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PDL 6188

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6188



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

SODA, GRANDI, ZANOTTI, SABATTINI, TITTI DE SIMONE

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti verificatisi a Reggio Emilia il 7 luglio 1960

Presentata il 22 novembre 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - Secondo il rapporto di polizia dell'epoca, il 7 luglio 1960, la camera confederale del lavoro di Reggio Emilia proclamava lo sciopero generale provinciale. Iniziava la distribuzione di un manifestino ciclostilato che conteneva, fra l'altro, l'invito a partecipare a una manifestazione che avrebbe avuto luogo alle ore 17 nella sala Verdi della città. La decisione di scioperare era assunta in seguito ai gravi fatti avvenuti a Licata, ove nel corso di uno sciopero unitario erano «stati uccisi dalla polizia due giovani lavoratori» e a Roma, ove, nel corso di una manifestazione indetta dal Consiglio federativo della Resistenza, la polizia «aveva selvaggiamente caricato a bastonate i numerosi deputati e senatori presenti». Nel manifestino si protestava inoltre contro «l'attacco governativo alla Costituzione e alle libertà democratiche» e si invitavano i lavoratori e i cittadini reggiani a lottare uniti «per far cessare l'intervento della polizia nelle vertenze sindacali, per respingere i rigurgiti fascisti riaffermando i valori della Resistenza» e, in fine, «per cacciare il governo Tambroni, per costituire un nuovo governo che accolga e risolva i problemi dei lavoratori».
      Lo sciopero era proclamato dalle ore 12 alle ore 24 nei settori dell'industria, dell'agricoltura, del commercio e degli enti locali e fino alle ore 18 in quello degli autotrasporti.
      Sempre secondo il rapporto di polizia, nelle prime ore del pomeriggio del 7 luglio cominciarono ad affluire nella piazza della Libertà, antistante la sala Verdi, gruppi di «attivisti» di sinistra, sicché la piazza ben presto fu gremita da circa duemila persone.
 

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      Sappiamo come si concluse tragicamente quella manifestazione di protesta, nata all'insegna dei valori della Costituzione e della Resistenza.
      Secondo le imputazioni, formulate all'epoca dalla procura della Repubblica, una guardia di pubblica sicurezza, addetta a un idrante della polizia in servizio di ordine pubblico, contrariamente alle mansioni affidategli e agli ordini ricevuti quel giorno, sparò un colpo di pistola nei confronti di Afro Tondelli uccidendolo.
      Sempre secondo le imputazioni della procura, un commissario di polizia, dirigente il servizio di ordine pubblico, omettendo per imprudenza, negligenza e imperizia di prescrivere agli agenti posti alle sue dipendenze le modalità di uso delle armi - genere di armi da usare e direzione del tiro - ordinò agli agenti di fare uso delle armi da fuoco, provocando così, per l'uso indiscriminato da parte di alcune guardie, la morte di Emilio Riverberi, Ovidio Franchi, Lauro Farioli e Marino Serri.
      Il procedimento penale per questi reati (e per altre imputazioni per riunione sediziosa, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale a carico di numerosi dimostranti), celebratosi presso la seconda corte di assise di Milano, si concludeva con l'assoluzione del commissario per non aver commesso i fatti e con l'assoluzione della guardia di pubblica sicurezza per insufficienza di prove.
      I morti del 7 luglio 1960 sono costantemente ricordati dalla comunità di Reggio Emilia come caduti in difesa dei diritti di libertà e di democrazia.
      Nel corso di una delle recenti commemorazioni pubbliche, la madre ottuagenaria di Ovidio Franchi, richiesta di cosa la faccia ancora soffrire ha così esclamato: «Che non ci hanno dato ancora la risposta che vogliamo. Lo abbiamo capito, ma lo vogliamo sapere da loro [in cui quel loro è lo Stato, la Repubblica], da quelli che hanno mandato quelle persone a uccidere i nostri figli. Nessuno si è potuto difendere, loro non avevano le armi. Avevano solo la coscienza di andare in piazza a dimostrare quello che pensavano. Purtroppo, anche oggi c'è ancora gente che è al nostro punto e si rischia ancora che accada qualcosa di brutto».
      Nelle parole della mamma di Ovidio, come nel comportamento degli altri familiari delle vittime, non vi è traccia di odio, di risentimento, di vendetta. Vi è, da una parte, una dolorosa e legittima rivendicazione di giustizia morale riparatoria; dall'altra, l'angoscia e la sofferenza che ancora oggi possa ripetersi la tragedia della morte, ad opera della polizia, di giovani che non hanno altra colpa che lo slancio, l'entusiasmo, la volontà, la coscienza di rivendicare, anche con la pubblica protesta, diritti e libertà.
      La storia del nostro Paese, prima e dopo i tragici fatti di Reggio Emilia, anche con governi di diversa ispirazione, ha purtroppo vissuto altri episodi di violenza e di sangue, ha conosciuto l'uso delle armi da parte della polizia nei confronti di cittadini, scesi nelle strade e nelle piazze della nostra Italia, per tutelare il lavoro, affermare la pace, chiedere giustizia.
      Le nostre leggi sull'ordinamento di polizia, soprattutto nella determinazione dei requisiti e dei limiti sull'uso delle armi, ancorché più volte rivisitate nel tempo, non hanno impedito questi tragici fatti.
      È tuttora aperta la questione della gestione dell'ordine pubblico in occasione di manifestazioni di lotta e di protesta.
      È utile e necessario dunque, oltre che doveroso per rispondere alla domanda di giustizia dei familiari delle vittime, ripercorrere, con una inchiesta parlamentare, i fatti di Reggio Emilia, non solo per indagare e comprendere le ragioni dell'uso all'epoca delle armi da fuoco contro i manifestanti, per conoscere le modalità di organizzazione e di esecuzione della catena di comando delle Forze dell'ordine, per accertare la natura e i meccanismi di traduzione in ordini e comportamenti delle Forze di polizia degli indirizzi politici di governo, ma anche per verificare la permanenza, nell'attuale ordinamento di polizia, di limiti, insufficienze e distorsioni che possano consentire la riproduzione di condotte contrarie al dovere proprio del Governo e delle Forze dell'ordine di garantire
 

