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PDL 6050

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6050



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato MALGIERI

Disposizioni per l'attuazione dello Statuto
della Corte penale internazionale

Presentata il 3 agosto 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - Lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, universalmente noto come «Statuto di Roma», adottato il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica di Roma, è entrato in vigore il 1o luglio 2002 ed è stato ratificato dall'Italia ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.
      Il legislatore italiano, tenuto conto, da un lato, della complessità della materia disciplinata dallo Statuto di Roma e, dall'altro, della necessità di contribuire alla sollecita entrata in vigore dello Statuto stesso con una ratifica in tempi brevi, ha scelto la via della cosiddetta «ratifica secca», rinviando ad un momento successivo la normativa necessaria ad adeguare l'ordinamento interno ai numerosi obblighi previsti dal trattato internazionale.
      Lo Statuto della Corte penale internazionale costituisce il primo meccanismo istituzionalizzato e permanente per l'attuazione del diritto internazionale penale ed, in particolare, del diritto internazionale umanitario. A differenza dei Tribunali ad hoc istituiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fare fronte ex post facto a situazioni di crisi locale e definite nel tempo, lo Statuto precostituisce un giudice naturale permanente, con giurisdizione tendenzialmente universale.
      Tuttavia, il ruolo della Corte penale internazionale deve essere letto nella prospettiva del suo obiettivo ultimo, costituito dalla lotta all'impunità per i più gravi crimini che creano il massimo allarme nella comunità internazionale, offendendo il senso di umanità e mettendo a rischio la pace e la sicurezza internazionale. La Corte, pertanto, non ha giurisdizione nelle situazioni in cui gli Stati siano in grado di assicurare la repressione penale, per capacità
 

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del loro sistema politico-amministrativo-giudiziario ovvero per volontà indiscutibile di perseguire i delitti previsti dallo Statuto; neppure può, la Corte, occuparsi dei crimini che non superino una certa soglia di gravità, non solo perché la giurisdizione internazionale deve restare, anche per questioni finanziarie, un'istanza di extrema ratio, ma anche perché i fatti di minore gravità o, comunque, non portatori di un'offesa alla pace e alla sicurezza internazionale devono opportunamente essere definiti dalle giurisdizioni nazionali, radicate secondo gli ordinari criteri di collegamento.
      In altri termini, la Corte penale internazionale è portatrice di una giurisdizione sussidiaria o complementare rispetto a quella degli Stati.
      Tuttavia, proprio il meccanismo che radica la competenza della Corte - alla quale, come in tutte le giurisdizioni, è riconosciuto il potere di decidere in via definitiva sulla propria giurisdizione - impone agli Stati Parte dello Statuto l'adozione delle norme interne necessarie al pieno adeguamento agli obblighi internazionali assunti dal momento della ratifica. Infatti, in mancanza di norme idonee a conoscere di tutti i delitti rientranti nella giurisdizione complementare della Corte, quest'ultima dovrebbe necessariamente concludere per l'incapacità dello Stato di esercitare la sua giurisdizione primaria, in mancanza di norme interne attributive del potere di giurisdizione penale.
      È, dunque, interesse dell'Italia, come Stato Parte dello Statuto, e dunque già soggetto agli obblighi da esso derivanti e, potenzialmente, alla giurisdizione complementare della Corte, adeguare al più presto il suo ordinamento interno, per consentire agli organi giudiziari nazionali di conoscere dei fatti che da essi dovrebbero normalmente essere giudicati secondo gli applicabili criteri di collegamento territoriali, di nazionalità attiva e passiva ovvero di tendenziale universalità.
      Per la cooperazione giudiziaria, inoltre, la violazione degli obblighi internazionali potrebbe condurre a situazioni molto più complesse di quella già verificatasi in un caso di impossibilità di consegna di una persona ricercata dal Tribunale per il Ruanda. Da un lato, infatti, la giurisdizione tendenzialmente universale della Corte aumenta il rischio che l'impossibilità di cooperazione di uno Stato si traduca nella scelta del suo territorio come rifugio sicuro per gli autori dei più gravi crimini. D'altro lato, il perdurare di lacune normative condurrebbe ad alcune conseguenze politiche di rilievo. In particolare, il nostro Paese ha avuto il privilegio di aver ospitato la Conferenza diplomatica istitutiva dello Statuto. Inoltre, come Stato membro dell'Unione europea, che un ruolo di primo piano ha avuto e continua ad avere nella nascita e nel sostegno politico ed economico alla Corte, l'Italia è anche obbligata dalla posizione comune 444/2003/PESC del Consiglio a sostenere il funzionamento ed assicurare la cooperazione con la Corte. Lo stesso articolo 2 della decisione quadro del Consiglio sul mandato di arresto europeo include i crimini sui quali ha giurisdizione la Corte tra quelli per i quali non è necessaria la doppia incriminazione. In mancanza di adeguate norme di cooperazione, l'impossibilità dell'Italia di rispondere a richieste di assistenza o di consegna provenienti dalla Corte rischierebbe, così, di avere imprevedibili effetti sull'immagine del nostro Paese.
      Il ritardo nell'intervento normativo di adeguamento allo Statuto di Roma va, dunque, colmato senza ritardo e con una disciplina esauriente e di adeguato profilo tecnico e politico.
      Tra le diverse opzioni disponibili, pertanto, si è scelto di inserire in un unico progetto di legge disposizioni per l'adeguamento a tutti gli obblighi recati dallo Statuto della Corte penale internazionale.
      La proposta di legge contiene un quadro normativo organico, comprensivo delle norme di carattere generale, sostanziale e processuale necessarie a dare piena attuazione allo Statuto di Roma. L'intervento proposto è strutturato in funzione del coordinamento e dell'uniformità di disciplina generale per i delitti previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale,
 

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caratterizzati dall'uniformità dell'origine di uno strumento internazionale obbligatorio, riconosciuto come novativo di obblighi di incriminazione già preesistenti nel diritto internazionale consuetudinario o/e pattizio, ovvero frutto della giurisprudenza dei Tribunali internazionali penali, da quelli di Norimberga e Tokyo a quelli costituiti dalle Nazioni Unite per la repressione dei crimini commessi nell'ex-Yugoslavia e nel Ruanda.
      In tale prospettiva, anche norme penali preesistenti nel nostro ordinamento, come i delitti di genocidio, vengono riprodotte nel testo per essere ricondotte a sistema, facilitare l'opera dell'interprete e tenere adeguato conto dell'identica matrice generale di aggressione ai princìpi fondamentali della dignità dell'uomo delle pur variegate offensività dei delitti in questione.
      Tuttavia, ove si sia operato su fattispecie già disciplinate dal vigente codice penale, si è generalmente seguita la via della modifica mediante apposite novelle.
      Soltanto la materia dei cosiddetti «crimini di guerra» non viene presentata nell'articolato che, invece, prevede una delega al Governo per le necessarie modifiche alla legislazione penale militare, dalla quale è attualmente disciplinata.

Princìpi generali.

