|
|
CAMERA DEI DEPUTATI
|
N. 6178-A
N. 6177-A |
NOTA: Relazioni di minoranza presentate nelle Commissioni permanenti sugli stati di previsione del disegno di legge di bilancio e sulle parti del disegno di legge finanziaria di rispettiva competenza.
IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa) | Tabella n. 12 (Difesa)
| VI COMMISSIONE PERMANENTE
| (Finanze) Tabella n. 1 (Entrata)
| Tabella n. 2 (Economia e finanze, limitatamente alle parti di competenza)
| VIII COMMISSIONE PERMANENTE
| (Ambiente, territorio e lavori pubblici) Tabella n. 9 (Ambiente e tutela del territorio)
| Tabella n. 10 (Infrastrutture e trasporti, limitatamente alle parti di competenza)
| |
Minniti, Molinari, Pisa, Pinotti, Ruzzante, Angioni, Luongo, Lumia, De Brasi, Rotundo, Santino Adamo Loddo, Tanoni
Esaminati il disegno di legge finanziaria, il disegno di legge di bilancio e la tabella 12, per quanto di propria competenza, si rileva preliminarmente quanto segue.
I provvedimenti all'esame completano il percorso della XIV legislatura, aggravando un quadro generale che si era già delineato negli anni precedenti, caratterizzato da un trend negativo.
Il rapporto rispetto al PIL prima del taglio del 10 per cento raggiunge il valore dell'1,358 per cento inferiore rispetto a quello del 2005 che era di 1,376 per cento, a quello del 2004 che era di 1,453 per cento, a quello registrato nel 2003 che era risultato pari a 1,486 per cento.
Analizzando le previsioni di spesa e scomponendole nelle classiche quattro funzioni in cui sono articolate (funzione difesa, funzione sicurezza pubblica - cioè
prevedere un più adeguato accantonamento che consenta di promuovere per un più generale riordino delle carriere di tutti i ruoli delle Forze armate e delle Forze di polizia;
finanziare un piano casa per alloggi di servizio attraverso la vendita diretta agli utenti di parte consistente dell'attuale patrimonio utilizzando il ricavato anche per la ristrutturazione di alcune caserme, considerandoli elementi necessari per il buon esito delle iniziative di reclutamento dei volontari rinunciando alla ipotesi di cartolizzare migliaia di alloggi di servizio senza ritorno significativo per la Difesa e con grave danno per le famiglie militari con reddito medio-basso;
dare attuazione alla costituzione di un fondo pensioni integrativo in grado di assorbire gli attuali assetti patrimoniali delle casse ufficiali e sottufficiali e dare copertura previdenziale adeguata a quella che è ormai la maggioranza del personale militare: quello, cioè, entrato in servizio dopo il 1995 (anno della riforma previdenziale) nei ruoli dei marescialli e degli
prevedere la necessaria copertura finanziaria al disegno di legge quadro recante «Norme sullo stato giuridico e il trattamento economico dei militari inviati alle operazioni all'estero», fermo in Commissione Difesa della Camera per mancanza di copertura finanziaria;
prevedere la necessaria copertura finanziaria al disegno di legge recante: «Norme in favore dei militari di leva e di carriera infortunati o caduti durante il periodo di servizio, fermo in Commissione Difesa della Camera per mancanza di copertura finanziaria, che lo stesso Governo ha stimato essere dell'ordine di circa 120 milioni di euro dichiarando però di non essere in grado di reperirli. Si tratta di una situazione moralmente inaccettabile, poichè la legge si propone di erogare un risarcimento simbolico (50 mila euro) a chi ha perso un figlio o è rimasto menomato per tutta la vita per accidenti occorsigli durante il servizio di leva. L'anno in cui si attua la sospensione anticipata, e cioè la fine del servizio di leva, non può non coincidere con questo obbligo morale di un risarcimento ai più sfortunati, per il quale occorre assolutamente trovare la necessaria copertura;
prevedere un adeguato accantonamento finanziario per approvare norme che definiscano le misure e gli strumenti operativi in grado di garantire al personale militare la tutela della salute, la prevenzione dai molteplici rischi derivanti dalle attività istituzionali e un sistema risarcitorio più favorevole;
prevedere un adeguato accantonamento finanziario per avviare un programma di ridislocazione di enti e strutture delle Forze armate verso le regioni del sud e le isole, laddove avviene la quasi totalità del reclutamento;
incrementare il Fondo unico di amministrazione del personale civile della Difesa per consentire la realizzazione di un programma straordinario di formazione e di riqualificazione del personale civile in grado di corrispondere alle esigenze della ristrutturazione delle Forze armate;
prevedere una più adeguata copertura finanziaria ai piani di ammodernamento delle Forze armate, con particolare riguardo ai progetti più qualificanti per restare al passo con le esigenze operative poste dall'impiego delle nostre Forze armate sullo scenario internazionale e anche dal processo di costituzione di quella che appare ormai, un'esigenza irrinunciabile e cioè l'integrazione europea ed il progetto di difesa comune.
Tutto ciò considerato, si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.
