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PDL 5900

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5900


PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BULGARELLI

Disciplina delle professioni operanti nel settore del restauro dei beni culturali, dei manufatti storici, artistici e di pregio

Presentata il 31 maggio 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - È da tempo ormai immemorabile che nell'ambito della gestione dei nostri beni culturali, le attività di conservazione dei beni culturali sono prive di una normativa chiara e definitiva, essendo state per decenni solo indirettamente menzionate dalla legge generale n. 1089 del 1939 recante «Tutela delle cose d'interesse artistico e storico» promossa dal gerarca Giuseppe Bottai, allora Ministro dell'educazione nazionale fascista.
      Questa legge, il successivo testo unico di cui al decreto legislativo n. 490 del 1999, e il recente codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, che ha accorpato tutta la precedente normativa vigente in materia, non hanno mai avuto regolamenti di attuazione specifici e si limitano a stabilire essenzialmente le competenze amministrative degli uffici demandati alla tutela dei beni culturali e delle soprintendenze nei loro poteri coercitivi detentori dei beni culturali.
      Nello stesso anno in cui entrò in vigore la legge n. 1089 del 1939, fu contestualmente istituito l'Istituto centrale del restauro presso il Ministero dell'educazione nazionale, Istituto che avrebbe dovuto, nelle intenzioni del Governo di allora, stabilire i metodi di restauro e controllarne l'applicazione.
      Presso questo ente venne creato inoltre un corso professionale della durata di tre anni destinato agli artigiani restauratori in possesso della licenza media inferiore al fine di addestrarli alle tecniche di restauro elaborate dall'Istituto stesso.
      Il corso rilasciava, sino a pochi anni fa, un diploma simile a quello di maestro d'arte degli istituti professionali per l'arte e l'artigianato. Dopo oltre cinquanta anni e una guerra che ha cambiato profondamente le istituzioni e i princìpi sociali in Italia, poco è mutato dall'opera del Ministro Bottai; la legge sulla tutela delle cose di interesse storico e artistico è rimasta fondamentalmente la stessa e non è stato adottato il tanto atteso regolamento di attuazione; l'accesso al corso di restauro dell'Istituto centrale è stato da pochi anni innalzato ai diplomati delle scuole medie superiori e continua ad essere decentrato solo a Firenze e a Ravenna per un numero complessivo annuale di circa trenta studenti per tutti e tre i corsi. Mentre i metodi e i materiali di restauro si sono evoluti grandemente grazie agli istituti di ricerca, le università hanno al contempo istituito appositi corsi per la conservazione dei beni culturali e le regioni hanno promosso un grandissimo numero di corsi di formazione o di specializzazione in base alla legge sulla formazione professionale n. 845 del 1978.
      Ma la normativa vigente in materia di beni culturali non è stata integrata da nessuno strumento normativo valido e definitivo che stabilisca le professioni del restauro e i loro itinera formativi, a esclusione del decreto-legge n. 502 del 1999, poi decaduto, e delle altre norme succedutesi nel tempo, che appaiono misure del tutto provvisorie e sono integrati quasi anno per anno a seconda delle spinte di gruppi di pressione che sembrano interessati solo agli appalti di restauro.
      Negli ultimi anni le attività di conservazione sono balzate all'attenzione dell'opinione pubblica, divenute centro di importanti interessi politico-sociali per le amministrazioni territoriali che gestiscono i musei civici e i palazzi storici, e appaiono a tutti essenziali per la conservazione del nostro immenso patrimonio culturale: basti pensare al mantenimento delle aree archeologiche di tutto il territorio italiano, le chiese che sono per il 90 per cento di competenza dell'ente pubblico, le gallerie, le collezioni, le fortezze storiche, le ville, i teatri storici e soprattutto i centri antichi, anche quelli minori che sono sparsi su tutto il territorio nazionale non secondi per importanza culturale a quelli delle grandi città.
      Tutti questi interventi di manutenzione e di restauro hanno necessità di mano d'opera specializzata e diversificata a seconda delle varietà degli interventi conservativi affinché si possa intervenire con le necessarie perizia e competenza e si abbia per altro la certezza dei propri diritti nell'ambito del lavoro.
