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PDL 6280

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6280



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato GASPERONI

Disposizioni in materia di riduzione dell'orario di lavoro e di sviluppo dell'occupazione

Presentata il 19 gennaio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Per riconoscimento pressoché unanime la disoccupazione costituisce il problema più grave ed urgente per tutti i Paesi europei, compreso il nostro. I rimedi prevalentemente adottati fino ad ora, ad esempio l'adozione di più ampi programmi formativi, una maggiore flessibilità, politiche attive del lavoro, e così via, utili per fluidificare un mercato del lavoro altrimenti inceppato, non sono risultati risolutivi.
      Nella maggior parte dei casi essi costituiscono, infatti, più una cura sintomatica che eziologica. In altre parole, quando funzionano riducono la febbre, ma quasi mai riescono a curare la malattia.
      La grande quantità di dati a nostra disposizione e una letteratura sempre più ampia ci confermano che ci sono poche speranze di ottenere risultati significativi nella lotta alla disoccupazione se non verranno adottate efficaci politiche complementari sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta di lavoro. Dal punto di vista della domanda, si rende necessario creare il quadro normativo e finanziario per un serio sviluppo dei lavori di cura alla persona, all'ambiente, al patrimonio culturale, che costituiscono gli ambiti nei quali sono rinvenibili le più significative possibilità di creazione di nuovo lavoro; dal lato dell'offerta è opportuno incoraggiare misure capaci di favorire una generalizzata riduzione degli orari per una diversa ripartizione del lavoro. Tutto ciò nel rispetto e nella salvaguardia dell'autonomia e della responsabilità delle parti sociali, rispetto che costituisce condizione imprescindibile per la competitività del sistema produttivo, e scopo ultimo della proposta di legge che qui viene illustrata.
      Un dato tra gli altri va tenuto particolarmente in considerazione: l'innalzamento dell'efficienza dei sistema produttivo contribuisce a vanificare lo sforzo teso alla creazione di posti di lavoro mediante
 