      In relazione alla parte III dello Statuto della Corte penale internazionale, si osserva che la maggior parte dei princìpi generali enunciati nel titolo I della presente proposta di legge trova corrispondenza nel vigente ordinamento penale.
      Il titolo contiene le disposizioni generali, che definiscono il ruolo del nostro ordinamento giuridico nella prevenzione e repressione dei delitti internazionali. Nel capo I sono inserite le norme di principio, tra le quali l'impegno della Repubblica nell'assicurare che i responsabili dei delitti previsti nella legge siano puniti in conformità alle Convenzioni internazionali, in concorso con gli altri Stati e con gli organi giurisdizionali competenti nel quadro del diritto internazionale penale (articolo 1) e l'individuazione di una posizione di garanzia in capo al superiore gerarchico, al fine di costituire l'obbligo giuridico di impedire l'evento offensivo dei beni-interessi protetti dalle norme incriminatrici recate dalla legge (articolo 3), di integrare la responsabilità per l'omesso impedimento dei delitti (articolo 10) e di introdurre un'aggravante speciale (articolo 9).
      L'articolo 2 individua il campo di applicazione della legge, definito dall'esigenza, in conformità al principio di complementarietà, di dare integrale attuazione allo Statuto della Corte, inteso come comprensivo anche degli strumenti rilevanti di normazione primaria integrativa, adottati dall'Assemblea degli Stati Parte dello Statuto medesimo. L'esigenza di adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto si riflette nella necessità che, in sede di applicazione della legge, l'interpretazione sia tendenzialmente armonica rispetto a quella affermata nelle competenti giurisdizioni internazionali, con riferimento agli elementi normativi delle fattispecie di derivazione consuetudinaria, pattizia ovvero giurisprudenziale (articolo 5).
      Nell'applicazione della legge, inoltre, l'articolo 4 esclude la natura politica dei delitti previsti dalla legge nonché di quelli commessi nel contesto di conflitti armati, sia ai fini penali che estradizionali, in conformità ad un principio di inopponibilità fondato sulla gravità dei delitti in questione già accolto nel nostro ordinamento attraverso la ratifica delle più recenti convenzioni sul terrorismo internazionale.
      È, altresì, prevista dal titolo I l'applicazione ai delitti in questione delle disposizioni già vigenti sulla responsabilità penale e amministrativa delle persone giuridiche (legge 25 gennaio 1982, n. 17, e decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), attesa l'esperienza maturata dalla giurisprudenza internazionale sui delitti commessi in occasione di numerosi conflitti interni ed internazionali (articolo 6), nonché l'imprescrittibilità dei delitti internazionali (articolo 7) in conformità all'obbligo contenuto nell'articolo 29 dello Statuto. Lo stesso dato di esperienza e l'estensione della disciplina già

 

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vigente per la pubblica istigazione dei delitti e per l'apologia di genocidio inducono a proporre l'incriminazione di tali condotte per tutti i delitti internazionali in questione (articolo 8).
      Le caratteristiche specifiche di offensività dei delitti in questione inducono, poi, a proporre pene accessorie e misure di sicurezza (articolo 11), obblighi di restituzione e risarcimento (articolo 12), talune aggravanti (articolo 9) e a disciplinare la possibilità di fruire di attenuanti e di circostanze di non punibilità (articolo 13).
      Le disposizioni del capo II del titolo I disciplinano la giurisdizione e la competenza sui delitti di cui all'articolo 5 dello Statuto della Corte penale internazionale. L'articolo 14 radica la giurisdizione in base sia al principio dell'obbligatorietà della legge penale in relazione al territorio nazionale sia mediante l'affermazione di un criterio di tendenziale universalità derivato dall'obiettivo (articolo 1, comma 2) di lotta all'impunità mediante una giurisdizione integrativa, che consenta di reprimere i fatti per i quali nessuno Stato né la Corte penale internazionale abbiano promosso l'azione penale, sia pure con la condizione di procedibilità del Ministro della giustizia (comma 3). Vengono quindi indicate le modalità procedurali atte a regolamentare l'attivazione e l'esercizio della competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale in via complementare, nonché gli effetti sulla giurisdizione nazionale delle pronunce di ammissibilità della stessa Corte (articoli 15-17), le ipotesi di riapertura del procedimento nazionale (articolo 18) ed il ne bis in idem rispetto alle decisioni definitive della Corte (articolo 19).
      La proposta di legge prevede l'attribuzione dei delitti internazionali alla cognizione della corte d'assise, emendando opportunamente gli articoli 3 e 4 della legge 10 aprile 1951, n. 287, introducendo nuovi requisiti per la scelta dei giudici esperti necessari per integrare i collegi giudicanti, in funzione della complessità tecnica della normativa internazionale e della relativa giurisprudenza da tenere presente nell'interpretazione dei delitti in questione, determinando le modalità procedurali di accertamento dei requisiti e della selezione dei giudici esperti, i cui nominativi sono inseriti in un apposito elenco nazionale (articolo 20).

Delitti di genocidio.

      Il titolo II della proposta di legge contiene l'incriminazione di tutte le condotte costitutive del genocidio (articoli 22-26) già disciplinate dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962 (che verrebbe correlativamente abrogata ai sensi dell'articolo 67), nonché quelle della «imposizione di marchi o segni distintivi» (articolo 27) ed anche nell'ipotesi di mero accordo per la commissione di genocidio (articolo 28).

Delitti contro l'umanità.

      Il titolo III della proposta di legge raccoglie i delitti contro l'umanità, secondo una categoria individuata nella giurisprudenza e nei trattati internazionali, evidenziando il loro elemento costitutivo comune in conformità a quanto previsto dall'articolo 7 dello Statuto: la condotta deve inserirsi nel contesto di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili e deve essere realizzata a sostegno o in esecuzione del disegno politico di uno Stato o di un'organizzazione (articolo 29). La norma definisce la soglia di punibilità dei delitti in questione utilizzando elementi normativi derivati dallo Statuto, ma senza limitare in modo assoluto la giurisdizione nazionale, in relazione alla possibile gravità di singoli casi.
      Avendo definito in generale le condizioni di intervento penale, il legislatore può concentrare la disciplina delle singole fattispecie incriminatrici sugli elementi costitutivi specializzanti in funzione dell'offesa tipica, seguendo lo schema tracciato dallo Statuto e riproducendo anche incriminazioni già contenute nel codice penale vigente, ma che si ritengono necessarie per la specifica offensività individuata dall'elemento costitutivo comune di cui all'articolo 29.

 

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      L'«omicidio nei delitti contro l'umanità» (articolo 30), riproduce l'articolo 575 del codice penale, non ritenendosi necessario differenziare la gravità dell'offesa, se non attraverso il bilanciamento delle circostanze. Lo «sterminio» viene descritto in termini di evento, cagionato attraverso una condotta comprensiva di atti impeditivi dell'accesso alle risorse essenziali di vita ovvero di sottoposizione a condizioni di vita dirette a distruggere la popolazione intera o parte di essa (articolo 31), restando la tutela della situazione di pericolo affidata all'ordinaria fattispecie tentata.
      La «tortura», in linea con la previsione contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti e punizioni crudeli, inumane o degradanti del 10 dicembre 1948 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1988, n. 498), sussiste ove sia presente il dolo di infliggere gravi dolori o sofferenze fisiche o psichiche alla persona sottoposta a controllo o custodia, mentre è esclusa quando i dolori o le sofferenze derivino unicamente dalla legittima detenzione o ad essa siano inscindibilmente connessi (articolo 32).
      La «sterilizzazione forzata» (articolo 33) è definita come perdita della capacità di procreazione.
      La «riduzione in schiavitù» viene definita con riferimento al potere di fatto esercitato sulla vittima, a similitudine del diritto reale pieno, nonché in relazione agli atti di tratta o di commercio ovvero di lavoro forzato (articolo 34). La «deportazione» individua gli elementi caratterizzanti dell'espulsione di un gruppo da un territorio di insediamento (articolo 35). L'«arresto» e la «detenzione illegali» riguardano la restrizione arbitraria della libertà personale (articoli 36). La «sparizione forzata di persone» è il fatto di chi contribuisce alla protrazione dello stato di privazione di diritti fondamentali di una persona già privata della sua libertà personale, mediante il rifiuto di fornire indicazioni sullo stato personale (articolo 37). La «violenza sessuale», la «schiavitù sessuale, prostituzione forzata e gravidanza forzata» sono definite evidenziandone l'elemento di coercizione della volontà altrui, commessa direttamente o indirettamente, e comportante una pena di maggiore rigore se il delitto è commesso nei confronti di un minore di quattordici anni (articoli 38-39). La «persecuzione razziale, etnica o religiosa» reprime le condotte privative di diritti fondamentali attuate su basi discriminatorie (articolo 40), mentre il «delitto di apartheid o segregazione razziale» reprime la limitazione di diritti fondamentali di un gruppo o di una collettività al fine di istituire o mantenere il predominio di un gruppo razziale su di un altro (articolo 41).

