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PDL 1045

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1045



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato CICCHITTO

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'acquisto da parte di Telecom Italia del 29 per cento di Telekom Serbia

Presentata il 26 giugno 2001


      

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Onorevoli Colleghi! - Nel febbraio 2001 il quotidiano La Repubblica ha pubblicato diversi articoli con una documentata ricostruzione dell'«affaire Telecom Italia-Telekom Serbia» e ha riportato una smentita dell'allora Ministro degli affari esteri Dini («Non mi sono mai occupato, né nessuno mi ha mai parlato di questo affare (...). Lo appresi a contratto firmato, dai giornali»), apparsa francamente incredibile, considerato che si trattò di una gigantesca transazione internazionale tra due aziende di Stato, operanti per giunta in un settore strategico. Peraltro il Ministro Dini, contraddicendosi palesemente, il 28 febbraio 2001 ha dichiarato alla Camera dei deputati: «Le fonti di informazione del Ministero degli affari esteri furono essenzialmente i giornali serbi, in particolare Nin e Nasaborba, che ne parlarono nel febbraio del 1997, e le indicazioni di massima che la stessa STET-Società finanziaria telefonica p.a. fornì, sempre nel febbraio del 1997, alla nostra direzione generale degli affari economici. Che l'informativa - e soltanto l'informativa - ci fosse pervenuta nel corso delle ultime fasi del negoziato emerge chiaramente da una comunicazione del nostro ambasciatore a Belgrado che nel febbraio del 1997 faceva stato di voci che egli riferiva con riserva circa l'eventuale conclusione dell'acquisto da parte della STET spa di una quota dell'ente serbo delle telecomunicazioni».
      Lo stesso Ministro Dini, riferendosi ad un imprecisato rapporto della CIA sull'affare Telecom, accusò l'Agenzia americana di «cercare di screditare chi sostiene a volte posizioni negoziali diverse da Washington» e più tardi parlò di «manovali della CIA che facevano propaganda a Roma». Accuse come queste, più uniche che rare nel tradizionale rapporto di amicizia
 