      Gli enti pubblici che finanziano, per il 90 per cento, le operazioni di restauro sotto il controllo delle soprintendenze, in mancanza di una legge che istituisca delle qualifiche professionali chiare e facilmente rintracciabili sul mercato o un mansionario che ne contraddistingua chiaramente le competenze, hanno avuto per decenni la consuetudine di decidere chi poteva o meno lavorare sui beni culturali, detenendo de facto un potere e una discrezionalità che non competono loro.
      Ciò perché si era voluto che per questo ambito professionale fosse sufficiente l'apporto formativo e garante dell'Istituto centrale per il restauro di Roma o delle sue poche ramificazioni, e per il restauro architettonico della facoltà di architettura.
      Gli architetti da sempre infatti possono, grazie all'iscrizione all'albo professionale, definirsi restauratori su ogni tipo di edificio e ogni decorazione posta su di esso e solo recentemente è nato nei corsi di laurea di architettura un indirizzo specifico di restauro.
      Di fatto le necessità del mercato hanno popolato questa attività con restauratori dalla formazione più eterogenea: architetti che, oltre che occuparsi del restauro statico, si occupano del materiale lapideo o degli affreschi; artigiani del marmo, del ferro e del mobile che per assonanza con il loro lavoro manuale si sono trasformati in restauratori di decorazioni lapidee, di materiali preziosi, di oggetti di antiquariato; chimici, biologi e geologi che nell'ambito delle loro competenze sui materiali più disparati hanno elaborato sistemi di intervento conservativo e di restauro sui beni culturali; antiquari che in forza delle loro competenze si occupano normalmente di restauro; enti di formazione professionale che grazie al finanziamento pubblico gestiscono spesso corsi di restauro ispirandosi solo in parte a quelli dell'Istituto centrale per il restauro.
      Di fatto l'Istituto centrale per il restauro è l'unico ente che possa far addestrare facilmente i suoi studenti su opere d'arte di una certa importanza in quanto facente parte del Ministero per i beni e le attività culturali. Gli altri corsi di restauro, privati e non, hanno avuto per anni la durata più varia e la consistenza tecnica più diversificata. Spesso le opere d'arte sulle quali si esercitano gli studenti provengono dagli scantinati delle chiese ma sono frequentabili spesso pagando rette proibitive.
      Per assurdo gli ex licei artistici, gli istituti per l'arte statali, le accademie e le facoltà di conservazione dei beni culturali delle università hanno enormi difficoltà a reperire materiale da restaurare di una certa importanza per la resistenza attuata dagli organi del Ministero per i beni e le attività culturali a consentirne l'utilizzo per scopi didattici. In questo far west senza regole, come lo ha definito pubblicamente alcuni anni or sono un Ministro per i beni culturali, i trecento o poco più che hanno avuto la fortuna di frequentare i corsi dell'Istituto centrale per il restauro sono divenuti una sorta di albo professionale, essendo gli unici a possedere una formazione omogenea e per questo preferiti naturalmente dalle amministrazioni che bandiscono le gare di appalto.
      Molti dei lavori di restauro su opere mobili sfuggono inoltre alla legislazione sugli appalti pubblici se l'appalto viene frazionato in piccoli lotti e rientra nel sistema della licitazione privata o nell'affidamento diretto amplificando inevitabilmente la discrezionalità dell'ente appaltatore, il quale preferisce rivolgersi a maestranze provenienti dall'ambito dello stesso ente di Stato.
      I tentativi di creare omogeneità tra i corsi di formazione che si svolgono sul territorio italiano hanno avuto vita breve e difficile e i rapporti tra centri regionali o universitari con il Ministero per i beni e le attività culturali sembrano muoversi in un ambito di tipo feudale. Di fatto tutto il campo formativo e di lavoro che rimane tra l'Istituto centrale e la facoltà di architettura appare un immenso terreno franco ove si accavallano corsi regionali e corsi universitari dalla natura più disparata come, ad esempio, quelli relativi alle rinnovate figure professionali di geometra.
      È necessario perciò individuare qualifiche, competenze e ambiti di formazione più rispondenti alle necessità di questo importante comparto della vita pubblica che regolarizzino inoltre tutto il pregresso, anche se i diversi settori di restauro non potranno essere sempre determinati da un percorso formativo univoco.