Delitti internazionali.

      Il titolo IV introduce la disciplina penale per la repressione del mercenariato (articolo 42), in relazione agli obblighi derivanti dalla relativa convenzione internazionale del 1989 ratificata dall'Italia con legge 12 maggio 1995, n. 210.
      L'inserimento in questa sede della norma penale si giustifica perché l'impiego dei mercenari può assumere valore strumentale alla commissione degli altri delitti previsti dalla proposta di legge. Il testo, peraltro, riproduce la norma penale contenuta nella citata legge di ratifica.

Delitti contro l'amministrazione della giustizia internazionale.

      Il titolo V assicura l'estensione della tutela dell'amministrazione della giustizia internazionale mediante i novellati articoli 363 e 364 del codice penale, concernenti rispettivamente l'omessa denuncia aggravata e l'omessa denuncia di reato da parte del cittadino dei delitti di genocidio e dei delitti contro l'umanità (articolo 43), apportando le opportune modificazioni agli articoli 322-bis, 368, 371-bis, 372, 374, 374-bis, 377, 378 e 380 del codice penale, inserendo un nuovo articolo 343-bis e, infine, aggiungendo l'incriminazione degli atti di ritorsione

 

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per ragione delle funzioni da taluno svolte presso la Corte (articolo 44).

Cooperazione con la Corte penale internazionale.

      Le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale sono contenute nel titolo VI.
      Nel capo I sono collocate le disposizioni di ordine generale concernenti l'obbligo di cooperazione con la Corte penale internazionale (articolo 45) nonché l'individuazione, nel Ministro della giustizia, dell'autorità competente a curare i rapporti di cooperazione con la Corte stessa, ricevendo le relative richieste e dandovi seguito in conformità con gli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello Statuto della Corte, nonché assicurandone la piena riservatezza (articolo 46).
      Si definiscono quindi le norme applicabili in materia di cooperazione giudiziaria (articolo 47 e articoli 51-54) e le modalità di esecuzione sotto l'aspetto dell'assunzione delle prove e dell'attività di indagine (articolo 48), peraltro con specifico riferimento: all'obbligo di non trasmissione di atti o documenti riservati acquisiti all'estero ovvero che possano compromettere la sicurezza nazionale (articolo 49); all'immunità del testimone o dell'imputato che si trovi all'estero e per il quale, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale, è prevista la presenza sul territorio italiano (articolo 50); all'adozione di idonee misure di protezione ed assistenza alle vittime, ai testimoni e ai loro congiunti (articolo 52).
      Il capo II contiene le disposizioni relative alla consegna di una persona alla Corte penale internazionale. Si dispongono le modalità di applicazione e di revoca della misura cautelare nei confronti di una persona che deve essere consegnata su richiesta della Corte penale internazionale, nei cui riguardi è stato emesso un mandato di arresto ai sensi dell'articolo 58 dello Statuto della Corte ovvero di una sentenza di condanna a pena detentiva (articoli 55-56). Similmente a quanto disposto per la cooperazione con i Tribunali ad hoc delle Nazioni Unite, le ipotesi di rifiuto di consegna sono configurabili allorché la stessa Corte penale non ha emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale o una sentenza definitiva di condanna, non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna, il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale, per il medesimo fatto o nei confronti della stessa persona è già stata pronunciata nello Stato una sentenza irrevocabile, salvo quanto disposto dall'articolo 89, paragrafo 2, dello Statuto della Corte (articolo 57). Peraltro l'applicazione della misura di custodia cautelare può essere disposta in via provvisoria anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta, se la Corte penale internazionale: 1) ha dichiarato che nei confronti della persona richiesta è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale; 2) ha descritto i fatti e specificato il reato e gli elementi sufficienti atti ad identificare la persona medesima (articolo 58).
      Nel capo III sono contenute le disposizioni atte a regolamentare l'esecuzione in Italia dei provvedimenti della Corte penale internazionale. Si attribuisce la competenza ad eseguire ad un unico organo giudiziario nazionale ovvero la corte di appello di Roma (articolo 59). Quando essa pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato e converte la pena detentiva in reclusione ai sensi delle norme dell'ordinamento penitenziario nonché in conformità allo Statuto (articolo 61). Il controllo sull'esecuzione della pena è attribuito al Ministro della giustizia d'accordo con la Corte penale internazionale, garantendo al condannato la piena libertà e riservatezza delle sue comunicazioni con la Corte stessa e prevedendo la possibilità che, su richiesta del Ministro della giustizia, si adottino o meno misure alternative alla detenzione (articolo 62). Vengono individuate poi le condizioni e le modalità di

 

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informazione delle vicende di esecuzione rilevanti che il Ministro della giustizia deve comunicare alla Corte (articolo 63) e la possibilità di detenzione presso sezioni speciali di istituti penitenziari ovvero presso carceri militari (articolo 64). Disposizioni per l'esecuzione delle pene pecuniarie e delle misure riparatorie sono stabilite dagli articoli 65 e 66.

Disposizioni varie.

      Il titolo VII contiene disposizioni varie, relative alla consequenziale abrogazione di norme (articolo 67) e alle clausole rituali di comunicazione ed entrata in vigore della legge (articoli 70 e 71).
      Si ritiene, inoltre, necessario attribuire deleghe al Governo per l'ulteriore attuazione dello Statuto, sia sotto il profilo sostanziale che per il completamento delle misure di organizzazione per la più piena cooperazione tra l'ordinamento statale e quello internazionale.
      L'articolo 68 delega il Governo al completamento della disciplina penalistica, limitatamente ai delitti di guerra, attualmente contenuti nelle leggi penali militari e la cui natura richiede un'approfondita valutazione ai fini di armonizzazione con il sistema, sia sotto il profilo dell'offensività che della giurisdizione. Peraltro, i precisi princìpi e criteri direttivi definiscono l'ambito della delega in conformità con i princìpi ispiratori della presente proposta di legge.
      L'articolo 69, inoltre, delega per una serie di misure atte a facilitare lo scambio di esperienze e professionalità con la Corte, incentivando la specializzazione di magistrati, avvocati e Forze di polizia anche al fine di consentire una più ampia presenza di nostri cittadini nella Corte, con tutti i benefici effetti conseguenziali. È previsto, inoltre, che sia regolato un contributo ordinario dell'Italia all'importante Fondo fiduciario a favore delle vittime costituito presso la Corte, amministrato da personalità politiche di fama internazionale e la contribuzione al quale ha un elevato valore simbolico e una estrema visibilità nel settore della promozione dei diritti umani.
      Infine, l'esigenza di seguire le vicende dell'avvio della giurisdizione penale permanente, di dare progressiva attuazione nel nostro ordinamento alle opportune forme di collaborazione e di trarre ogni utile lezione dai progressi fatti dalla Corte nella repressione dei reati di sua competenza, inducono a richiedere l'istituzione di una «Commissione per l'attuazione dello Statuto di Roma», con funzioni di studio, consulenza e proposta per il Parlamento e il Governo.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

TITOLO I
PRINCÌPI GENERALI

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.
(Obiettivi).