Esaminate, per le parti di competenza, la Tabella n. 1, stato di previsione dell'entrata per l'anno finanziario 2006 del disegno di legge C. 6178 e relative note di relazione C. 6178-bis e C. 6178-ter, approvato dal Senato, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2006 e bilancio pluriennale 2006-2008», e le connesse
premesso che:
il disegno di legge finanziaria, nonostante siano state già varate, dopo la presentazione alle Camere, due manovre correttive, di cui una con effetto anche sul 2005, non dà assolutamente la certezza dell'attendibilità dei dati fin qui prospettati, ripropone le incertezze della finanziaria 2005, che ha portato a un deficit superiore alle previsioni, ed ha costretto il Governo a ricorrere a continue misure integrative;
il CER, in uno studio presentato nei giorni scorsi, rileva come i tagli al welfare derivanti dalla riduzione di spesa prevista nel disegno di legge Finanziaria per il 2006 annullano, ed anzi superano gli stanziamenti del Fondo per la famiglia, calcolando un saldo complessivo negativo per le famiglie di 345 milioni, derivante dalla differenza tra la riduzione di 1.485 milioni di euro a carico dei Comuni per la spesa sociale e l'ammontare del pacchetto di misure fissato dal Governo in 1.140 milioni: tali tagli sulla spesa sociale dei Comuni si tradurranno, sempre secondo questo istituto di ricerca, in una riduzione di 544 euro l'anno per ogni famiglia povera, pari a 45 euro al mese; tali tagli interverranno peraltro già dall'anno in corso, con una riduzione del 50 per cento del Fondo per la famiglia, equivalente a 502 milioni di euro;
osservato che:
dal 2001 al 2005 il PIL è cresciuto di 12 punti e mezzo, la massa salariale del 12 per cento, l'IRPEF pagata da lavoratori dipendenti e pensionati è cresciuta del 14 per cento, mentre quella pagata dagli altri redditi è scesa del 25,4 per cento ed il gettito IRPEF derivante da accertamenti per il contrasto all'evasione fiscale si è ridotta del 56 per cento;
la necessità di mascherare lo stato dei conti pubblici e di rispondere alle richieste del Fondo monetario internazionale e della Unione europea, da un lato, e la volontà, di stampo elettoralistico, di non approvare misure troppo visibilmente gravose per i cittadini, dall'altro, ha indotto il Governo ad apportare nuove e «creative» tecniche contabili, modificando in negativo i saldi con un semplice emendamento, utilizzando nuove, ingegnose tipologie di limiti d'impegno e realizzando coperture di spese non rispettose della normativa vigente;
considerato che:
la triplice manovra correttiva, l'estrema variabilità del contenuto delle voci di bilancio nei saldi tendenziali, confermano la necessità di istituire un'Alta Commissione per il controllo della spesa pubblica, tanto più che gli ispettori del FMI, nel loro recente documento sulla manovra per il 2006, hanno proposto di affidare il controllo dei conti pubblici a esperti indipendenti, tema rilanciato anche dalla Corte dei Conti; in particolare il Capo missione del FMI ha precisato che quello del controllo dei conti pubblici da parte di un autorità indipendente è un consiglio che il FMI sta dando a tutti Paesi, «ma in Italia assume un significato particolare data l'opacità di alcuni aspetti del bilancio»;
ricordato che:
la Corte Costituzionale è intervenuta, con la sentenza n. 417 del 2005 del 9 novembre scorso, su alcuni quesiti sollevati dalle Regioni in merito alle disposizioni del decreto-legge n. 168 del 2004, sancendo che il Governo può chiedere alle Autonomie territoriali, per esigenze di bilancio e con norme di principio, di contenere la propria spesa annuale, ma non può elencare in dettaglio dove e come ridurre le spese, per non interferire con la loro autonomia gestionale, costituzionalmente riconosciuta; nella sentenza si sostiene inoltre che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma solo,
la sentenza appena richiamata ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 9, 10 e 11 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, i quali riducevano le spese per consulenze, quelle di rappresentanza ed i consumi intermedi;
constatato che:
alla luce di tale sentenza devono essere modificati i commi 6, 7 e 8 dell'articolo 1 del disegno di legge finanziaria per il 2006, così come modificato dall'emendamento governativo approvato dal Senato, che prevedono per tutte le pubbliche amministrazioni (con l'esclusione di università e centri di ricerca per le consulenze e delle forze dell'ordine per gli automezzi) un taglio del 50 per cento delle spese per consulenze, pubbliche relazioni ed automezzi, sostenute nel corso del 2004, con un risparmio complessivo previsto pari a 100 milioni di euro a decorrere dal 2006, inserendo conseguentemente nuove misure per recuperare 50-60 milioni di euro;
occorrerà inoltre modificare anche i commi 38-48 i quali intervengono sui costi previsti nei bilanci di Regioni ed enti locali, con la conseguenza che, mentre i deputati vedranno decurtate le loro retribuzioni del 10 per cento, per i consiglieri regionali - ad esempio - le rispettive regioni potranno decidere singolarmente in merito;
sottolineato che:
per quanto riguarda la politica fiscale emerge, dall'analisi della serie storica dei prelievi IRPEF dal 2001 al 2005, che la ripartizione del reddito nazionale tra le diverse categorie di reddito è rimasta sostanzialmente invariata, l'inflazione è stata pari al 9,6 per cento ed in modo analogo è cresciuto il prelievo complessivo IRPEF; tuttavia, se si esamina il prelievo per natura dei redditi, il prelievo sul lavoro dipendente e sulle pensioni è cresciuto del 12,75 per cento mentre quello sugli altri rediti si è ridotto dell'1,36 per cento;
ancora più significativa è la situazione se si considera il prelievo derivante dall'attività di contrasto dell'evasione e da condoni. Anche ipotizzando che nel 2005 si riduca il trend discendente di riduzione di questa tipologia di entrate esso, rispetto al 2001, sarebbe superiore al 50 per cento; conseguentemente il prelievo complessivo sui redditi diversi dal lavoro dipendente e dalle pensioni si è ridotto nel periodo 2001-2005 del 13,63 per cento;
tale dinamica risulta confermata dalle previsioni per il 2006, in quanto l'applicazione, in occasione dell'autotassazione di maggio 2006, del secondo modulo della riforma dell'IRPEF comporterà una riduzione di circa 250 milioni di euro in valore nominale del prelievo sui redditi diversi da quelli da lavoro dipendente e da pensione (-1,13 per cento in valore nominale e -4,5 per cento in valore reale), mentre a carico di questi ultimi redditi è prevedibile un incremento del prelievo di oltre 5 miliardi di euro (+5,25 per cento) a causa della mancata restituzione del fiscal drag;