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tra USA ed Italia, hanno suscitato una ferma ed indignata reazione del Governo americano, che ha avuto vasta eco negativa tra i nostri storici alleati.
      La suddetta transazione, che non sembra essere stata dettata dagli interessi economici dell'Italia, ma dal perseguimento di occulti interessi politico-affaristici, sotto la spinta di forti pressioni lobbistiche, è stata compiuta in spregio della posizione internazionale ufficiale dell'Italia, che condannava la politica avventuristica e lesiva dei diritti umani del dittatore comunista Milosevic che si era già macchiato, sia pure indirettamente, della terribile pulizia etnica in Bosnia, quasi ponendo in essere una opposta e dissimulata linea strategica nei confronti della ex Jugoslavia.
      Il sospetto che la transazione nascondesse anche tangenti a favore di vari soggetti variamente implicati o a vantaggio personale del despota Milosevic e che celasse comunque un sostanziale aiuto al rafforzamento del suo regime, fu chiaramente prospettato da importanti organi di stampa e da autorevoli parlamentari mediante interrogazioni e dichiarazioni coeve alla nascita del primo Governo D'Alema. La ridda di voci, accuse, smentite e precisazioni, innescate dagli articoli de La Repubblica e coinvolgenti le più alte cariche italiane e serbe, ha chiamato pesantemente in causa la credibilità, se non addirittura la moralità, del Governo italiano dell'epoca, e in particolare del suo Ministro degli affari esteri, in quanto è apparsa una gestione diretta dell'affare da parte della Telecom e del Ministero degli affari esteri con sostanziale scavalcamento di altre strutture istituzionali.
      L'affaire ha pure assunto rilievo penale. La procura della Repubblica di Torino ha avviato indagini ipotizzando il falso in bilancio e l'illegale ripartizione di utili, indagini che stanno avendo in questi giorni significativi sviluppi. Ma sono prospettabili anche la corruzione e il peculato, poiché i dirigenti della Telecom erano all'epoca pubblici ufficiali o almeno incaricati di pubblico servizio e il denaro impiegato nell'operazione era denaro pubblico, nonché di azionisti privati.
      Le polemiche non hanno riguardato solo l'Italia, ma anche la Grecia, che tramite l'OTE acquistò insieme a Telecom Italia il 49 per cento di Telekom Serbia, subordinandosi però alla trattativa gestita in termini sostanzialmente privatistici dal dittatore Milosevic e dal direttore generale di Telecom Italia dell'epoca, Tomaso Tommasi di Vignano. Al riguardo non possono essere sottaciute due circostanze emblematiche. La prima concerne la procedura di privatizzazione di Telekom Serbia, del tutto inconsueta. Infatti la messa sul mercato di quote così notevoli di imprese strategiche avviene normalmente attraverso pubbliche gare internazionali con tutte le garanzie in grado di attirare i migliori investitori. In questo caso, invece, non solo la trattativa avvenne con criteri praticamente preferenziali, ma fu anche circondata da una ingiustificabile oscurità, fino ad essere addirittura coperta dal segreto di Stato. La seconda circostanza afferisce al fatto che la prima formulazione dell'offerta di vendita da parte jugoslava fu rifiutata dalla STET spa proprio perché inusuale, inadeguata e sospetta.
      Bisogna inoltre sottolineare che sono già state disposte dalla magistratura torinese le rogatorie per accedere ai conti della Paribas di Francoforte e della Barclays Bank di Londra, dove furono accreditati rispettivamente circa 16 milioni di marchi tedeschi a beneficio della banca Natwest Securities Limited e circa 1.700.000 marchi alla Weil Gotshall&Manges: tutto denaro versato dalla STET spa, la finanziaria pubblica dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), che controllava Telecom prima della privatizzazione, benchè, stando al comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri del 22 febbraio 2001, non vi fosse «alcuna competenza diretta del consiglio di amministrazione della STET spa in ordine all'acquisizione», effettuata, secondo lo stesso comunicato, da STET International Netherlands, società di diritto olandese controllata da STET International a sua volta controllata da STET spa, all'epoca posseduta, com'è noto, dall'IRI. Dunque fu utilizzata una società
 