      1. Al fine di promuovere la tutela dei valori e dei beni che sono eredità comune dell'umanità, sono proibite, in ogni tempo e in ogni luogo, le condotte che offendono il senso di umanità ovvero costituiscono una violazione delle regole che stabiliscono i limiti alle modalità di conduzione delle ostilità.
      2. La Repubblica assicura la punizione dei responsabili dei delitti previsti dalla presente legge, in conformità alle Convenzioni internazionali e in concorso con gli altri Stati e con gli organi della giurisdizione penale internazionale.

Art. 2.
(Campo di applicazione).

      1. Al fine di perseguire gli obiettivi di cui all'articolo 1, l'Italia promuove la piena attuazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998, e reso esecutivo con legge 12 luglio 1999, n. 232, di seguito denominato «Statuto».
      2. Agli effetti della presente legge, sono parti integranti dello Statuto gli «Elementi costitutivi dei crimini» e le «Regole di procedura e prova» adottati dall'Assemblea degli Stati Parte dello Statuto.
      3. Le disposizioni del presente titolo e del titolo VI della presente legge si applicano anche ai delitti di cui al titolo VII della legge stessa.

 

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Art. 3.
(Posizione di garanzia).

      1. Chiunque riveste o esercita, anche di fatto, una posizione di direzione, di comando o di controllo su civili o militari ha l'obbligo di assicurare la salvaguardia e il rispetto dei valori di umanità, di tutelare la collettività, le persone, nonché tutti i beni e gli interessi previsti dalla presente legge.

Art. 4.
(Natura non politica dei delitti).

      1. Ancorché ispirati da motivazioni politiche, i delitti previsti dalla presente legge, nonché i delitti comunque commessi nel contesto di un conflitto armato e quelli compiuti contro le persone o i beni protetti dalle convenzioni di Ginevra del 1949 e dai relativi protocolli addizionali, resi esecutivi dalla legge 11 dicembre 1985, n. 762, non costituiscono delitti politici ai fini dell'applicazione della legge penale e dell'estradizione.

Art. 5.
(Interpretazione).

      1. Nella interpretazione della presente legge il giudice tiene conto dell'esigenza di una uniforme applicazione del diritto internazionale, con particolare riferimento al diritto penale internazionale e ai princìpi e alle norme dello Statuto e agli «Elementi costitutivi dei crimini».
      2. Al fine di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle decisioni giurisdizionali delle autorità giudiziarie internazionali.

Art. 6.
(Responsabilità delle persone giuridiche).

      1. Qualora i delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII della presente legge siano

 

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commessi avvalendosi delle attività di enti o associazioni comunque denominati, il cui scopo palese od occulto sia stato la commissione dei delitti medesimi, si applicano le disposizioni dell'articolo 3 della legge 25 gennaio 1982, n. 17.
      2. È vietata la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, degli enti e delle associazioni disciolti ai sensi del comma 1. Ai dipendenti pubblici, civili e militari, sottoposti ad indagine per alcuno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII della presente legge, si applicano le disposizioni dell'articolo 4 della legge 25 gennaio 1982, n. 17.
      3. Nel caso previsto dal comma 1, i beni confiscati sono devoluti alle destinazioni individuate con la sentenza di condanna.
      4. Per l'accertamento delle circostanze indicate al comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

Art. 7.
(Prescrizione).

      1. I delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII non sono soggetti a prescrizione.
      2. Le pene comminate per i delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII non si estinguono con il decorso del tempo.
      3. La prescrizione dei delitti contro la Corte penale internazionale decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria italiana o dalla stessa Corte penale internazionale, per i delitti di cui ai titoli II, III, IV e VII cui sono connessi.

Art. 8.
(Pubblica istigazione e apologia).

      1. Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII è punito, per il solo fatto della istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.

 

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      2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque pubblicamente fa l'apologia di alcuno dei delitti di cui al medesimo comma 1.

Art. 9.
(Circostanze aggravanti comuni).

      1. Oltre le circostanze aggravanti comuni previste dal codice penale aggravano i delitti di cui ai titoli II, III, IV e VII, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le seguenti circostanze:

          a) l'avere commesso il fatto in violazione degli obblighi di protezione previsti dall'articolo 3;

          b) l'avere commesso il fatto come parte di un piano o di una politica ovvero come parte della commissione su larga scala dei delitti;

          c) il numero elevato o la qualità delle vittime, in particolare donne, bambini, anziani e disabili o altre persone che, per le loro condizioni individuali o sociali, siano particolarmente esposte alle conseguenze psichiche, fisiche o materiali derivanti dal reato;

          d) l'avere cagionato un danno a beni storici, artistici, culturali, ambientali, archeologici, architettonici, scientifici o religiosi ovvero a beni di altro straordinario valore che siano patrimonio comune dell'umanità;

          e) l'avere rivestito una qualifica o svolto una funzione che attribuisca una posizione di responsabilità per la tutela degli interessi lesi dal reato.

Art. 10.
(Omesso impedimento di delitti).

      1. Ferme restando le disposizioni del secondo comma dell'articolo 40 del codice penale, chiunque, rivestendo, anche in via di fatto, una posizione di direzione, comando

 

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o controllo su civili o militari ovvero esercitando nelle circostanze concrete tali o analoghe funzioni che attribuiscano la supremazia su altri, non usa ogni mezzo possibile per impedire l'esecuzione di uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII della presente legge, è punito:

          a) con la reclusione non inferiore a dieci anni, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell'ergastolo;

          b) negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita dalla metà a due terzi.

Art. 11.
(Pene accessorie e misure di sicurezza).

      1. La condanna per uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII della presente legge comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ai sensi dell'articolo 28 del codice penale, l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione o dell'arte ai sensi dell'articolo 30 del codice penale, l'interdizione legale ai sensi dell'articolo 32 del codice penale, l'incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione ai sensi dell'articolo 32-ter del codice penale. Con la sentenza di condanna ad una pena inferiore a cinque anni di reclusione, il giudice può fissare un termine di durata della pena accessoria non inferiore a cinque anni.
      2. Nel caso di condanna per uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII è sempre ordinata:

          a) la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto, delle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo, il compendio, ovvero, quando questa non è possibile, di cose di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente; quella delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna; nonché di somme di denaro, di beni e di altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza

 

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e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sui redditi, o alla propria attività economica;

          b) la chiusura degli esercizi la cui attività risulti finalizzata ai delitti, nonché la revoca di ogni licenza di esercizio, di concessioni o di autorizzazioni per le emittenti radiotelevisive.

      3. La sentenza di condanna per uno dei reati previsti dalla presente legge è soggetta a pubblicazione ai sensi dell'articolo 36, commi primo e secondo, del codice penale.
      4. Con la sentenza di condanna per uno dei delitti previsti dalla presente legge il giudice può altresì disporre la sanzione accessoria dell'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività di cui all'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

Art. 12.
(Restituzione e risarcimento).

