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PDL 5854

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5854


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ONNIS

Modifica all'articolo 415-bis del codice di procedura penale, in materia di termini a disposizione della difesa per l'esercizio delle facoltà ivi previste

Presentata il 17 maggio 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 415-bis del vigente codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 17, comma 2, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, dispone che il pubblico ministero - quando non ritenga di dover avanzare richiesta di archiviazione - faccia notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, prima di esercitare l'azione penale (con rito ordinario).
      Tale adempimento è previsto a pena di nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio (articolo 416, comma 1, del codice di procedura penale) e del decreto di citazione a giudizio (articolo 552, comma 2,del codice di procedura penale).
      La notifica dell'avviso di cui al articolo 415-bis consente alla persona sottoposta alle indagini di avere piena e precisa conoscenza dell'addebito. Infatti, grazie al deposito degli atti di indagine che si accompagna alla formalizzazione di quell'avviso, viene offerta alla difesa la possibilità di verificare il fondamento, in fatto e in diritto, dell'accusa elevata dal pubblico ministero procedente. In seguito a questo esame degli atti, la persona sottoposta alle indagini potrà consapevolmente avvalersi di tutte le opportunità difensive, richiamate anche dalla norma cui si è fatto riferimento, e quindi sarà in grado di impostare un contraddittorio con l'organo requirente, ancora prima che questi eserciti l'azione penale.
      L'importanza dell'avviso in questione, nell'ambito del procedimento penale ormai ispirato al canone costituzionale del giusto processo (articolo 111 della Costituzione, con particolare riguardo al terzo comma) e ai fini del meditato esercizio del diritto di difesa, può cogliersi anche considerando che, nell'impostazione originaria del codice di rito, l'inquisito poteva assumere
 

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la qualità di imputato senza avere saputo prima dell'esistenza di indagini nei suoi confronti.
      L'articolo 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234, interveniva però sul testo degli articoli 416, comma 1, e 555, comma 2, del codice di procedura penale, stabilendo la nullità dell'atto di esercizio dell'azione penale (rispettivamente, quindi, della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio) che non fosse stato preceduto dall'invito a presentarsi per rendere interrogatorio, ai sensi dell'articolo 375, comma 3, dello stesso codice.
      Tale disciplina, peraltro - pur rappresentando un'evoluzione, in senso garantista, delle originarie disposizioni - non poteva apparire del tutto soddisfacente, perché la persona sottoposta alle indagini, se accettava di sottoporsi all'interrogatorio, era tenuta a rispondere senza conoscere gli atti processuali, che allora non costituivano oggetto di preventiva discovery.
      Il regime vigente segna dunque l'ulteriore e più pieno riconoscimento del diritto della persona sottoposta alle indagini a difendersi, nel procedimento penale, dopo aver integralmente conosciuto e valutato la consistenza dell'impianto accusatorio.
      La notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari risponde, dunque, a una logica di garanzia del diritto di difesa; inoltre, come è stato notato, essa «sembra giocare una importante funzione di stimolo all'economia dei giudizi. A partire dall'eventuale archiviazione di notitiae criminis rivelatesi infondate grazie proprio agli apporti o alle sollecitazioni istruttorie dell'inquisito, fino all'incentivazione all'accesso ai cosiddetti riti alternativi al giudizio. Reso agevole anche da una più meditata considerazione della logica premiale ad essi sottesa e derivante, oltre che dalla persuasività degli elementi d'accusa ormai non più segreti, dall'approfondimento dello stesso thema decidendum in conseguenza degli ulteriori accertamenti sollecitati con la richiesta di cui al terzo comma dell'articolo 415-bis. Realizzandosi, anche sotto questo aspetto, quel risparmio di attività processuale che ispira tutto il vigente sistema» (L. Carli, Le indagini preliminari nel sistema processuale penale, Milano, 2005).
      Se risulta chiara l'importanza dell'avviso di cui al citato articolo 415-bis, nella sua duplice funzione di garanzia descritta (per l'indagato e per l'economia del processo), deve però osservarsi che, secondo il testo vigente della norma in esame, la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore hanno a disposizione un termine assai breve - di appena venti giorni - per esaminare gli atti processuali e per impostare e realizzare, di conseguenza, la migliore strategia di tutela.
      Soprattutto nel caso di procedimenti che hanno richiesto laboriose investigazioni, protratte per mesi, documentate da migliaia di pagine di atti processuali e magari arricchite dal contributo tecnico dei consulenti del pubblico ministero o degli ausiliari della polizia giudiziaria, è impensabile che, in soli venti giorni, l'indagato e il suo difensore siano in grado di ottenere una conoscenza completa delle carte del procedimento; a maggiore ragione deve escludersi che essi siano in grado di avvalersi delle opportunità pur loro riconosciute, in astratto, dal sistema vigente.
      Peraltro, si è ritenuto che detto termine non possa essere prorogato dal giudice, cui la legge non riconosce, oggi, alcun potere in merito (giudice per le indagini preliminari, Tribunale di Milano, 11 maggio 2000).
      La Corte di cassazione ha poi affermato la natura ordinatoria (e non perentoria) di quel termine, «atteso che i (...) diritti difensivi possono essere esercitati sino a quando il pubblico ministero non richiede il rinvio a giudizio ai sensi dell'articolo 416 del codice penale» (Cassazione, sezione III, 19 ottobre 2004, Forte, RV. 230331).
      Tale affermazione (che resta peraltro controvertibile e che potrebbe essere sempre smentita da una successiva decisione di altro giudice) non risolve il problema che sopra si è sollevato, in quanto non può ammettersi che l'esercizio del diritto di difendersi sia fatto dipendere dalla maggiore
 

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o minore rapidità del pubblico ministero nell'esercitare l'azione penale, dopo che sia spirato il termine stabilito dal suddetto articolo 415-bis.
      L'articolo 1 della presente proposta di legge, allora, modifica il comma 3 dello stesso articolo 415-bis, per attribuire all'indagato e al difensore un termine più lungo (pari a trenta giorni) per l'esame degli atti e per l'esercizio delle facoltà ivi contemplate.
      Inoltre, l'articolo 2 interviene sul comma 4 della stessa norma, ammettendo che il giudice per le indagini preliminari possa prorogare quel termine, su richiesta dell'indagato, così come oggi già può fare per l'analogo termine - anch'esso pari a trenta giorni - a disposizione del pubblico ministero che voglia procedere a nuove indagini.
      Deve ritenersi che le modifiche proposte possano attuare più concretamente il diritto di difesa, salvaguardando nel contempo l'economia processuale e delineando un'effettiva parità tra le posizioni e le conoscenze dell'organo d'accusa, da un lato, e dell'inquisito, dall'altro.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al comma 3 dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale, la parola: «venti» è sostituita dalla seguente: «trenta».

Art. 2.

      1. Al comma 4 dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale, le parole: «Il termine può essere prorogato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero,» sono sostituite dalle seguenti: «Tale termine e quello indicato dal comma 3 possono essere prorogati dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta, rispettivamente, del pubblico ministero o dell'indagato,».


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