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di modesto livello per portare a termine un'operazione di primaria importanza e contraddittoria rispetto alla politica estera italiana.
      C'è poi da aggiungere che sui citati conti bancari la greca OTE avrebbe versato altro denaro e per tale versamento starebbero indagando i giudici di Atene.
      Dai verbali societari della STET International Netherlands risulterebbe, come dichiarato dall'amministratore delegato Massimo Masini a Il Giornale del 1o marzo 2001, che Telecom Italia il 5 giugno 1997, quattro giorni prima dell'acquisto della quota in Telekom Serbia, ordinò a STET International Netherlands di pagare 17 miliardi e 333 milioni di lire ad una società di consulenza macedone, la Mak Enviroment, per una non meglio precisata «consulenza e assistenza» e che il 14 novembre 1997 la stessa Telecom Italia aumentò l'importo a 22 miliardi 626 milioni 914 mila lire, da ripartire così: lire 17 miliardi e 333 milioni alla suddetta Mak Enviroment e il resto, più di lire 5 miliardi, ad una serie di consulenti puntualmente elencati nel verbale: D.A. Kourentis, Ubs Limited, Jones Day Reavis & Pogue, Debevoise Plimpton, Arthur Andersen, Société Européenne de Banque Luxembourg. Queste sono società anche abbastanza note, mentre la Mak Enviroment di Skopije non compare nei siti commerciali. All'apparenza è una scatola vuota.
      In base a dati finora emersi risulta che Telecom Italia ha pagato complessivamente circa 54 miliardi di lire per consulenze e assistenze varie.
      Merita una sottolineatura il fatto che L'Espresso del 7 dicembre 2000, anticipando di settanta giorni La Repubblica, pubblicò un lungo articolo nel quale ricordava che i dettagli dell'acquisto della quota di Telekom Serbia erano stati concordati il 15 gennaio 1997 in un incontro riservato, tenuto a Belgrado, tra il direttore generale della Telecom, Tomaso Tommasi di Vignano (che appena due settimane dopo sarà nominato amministratore delegato al posto di Ernesto Pascale) e Milosevic.
      Quanto ai risvolti politici, si deve osservare che il Ministro degli affari esteri, che aveva titolo per vigilare sull'opportunità dell'operazione, ha dichiarato di averne avuto notizia soltanto a cose fatte, attraverso i giornali.
      La stessa operazione, configurandosi anche come un effettivo sostegno finanziario al traballante regime dittatoriale di Milosevic, suscitò tra i Paesi alleati forti sospetti e riserve nei confronti dell'Italia. A tale punto che in occasione del vertice di Rambouillet il Segretario di Stato USA, signora Madeleine Albright, non esitò a definire il Ministro Dini come l'«Oudini dei Serbi», accusandolo di passare documenti NATO alla delegazione di Belgrado.
      Comunque, Boris Tadic, attuale Ministro delle telecomunicazioni serbo, ha dichiarato che «le trattative furono a tal punto nascoste agli occhi dell'opinione pubblica che perfino oggi facciamo fatica a recuperare informazioni sui momenti chiave della vicenda»; e inoltre che «Milosevic utilizzò il denaro incassato con Telecom per mantenere la pace sociale. E lo spese fino all'ultima moneta. Oggi nelle nostre casse non è rimasto un solo marco». Secondo lo stesso Tadic, inoltre, sarebbero numerose le prove o gli esempi di corruzione tuttora in atto attraverso le forniture alla Telekom Serbia da parte di Telecom Italia, che riservatamente lo avrebbe messo a parte di «timori per l'incolumità personale dei manager italiani presenti a Belgrado».
      Risulta avviata dal Governo di Belgrado un'inchiesta ufficiale sui possibili comportamenti finanziari scorretti di Telekom Serbia. Alla fine dell'inchiesta il Governo serbo non esclude di chiedere un arbitrato internazionale. In proposito, il vice premier serbo Vuk Obradovic, che è anche capo della commissione di controllo delle privatizzazioni nelle imprese di Stato, ha dichiarato che saranno esaminate attentamente tutte le procedure per questa privatizzazione e verranno resi pubblici «molto presto tutti gli atti criminali nel settore economico e finanziario serbo negli ultimi dieci anni».
 

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      In una dichiarazione, rilasciata il 19 febbraio 2001, l'europarlamentare onorevole Benedetto della Vedova ha poi affermato: «Il 14 dicembre del 1998, durante il dispiegamento delle forze di Milosevic in Kosovo (amministratore delegato di Telecom Italia è Franco Bernabé, presidente Bernardino Libonati: siamo in piena gestione IFIL del gruppo delle telecomunicazioni), all'assemblea degli azionisti, insieme con Gianfranco Dell'Alba, chiedo formalmente conto della partecipazione in Telekom Serbia, partecipazione, dico, che rappresentava una gravissima compromissione della società con il regime di Milosevic e che poteva creare un grave danno a una azienda internazionalizzata come Telecom Italia. Bernabé non proferisce parola sull'argomento e Libonati cerca continuamente di interrompermi affermando che non si trattava di questioni inerenti all'azienda. Erano così poco "inerenti all'azienda", che nel bilancio dell'anno successivo del gruppo telefonico, il 1999, la partecipazione in Telekom Serbia viene valutata in appena 200 milioni di dollari (circa 400 miliardi di lire), contro i 900 miliardi del costo dell'accordo concluso un anno prima».
      In conclusione, la vicenda Telecom Italia-Telekom Serbia dimostra che la cosiddetta «diplomazia degli affari» può procurare anche cattivi affari e peggiore politica, e talvolta affondare nella corruzione e nell'intrigo perché il fatto di finanziare Milosevic, quando il regime era alla bancarotta, ricavandone discredito e danno, costituisce una gravissima responsabilità per il Ministro degli affari esteri dell'epoca.
      L'eccezionale gravità e le peculiari caratteristiche dell'affaire, sopra appena tratteggiate, portano purtroppo ad un'unica conclusione politica. Il Ministro degli affari esteri di allora, Dini, svolse prima in silenzio e poi coprì azioni contrastanti con la collocazione internazionale dell'Italia e con le decisioni comuni nei confronti della ex Jugoslavia. L'ostinazione, davvero oltre i limiti, nel negare fatti evidenti dimostra che le nostre autorità competenti avevano piena consapevolezza di comportarsi in modo sleale nei confronti dei partner della NATO e, se scoperte, di creare gravi contraccolpi tra i nostri tradizionali amici occidentali. Al di là delle verità finora emerse, che l'inchiesta parlamentare definitivamente accerterà e circostanzierà, l'aspetto più censurabile e più amaro della vicenda sta nella doppiezza politica del Ministro degli affari esteri di allora e nell'umiliante condizione in cui la sua incredibile condotta ha posto la nostra nazione.
      In tale complesso ed impressionante contesto politico-affaristico-giudiziario è indispensabile fare piena luce. Perciò occorre affidarsi all'istituto che la Costituzione appresta per simili necessità istituzionali, cioè all'inchiesta parlamentare.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione parlamentare di inchiesta).

