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PDL 6212

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6212



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

FRANCESCA MARTINI, DARIO GALLI

Modifiche all'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272, in materia di pensione di reversibilità

Presentata il 6 dicembre 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - Il trattamento di reversibilità è disciplinato dall'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 1939, n.1272, come modificato dall'articolo 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e poi sostituito dall'articolo 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903.
      Stiamo, dunque, parlando di leggi degli anni '30 e '60, che non tengono conto dei profondi cambiamenti sociali intervenuti negli ultimi decenni. Il legislatore di allora aveva come riferimento la famiglia «vecchio stampo», in cui il ruolo del marito era quello di lavorare e di provvedere al sostegno economico, mentre quello della moglie era quello di occuparsi del marito e della crescita ed educazione dei figli. In quest'ottica, pertanto, l'istituto della reversibilità nasceva come forma di tutela per la vedova e per i figli superstiti, al fine di evitare che alla perdita umana se ne accompagnasse un'altra di natura economica.
      Purtroppo, però, negli ultimi anni sta prendendo piede un fenomeno a dire poco «allarmante» che vede anziani pensionati o pensionandi contrarre matrimonio con donne molto più giovani, per lo più straniere.
      Il Rapporto ISTAT 2004 conferma l'aumento dei matrimoni misti in Italia, con una tendenza prevalente a scegliere un coniuge dell'Europa centrale. Nel 2002 gli uomini che hanno scelto una donna dell'est Europa sono stati il 53 per cento, contro il 27,6 per cento di dieci anni prima. Se si considera l'arco temporale 1992-2003, i matrimoni tra uomini italiani e donne straniere sono più che raddoppiati,
 

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passando da 6 mila a 16 mila. In particolare, analizzando i comportamenti nuziali, si legge, nel citato rapporto, che «tra le propensioni più marcate a sposarsi in Italia emergono quelle dei rumeni (17,6 matrimoni ogni mille abitanti) e peruviani (11,8 per mille) che, insieme ad albanesi e filippini, sono le comunità in cui è più frequente la tipologia sposo italiano-sposa straniera».
      Ebbene, in una società consumistica come la nostra attuale, la notevole differenza di età fra i coniugi non può non dare adito al sospetto che si possa trattare di unioni di comodo. Dinanzi a un matrimonio fra un ultrasessantenne e una donna che anagraficamente potrebbe essergli figlia, è difficile credere - soprattutto se di nazionalità straniera - al «colpo di fulmine». È più facile pensare che la scelta della donna sia finalizzata al raggiungimento di taluni benefici, quali possono essere la cittadinanza e - perché no? - la prospettiva di una sistemazione economica a vita.
      Il XIV rapporto della Caritas (Dossier statistico immigrazione 2004 - elaborazione su dati del Ministero dell'interno) evidenzia che «l'istituto matrimoniale è il principale mezzo scelto (...) la strada più breve temporalmente e burocraticamente parlando per ottenere il riconoscimento dello status civitatis». Dal medesimo rapporto emerge che in Italia, nel 2003, su 13.420 casi di acquisizione di cittadinanza italiana, ben 11.300 (84,2 per cento) sono da ricollegare a matrimoni con cittadini italiani.
      Ben lungi dal voler fare i moralizzatori e interferire sulla libertà di scelta di vita di ciascun individuo, riteniamo doveroso intervenire per attenuare una preoccupante prospettiva scaturente da queste unioni matrimoniali: l'onere non indifferente a carico dell'erario che il deceduto lascia a beneficio del coniuge superstite, considerata la sua longevità. Oggi, infatti, le casse previdenziali rischiano di dover versare la pensione di reversibilità per 30-40 anni oltre il previsto.
      Da qui, dunque, la presente proposta di legge, che intende arginare l'uso strumentale dell'istituto della pensione ai superstiti, limitandone il riconoscimento del diritto al coniuge in possesso della cittadinanza italiana, ovvero comunitaria, e sposato da almeno dieci anni. In caso di morte del pensionato o dell'assicurato sposato per un periodo inferiore a dieci anni, la pensione sarà liquidata nella misura percentuale di un decimo del 60 per cento spettante al coniuge ai sensi della lettera a) del secondo comma del citato articolo 13 del regio decreto-legge n. 636 del 1939, e successive modificazioni, per ogni anno di matrimonio.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272, e successive modificazioni, dopo il secondo comma, sono inseriti i seguenti:

      «Il diritto alla pensione di cui al secondo comma spetta in presenza dei seguenti requisiti:

          a) cittadinanza italiana o comunitaria del coniuge superstite;

          b) coppie sposate legalmente da almeno dieci anni.

      In mancanza del requisito di vincolo matrimoniale almeno decennale di cui alla lettera b) del terzo comma, l'aliquota di pensione spettante al coniuge di cui alla lettera a) del secondo comma è liquidata nella misura percentuale di un decimo per ogni anno di matrimonio».


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