      1. Le cose confiscate sono destinate in primo luogo alla reintegrazione degli interessi lesi dal reato. A tale fine il giudice considera prioritario il diritto delle vittime alle restituzioni, al risarcimento, alle spese e al loro ristoro dalle conseguenze del reato, ivi comprese le esigenze derivanti dal loro recupero e reinserimento nella collettività di appartenenza.
      2. Se uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII lede uno dei beni indicati all'articolo 9, comma 1, lettera d), ovvero compromette od offende l'ambiente o il patrimonio culturale, il giudice dispone la restituzione, il risarcimento e la riparazione in forma specifica, ove possibile, anche nelle forme del ripristino, del restauro, della ricostruzione o del recupero.

 

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Art. 13.
(Circostanze attenuanti e non punibilità).

      1. Ai delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII della presente legge si applicano i benefìci di cui agli articoli 4 e 5 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, e agli articoli 1, 2, 3 e 5 della legge 29 maggio 1982, n. 304.
      2. Non può, in ogni caso, essere riconosciuta la dissociazione, la non punibilità ovvero alcuna delle circostanze attenuanti per le cause previste dal comma 1, se il concorrente non ha fornito concreti elementi di prova in ordine alla politica o al piano criminoso.

Capo II
GIURISDIZIONE E COMPETENZA

Art. 14.
(Giurisdizione nazionale).

      1. Per i delitti previsti ai titoli II, III, IV e VII commessi nel territorio dello Stato si procede in ogni caso d'ufficio.
      2. Quando l'autore o la parte offesa siano cittadini italiani, si procede d'ufficio ancorché i delitti stessi siano commessi all'estero.
      3. Colui che, fuori dai casi di cui ai commi 1 e 2, commette uno dei delitti previsti dai titoli II, III, IV e VII è punito secondo la legge italiana e a richiesta del Ministro della giustizia, se non è stata esercitata l'azione penale da uno Stato parte ovvero dalla Corte penale internazionale.

Art. 15.
(Giurisdizione internazionale complementare).

      1. Ricevuta la comunicazione prevista dall'articolo 18, paragrafo 1, dello Statuto,

 

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il Ministro della giustizia ne trasmette copia al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente a norma degli articoli 4 e seguenti del codice di procedura penale o all'autorità giudiziaria presso cui risulti che sia iscritto un procedimento avente ad oggetto gli stessi fatti.
      2. L'autorità giudiziaria competente trasmette al Ministro della giustizia una sommaria relazione sul procedimento, contenente indicazioni sulla probabile durata della fase in cui esso si trova.
      3. Alla relazione è allegata copia degli atti che non sono coperti dal segreto o di quelli dei quali il pubblico ministero consente la pubblicazione ai sensi dell'articolo 329, comma 2, del codice di procedura penale.
      4. L'autorità giudiziaria segnala altresì al Ministro della giustizia:

          a) le circostanze che giustificano la richiesta di proseguire le indagini ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 2, dello Statuto, nonché quelle necessarie per informare il procuratore sui progressi delle indagini preliminari e sull'eventuale esito delle stesse, ai sensi del paragrafo 5 del medesimo articolo 18;

          b) ogni informazione e indicazione utili per proporre l'appello ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 4, dello Statuto ed assumere le iniziative previste dal paragrafo 7 del medesimo articolo 18.

Art. 16.
(Eccezioni sulla giurisdizione internazionale).

      1. Con le modalità previste dall'articolo 15 il Ministro della giustizia acquisisce dall'autorità giudiziaria competente ogni informazione e indicazione utili per proporre le eccezioni di inammissibilità e di incompetenza ai sensi dell'articolo 19, paragrafo 2, dello Statuto ed assume le altre iniziative previste dal medesimo articolo 19.

 

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Art. 17.
(Effetti della dichiarazione di competenza da parte della Corte penale internazionale).

      1. Quando la Corte penale internazionale, pronunciando su una questione di competenza o di ammissibilità, afferma la propria competenza o l'ammissibilità dell'affare, il giudice dichiara con sentenza che non può ulteriormente procedersi per l'esistenza della competenza della Corte stessa, sempre che ricorrano le seguenti condizioni:

          a) se il fatto per il quale procede il giudice italiano è il medesimo oggetto della pronuncia di competenza o di ammissibilità;

          b) se il fatto diverso, compreso tra quelli indicati dagli articoli da 5 a 8 dello Statuto, è stato commesso nel contesto della situazione deferita alla giurisdizione della Corte penale internazionale.

      2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 127 del codice di procedura penale; tuttavia, il ricorso per cassazione ha effetto sospensivo.
      3. Il giudice trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l'inoltro alla Corte penale internazionale.

Art. 18.
(Riapertura del procedimento nazionale).

      1. Il procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) se il procuratore della Corte penale internazionale, ai sensi dell'articolo 53 dello Statuto:

              1) decide di non aprire l'inchiesta;

              2) conclude, all'esito dell'inchiesta, che non vi sono basi ragionevoli per l'esercizio dell'azione penale;

          b) se la Camera preliminare della Corte penale internazionale decide, ai

 

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sensi dell'articolo 60 dello Statuto, di non confermare l'atto di accusa;

          c) se la Corte penale internazionale dichiara la propria incompetenza o l'inammissibilità dell'affare.

      2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate al comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tale caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale, il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente del collegio giudicante provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nel quale è stato deciso il trasferimento del processo penale a favore della Corte penale internazionale.
      3. Il Ministro della giustizia, a richiesta dell'autorità giudiziaria competente, chiede alla Corte penale internazionale, ai sensi dell'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, copia degli atti compiuti.

Art. 19.
(Divieto di nuovo giudizio).

      1. Una persona che è stata giudicata con sentenza definitiva della Corte penale internazionale non può essere di nuovo sottoposta a procedimento penale nel territorio dello Stato per il medesimo fatto.
      2. Se, nonostante il giudizio con sentenza definitiva di cui al comma 1, viene di nuovo iniziato un procedimento penale, il giudice, in ogni stato e grado del processo, pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.

Art. 20.
(Competenza).

      1. I delitti previsti ai titoli II, III, IV e V appartengono alla competenza della corte di assise.

 

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      2. Alla legge 10 aprile 1951, n. 287, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) agli articoli 3 e 4:

              1) alla lettera c), la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «sei»;

              2) dopo la lettera c) è aggiunta la seguente:

          «c-bis) di tre esperti nel diritto internazionale, con particolare riguardo al diritto internazionale dei conflitti armati e agli altri trattati applicabili davanti l'autorità giurisdizionale penale internazionale»;

          b) dopo l'articolo 10 è inserito il seguente:

      «Art. 10-bis. - (Requisiti dei giudici esperti delle Corti di assise e delle Corti di assise di appello). - 1. I giudici esperti delle Corti di assise e delle Corti di assise di appello, oltre i requisiti stabiliti dalle lettere a), b) e c) dell'articolo 9, devono essere in possesso del titolo di studio universitario ed essere docenti universitari in diritto internazionale umanitario ovvero in altra disciplina direttamente attinente all'oggetto del giudizio.
      2. Possono, altresì, essere nominati giudici esperti coloro che, pur non possedendo il titolo accademico di cui al comma 1, vantano una comprovata esperienza professionale o di studio nella protezione dei diritti umani.
      3. Nella composizione del collegio delle Corti di assise e delle Corti di assise di appello che giudicano di delitti previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998 e reso esecutivo con legge 12 luglio 1999, n. 232, in cui imputati, testimoni o vittime sono di lingua straniera, almeno uno dei giudici esperti deve possedere un'ottima conoscenza delle lingue inglese o francese»;