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l'espansione dell'economia, espansione che resta comunque un obiettivo necessario ma non sufficiente. In Italia, ad esempio, all'aumento di un punto percentuale del prodotto interno lordo (PIL) dovrebbero, teoricamente, corrispondere circa 300 mila nuovi posti di lavoro, ma l'aumento della produttività, derivante dall'innovazione tecnologica e dal miglioramento organizzativo, non solo annulla queste possibilità, bensì porta addirittura a una riduzione complessiva dei posti di lavoro. Ovviamente, senza tale aumento della produttività interi settori, in particolare quelli esposti alla concorrenza internazionale, verrebbero inesorabilmente eliminati, con una riduzione dell'occupazione ben maggiore. Così, in molti casi, l'investimento di capitali non solo non crea occupazione, ma spesso la riduce. Per rendercene conto basta considerare ciò che è avvenuto nell'industria negli ultimi decenni.
      Nei Paesi europei il ritorno occupazionale del capitale investito è stato quasi sempre positivo, almeno sino alla metà degli anni settanta, eccezione fatta per il Regno Unito, dove tale ritorno non si è mai, in realtà, verificato. A partire dalle ristrutturazioni industriali che hanno fatto seguito alle due crisi energetiche del 1973 e del 1979, il risultato in termini occupazionali è sempre stato negativo. Basti ricordare che negli anni ottanta l'industria francese ha perso 1.176 mila addetti, quella tedesca 400 mila, quella italiana 977 mila, quella olandese 120 mila, quella del Regno Unito 1.637 mila. Così, mentre negli anni sessanta in Europa con un milione di dollari venivano creati mediamente dieci posti di lavoro nell'industria, e perciò con cento miliardi si dava vita a un milione di posti di lavoro, oggi con lo stesso investimento se ne distruggono all'incirca la metà. Per i servizi, ivi compresi quelli pubblici a bassa produttività, la situazione appare migliore anche se, a parità di investimento, la creazione di posti di lavoro si è notevolmente ridotta a decorrere dagli anni sessanta e la crescita è addirittura diventata negativa negli ultimi anni. Il risultato che consegue a questo stato di cose è che, nonostante i giganteschi investimenti e la crescita dell'economia, l'occupazione è crollata nel settore agricolo, si sta dimezzando nell'industria e comincia a ridursi anche nel settore dei servizi. Per questo motivo chi intenda affrontare realisticamente i problemi del lavoro deve tenere presente che ormai il sistema economico produce un volume crescente di ricchezza impiegando un volume decrescente di lavoro. Insomma, rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto per produrre i beni e i servizi di cui abbiamo bisogno sono necessari meno lavoro, meno tempo e meno fatica.
      La conseguenza di questo stato di cose è una tendenza del sistema produttivo a sopprimere, durante le fasi recessive o di stagnazione dell'economia, più posti di lavoro di quanti non ne crei durante le fasi di ripresa o di espansione.
      La dinamica descritta è comprensibile se si parte dalla considerazione che ciò che conta ai fini di uno sviluppo dell'occupazione non è solo il tasso di crescita dell'economia, ma anche l'andamento della produttività, che consiste nel rapporto tra le quantità di beni e di servizi prodotti e il tempo necessario per produrli; infatti, considerando una quantità invariata di prodotti e di servizi, se il tempo necessario per realizzarli si riduce e gli orari di lavoro rimangono immutati, l'occupazione diminuisce. Oggi riusciamo a produrre quasi tutte le cose che ci servono in meno tempo rispetto al passato. Così, mentre l'esecuzione di una sinfonia di Mozart richiede sempre gli stessi tempi necessari un secolo fa, una partita di calcio dura sempre più o meno novanta minuti e un'ora di lezione dura sempre un'ora, per la produzione di tutti i manufatti e per i servizi l'automazione, l'informatica e una migliore organizzazione ci permettono di ridurre i tempi migliorando anche la qualità. Per fare un esempio, nel giro di poco più di dieci anni si è riusciti a raddoppiare la produzione mondiale di automobili, a migliorarne la qualità dimezzando il numero di addetti al settore.
      Nessuna soluzione al problema della disoccupazione appare quindi possibile se
 