nello stesso periodo 2001-2005 si è fortemente ridotto l'incidenza sul PIL del prelievo IRPEG (dal 2,7 a circa il 2 per cento) ed è crollato il contrasto all'evasione (dal 2,66 sul PIL all'1,62 per cento del 2004);
le entrate ordinarie IVA, che nel triennio precedente erano cresciute ad una percentuale superiore del 50 per cento a
il disegno di legge finanziaria per il 2006 non modifica le tendenze di fondo della fallimentare politica fiscale del Governo: per mancanza di risorse non si interviene sull'IRPEF, neanche con la restituzione del fiscal drag, si compensa il venir meno delle entrate da condono con cosmesi contabili sui conti di tesoreria, con improbabili introiti da privatizzazioni, e con il preannuncio di non meno improbabili successi della lotta all'evasione;
le vere maggiori entrate previste dalla manovra derivano da una molteplicità di microinterventi in materia di imposizione indiretta i cui effetti si faranno sentire maggiormente sulle famiglie a reddito fisso;
con il PIL che non cresce, si ha di fatto un impoverimento del Paese, fenomeno aggravato da un effetto redistributivo che ha penalizzato particolarmente le classi medie, la cui percezione di perdita di ruolo e di sicurezza è una componente molto forte del disagio sociale attuale;
l'impoverimento e la crisi dei «colletti bianchi» trae origine, in particolare, da una precarietà e una vulnerabilità prima sconosciute e da un aumento dei costi incomprimibili, dovuti anche alla scelta di lasciare al mercato la regolazione delle politiche economiche e la redistribuzione del reddito, di tramutare in ideologia la flessibilità del lavoro e riconsentire una precarizzazione generalizzata delle condizioni di lavoro;
ricordato che:
occorre sottolineare gli effetti negativi del cuneo fiscale e contributivo, in ragione del quale il costo medio per l'impresa di un salario pari a 100 è - incluso l'IRAP - pari a 193;
il nostro Paese, con un tasso di occupazione globale del 57,6 per cento (2004) è lontanissimo dal traguardo fissato dalla Strategia di Lisbona previsto per la fine del 2005 (67 per cento), nonché dai risultati già raggiunti dai Paesi Bassi (73 per cento), dalla Spagna (61 per cento), dal Belgio (60,3 per cento) e perfino dalla Grecia (59,4 per cento);
in questa situazione spetterebbe alla politica fiscale esercitare la sua funzione anticiclica e stimolare l'economia, che è tuttavia impedita dal pessimo stato dei conti pubblici;
esiste una vera e propria questione salariale, legata ad una pericolosa erosione del potere d'acquisto, delle retribuzioni e delle pensioni, a causa della quale, anche avendo un lavoro stabile, a differenza del passato, si può correre il rischio di scivolare al di sotto della soglia di povertà;
tale fenomeno è legato alla scelta del Governo di fissare i tassi di inflazione programmata a livelli più bassi rispetto all'inflazione reale, di non rinnovare una parte dei contratti del pubblico impiego, o di erogare con ritardo gli aumenti negoziati, che comportano una perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni;
evidenziato che:
come rilevato dagli Amministratori delle autonomie locali, «il taglio per gli enti locali non sarà del 6,7 per cento, come afferma il Governo, ma almeno dell'11-12 per cento», che graverà per 3-3,5 miliardi di euro sui Comuni, per 2,5 miliardi su Regioni e Province, senza conteggiare la spesa sanitaria, sottostimata di circa 2,5 miliardi;
secondo il Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 2006-2008, la spesa tendenziale del Servizio sanitario nazionale potrebbe raggiungere 95 miliardi di euro nel 2006, mentre il Governo, nel disegno di legge finanziaria, stanzia 90,96 miliardi, più 2 miliardi a ripiano dei disavanzi 2002-2004, che saranno erogati a condizione che le Regioni riducano in modo drastico le liste
secondo l'ANCI il disegno di legge finanziaria 2006 taglia la spesa delle amministrazioni locali per 1,4 miliardi di euro; inoltre, in linea con l'applicazione del principio dell'evoluzione controllata della spesa complessiva (incremento del 2 per cento rispetto all'anno precedente) introdotto dalla finanziaria per il 2005, la disciplina del patto di stabilità interno per l'anno 2006 impone un vincolo all'incremento delle spese correnti e in conto capitale degli enti territoriali (anzichè un vincolo sul disavanzo, come sarebbe più logico e come previsto dal Patto di stabilità europeo);
ricordato che:
per gli Enti locali (Comuni e Province con popolazione superiore a 3.000 abitanti, Comunità montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti) il disegno di legge finanziaria prevede che il complesso delle spese correnti - con esclusione di alcune spese di carattere sociale - non può essere superiore, per l'anno 2006, al totale del 2004, diminuito del 6,7 per cento; rispetto a quanto disposto dalla Finanziaria 2005 il taglio è dunque dell'8,7 per cento sul 2006 e del 2,3 per cento sul 2007;
detratte le spese «sociali», le quali, a norma del decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 1996, sono solo le spese relative all'assistenza all'infanzia, agli handicappati e ad altri pochi servizi sociali, alcune categorie di spesa importantissime subiranno tagli rilevanti: il territorio e l'ambiente (-686 milioni di euro), la viabilità e i trasporti (-525 milioni di euro); la scuola materna e l'istruzione (-300 milioni di euro); la cultura e i beni culturali (- 120 milioni di euro); la polizia locale (-117 milioni di euro); lo sport e le attività ricreative (- 25 milioni di euro);
l'incidenza effettiva dei tagli sui bilanci dei singoli comuni è molto diversa, e risulta inversamente proporzionale alla dimensione dell'ente, penalizzando maggiormente i piccoli comuni, che hanno bilanci molto ristretti, sui quali non agiscono le compensazioni tra i vari settori;
le spese in conto capitale degli Enti locali non potranno crescere, nell'anno 2006, più del totale del 2004 aumentato del 10 per cento e, per il 2007 e per il 2008, non più del totale dell'anno precedente aumentato del 4 per cento, non escludendosi inoltre dall'ammontare delle spese soggette al Patto di stabilità le spese di conto capitale cofinanziate dall'Unione Europea e le quote di finanziamento di parte nazionale, corrispondenti a quelle cofinanziate dall'Unione Europea;
