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PDL 6189

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6189



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DIDONÈ, DARIO GALLI

Incentivi per la rimodulazione dell'orario di lavoro

Presentata il 22 novembre 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - Le 35 ore di lavoro a parità di salario, attuate solo dalla Francia per via legislativa e dalla Germania per via contrattuale, si sono rivelate un flop. L'esempio francese ha dimostrato che non c'è automatismo fra riduzione dell'orario di lavoro e aumento dell'occupazione; anzi la legge francese sulle 35 ore ha danneggiato la competitività delle imprese francesi sui mercati internazionali. E anche l'esperienza tedesca ha dimostrato che le 35 ore hanno coinciso con il più alto livello di disoccupazione registrato in Germania.
      Dinanzi alla minaccia di un trasferimento delle fabbriche nell'est europeo, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi - che fino ad un anno fa lottava per estendere le 35 ore alle imprese dell'ex Germania Est - ha accettato un aumento dell'orario di lavoro non solo senza adeguamenti dei salari, ma addirittura con un taglio alle tredicesime. La Volkswagen ha avviato il cosiddetto «orario generazionale» ovvero una formula che rapporta la durata dell'orario di lavoro all'età dei lavoratori: coloro che hanno più di 38 anni mantengono l'orario a 40 ore, mentre a quelli con un'età inferiore si applicano 42 ore.
      In Francia il Governo Raffarin ha modificato la legge sulle 35 ore escludendone l'applicazione alle piccole e medie imprese e l'ex Ministro dell'economia, Nicolas Sarzoky, aveva preannunciato una riforma della legge, proponendo come incentivo a lavorare di più la diminuzione degli oneri sociali sugli straordinari, retribuendo il 10 per cento in più gli straordinari tra le 35 e le 39 ore ed il 25 per cento in più le ore lavorate oltre questa soglia.
 

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      Anche la Gran Bretagna già oggi prevede la possibilità di deroghe individuali all'orario di lavoro previsto dalla legge, in virtù delle quali il 16 per cento degli inglesi risulta lavori più di 48 ore settimanali. Una soluzione analoga la sta vagliando anche la Danimarca.
      Guardando il quadro normativo italiano, per anni la materia dell'orario di lavoro è stata affidata sostanzialmente alla contrattazione collettiva, nell'ambito di quanto definito dall'articolo 26 della Costituzione e dagli articoli 2107 e 2108 del codice civile. La contrattazione collettiva ha progressivamente ridotto i limiti di durata della prestazione lavorativa di cui al regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473, che disponeva, all'articolo 1, che «La durata massima normale della giornata di lavoro (...) non potrà eccedere le otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo». L'articolo 13, comma 1, della legge n. 196 del 1997 ha, in pratica, tradotto con una norma di legge quanto già realizzato nell'ambito della contrattazione, fissando in 40 ore settimanali la durata massima dell'orario di lavoro e demandando poi agli accordi sindacali la possibilità di stabilire una durata minore. Con ben cinque anni di ritardo (il termine era il 23 novembre 1996 ed il recepimento è avvenuto con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66) e una condanna da parte dell'Unione europea per insufficiente trasposizione nella legislazione italiana (causa C-386/98), è stata recepita la direttiva 93/104/CE, in materia di orario di lavoro, come modificata dalla direttiva 2000/34/CE, che fissa in 40 ore settimanali l'orario normale di lavoro e in 48 ore settimanali, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni, il limite massimo. Ma siamo, comunque, indietro! Già, perché la citata direttiva è stata abrogata dalla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003. Inoltre il 3 giugno scorso il Consiglio europeo ha discusso una proposta di revisione della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (COM(2004)607) (presentata dalla Commissione nel settembre 2004 e modificata dal Parlamento nel maggio scorso) «perché appare necessario meglio tener conto delle nuove realtà e richieste sia dei datori di lavoro che dei lavoratori». La nuova proposta permette agli Stati membri di introdurre provvedimenti nazionali per applicare la dissociazione singola al limite delle 48 ore e per estendere da 4 a 12 mesi il periodo di riferimento normale per calcolare la durata media della settimana di lavoro di 48 ore, purché consultino le parti sociali; inoltre specifica che il riposo compensativo non va effettuato immediatamente, ma entro 72 ore e il periodo di «permanenza a disposizione», ovvero il tempo in cui il lavoratore, pur disponibile sul luogo di lavoro, non esercita funzioni, non sarà più contato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o il contratto collettivo non stabilisca altrimenti.
      Noi abbiamo sempre creduto che una riduzione per legge dell'orario di lavoro a parità di salario non avrebbe risolto i problemi occupazionali, piuttosto - ove non accompagnata da misure finalizzate a ridurre il costo del lavoro - avrebbe comportato un incremento del sommerso o, in alternativa, un aumento della delocalizzazione della produzione. Siamo pienamente convinti che per combattere la disoccupazione e il sommerso e garantire lo sviluppo bisogna lavorare di più, perché soltanto aumentando la produttività possiamo affrontare la concorrenza dei mercati emergenti ed essere competitivi sul mercato globale. Tuttavia, riteniamo che, così come una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro può frenare la competitività delle imprese, altrettanto un suo aumento tout court sarebbe comunque sbagliato, perché non terrebbe conto delle diversità che caratterizzano ciascuna impresa, settore, comparto produttivo. Elasticità e flessibilità sono e devono restare un must per rispondere in maniera adeguata alle esigenze del nostro sistema produttivo.
      La presente proposta di legge, pertanto, in attesa della revisione europea della
 

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direttiva sull'orario di lavoro e comunque in via sperimentale per un periodo massimo di tre anni, lascia ad un'intesa tra datore di lavoro e lavoratore la scelta di allungare l'orario normale di lavoro oltre i termini contrattuali, senza che le ore eccedenti possano considerarsi lavoro straordinario. Anzi, per invogliare a lavorare di più ed evitare che queste ore «dichiarate» (spesso i datori di lavoro preferiscono ricorrere al «nero» piuttosto che dichiarare le ore di lavoro eccedenti per non sostenere le maggiorazioni retributive) possano rappresentare un aumento del costo del lavoro, si prevede l'esenzione dal versamento dei contributi e la corresponsione, in busta paga, al lavoratore della somma equivalente.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di orario di lavoro, nelle more della revisione della disciplina da parte dell'Unione europea e comunque non oltre trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i lavoratori dipendenti del settore privato che optano, previo accordo con il datore di lavoro, per un orario normale di lavoro oltre i termini contrattuali, possono rinunciare all'accredito contributivo relativo all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive della medesima sul lavoro eccedente le ore fissate dal contratto. In conseguenza dell'esercizio della predetta facoltà viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative per le ore di lavoro oltre i termini contrattuali e non trovano applicazione le disposizioni vigenti in materia di lavoro straordinario. La somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all'ente previdenziale è corrisposta interamente al lavoratore ed è esente dall'imposta sul reddito delle persone fisiche.
      2. Le modalità di attuazione della presente legge sono stabilite con regolamento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      3. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del

 

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Ministero dell'economia e delle finanze, per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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