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libertà e sicurezza, nel rispetto assoluto della legalità costituzionale, per valutare inoltre se nelle leggi vigenti vi siano tuttora contraddizioni e limiti che consentano oscurità nell'accertamento della verità e spazi per un uso trasversale e strumentale del potere.
      Le stesse Forze dell'ordine hanno interesse a fare luce e chiarezza sulla loro storia per comprendere errori e tragedie da non ripetere, per formare le coscienze dei loro appartenenti al rispetto sempre dei diritti della persona e dei cittadini, per evitare frustrazione, scoramento, rifiuto, desiderio di abbandono delle loro migliori energie, ogni qual volta emergano episodi di illegalità e di violenza consumati all'ombra delle loro divise.
      In conformità all'articolo 82 della Costituzione, che consegna a ciascuna Camera il potere di disporre inchieste di pubblico interesse, come strumento di conoscenza e di valutazione per l'esercizio delle sue funzioni legislative e di controllo, proponiamo l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti verificatisi a Reggio Emilia il 7 luglio 1960.
      I fatti da investigare hanno indubbiamente natura di pubblico interesse, perché investono direttamente il rapporto fra i cittadini e il potere; i risultati dell'indagine potranno essere utilmente considerati ai fini del giudizio sullo stato della legislazione sull'ordine pubblico e quindi per la sua eventuale riforma.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti verificatisi a Reggio Emilia il 7 luglio 1960, di seguito denominata «Commissione».
      2. La Commissione ha il compito di accertare:

          a) quali furono le condizioni di ordine pubblico che determinarono l'uso da parte della polizia delle armi nei confronti dei manifestanti, in particolare come si sviluppò e si manifestò nel Paese e in particolare a Reggio Emilia lo sciopero generale proclamato dal sindacato dei lavoratori della CGIL; quali Corpi di polizia furono fatti affluire nella circostanza a Reggio Emilia; quali ordini le autorità politiche di governo impartirono alle autorità locali, prefetto e questore; come funzionò la catena di comando nella trasmissione di tali ordini; in quali circostanze e con quali ordini si determinò l'uso delle armi da fuoco da parte della polizia contro i manifestanti;

          b) se nella ricostruzione degli eventi fornita dal Governo dell'epoca al Parlamento e alla magistratura vi furono omissioni, reticenze o falsità;

          c) se, in particolare, il Governo si avvalse, formalmente o di fatto, dell'apposizione del segreto di Stato.

Art. 2.

      1. La Commissione è composta da venti deputati e da venti senatori nominati, rispettivamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato della Repubblica, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari,

 

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comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno una delle Camere.
      2. La Commissione, nella prima seduta, elegge il presidente, due vicepresidenti e due segretari.
      3. La Commissione conclude i propri lavori entro sei mesi dalla data della sua costituzione e presenta al Parlamento, entro i successivi sessanta giorni, la relazione finale sulle indagini svolte.

Art. 3.

      1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
      2. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi, nonché copie di atti e documenti relativi ad ogni altra indagine, anche se coperti dal segreto.
      3. Per i fatti oggetto dell'inchiesta parlamentare non è opponibile alla Commissione il segreto di Stato, né quello di ufficio, professionale o bancario.
      4. Per le testimonianze davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.

Art. 4.

      1. La Commissione, prima dell'inizio dei lavori, adotta il proprio regolamento interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
      2. Le sedute della Commissione sono pubbliche.
      3. La Commissione può avvalersi direttamente dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria.
      4. Per l'espletamento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa fra loro.

 

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      5. Le spese di funzionamento della Commissione sono ripartite in parti uguali fra la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica e sono poste a carico dei rispettivi bilanci interni.

Art. 5.

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.    


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