per le regioni a statuto ordinario il limite all'incremento delle spese correnti per il 2006 - escluse le spese per il personale e quelle di carattere sociale nonchè le spese per trasferimenti correnti destinati alle amministrazioni pubbliche - non può essere superiore all'ammontare del 2004, diminuito del 3,8 per cento: pertanto la riduzione di risorse rispetto alla finanziaria 2005 è molto severa, risultando pari, per la spesa corrente delle Regioni, al 5,8 per cento rispetto a quanto previsto nell'anno precedente;
più ampi margini di spesa sussistono per le spese in conto capitale delle Regioni, le quali potranno crescere nel 2006 del 6,9 per cento, anche se la base di calcolo, fissato dalla finanziaria 2005 nella spesa dell'anno precedente, è stabilito dal disegno di legge finanziaria sulla spesa 2004;
non sono escluse dall'ammontare delle spese soggette al Patto di stabilità le spese in conto capitale cofinanziate dall'Unione europea e le quote di finanziamento di parte nazionale, corrispondenti a quelle cofinanziate dall'Unione europea; i limiti alle spese correnti degli enti decentrati sono pertanto significativi, soprattutto se si tiene conto che riguardano risorse che hanno subito tagli sostanziali con le finanziarie degli anni precedenti e con le manovre realizzate nell'anno in corso;
una restrizione particolarmente significativa si prospetta per le entrate degli enti decentrati, in quanto tutti i contributi e le provvidenze in favore degli enti locali sono determinate nella stessa misura del 2005, senza neppure un minimo incremento per tenere conto dell'inflazione programmata;
evidenziato che:
per quanto riguarda i contratti a tempo determinato e le collaborazioni, tutte le Amministrazioni dello Stato, ad eccezione del settore della scuola, al quale si applica la disciplina di settore, devono restare nel 2006 all'interno di una spesa del 60 per cento rispetto al 2003; al tempo stesso il disegno di legge finanziaria prevede che le regioni, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale diminuiscano la spesa per il personale per il 2006, 2007 e 2008 dell'1 per cento rispetto alle spese del 2004;
volendo quantificare gli effetti di queste misure, su circa 250.000 precari attualmente occupati nel settore pubblico circa 100.000 resteranno senza lavoro dall'inizio del prossimo anno; permane nel contempo il blocco delle assunzioni (tranne 2.500 per compiti di ordine pubblico e sicurezza), mentre le ipotetiche 7.000 assunzioni per le amministrazioni centrali e gli enti pubblici non economici, per la particolare procedura che dovrà essere seguita, non potranno avvenire prima del 2008;
particolarmente grave è la stretta sugli organici in tutta la «filiera del sapere»: per la scuola si è proceduto ad un turn over parziale, che non copre tutti i posti disponibili, determinando disagi nelle scuole, ed escludendo dalla possibilità di immissione in ruolo ad un vasto numero di precari;
il blocco delle assunzioni per gli enti di ricerca e le università mette in crisi interi filoni della conoscenza, bloccando il ricambio generazionale e rischiando di inaridire importanti tradizioni scientifiche nazionali;
osservato che:
considerando solo le sole società di capitali di natura non creditizia, per tale gruppo di imprese il disegno di legge finanziaria concede 1 miliardo e 95 milioni di euro (2 miliardi di euro è il totale per tutte le imprese), di cui 2/3 andranno al Nord e solo il 10 per cento al Sud, determinando in tal modo una selettività territoriale inversa a quella desiderabile per il Sud;
al contrario un provvedimento in favore dei lavoratori può avere effetti positivi indiretti anche sulle imprese e costituire una iniezione di fiducia dal lato dei consumi;
evidenziato che:
per quanto riguarda i fondi per il cofinanziamento di progetti europei, le rimodulazioni operate per la tabella D ed E del disegno di legge finanziaria interessano anche il contributo dello Stato ai progetti del quadro comunitario di sostegno 2000-2006, implicando un taglio di circa 2,2 miliardi di euro nel 2006, di 4 miliardi nel 2007 e di 5 miliardi nel 2008: in totale, più di 11 miliardi che vengono spostati sull'esercizio 2009 e seguenti, con la conseguenza che nel 2006 resteranno destinati ai progetti in cofinanziamento solo 2 miliardi, 200 milioni nel 2007 e 600 milioni nel 2008;
tale rimodulazione non tocca investimenti autonomi dello Stato italiano, ma impegni di investimento presi con l'Unione europea, la quale ha condizionato il suo finanziamento al completamento delle opere, e alla loro rendicontazione entro il 31 dicembre 2008, con la conseguenza che le regioni che hanno attivato questi investimenti potranno usufruire della quota di cofinanziamento a carico dell'Unione europea solo completando le opere e saldando i pagamenti entro la fine del 2008, costringendole dunque ad indebitarsi per la parte non erogata dallo Stato per completare e rendicontare le opere in tempo utile, pena la perdita della quota di finanziamenti europei;
osservato che:
per la prima volta da molti anni non c'è alcuni stanziamento per la modernizzazione informatica e telematica della pubblica amministrazione, mentre gli investimenti per l'informatica nei Ministeri, pari a circa 680 milioni di euro per i prossimi tre anni, di cui 223 milioni solo per il 2006, rappresentano un vero e proprio taglio: in tale contesto appare particolarmente grave la cessazione di 8.000 caselle e-mail del Ministero della Giustizia, al quale nei prossimi anni verranno sottratti 72 milioni di investimenti in innovazione tecnologica;
constatato che:
per far uscire il Paese dalla attuale situazione di stagnazione sarebbe invece necessario:
1) operare - nel confronto con gli altri governi europei e con la Commissione europea - per la riforma del Patto di stabilità e crescita europeo, al fine di eliminarne il carattere prociclico e di integrarne obiettivi e parametri con la strategia definita nella Conferenza intergovernativa di Lisbona del 2000;
2) invertire la tendenza alla caduta dell'avanzo primario, riportandolo entro tre anni vicino al livello del 5 per cento, al fine di accelerare la riduzione del volume globale del debito;
3) operare la stabilizzazione della finanza pubblica senza ridurre il volume della spesa sociale in rapporto al PIL, in vista di una sua ripresa finanziata dalla riduzione della spesa per il servizio del debito;