      Non potendo costringere tutti coloro che operano nel campo della conservazione a omogeneizzarsi a una figura oramai astratta quanto superata di restauratore tuttofare, la presente proposta di legge tende a regolarizzare le varie professioni che operano in questo campo, preferendo altresì il termine «conservazione» al posto del contraddittorio termine «restauro».
      Vanno inoltre messi dei limiti chiari fuori dei quali vi siano artigianato puro e semplice o teoria più astratta.
      Il compito di individuare le varie professionalità nel campo della conservazione è demandato dalla presente proposta di legge alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che sono l'unico ente in grado di controllare tutte le qualifiche esistenti nel campo della conservazione e di discriminarle con precisione.
      Dal punto di vista sindacale in questo campo di attività si fa riferimento alle contrattualità più disparate: il contratto del commercio se i lavori sono effettuati da ditte antiquariali, quello del legno per gli operatori del restauro di opere mobili, quello degli edili per coloro che lavorano su superfici murarie o su opere lapidee, sino a giungere al contratto dell'industria per chi lavora nelle grandi aziende polivalenti e a quello nuovo della federcultura.
      Di fatto poi la contrattualità viene vanificata nelle gare di appalto quando si consentono ribassi eccessivi sulle perizie operate dagli stessi enti appaltanti e non si controlla chi sta lavorando davvero sulle opere.
      Con l'entrata in vigore, poi, della legge n. 30 del 2003, e dei successivi decreti legislativi di attuazione, la babele dei contratti e delle prestazioni professionali in questo settore si è ulteriormente aggravata e per abbassare i costi di impresa si è ricorso a forme di rapporto lavorativo aberranti e avvilenti, per non parlare della mano d'opera abusiva, e il settore non appare per altro assolutamente sindacalizzato. Attualmente molti lavorano effettivamente come dipendenti degli enti appaltatori ma usufruiscono ufficialmente di forme di collaborazione professionale assai variegate e vengono pagati al livello di una collaboratrice domestica.
      La proposta di legge si ripromette quindi di definire una volta per tutte quali e quanti sono i profili professionali effettivi per renderli idonei a gestire la maggior parte dei lavori di conservazione sui beni culturali, ferme restando le competenze ex lege di chi vi opera da tempo e individuando percorsi formativi più idonei e più praticabili tra quelli esistenti attualmente.
      Essa si propone anche di istituire una gerarchia e una diversificazione di competenze più precisa e attuale tra le varie professionalità che operano a vari livelli nel settore. Essa fa giustizia definitiva della qualifica oramai obsoleta del restauratore tuttofare che diventa di fatto un aggettivo storicizzato.
      Delinea quindi un indirizzo di interventi nei quali è possibile trovare un vasto campo di applicazione delle competenze professionali delineate, con vantaggi evidenti per il mantenimento del patrimonio nazionale più diffuso.
      Gli articoli da 1 a 4 della proposta di legge definiscono le professionalità pertinenti alle attività di restauro e di manutenzione dei beni culturali (tecnici, operatori, conservatori e restauratori), precisandone gli itinerari formativi e curriculari.
      L'articolo 5 stabilisce una forma di sanatoria con la possibilità che le qualifiche previste dalla presente proposta di legge siano riconosciute anche a coloro che non hanno i requisiti richiesti e ai professionisti di chiara fama. Individua inoltre provvisoriamente la figura del conservatore di beni ambientali paesistici.
      L'articolo 6 introduce la partecipazione agli appalti pubblici fino a quando la normativa sugli appalti pubblici sia adeguata in conformità a quanto stabilito dalla proposta di legge.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Ai fini della presente legge, la definizione generica della professione di «restauratore» di manufatti storici, artistici e di pregio si applica a chiunque operi a livello professionale in una o più delle attività e delle operazioni che vengono svolte allo scopo di recuperare nell'aspetto sostanziale e formale, di conservare e di trasmettere al futuro i citati manufatti.
      2. I manufatti di cui al comma 1 sono quelli individuati dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, pertinenti l'artigianato artistico e la tecnologia storica nonché quelli che in generale sono stati eseguiti più per la loro godibilità estetica che per quella funzionale.