      1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta, di seguito denominata «Commissione», con il compito di indagare sulle vicende relative all'acquisto da parte di Telecom Italia del 29 per cento di Telekom Serbia; sugli atti presupposti, connessi e conseguenti all'acquisto, compiuti da Ministri, da enti e da soggetti privati, persone giuridiche e fisiche, competenti e interessati; sul se e sul come tali vicende abbiano influito, interferito e determinato fasi o atti del procedimento di privatizzazione di Telecom Italia; sugli investimenti esteri effettuati da STET - Società finanziaria telefonica p.a. e da Telecom Italia nel settore delle telecomunicazioni dal 1996 al 2001.
      2. La Commissione ha inoltre il compito di accertare:

          a) per quali ragioni un'operazione di così grande portata economica e di così gravi implicazioni politiche sia stata affidata alla STET International Netherlands, società di diritto olandese controllata da STET International spa, a sua volta controllata da STET spa, all'epoca controllata dall'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) e successivamente fusa con Telecom Italia;

          b) chi furono i percettori finali dei versamenti effettuati dalla STET spa sui conti della Paribas di Francoforte e della Barclays Bank di Londra, a quale cifra ammontavano esattamente i versamenti stessi ed a quale titolo furono realmente disposti;

          c) quali attività svolse la UBS di Zurigo e in base a quali elementi, in veste

 

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di advisor, avrebbe stimato in circa 900 miliardi di lire il valore, sicuramente inferiore, del 29 per cento di Telekom Serbia acquistato da Telecom Italia;

          d) se è vero che la partecipazione sia stata iscritta in bilancio per un valore di 400 miliardi di lire, ovvero meno della metà del valore reale, e per quali motivi;

          e) l'ammontare esatto delle somme versate direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo (prezzi, consulenze, mediazioni, cambi, tasse) ed a qualsiasi soggetto, persone fisiche e giuridiche, da parte della STET spa e di Telecom Italia per l'acquisizione di Telekom Serbia e se le cifre stesse corrispondano a quelle iscritte a fronte nei bilanci delle medesime società italiane;

          f) per quali ragioni l'allora amministratore delegato di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano, firmatario dell'acquisto di Telekom Serbia, disattese il rapporto della società di revisione Coopers & Lybrand che bocciò il primo bilancio della Telekom Serbia «privatizzata» perché erano sovrastimati gli utili e il capitale;

          g) se, secondo le affermazioni di Tomaso Tommasi di Vignano, la parcella di 960 mila marchi riconosciuta al conte Gianni Vitali possa essere considerata «una normale commissione per una prestazione professionale»;

          h) a quale titolo STET International Netherlands, operando su disposizione di Telecom Italia, erogò 17 miliardi e 333 milioni di lire a favore della fantomatica Mak Enviroment di Skopije e 5 miliardi 293 milioni e 914 mila lire a favore delle più note società D.A. Kourentis, UBS Limited, Jones Day Reavis & Pogue, Debevoise Plimpton, Arthur Andersen, Société Européenne de Banque Luxembourg;

          i) se attraverso la Mak Enviroment di Skopije furono pagati i cosiddetti «facilitatori» dell'affare e se in tutto o in parte i 17 miliardi e 333 milioni di lire rientrarono in Italia attraverso la Leu Bank di Ginevra;