4) accompagnare il ritorno ad un avanzo primario attorno al 5 per cento con una accelerazione del processo di riduzione del volume globale del debito, destinando esclusivamente a questo scopo i proventi da valorizzazione dell'ingente attivo emerso dal conto patrimoniale dello Stato (137 per cento del PIL);
5) realizzare una maggiore riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, del resto a lungo invocata proprio dalle forze di opposizione, che dovrebbe passare da 1 a 1,5 punti percentuali; tale riduzione complessiva dovrebbe poi essere equamente ripartita fra i lavoratori e le imprese, consentendo in tal modo, oltre che favorire un recupero di competitività dei prodotti italiani, anche di affrontare la questione salariale, ed in particolare il problema dell'esiguità dei salari percepiti dai lavoratori nei settori a bassa produttività, sull'esempio di quanto realizzato in Francia;
6) riequilibrare la pressione fiscale per promuovere lo sviluppo (riducendo l'IRAP sugli investimenti nella ricerca) al fine di assicurare maggiore equità sociale al sistema di prelievo (favorendo i redditi medio-bassi e le famiglie), di rendere possibile la restituzione del fiscal drag, di ridurre il cuneo contributivo, estendere l'applicazione della clausola di salvaguardia sul trattamento fiscale del TFR e rimborsare i crediti d'imposta ai contribuenti ed alle imprese;
7) introdurre forti agevolazioni per i Distretti industriali, consentendo alle imprese operanti nei sistemi produttivi locali di costituire Società di servizi aventi come oggetto la gestione dei servizi di interesse comune delle imprese operanti nell'ambito dei sistemi produttivi locali, le quali dovrebbero essere esenti dall'imposta sul reddito delle società e dall'imposta regionale sulle attività produttive per un periodo di 10 anni dalla data della loro costituzione, e prevedendo un credito d'imposta per promuovere le attività di ricerca e sviluppo ed incentivare le aggregazioni tra imprese;
8) utilizzare tutte le risorse finanziarie disponibili per il pieno conseguimento degli obiettivi fissati dalla Conferenza intergovernativa di Lisbona: ricerca, formazione, innovazione, infrastrutturazione immateriale, invecchiamento attivo, formazione continua, innalzamento del livello di partecipazione alla forza di lavoro, a partire dalle giovani donne;
9) intervenire nel settore previdenziale definendo un paniere più sensibile
10) ridurre per il prossimo triennio, l'IVA, per favorire il rilancio del turismo;
11) istituire un Fondo per la riqualificazione e il recupero dei centri storici urbani e delle aree metropolitane del Mezzogiorno;
12) definire, valutando attentamente le opere da realizzare dal punto di vista della loro sostenibilità ambientale e della loro funzionalità, un Piano infrastrutturale con priorità per il Mezzogiorno, puntando alla ottimizzazione delle reti ferroviarie ed idriche ed alla realizzazione delle autostrade del mare;
13) con riferimento alle politiche ambientali, realizzare interventi per la difesa del suolo, la bonifica dei siti inquinati, l'ottimizzazione della gestione dei rifiuti, nonché prevedere adeguati incentivi per l'innovazione tecnologica e la ricerca applicata alle fonti energetiche rinnovabili, in modo da promuovere l'uso efficiente delle risorse energetiche e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel rispetto degli impegni sottoscritti con il Protocollo di Kyoto;
14) incrementare le risorse del Fondo nazionale per gli affitti, superando l'indifferenza dimostrata dall'attuale Governo verso l'emergenza abitativa, dimostrata dal fatto che al passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni non è corrisposto alcun trasferimento delle risorse necessarie: in questa situazione si inserisce l'ennesima riduzione, prevista dalla legge finanziaria, degli stanziamenti per il Fondo nazionale per gli affitti, che si sono ridotti per il 2006 a 217 milioni di euro, a fronte di 230 milioni nel 2005 e di 336 milioni nel 2001; occorre infatti ricordare che, secondo l'ISTAT, ben 728 mila famiglie - su un totale di 4,2 milioni nuclei in affitto - sono composte da giovani sotto i 35 anni;
15) istituire il Fondo nazionale per gli asili nido, al fine di promuovere e sostenere la realizzazione su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro l'anno 2007, e riqualificare quelli esistenti;
16) realizzare il Fondo per i non autosufficienti;
17) finanziare, attraverso il ripristino dell'imposta di successione, come riformata dalla legge n. 488 del 1999, un selettivo intervento di sostegno delle famiglie più povere con figli minori e anziani non autosufficienti;
18) riconoscere assoluta priorità nell'agenda del Governo e, di riflesso, del Parlamento, alla riforma per la tutela del risparmio in modo da garantire i risparmiatori, introducendo la class action e indennizzando i portatori dei bond argentini, Cirio, Parmalat, che sono stati raggirati nel collocamento dei titoli per mancanza di corrette informazioni;
19) realizzare la previdenza integrativa con l'utilizzo del TFR, valorizzando i fondi contrattati;
20) realizzare urgentemente la riforma delle professioni e del settore dell'energia, aprendo tali comparti alla concorrenza, in modo da diminuire i costi per le imprese e per le famiglie;
21) modificare la legge che regola il fenomeno dell'immigrazione, la quale risulta gravemente penalizzante per il sistema economico;
22) fornire maggiori garanzie previdenziali ai lavoratori più precari; tutelare i lavoratori frontalieri, salvaguardare con una nuova normativa i pensionati che hanno lavorato all'estero;
23) definire, di concerto con il sistema delle autonomie regionali e locali, un permanente Patto di stabilità e crescita
24) riprendere il cammino - interrotto da quattro anni - del processo di liberalizzazione dei mercati chiusi e caratterizzati da situazioni di monopolio e oligopolio;
25) ripristinare i crediti automatici di imposta per la nuova occupazione e gli investimenti nel Sud, modulandone l'applicazione secondo il volume di risorse disponibili, senza tuttavia intaccarne il carattere automatico, per dare certezza alle imprese ed attrarre per questa via investimenti esterni;
26) procedere, nell'ambito della politica di ristrutturazione e sviluppo della spesa sociale, alla costruzione di un sistema universale di ammortizzatori sociali, capaci di sostenere l'insieme dei lavoratori nelle fasi di difficoltà;
27) ripristinare il meccanismo di invarianza del carico fiscale complessivo (accisa più IVA) introdotto nella XIII legislatura dal Governo D'Alema nell'autunno 1999 e inspiegabilmente abbandonato nel 2002.
