comitato di salute
mentale, organo di partecipazione al funzionamento e al
controllo dei servizi e delle strutture del dipartimento di
salute mentale. Questa innovazione mette in relazione le
associazioni, le organizzazioni e i movimenti che si occupano
a vario titolo del problema e permette, nella misura del
possibile, di fare sentire la voce diretta dei soggetti che
vivono il problema, aprendosi alla società e contribuendo ad
abbattere quello che è stato definito il pregiudizio
psichiatrico.
        
I servizi e le strutture del dipartimento devono essere
istituiti e funzionare con quantitativi adeguati di personale
qualificato. Deve essere fatta la massima attenzione
all'istituzione o alla riqualificazione di quei servizi e
strutture che sono attualmente i meno diffusi, in particolare
il centro di salute mentale, che deve restare aperto per sei
giorni la settimana e per dodici ore al giorno, e la comunità
terapeutica, la cui mancata presenza e diffusione su tutto il
territorio viene invocata come argomento a favore del
ripristino dei manicomi. Le comunità terapeutiche non potranno
seguire più di dieci casi contemporaneamente e dovranno essere
inserite nel tessuto urbano e sociale.
        
Tutti i servizi e le strutture del dipartimento di salute
mentale fanno parte del complesso del servizio sanitario
pubblico e coloro che ne usufruiscono non devono intervenire
con alcuna forma di partecipazione alla spesa.
        
La proposta di legge prevede infine l'istituzione del
dipartimento di salute mentale dell'età evolutiva per
promuovere e costruire servizi che consentano di affrontare
con efficacia i problemi di molti adolescenti per prevenire
l'insorgenza di malattie psichiatriche gravi e per affrontare
malattie difficili, come l'autismo.

I contenuti della proposta di legge.

        
Come risulta dalla presente relazione, la proposta di
legge interviene sulle non autosufficienze derivanti da
malattie croniche o ad alto rischio invalidante, e sulla
salute mentale. Le disposizioni sulle non autosufficienze
riprendono e integrano una proposta di legge regionale di
iniziativa popolare, sulla quale un "cartello" di associazioni
ha raccolto in Lombardia oltre 15.000 firme. Con lo stesso
scopo di tutela del diritto alle cure sanitarie delle persone
con malattie croniche, alcune associazioni hanno raccolto in
Piemonte oltre 35.000 firme su una petizione che chiede al
Governo di revocare il decreto sui livelli essenziali di
assistenza e alla regione Piemonte di disapplicarlo.
        
Le norme in materia di salute mentale riprendono ed
integrano l'ultimo Progetto obiettivo per la salute mentale,
mai attuato, rendendo così cogenti i suoi contenuti.
        
Per garantire l'esigibilità del diritto alle cure
sanitarie, nel rispetto delle norme costituzionali richiamate,
la proposta di legge dispone che lo Stato dovrà coprire
interamente la spesa sanitaria derivante dall'applicazione
della legge attraverso la fiscalità generale. A tal fine
prevede l'aumento dell'incidenza della spesa sanitaria
pubblica sul PIL e il suo allineamento a quella di Paesi
europei, come quello francese e tedesco, spesso richiamati dai
fautori del ricorso a fondi integrativi o ad assicurazioni
obbligatorie.
        
Con una spesa come quella dei Paesi che si portano a
modello, il nostro Servizio sanitario nazionale sarebbe in
grado non solo di estendere i servizi, ma anche di rispondere
al diffuso bisogno di riqualificazione e personalizzazione
degli stessi.

Sintesi dell'articolato.

        
La proposta di legge si articola in quattro capi.
        
Il capo I concerne i princìpi generali e l'incremento
delle pensioni a favore di soggetti svantaggiati. La finalità
è quella di determinare i livelli essenziali delle prestazioni
sanitarie per le non autosufficienze e la salute mentale
(articolo 1), nonché delle prestazioni concernenti
l'incremento delle pensioni in favore di soggetti svantaggiati
(articolo 2), che devono essere garantiti dallo Stato su tutto
il territorio nazionale ai sensi e per gli effetti del
combinato disposto degli articoli 3 e 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione. Il capo II (articoli
3-15) detta le norme per assicurare i livelli essenziali delle
prestazioni sanitarie a favore di persone non autosufficienti;
il capo III (articoli 16-19) detta le norme per assicurare i
livelli essenziali delle prestazioni sanitarie di prevenzione,
cura e riabilitazione della malattia mentale ed infine il capo
IV (articolo 20) individua la fonte di finanziamento.




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