 

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          l) se esistano realmente delle clausole segrete del contratto tra Telecom Italia e Telekom Serbia, rientranti in un giro di tangenti europee ideato dal regime di Belgrado nel 1997; quale sia il loro eventuale contenuto; se e per quali motivi i responsabili di STET spa e di Telecom Italia le abbiano celate non solo agli organi societari, ma anche ai Ministri competenti;

          m) il ruolo svolto da Dyocilo Maslovaric, intermediario dell'affare tra Telecom Italia e Telekom Serbia al tempo in cui era ambasciatore jugoslavo presso la Santa Sede, e già sottoposto ad interrogatorio dalla magistratura italiana;

          n) se risponde a verità che il Governo di Belgrado pose il segreto di Stato sul contratto di vendita e quali ne furono i motivi, che sicuramente dovettero essere notificati al Governo italiano;

          o) se corrisponde a verità quanto dichiarato dall'ex ambasciatore jugoslavo presso la Santa Sede, Maslovaric, secondo cui la tangente di 32 miliardi di lire sarebbe stata pagata dai serbi a consulenti inglesi, mentre gli italiani «hanno pagato la UBS svizzera»;

          p) a chi si riferiva il dittatore comunista Milosevic, quando affermò che il denaro della tangente fu destinato «a quei mafiosi di italiani». Circostanza ribadita, secondo indiscrezioni di stampa, dall'ex ambasciatore jugoslavo Maslovaric nel corso del menzionato interrogatorio;

          q) se risulta agli atti della Presidenza del Consiglio dei ministri o dei Ministeri competenti, dell'IRI, della STET spa o di sue società controllate, e della Telecom Italia una documentazione scritta, di qualsiasi natura, comprovante, come dovuto per legge, che la Telecom Italia o la STET spa informarono l'IRI e le autorità di governo, e quali eventuali risposte ne ricevettero;

          r) se possa considerarsi legittimo e veritiero o solo politicamente accettabile che autorità governative e amministratori

 

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di società pubbliche, che avevano il potere e il dovere di informarsi e che avrebbero dovuto essere informati dagli enti e dalle società, controllati o vigilati, abbiano declinato ogni responsabilità e negato perfino la mera conoscenza dell'accaduto, rendendo dichiarazioni di smentita sorprendenti e incredibili alla luce dei fatti;

          s) come si concili il consistente sostegno finanziario fornito con questa operazione al regime del dittatore comunista Milosevic, già implicato pesantemente con la terribile pulizia etnica in Bosnia, con la linea di politica estera italiana ufficialmente a tutela dei diritti umani in ogni parte del mondo.

      3. La Commissione conclude i propri lavori entro sei mesi dalla data della sua costituzione e presenta al Parlamento la relazione finale entro i successivi sessanta giorni.

Art. 2.
(Composizione della Commissione).

      1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, scelti rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
      2. La Commissione, nella prima seduta, elegge il presidente, due vicepresidenti e due segretari.

Art. 3.
(Acquisizione di testimonianze, atti e documenti).

      1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
      2. La Commissione può acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti

 

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e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. In tale ultimo caso la Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza.
      3. Per i fatti oggetto dell'inchiesta non è opponibile alla Commissione il segreto di Stato.
      4. Per le testimonianze davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.
      5. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non debbano essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto).

      1. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, comma 2.
      2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto di cui al comma 1, nonché la diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione, sono punite ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.

Art. 5.
(Organizzazione interna).

      1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione

 

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stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
      2. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 1.
      3. Tutte le volte che lo ritenga opportuno, la Commissione può riunirsi in seduta segreta.
      4. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie.
      5. Per l'espletamento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa tra loro.
      6. Le spese per il funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.


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