ritenuto che per individuare le risorse occorrenti a finanziare tali proposte, sia opportuno ripristinare l'imposta di successione sui grandi patrimoni, sopprimere il secondo modulo della riforma dell'IRPEF, in uno spirito di ritrovata solidarietà secondo cui i più abbienti devono rinunciare ai benefici ottenuti, che hanno ridotto il gettito dell'imposta di circa 6 miliardi di euro, nonché omogeneizzare al 19 per cento le aliquote relative alle rendite di capitale alla media europea.
Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.
Esaminate, per le parti di competenza, la Tabella n. 2, Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2006, del disegno di legge C. 6178 e relative note di relazione C. 6178-bis e C. 6178-ter, approvato dal
sottolineato come le disposizioni del disegno di legge finanziaria, recanti limiti all'incremento delle spese delle pubbliche amministrazioni, incidono negativamente, secondo la documentazione fornita dal Ministero dell'economia e delle finanze, sugli stanziamenti relativi alle Agenzie fiscali, al SECIT ed alla Guardia di Finanza, compromettendone la funzionalità e la operatività nell'azione di contrasto all'evasione fiscale;
osservato che si prevedono ingenti ed immotivate spese per le consulenze nello staff del Ministro dell'economia, si snatura la Scuola di economia e finanze con una gestione clientelare, si mortifica il ruolo del SECIT con nomine prive dei requisiti sostanziali;
considerato altresì che si riducono gli stanziamenti per i rimborsi dei crediti d'imposta dovuti ai contribuenti ed alle imprese, e che nulla è previsto per estendere l'applicazione della clausola di salvaguardia ai trattamenti di fine rapporto.
Per tali considerazioni si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.
Esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge n. 6177, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2006) e valutato, in particolare, lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (Tabella n. 9) e le connesse parti del citato disegno di legge finanziaria;
premesso che:
la manovra finanziaria per il 2006 predisposta dal Governo ha un carattere recessivo e non fornisce risposte ai problemi più urgenti del Paese, da quello del rischio del declino economico a quello della distribuzione sperequata del reddito, dalla riduzione del potere d'acquisto dei ceti popolari alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, dalla ulteriore marginalizzazione delle aree svantaggiate del Paese alle necessità di modernizzazione del welfare;
sul piano economico, il risultato dell'azione di Governo, a fine legislatura, si caratterizza per i risultati ampiamente negativi e la dimostrazione di questo fallimento è evidenziata dal fatto che il PIL del Paese ha una crescita prossima allo «zero», l'indebitamento netto viaggia secondo le ultime stime al di sopra del 5 per cento, l'avanzo primario si è quasi azzerato e il debito pubblico è tornato a crescere fino a raggiungere la ragguardevole cifra del 108,2 per cento;
il nostro Paese è sorvegliato speciale in Europa, per la mancata tenuta dei conti pubblici. La procedura comunitaria di infrazione per disavanzo eccessivo ha comportato il varo di una manovra finanziaria correttiva per il 2006 di ammontare superiore a 23 miliardi di euro, di cui la parte più consistente, pari a 16 miliardi di euro è destinata alla riduzione dell'indebitamento al 3,8 per cento;
il Governo, a causa del mancato controllo della spesa pubblica e di scelte di politica economica profondamente sbagliate ed inique, si trova ad affrontare le problematiche di crescita e del rilancio dell'economia del Paese, senza la necessaria dotazione di risorse e soprattutto senza la necessaria credibilità nel contesto nazionale ed internazionale;
valutato che:
sul piano istituzionale, si tende a svuotare il ruolo del Parlamento in merito all'analisi e all'approvazione della manovra finanziaria, rendendo sempre più ampia la discrezionalità dell'Esecutivo nel presentare le proprie proposte che si accavallano in maniera confusa a pochi giorni di distanza;
la manovra di 23,5 miliardi di euro, costituita da interventi di riduzione della spesa per la pubblica amministrazione e gli enti locali, da entrate una tantum (dismissioni immobiliari), da interventi vari di manutenzione del gettito, appare poco credibile e tale da non consentire il raggiungimento degli obiettivi, per l'anno 2006, di contenimento del deficit entro la soglia del 3,8 per cento del PIL. Ciò in piena continuità con i provvedimenti adottati nel corso dei precedenti quattro anni dal Governo di centrodestra che hanno condotto il Paese sull'orlo del dissesto finanziario, senza peraltro incidere in modo significativo sulla ricchezza e sulla capacità di consumo dei cittadini;
la manovra è incoerente con gli obiettivi di rilancio dell'economia, in quanto colpisce a pioggia le imprese e i lavoratori autonomi, in particolare quelli del Mezzogiorno, in un momento economico congiunturale difficile, nel quale la sottrazione di risorse al sistema produttivo si configura come un ulteriore fattore di rallentamento dell'economia del nostro Paese;
l'applicazione di nuove misure restrittive alla spesa dell'Amministrazione centrale, delle regioni e degli enti locali, oltre a limitare fortemente la capacità di gestione amministrativa, di spesa e di investimento degli enti medesimi, ha come conseguenza inevitabile il taglio dei servizi sociali per i cittadini, ovvero l'aumento dei costi e delle tariffe dei medesimi servizi, nonché delle imposte locali;
la stessa Corte costituzionale è intervenuta, con la sentenza n. 417 del 2005, per ribadire che il Governo può chiedere alle Autonomie locali e territoriali, per esigenze di bilancio e con norme di principio, di contenere la propria spesa annuale, ma non può elencare in dettaglio dove e come tagliare per non interferire con la loro autonomia gestionale, costituzionalmente
tenuto conto che:
si insiste nel dire che con questa manovra il Governo «non mette le mani nelle tasche dei cittadini», mentre, viceversa, ci penseranno le aziende, a scaricare sui cittadini le maggiori imposte; infatti, con ogni probabilità, il prelievo sulle banche e le assicurazioni si scaricherà sulle tariffe e sui premi, la «manutenzione dell'imponibile» riguardante Eni, Enel e le municipalizzate del settore energia, che da sola comporta un gettito per il primo anno superiore ai 900 miliardi, si scaricherà su un aumento delle tariffe, mentre il provvedimento fiscale sulla manutenzione ordinaria, che colpirà in modo particolare investitori istituzionali che concedono la casa in affitto, non potrà che tradursi in un aumento degli affitti;
i tagli al welfare derivanti dalla riduzione di spesa prevista nella Finanziaria 2006 «annullano» e anzi superano gli stanziamenti del Fondo per la famiglia; il saldo complessivo negativo per le famiglie è di 345 milioni: la differenza, cioè, tra i 1.485 milioni di euro in meno a disposizione dei comuni per la spesa sociale e l'ammontare del pacchetto di misure per la famiglia fissato dal Governo in 1.140 milioni;
i tagli della «finanziaria» alla spesa sociale dei comuni si tradurranno in un taglio di 544 euro l'anno per ogni famiglia povera, pari a 45 euro al mese, fermo restando che il taglio al Fondo per la spesa sociale interviene già dal 2005: una riduzione del 50 per cento che equivale a 502 milioni di euro in meno;
considerato che, per quanto concerne specificamente le materie di cui alla Tabella n. 9:
lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio fa registrare, per il quinto anno consecutivo, una fortissima riduzione delle previsioni di spesa, confermando, in tal modo, la tendenza del Governo a considerare le politiche ambientali come un vincolo ed un ostacolo allo sviluppo del Paese, tali da dover essere ridimensionate attraverso la limitazione delle possibilità operative del dicastero cui competono;
dall'analisi comparata delle previsioni di spesa per gli anni 2005 e 2006 si evidenzia, infatti, una riduzione in termini percentuali pari quasi al 20 per cento operata, tra l'altro, prevalentemente sulla parte in conto capitale e cioè su quella parte di risorse destinate agli investimenti e allo sviluppo di politiche ed interventi di sostenibilità ambientale;
anche in questa occasione, inoltre, le scarsissime risorse destinate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sono assegnate ai diversi centri di responsabilità con un criterio a dir poco singolare: la maggior parte, infatti, viene iscritta in dotazione al «Gabinetto e agli uffici di diretta collaborazione» e al centro «Servizi interni del Ministero», lasciando agli altri centri di responsabilità appena il 38 per cento degli stanziamenti totali (il 14 per cento a «Protezione della natura», il 10 per cento a «Ricerca» e il rimanente 14 per cento diviso tra «Qualità della vita», «Salvaguardia ambientale» e «Difesa del suolo»);
vi è una suddivisione delle risorse basata sulla scelta, che il Governo ha inteso effettuare durante tutta questa legislatura, di ridimensionare le strutture operative del dicastero, perseverando nell'atteggiamento di «appropriazione indebita», da parte degli organi di governo politico, di funzioni prettamente amministrative;
in linea di continuità con i cinque anni passati, anche quest'anno, dunque, le politiche ambientali risultano essere del tutto marginali, rispetto al complesso della manovra, facendo rilevare le maggiori riduzioni di spesa in tutti i comparti cardine dell'azione statale in materia di salvaguardia e di tutela dell'ambiente e della salute pubblica: dalle aree protette, alla bonifica dei siti inquinati, dalla tutela delle acque,
in questo quadro risalta, in modo ancora più palese, il disinteresse del Governo al rispetto degli impegni assunti a livello internazionale quali quelli sottoscritti con l'adesione al Protocollo di Kyoto; l'Italia, che arriva all'appuntamento fissato dal Protocollo di Kyoto con dati poco rassicuranti e che obbligheranno le nostre imprese ad uno sforzo immane rispetto a quelle degli altri Paesi, ha registrato, il 16 febbraio 2005 (data di entrata in vigore del Protocollo), un livello di emissioni superiore dell'11,6 per cento rispetto al 1990 ed esiste il rischio concreto che si debbano acquistare crediti di carbonio all'estero per qualche miliardo di euro per soddisfare gli impegni climatici (+15 per cento tendenziale al 2010 contro una riduzione prevista del 6,5 per cento rispetto al 1990);
sulla base delle disposizioni previste nel disegno di legge finanziaria, si vorrebbero attuare le disposizioni della legge di ratifica, volte al raggiungimento degli obiettivi di riduzione di quel livello di emissioni, con il risibile impegno di spesa di 100 milioni di euro;
la manovra economica proposta, facendo rilevare la minore incidenza percentuale sull'intero bilancio statale delle spese per la protezione dell'ambiente (pari appena allo 0,2 per cento del totale) risulta essere, a tutti gli effetti, mirata al disimpegno totale dello Stato da tutte le politiche di tutela e salvaguardia della salute dei cittadini e, in assoluta controtendenza rispetto al resto dei Paesi della comunità europea e internazionale, all'abbandono delle politiche di sviluppo basate su scelte di compatibilità e sostenibilità ambientale;
attraverso il disegno di legge finanziaria si continua, così come è accaduto nei cinque anni trascorsi, ad intervenire, tra l'altro, in maniera del tutto superficiale, scomposta e disorganica su un insieme di materie estranee alla legge di bilancio quali, ad esempio, le disposizioni previste in materia di bonifiche o di sanzioni per danno ambientale, sulle quali, peraltro, è tuttora pendente la delega disposta dalla legge n. 308 del 2004, senza considerare l'intervento di modifica normativa che si vorrebbe introdurre per tentare di porre rimedio a problemi di natura locale quali quelli relativi alla pianificazione degli interventi per il bacino del fiume Po.
Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.
Esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge n. 6177, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2006) e valutato, in particolare, lo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Tabella n.10) e le connesse parti del citato disegno di legge finanziaria;
premesso che:
il disegno di legge finanziaria 2006 predisposto dal Governo ha un carattere recessivo e segna un ulteriore ridimensionamento degli investimenti pubblici per quanto riguarda le politiche infrastrutturali e ambientali;
il Governo, a causa del mancato controllo della spesa pubblica e di scelte di politica economica profondamente sbagliate ed inique, si trova ad affrontare le problematiche di crescita e del rilancio dell'economia del Paese, senza la necessaria dotazione di risorse e soprattutto senza la necessaria credibilità nel contesto nazionale ed internazionale;
sul piano istituzionale si tende a svuotare il ruolo del Parlamento in merito all'analisi e all'approvazione della manovra finanziaria, rendendo sempre più ampia la discrezionalità dell'Esecutivo nel presentare le proprie proposte, che si accavallano in maniera confusa a pochi giorni di distanza;
l'allegato al DPEF 2006-2008 prevedeva un fabbisogno di 8 miliardi di euro per il triennio, il minimo indispensabile per il proseguimento del programma della «legge obiettivo»;
il disegno di legge finanziaria 2006 prevede, al comma 62, un contributo annuale di 200 milioni di euro per quindici anni a decorrere dal 2007 per il finanziamento: degli interventi di rifinanziamento del programma delle infrastrutture strategiche, del programma degli interventi nel settore idrico, delle progettazioni di infrastrutture di accumulo e distribuzione delle risorse idriche in aree critiche;
l'esiguità delle risorse disponibili e lo scarto enorme con il fabbisogno per la realizzazione del programma sanciscono il sostanziale fallimento degli impegni per le infrastrutture che il Governo aveva annunciato con tanta enfasi fin dal suo inizio;
una drastica riduzione delle disponibilità finanziarie riguarderà anche ANAS SpA, tanto che il comma 21 prevede un taglio ai pagamenti da 3.300 a 1.700 milioni oltre a drastici ridimensionamenti in Tabella F, dove a fronte di una richiesta di 2,2 miliardi ne vengono previsti 400;
la limitazione dei pagamenti previsti per l'ANAS, collegata alla riforma della stessa società prevista nel disegno di legge collegato alla manovra finanziaria 2006, rischia di creare una difficile situazione finanziaria, con la conseguente chiusura di diversi cantieri aperti e con gravi ripercussioni sulle imprese appaltatrici;
la previsione sul contenimento generale della spesa delle regioni e degli enti locali, oltre a limitare fortemente la capacità di gestione amministrativa, di spesa e di investimento degli enti medesimi, avrà come effetto anche una complessiva riduzione del livello degli investimenti nel 2006 in opere di ammodernamento e adeguamento infrastrutturale, con un conseguente rischio di blocco dei lavori in corso d'opera;
non sono previste norme che rendano permanenti e strutturali le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, nonché per tutti gli interventi finalizzati alla sicurezza degli edifici e alla loro qualità ambientale ed al risparmio energetico, all'abbattimento delle barriere architettoniche, alla riqualificazione urbana;
la modifica delle disposizioni in favore delle ristrutturazioni edilizie prevista al comma 81, portando la detrazione dal 36 al 41 per cento e raddoppiando l'aliquota IVA sui lavori e sui materiali dal 10 al 20 per cento, rischia di ridurre fortemente la convenienza degli utenti a usufruire della detrazione, con il rischio di una maggiore spinta al lavoro nero e di un considerevole freno agli investimenti nel comparto;
le risorse assegnate al fondo per l'accesso alle locazioni abitative risultano inadeguate a soddisfare le richieste delle famiglie a più basso reddito ed in diminuzione rispetto al 2005;
non sono previste risorse a sostegno della proposta annunciata di riqualificazione urbana denominata «legge obiettivo per le città», né per il proseguimento ed il rilancio di interventi di riqualificazione delle aree urbane;
osservato che sarebbe necessario:
escludere le spese destinate alle infrastrutture dal criterio finanziario proposto dal Governo per frenare l'aumento della spesa pubblica, in quanto appare del tutto incompatibile con la dinamica degli investimenti infrastrutturali;
prevedere finalmente, dopo tanti vuoti annunci e promesse roboanti, un forte aumento degli investimenti per le opere pubbliche, indicando in modo puntuale gli impegni finanziari e ripristinando una corretta programmazione con la selezione rigorosa di circoscritte priorità, con particolare riguardo al riequilibrio del deficit infrastrutturale nel Mezzogiorno;
assicurare adeguate risorse per le opere ordinarie, per la riqualificazione delle reti idriche e per la difesa del suolo e per il risanamento idrogeologico, opere che tanta rilevanza hanno per la salvaguardia del territorio e spesso attese dalle comunità locali: il finanziamento di questa essenziale e vitale tipologia di infrastrutture, infatti, non può essere sacrificato alle cosiddette «grandi opere», le quali vanno identificate nel novero ristretto delle opere di autentico valore strategico nazionale;
prevedere un complesso organico di interventi fiscali e finanziari, nonché misure di razionalizzazione normativa per rilanciare con i fatti - e non con vuoti slogan - gli interventi per la riqualificazione urbana, il recupero edilizio ed il rilancio delle città;
in questo quadro, individuare misure concrete e specifiche, anche utilizzando la leva fiscale, per affrontare i problemi legati alle politiche abitative e alla casa, con particolare attenzione al problema degli affitti.
Per tali considerazioni si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.
|