 

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          c) dopo l'articolo 24 è inserito il seguente:

      «Art. 24-bis. - (Procedimento per la scelta dei giudici esperti). - 1. È istituito un elenco nazionale nel quale sono iscritti coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all'articolo 10-bis.
      2. Il Ministro delle giustizia trasmette ogni anno un invito a far pervenire le richieste di iscrizione nell'elenco di cui al comma 1 alle università e agli enti e associazioni, in qualsiasi forma costituiti e comunque denominati, che abbiano tra gli scopi costituivi la tutela dei diritti umani e risultino iscritti nell'apposito elenco allegato al decreto del Ministro della giustizia emanato di concerto con il Ministro degli affari esteri entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
      3. I requisiti di cui all'articolo 10-bis, agli effetti dell'attuazione del comma 1, sono accertati da una commissione costituita dal Ministro della giustizia e composta da membri designati dai Ministeri della giustizia, degli affari esteri, della difesa e per i beni e le attività culturali, nonché dalla Croce Rossa Italiana».

Art. 21.
(Regime penitenziario).

      1. Ai detenuti per i delitti previsti dalla presente legge si applica l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dal comma 2 del presente articolo.
      2. Al comma 1, primo periodo, dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo le parole: «a norma dell'articolo 58-ter della presente legge:» sono inserite le seguenti: «delitti previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998 e reso esecutivo con legge 12 luglio 1999, n. 232,».

 

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TITOLO II
GENOCIDIO

Art. 22.
(Genocidio mediante lesioni o omicidio).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da ventiquattro a tre anni. Sono equiparati alle lesioni gravi gli atti costituenti tortura, stupro, violenza sessuale od altri trattamenti inumani o degradanti.
      2. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare la morte o lesioni personali gravissime a persone appartenenti al gruppo, è punito con l'ergastolo. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo medesimo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo, anche mediante la privazione di risorse indispensabili alla sopravvivenza dello stesso.

Art. 23.
(Genocidio mediante deportazione).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, deporta ovvero costringe ad esodo forzato persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 24.
(Circostanza aggravante).

      1. Se da alcuno dei fatti previsti dagli articoli 22 e 23 deriva la morte di una o

 

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più persone, si applica la pena dell'ergastolo.

Art. 25.
(Genocidio mediante la limitazione delle nascite).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, impone o attua misure tendenti ad ostacolare le nascite in seno al gruppo, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.

Art. 26.
(Genocidio mediante sottrazione di minori).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, sottrae, anche mediante misure individuali adottate sotto forma di affidamento, comunque denominate, minori appartenenti al gruppo per trasferirli ad un gruppo diverso, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.

Art. 27.
(Imposizione di marchi o segni distintivi).

      1. Chiunque costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale a portare marchi o segni intesi a rilevarne l'appartenenza al gruppo stesso è punito, per ciò solo, con la reclusione da quattro a dieci anni.

Art. 28.
(Accordo per commettere genocidio).

      1. Qualora più persone si accordino allo scopo di commettere uno o più delitti previsti dal presente titolo e il delitto non è commesso, ciascuna di esse è punibile,

 

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per il solo fatto dell'accordo, con la reclusione da uno a sei anni.
      2. Per i promotori dell'accordo la pena è aumentata.

TITOLO III
DELITTI CONTRO L'UMANITÀ

Art. 29.
(Elemento costitutivo).

      1. Costituiscono delitti contro l'umanità le condotte descritte dal presente titolo, in particolare quando siano commesse come parte di un esteso o sistematico attacco, anche non militare, condotto contro una popolazione civile a sostegno o in esecuzione del disegno politico di uno Stato o di un'organizzazione.

Art. 30.
(Omicidio nei delitti contro l'umanità).

      1. Chiunque nell'esecuzione delle condotte di cui al presente titolo cagiona la morte di una persona è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.

Art. 31.
(Sterminio).

      1. Chiunque cagiona la morte di una o più persone, impedendo l'accesso al cibo o ai medicinali o comunque alle risorse essenziali di vita ovvero sottoponendole a condizioni di vita dirette alla distruzione della popolazione o di una parte di essa è punito con l'ergastolo.

Art. 32.
(Tortura).

      1. Chiunque procura ad una persona di cui abbia il controllo o la custodia gravi

 

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dolori o sofferenze fisiche o psichiche, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Non si considerano tortura i dolori e le sofferenze derivanti esclusivamente dalla legittima detenzione in quanto tale o che siano ad essa inscindibilmente connessi.

Art. 33.
(Sterilizzazione forzata).

      1. Chiunque priva taluno della capacità di procreare è punito con la reclusione da dieci a ventiquattro anni.

Art. 34.
(Riduzione in schiavitù).

      1. Chiunque esercita su una persona i poteri corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà ovvero compie tratta di persone o ne fa commercio ovvero le sottopone continuativamente a lavoro forzato, è punito con la reclusione da sei a venti anni.

Art. 35.
(Deportazione).

      1. Chiunque con violenza o minaccia o ingenerando una situazione di timore diffuso o con un altro atto di espulsione ovvero altri provvedimenti coercitivi, deporta, trasferisce o provoca il trasferimento di un gruppo di persone in un territorio diverso da quello di insediamento, è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 36.
(Arresto e detenzione illegali).

      1. Chiunque arbitrariamente imprigiona o sottopone altrimenti una persona ad una significativa e duratura restrizione

 

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della libertà personale, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.

Art. 37.
(Sparizione forzata di persone).

      1. Chiunque, al fine di sottrarre per un prolungato periodo di tempo una persona, privata della libertà personale dallo Stato o da altra organizzazione politica, ai mezzi di tutela del suo ordinamento, rifiuta di riconoscere lo stato di restrizione della libertà personale ovvero di fornire informazioni sullo stato di salute della persona, sul luogo in cui si trova ovvero altre informazioni rilevanti sul suo stato, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.

Art. 38.
(Violenza sessuale).

      1. Chiunque, con violenza o minaccia o con abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali con grave pregiudizio della vittima, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
      2. Alla stessa pena di cui al comma 1 soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando gravemente delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.
      3. La pena è aumentata se il fatto è commesso nei confronti di un minore di anni quattordici.

Art. 39.
(Schiavitù sessuale, prostituzione forzata e gravidanza forzata).

      1. Chiunque costringe o induce taluno alla prostituzione ovvero lo riduce in una situazione di assoggettamento sessuale prolungato nel tempo, è punito con la reclusione da dieci a ventiquattro anni.

 

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      2. Alla stessa pena di cui al comma 1 soggiace chiunque, al fine di modificare la composizione etnica di un gruppo o di una popolazione, mediante violenza o minaccia, costringe una donna resa gravida con la forza a proseguire la gravidanza, anche privandola della libertà personale.

Art. 40.
(Persecuzione razziale, etnica o religiosa).

      1. Chiunque priva intenzionalmente e in modo grave uno o più componenti di un gruppo o della collettività, per ragioni connesse alla sua identità, di diritti fondamentali in violazione di norme di diritto internazionale per motivi politici, razziali, etnici, culturali, sessuali, nazionali o religiosi, ovvero in relazione a delitti di competenza della Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da diciotto a ventiquattro anni.

Art. 41.
(Delitto di apartheid o di segregazione razziale).