Art. 2.

      1. Ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 1, rientrano nella definizione della professione di restauratore: i restauratori dell'artigianato artistico che hanno operato per almeno cinque anni nel settore, gli antiquari, gli operatori tecnici di restauro dei beni culturali, i tecnici o gli assistenti di restauro, i conservatori dei beni culturali, i conservatori dei beni ambientali paesaggistici, gli operatori di restauro delle strutture edilizie storiche, gli archeologi e gli storici dell'arte con specializzazione in conservazione dei beni culturali, gli architetti con specializzazione in restauro edilizio o urbanistico dei beni culturali, gli ingegneri con specializzazione in restauro edilizio dei beni culturali, i chimici, i biologi e i fisici con specializzazione universitaria in beni culturali, gli specialisti in diagnostica dei beni culturali, i diplomati di scuola secondaria di secondo grado con specializzazione specifica in restauro dei beni culturali conseguita dopo un corso minimo biennale, rilasciata da un ente pubblico abilitato per legge alla formazione professionale o scolastica, i geometri e i periti edili con specializzazione in restauro dei beni dell'edilizia storica. Ognuna delle figure professionali di cui al presente comma opera nei limiti delle proprie competenze e specializzazioni.
      2. Le figure professionali che non operano specificatamente nei settori di attività elencati al comma 1, possono collaborare, nei limiti delle rispettive competenze, con le figure professionali individuate dal medesimo comma 1.

Art. 3.

      1. L'abilitazione all'esercizio della professione di restauratore alle figure individuate dall'articolo 2, qualora prive di propri albi o collegi professionali, è rilasciata dalle competenti camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in conformità ai rispettivi ruoli per periti ed esperti tenuti dalle medesime camere di commercio. Qualora non sia previsto il corrispondente ruolo, le province provvedono alla sua istituzione, sentiti il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale.

Art. 4.

      1. Ai fini della presente legge e nell'ambito delle categorie elencate all'articolo 2, sono individuati i seguenti profili professionali tecnici:

          a) operatore tecnico di restauro: colui che per professione interviene manualmente sulla materia di un bene culturale notificato dal Ministero per i beni e le attività culturali, sotto la direzione e il coordinamento delle seguenti professionalità addette al coordinamento delle attività di restauro: gli architetti e gli ingegneri specializzati nel restauro dei beni culturali nell'ambito delle rispettive competenze; i conservatori dei beni culturali nell'ambito del restauro di manufatti mobili e di superfici edili decorate; i chimici, i biologi e i fisici specializzati in restauro dei beni culturali; gli archeologi e gli storici dell'arte specializzati in restauro dei beni culturali. L'operatore tecnico di restauro è addetto all'esecuzione di singole fasi delle operazioni di conservazione e di restauro dei beni culturali in base alle sue specializzazioni. La qualifica di operatore tecnico di restauro si ottiene, previo conseguimento del diploma di scuola seondaria di secondo grado rilasciato da licei artistici o istituti d'arte o istituti equipollenti, unitamente al possesso di attestati o di titoli di studio di specializzazione teorico-pratica della durata di almeno 400 ore ciascuno relativi a singoli procedimenti di restauro con esami finali rilasciati da istituti statali o da istituti legalmente riconosciuti ovvero ai sensi della legge 21 dicembre 1978, n. 845, e successive modificazioni;

          b) tecnico o assistente di restauro: colui che per professione è addetto a eseguire restauri sui beni culturali sotto il coordinamento delle professionalità addette al coordinamento delle attività di restauro di cui alla lettera a), avvalendosi della collaborazione dell'operatore tecnico di restauro su di una o più classi di materiali componenti i beni culturali, previo conseguimento del titolo di studio di specializzazione conseguito a seguito del superamento di un ciclo di studi teorico-pratici della durata minima di 1.200 ore concernente le tecniche di restauro sui beni culturali e di un diploma quinquennale di maturità artistica, classica o scientifica, di istituto tecnico per geometri, o di titoli equipollenti. Per cicli di studi teorico-pratici si intendono quelli conseguiti ai sensi della legge 21 dicembre 1978, n. 845, e successive modificazioni, i diplomi universitari, le lauree triennali, i diplomi di accademia d'arte o titoli di specializzazione conseguiti presso istituti medi superiori di durata almeno biennale o i corsi specifici istituiti dalle regioni a statuto speciale equiparabili a quelli svolti ai sensi della citata legge n. 845 del 1978, e successive modificazioni. Sono equiparati ai predetti titoli o attestati di studio quelli rilasciati dall'Istituto centrale per il restauro di Roma, dall'Opificio delle pietre dure di Firenze, il diploma di restauro del mosaico rilasciato dalla soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna, il diploma o l'attestato rilasciato dall'Istituto centrale per la patologia del libro;