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non si mettono in campo misure appropriate di riduzione degli orari e di diversa ripartizione del lavoro; le modalità di attuazione sono però decisive. Una riduzione generalizzata, che non riguardi l'aspetto tanto simbolico quanto concretamente irrilevante dell'orario legale, ma che si proponga come una regolamentazione erga omnes degli orari di fatto, che sono poi quelli che determinano i livelli di occupazione, è, prima ancora che controproducente, impraticabile. Non solo perché l'applicazione di una disciplina uniforme a realtà estremamente diversificate dal punto di vista produttivo, organizzativo e della utilizzazione degli impianti produrrebbe più danni che benefìci, ma anche perché ci sono settori protetti e settori esposti alla concorrenza, sia interna sia internazionale, che potrebbero richiedere una manovra diversificata sugli orari, tanto in ordine alla quantità che alle modalità applicative. È a tutti noto che la varietà dei regimi di orario può essere, e quasi sempre è, estremamente ampia a livello della singola azienda. Solo uno strumento flessibile come la contrattazione può rivelarsi veramente efficace. Una regolazione autonoma delle parti sociali costituisce, perciò, l'approccio realmente concreto ed efficace. Questo non significa che alla politica siano riservati solo compiti di «custodia ed attesa», non potendosi certo ignorare che la disoccupazione è un decisivo problema politico. La questione che si pone è, semmai, che l'intervento politico sia al contempo corretto e incisivo. Quello che il legislatore può e deve fare in materia di orario di lavoro è mutare il quadro delle convenienze, introducendo misure capaci di incentivare l'adozione di orari di lavoro corti e di penalizzare gli orari lunghi, lasciando poi alle parti sociali la responsabilità di decidere le soluzioni migliori da adottare per il caso concreto.
      La presente proposta di legge si muove proprio in questa direzione, prefiggendosi l'obiettivo di mutare il quadro delle convenienze aziendali, attraverso una diversa modulazione dei costi sociali allo scopo di incoraggiare l'adozione di orari corti e di scoraggiare gli orari lunghi.
      La proposta di legge tiene conto della necessità di ottimizzare flessibilità e produttività, vale a dire la condizione per una riduzione anche significativa degli orari a parità di salario, senza conseguenze negative sui costi. La rimodulazione dei contributi sociali è accompagnata da norme che tendono a favorire la stipula di accordi per il recupero dello straordinario con riposi compensativi, correggendo così una distorsione grave nell'attuale regime retributivo tra ore ordinarie e ore straordinarie. Il costo orario di un'ora di lavoro straordinario per l'azienda risulta ancora inferiore a quello di un'ora ordinaria. Questo è dovuto al fatto che una parte delle voci retributive dirette e tutte quelle indirette (ferie, tredicesima, festività, trattamento di fine rapporto, eccetera) non contribuiscono a formare il costo dello straordinario. Mutare il quadro delle convenienze significa quindi anche intervenire sui costi per correggere l'attuale anomalia.
      Nella sostanza la presente proposta di legge si prefigge di sostenere l'azione delle parti sociali al fine di favorire la riduzione degli orari di fatto. L'articolo 1 stabilisce che l'orario normale, a decorrere dal 1o gennaio 2007, sia fissato a trentadue ore settimanali; inoltre, in conformità con la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, è stabilito il plafond massimo di quarantotto ore di lavoro ogni sette giorni.
      L'articolo 2 introduce il concetto di orario di lavoro supplementare, che è quello compreso tra le trentadue e le quaranta ore settimanali, lasciando alla contrattazione di definire maggiorazioni retributive. Alle ore supplementari verrà applicato un regime contributivo particolare.
      L'articolo 3 definisce orario di lavoro straordinario quello compreso tra le quaranta ed il limite massimo di quarantotto ore settimanali, nonché il principio del recupero parziale e cumulabile delle ore straordinarie effettuate che potranno essere, previo accordo tra le parti, destinate a esigenze personali del lavoratore (ad
 

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esempio, a congedi parentali o a iniziative formative).
      L'articolo 4 offre un ampio spazio di flessibilità, dando la facoltà alle parti sociali di stabilire che, in sede contrattuale, in funzione di reali esigenze produttive e tecnologiche, la durata settimanale dell'orario normale di lavoro sia espressa come media di periodi plurisettimanali fino a un massimo di sei mesi.
      Lo stesso articolo 4, al comma 1, stabilisce, conformemente alla citata direttiva 2003/88/CE, la consistenza del riposo minimo giornaliero, fissato in dodici ore.
      L'articolo 5 interviene sul regime contributivo mettendo a carico dello Stato, per le prime trentadue ore di lavoro, una serie di contributi pari al 5 per cento del totale dei contributi sociali oggi pagati dall'impresa. Nella proposta di legge il costo dei contributi viene moltiplicato per quattro volte per le otto ore supplementari, e moltiplicato per otto volte per le ore straordinarie. Ipotizzando un'applicazione del regime contributivo descritto, risulterebbe, dunque, che per le prime quaranta ore gli oneri sociali avrebbero un costo orario di 3,27 euro, per le otto ore successive di 4,14 euro; se allo stato attuale delle cose il costo degli oneri sociali per quaranta ore risulta di 137,87 euro, con il regime delineato dalla presente proposta di legge la cifra è identica. Il costo della prestazione lavorativa di quaranta ore rimane, quindi, identico senza oneri né per l'impresa né per lo Stato; viene, però, offerto un quadro più vantaggioso alle parti sociali che decideranno per l'adozione dell'orario più corto riportando così il lavoro straordinario al significato originario legato al concetto di «prestazione eccezionale». Facendo riferimento agli effetti riguardanti gli oneri a carico dello Stato che l'applicazione della legge potrebbe comportare, il sistema prospettato dovrebbe rimanere in equilibrio, visto e considerato che allo stato attuale delle cose l'orario di lavoro medio effettivo è di quarantatre ore settimanali. Nel caso in cui, invece, tale equilibrio non si verifichi, si renderà necessario attingere alle risorse del fondo per l'occupazione di cui all'articolo 11, comma 31, della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Inoltre gli eventuali introiti aggiuntivi che potrebbero derivare dall'applicazione della legge contribuiranno a incrementare le risorse del fondo citato.
      Le minori entrate dello Stato, che l'adozione generalizzata di un regime flessibile di orari corti potrebbe comportare, saranno compensate, in conseguenza dell'allargamento dell'occupazione dovuto alla migliore ripartizione del lavoro, dalla diminuzione degli oneri per assistenza e per ammortizzatori sociali, dalle tasse e dai contributi pagati dalle persone in precedenza disoccupate.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Orario normale di lavoro).