      1. Chiunque, al fine di istituire o di mantenere un regime di oppressione sistematica e di dominazione di un gruppo razziale su un altro gruppo, compie atti di discriminazione, limita l'esercizio dei diritti fondamentali di una o più persone appartenenti ad un gruppo o una collettività, ovvero commette taluno dei delitti di cui al presente titolo, è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

TITOLO IV
DELITTI INTERNAZIONALI

Art. 42.
(Mercenari).

      1. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altra utilità o avendone accettato la promessa, combatte in

 

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un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza fare parte delle Forze armate di una delle parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle Forze armate di uno Stato estraneo al conflitto, è punito, per la sola partecipazione all'atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da quattro a sette anni.
      2. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o avendone accettato la promessa, partecipa ad un'azione, preordinata e violenta, diretta a mutare l'ordine costituzionale o a violare l'integrità territoriale di uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza fare parte delle Forze armate dello Stato né essere stato inviato in missione militare ufficiale da altro Stato, è punito, per la sola partecipazione all'atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da cinque a otto anni.
      3. Chiunque recluta, utilizza, finanzia o istruisce delle persone al fine di fare loro commettere alcuni dei fatti previsti nei commi 1 e 2 è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da cinque a quattordici anni.
      4. Non è punibile chi ha commesso i fatti previsti dal presente articolo con l'approvazione del Governo, se adottata in conformità agli obblighi derivanti da trattati internazionali.

TITOLO V
DELITTI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE

Art. 43.
(Modifiche al codice penale).

      1. L'articolo 363 del codice penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 363. - (Omessa denuncia aggravata). - Nei casi previsti dagli articoli 361 e 362, se l'omessa o ritardata denuncia

 

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riguarda un delitto contro la personalità dello Stato, un delitto di genocidio o un delitto contro l'umanità, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni; la pena è da uno a cinque anni se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria».
      2. L'articolo 364 del codice penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 364. - (Omessa denuncia di reato da parte del cittadino). - Il cittadino che avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato o di un delitto di genocidio o di un delitto contro l'umanità per i quali la legge stabilisce l'ergastolo, non ne fa immediata denuncia all'autorità indicata nell'articolo 361 è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 a 1.032 euro».

Art. 44.
(Delitti contro la Corte penale internazionale).

      1. Alla rubrica dell'articolo 322-bis del codice penale, dopo le parole: «alla corruzione di membri» sono inserite le seguenti: «della Corte penale internazionale,».
      2. Al primo comma dell'articolo 322-bis del codice penale, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:

      «5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati Parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale».

      3. Dopo l'articolo 343 del codice penale sono inseriti i seguenti:

      «Art. 343-bis. - (Corte penale internazionale). - Le norme degli articoli 336, 337, 338, 339, 340, 342 e 343 si applicano

 

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anche quando il reato è commesso nei confronti della Corte penale internazionale, dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte penale internazionale, delle persone comandate dagli Stati Parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, dei membri e degli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.

      Art. 343-ter. - (Atti di ritorsione). - Chiunque commette atti di ritorsione nei confronti di una persona che esercita le sue funzioni presso l'Autorità giudiziaria internazionale o per conto di questa ed in conseguenza delle funzioni esercitate dall'Autorità medesima o da altri, è punito con la reclusione da due a cinque anni».

      4. All'articolo 368, primo comma, del codice penale, dopo le parole: «o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      5. Alla rubrica dell'articolo 371-bis del codice penale sono aggiunte le seguenti parole: «o al procuratore della Corte penale internazionale»; al primo comma del medesimo articolo 371-bis, dopo le parole: «richiesto dal pubblico ministero» sono inserite le seguenti: «o dal procuratore della Corte penale internazionale».
      6. All'articolo 372 del codice penale, dopo le parole: «innanzi all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      7. Al secondo comma dell'articolo 374 del codice penale, dopo le parole: «procedimento penale» sono inserite le seguenti: «, anche davanti alla Corte penale internazionale».
      8. Alla rubrica dell'articolo 374-bis del codice penale sono aggiunte le seguenti parole: «o alla Corte penale internazionale»; al primo comma del medesimo articolo 374-bis, dopo le parole: «essere prodotti all'autorità giudiziaria» sono inserite

 

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le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      9. Al primo comma dell'articolo 377 del codice penale, dopo le parole: «davanti all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      10. Al primo comma dell'articolo 378 del codice penale, dopo le parole: «investigazioni dell'autorità» sono inserite le seguenti: «, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale» e le parole: «o a sottrarsi alle ricerche di questa» sono sostituite dalle seguenti: «o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti».
      11. Al primo comma dell'articolo 380 del codice penale, dopo le parole: «dinanzi all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».

TITOLO VI
COOPERAZIONE CON LA CORTE
PENALE INTERNAZIONALE

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 45.
(Obbligo di cooperazione).

      1. Nel rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico, lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni dello Statuto, del diritto internazionale generale, dei rilevanti trattati nonché della presente legge.

Art. 46.
(Attribuzioni del Ministro della giustizia).

      1. Il Ministro della giustizia cura i rapporti di cooperazione con la Corte penale internazionale previa intesa, ove

 

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occorra, con i Ministri interessati, nell'ambito delle rispettive attribuzioni. Riceve le richieste provenienti dalla Corte, vi dà seguito e presenta ad essa atti e richieste.
      2. Nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte e da uno o più Stati esteri, il Ministro della giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza, in applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello Statuto.
      3. Il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l'esecuzione avvenga nei tempi e con le modalità dovuti.

Art. 47.
(Norme applicabili).

      1. In materia di consegna, di cooperazione e di esecuzione di pene si osservano, se non diversamente disposto dalla presente legge e dallo Statuto, le norme contenute nel libro XI, titolo II, III e IV, del codice di procedura penale.
      2. Per il compimento degli atti di cooperazione richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dalla Corte penale internazionale che non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Art. 48.
(Modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria).

      1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, salvo quanto previsto dal comma 7.
      2. Qualora la richiesta abbia per oggetto un'attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale chiede alla corte di appello di dare esecuzione alla richiesta.

 

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      3. La corte di appello, ove ne ricorrano le condizioni, dà esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega un proprio componente ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.
      4. Se la Corte penale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria comunica la data e il luogo di esecuzione degli atti richiesti. I giudici e il procuratore della Corte penale internazionale sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.
      5. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte penale internazionale sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.
      6. Se la Corte penale internazionale ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad essa del testimone, del perito o del consulente tecnico, i quali, sebbene citati, non siano comparsi. Le spese di accompagnamento sono a carico dello Stato.
      7. Nei casi indicati dall'articolo 99, paragrafo 4, dello Statuto, il procuratore generale assiste il procuratore della Corte penale internazionale nello svolgimento dell'attività da eseguire nel territorio dello Stato.

Art. 49.
(Trasmissione di atti e documenti).

      1. Senza il consenso dello Stato da cui provengono non possono essere trasmessi alla Corte penale internazionale atti o documenti riservati che siano stati acquisiti all'estero. Resta salva l'applicazione dell'articolo 73 dello Statuto.
      2. Qualora il Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministri interessati, abbia motivo di ritenere che la consegna di determinati atti o documenti possa compromettere la sicurezza nazionale, la trasmissione è sospesa. In tale caso si

 

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procede alle consultazioni stabilite dall'articolo 72 dello Statuto.
      3. Fermo quanto disposto dal comma 2, l'autorità giudiziaria, al fine di dare esecuzione alle richieste della Corte penale internazionale, trasmette al Ministro della giustizia, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto.
      4. I documenti inviati a sostegno della richiesta di cooperazione non possono essere utilizzati nell'ambito di altri procedimenti senza il consenso della Corte penale internazionale.