          c) conservatore dei beni culturali: colui che per professione opera nell'ambito dei settori della conservazione e svolge i seguenti compiti: dirige i lavori di restauro su beni culturali mobili e sulle superfici edili decorate notificati dalla pubblica amministrazione; dirige gli interventi conservativi estetici sull'edilizia storica minore, intendendo per essa gli edifici che fanno parte di un'area edificata vincolata; decide le ricerche diagnostiche da attuare, avvalendosi anche della collaborazione di altre professionalità, le priorità di intervento tra gruppi di beni culturali, le procedure di massima nell'ambito del restauro e della manutenzione sui medesimi beni effettuate dalle professionalità abilitate ai sensi della presente legge. Il conservatore dei beni culturali deve essere in possesso del diploma di laurea in conservazione dei beni culturali con percorso di laurea quadriennale, o in lettere con specializzazione in conservazione dei beni culturali conseguita presso enti pubblici abilitati per legge alla formazione professionale scolastica o universitaria, o del diploma di laurea specialistica in conservazione dei beni culturali, o in diagnostica per la conservazione e il restauro dei beni culturali, ovvero del diploma di scuola secondaria di secondo grado, o del diploma rilasciato dall'Istituto centrale per il restauro di Roma, o dall'Opificio delle pietre dure di Firenze, o del diploma di restauro del mosaico rilasciato dalla soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna. Inoltre il conservatore dei beni culturali deve avere seguito con profitto uno o più corsi di restauro teorico-pratico per un totale minimo di 1.200 ore svolti ai sensi della 21 dicembre 1978, n. 845, e successive modificazioni;

          d) artigiano restauratore dei beni culturali: colui che opera per professione da almeno cinque anni sui manufatti dell'artigianato artistico di pregio in forma autonoma, oppure su beni culturali notificati dalla pubblica amministrazione sotto la direzione delle professionalità addette al coordinamento delle attività di restauro, di cui alla lettera a), su parziali interventi di restauro dei manufatti suddetti.

Art. 5.

      1. In sede di prima attuazione della presente legge e per i primi due anni della data della sua entrata in vigore, coloro che sono in possesso di attestati o diplomi di specializzazione rilasciati, dopo un corso di scuola secondaria di secondo grado, da un ente pubblico abilitato per legge alla formazione professionale, scolastica o universitaria, con il titolo di collaboratore o di assistente di restauro ed equivalenti ovvero di restauratore, possono ottenere la qualifica di operatore tecnico dei beni culturali e di assistente o tecnico del restauro e la relativa abilitazione all'esercizio della professione di cui all'articolo 3, previa presentazione, alle competenti camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di diplomi o attestati di qualificazione o di riqualificazione, di fatture, di contratti o di ogni altro atto che attesti in modo documentato lo svolgimento per almeno un quinquennio di una o più attività tra quelle previste dall'articolo 4.
      2. Possono ottenere l'abilitazione di cui all'articolo 3 negli ambiti elencati nell'articolo 4, previa presentazione di apposita domanda scritta alle competenti camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, i professionisti di chiara fama operanti nel settore del restauro.
      3. L'abilitazione di cui all'articolo 3 è altresì rilasciata, in sede di prima attuazione della presente legge, ai laureati in architettura, in ingegneria, in geologia o in scienze ambientali che hanno effettuato un piano di studi attinente al settore del restauro e che hanno frequentato appositi corsi di specializzazione universitaria ovvero master o corsi di formazione ai sensi della legge 21 dicembre 1978, n. 845, e successive modificazioni.

Art. 6.

      1. Coloro che hanno ottenuto l'abilitazione ai sensi della presente legge possono, sulla base delle rispettive competenze, concorrere agli affidamenti dei lavori di manutenzione e di restauro di competenza delle pubbliche amministrazioni e fare parte delle imprese a cui vengono affidati a vario titolo tali lavori.
      2. Nelle more dell'adeguamento della normativa vigente in materia di appalti pubblici alle disposizioni della presente legge, i soggetti abilitati ai sensi della medesima legge svolgono la propria opera come dipendenti e ad essi si applicano i contratti collettivi nazionali del comparto edilizia o del comparto artigianato, ovvero i contratti specifici concordati tra le organizzazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni sindacali.    


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