      1. A decorrere dal 1o gennaio 2007 l'orario di lavoro normale è stabilito in trentadue ore settimanali.

Art. 2.
(Orario di lavoro supplementare).

      1. L'orario lavorativo compreso tra le trentadue e le quaranta ore settimanali, a decorrere dal medesimo termine di cui all'articolo 1, è considerato lavoro supplementare.
      2. I contratti di lavoro o comunque gli accordi tra le parti determinano l'ammontare delle eventuali maggiorazioni retributive relative alle ore supplementari.

Art. 3.
(Orario di lavoro straordinario).

      1. L'orario lavorativo compreso tra le quaranta e le quarantotto ore settimanali, a decorrere dal termine di cui all'articolo 1, è considerato lavoro straordinario.
      2. Il limite massimo di ore straordinarie non può superare semestralmente le ottanta ore pro capite.
      3. Il 50 per cento delle ore straordinarie è recuperato tramite il ricorso a riposi settimanali compensativi, cumulabili con congedi parentali retribuiti o trasformabili in credito formativo retribuito.

Art. 4.
(Orario giornaliero e settimanale).

      1. L'orario di lavoro giornaliero determinato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli da 1 a 3 non può in ogni caso

 

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superare le dodici ore nell'arco del periodo di ventiquattro ore.
      2. Ciascun lavoratore, in nessun caso, può essere impegnato per più di sei giorni consecutivi e comunque l'orario di lavoro non può superare le quarantotto ore.
      3. La durata effettiva dell'orario di lavoro e la sua distribuzione sono definite in sede di contrattazione tra l'azienda e la rappresentanza sindacale dei lavoratori, nel quadro delle intese raggiunte in sede di contrattazione collettiva ai fini della definizione della durata settimanale dell'orario di lavoro, quale media calcolata su periodi plurisettimanali nell'arco di un semestre.

Art. 5.
(Regime contributivo).

      1. Per ogni ora di lavoro di cui all'articolo 1 sono posti a carico del bilancio dello Stato contributi sociali per una quota pari al 5 per cento.
      2. Per ogni ora di lavoro supplementare di cui all'articolo 2 i contributi di cui al comma 1 del presente articolo a carico del datore di lavoro sono moltiplicati per un coefficiente pari a quattro.
      3. Per ogni ora di lavoro straordinario di cui all'articolo 3 i contributi per oneri sociali di cui al comma 1 del presente articolo a carico del datore di lavoro sono moltiplicati per un coefficiente pari a otto.

Art. 6.
(Disposizioni finanziarie).

      1. Alla copertura degli eventuali oneri finanziari derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione delle risorse del fondo per l'occupazione di cui all'articolo 11, comma 31, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
      2. Gli eventuali introiti aggiuntivi derivanti dall'attuazione della presente legge contribuiscono a incrementare le risorse del fondo di cui al comma 1.
    


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