Art. 50.
(Immunità temporanea nel territorio dello Stato italiano).

      1. Nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale, è prevista per il compimento di un atto la presenza nel territorio dello Stato italiano di un testimone o di un imputato, lo stesso non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori all'ingresso nel territorio dello Stato.
      2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora la persona in questione, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato italiano decorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.

Art. 51.
(Patrocinio a spese dello Stato).

      1. Le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato si applicano anche alle procedure di esecuzione di richiesta della Corte penale internazionale da adempiere sul territorio dello Stato, in favore della persona

 

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nei cui confronti la Corte penale internazionale procede.

Art. 52.
(Collaborazione in materia di protezione di vittime, testimoni e loro congiunti).

      1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste di collaborazione che la Corte penale internazionale formula ai sensi dell'articolo 68 dello Statuto per la protezione di vittime, testimoni e loro congiunti, trasmettendo le stesse al Ministro dell'interno.
      2. Nei confronti delle persone indicate al comma 1 si applicano le misure di protezione e di assistenza previste dalla legge.

Art. 53.
(Richieste alla Corte penale internazionale).

      1. Quando l'autorità giudiziaria deve formulare alla Corte penale internazionale le richieste previste nell'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, le invia al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, che le trasmette al Ministro della giustizia per l'inoltro alla Corte. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del capo II del titolo III del libro XI del codice di procedura penale.
      2. Nel caso previsto dall'articolo 727, comma 4, del codice di procedura penale, il procuratore generale trasmette direttamente la richiesta alla Corte penale internazionale, informandone il Ministro della giustizia.

Art. 54.
(Partecipazione del Procuratore generale alle consultazioni con la Corte penale internazionale).

      1. Il Procuratore generale presso la corte di appello di Roma assiste, se richiesto, alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto.

 

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Capo II
CONSEGNA

Art. 55.
(Applicazione di misura cautelare ai fini della consegna).

       1. Quando la richiesta ha per oggetto la consegna di una persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato di arresto ai sensi dell'articolo 58 dello Statuto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla corte di appello l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna.
      2. La corte di appello provvede con ordinanza, contro cui è ammesso ricorso per cassazione.
      3. La Corte penale internazionale è informata di ogni richiesta formulata dalla persona nei cui confronti è stata eseguita la misura, a norma dell'articolo 59, paragrafo 4, dello Statuto.
      4. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale per l'ulteriore inoltro al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

Art. 56.
(Revoca della misura cautelare ai fini della consegna).

      1. La misura cautelare è sempre revocata:

          a) se dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i termini di cui all'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale, senza che la corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

 

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          b) se la corte di appello ha pronunciato sentenza contraria alla consegna;

          c) se è decorso il termine indicato nell'articolo 57, comma 7, senza che il Ministro della giustizia abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

          d) se sono decorsi quindici giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale, senza che questa sia avvenuta. Il termine per la consegna può essere prorogato su richiesta della Corte penale internazionale, nei limiti temporali indicati nella lettera a).

Art. 57.
(Procedura per la consegna).

      1. Il procuratore generale presenta senza ritardo le sue conclusioni in ordine alla consegna. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.
      2. La corte di appello decide con le forme dell'articolo 127 del codice di procedura penale, se del caso previa acquisizione delle informazioni e della documentazione di cui all'articolo 91, paragrafo 2, lettera c), dello Statuto.
      3. La corte di appello pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) non è stato emesso dalla Corte penale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale o una sentenza definitiva di condanna;

          b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

          c) il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale;

 

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          d) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile, salvo quanto stabilito nell'articolo 89, paragrafo 2, dello Statuto.

      4. Qualora sia eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la corte di appello, ove l'eccezione non sia manifestamente infondata, sospende il procedimento fino alla decisione della Corte penale internazionale e trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l'ulteriore inoltro alla stessa. Il difetto di giurisdizione non può essere eccepito né ritenuto quando si tratta di sentenza definitiva di condanna.
      5. Il ricorso per cassazione può essere proposto anche per il merito. Esso ha effetto sospensivo.
      6. La Corte penale internazionale può presenziare all'udienza con un proprio rappresentante.
      7. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta di consegna entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso della persona la cui consegna è richiesta, ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione di cui al comma 5, o dal deposito della sentenza della corte di cassazione e prende accordi con la Corte penale internazionale circa il tempo, il luogo, e le modalità della consegna. Si applica l'articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale.

Art. 58.
(Applicazione provvisoria di misura cautelare).

      1. Se la Corte penale internazionale ne fa domanda ai sensi degli articoli 59, paragrafo 1, e 92 dello Statuto, l'applicazione della misura della custodia cautelare può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

          a) la Corte penale internazionale ha dichiarato che nei confronti della persona

 

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è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

          b) la Corte penale internazionale ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

      2. Ai fini dell'applicazione della misura si osservano le disposizioni dell'articolo  55.
      3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte penale internazionale l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro sessanta giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte della Corte penale internazionale con i documenti indicati dall'articolo 92 dello Statuto.

Capo III
ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI
DELLA CORTE PENALE
INTERNAZIONALE

Art. 59.
(Giudice competente).

      1. La corte di appello di Roma è il giudice competente ai sensi dell'articolo 665, comma 1, del codice di procedura penale.

Art. 60.
(Esecuzione delle pene detentive
nel territorio dello Stato).

      1. Le sentenze irrevocabili di condanna ad una pena detentiva pronunciate dalla Corte penale internazionale sono eseguibili nel territorio dello Stato in conformità a quanto stabilito nello Statuto.
      2. Se la Corte penale internazionale indica lo Stato come luogo di espiazione

 

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della pena, il Ministro della giustizia comunica alla Corte senza ritardo se la designazione è stata accettata.
      3. Il Ministro della giustizia trasmette per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la documentazione di cui alla regola 204 delle Regole di procedura e prova, unitamente alla traduzione in lingua italiana.

Art. 61.
(Regime penitenziario).

      1. L'esecuzione della pena inflitta dalla Corte penale internazionale è regolata dalle norme dell'ordinamento penitenziario e dalle disposizioni della presente legge, in conformità allo Statuto e alle Regole di procedura e prova.
      2. Il Ministro della giustizia, previa consultazione con la Corte penale internazionale, può disporre l'applicazione ai detenuti per i delitti previsti dalla presente legge del regime di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
      3. L'esame dei detenuti nei cui confronti sia stata disposta l'applicazione del regime di cui al comma 2 può avvenire nei luoghi e secondo le modalità previste dagli articoli 145-bis e 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

Art. 62.
(Controllo sull'esecuzione della pena).

      1. Il Ministro della giustizia concorda con la Corte penale internazionale le modalità di esercizio del potere di controllo sull'esecuzione della pena ad essa attribuito dallo Statuto.
      2. Con la medesima procedura di cui al comma 1 sono definite le forme e le modalità per assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il

 

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condannato e la Corte penale internazionale.
      3. Il Ministro della giustizia trasmette immediatamente alla Corte penale internazionale le domande di misure alternative alla detenzione, di sospensione o differimento dell'esecuzione della pena, di liberazione anticipata, di ammissione al lavoro esterno, di permessi, ovvero di ogni altro provvedimento incidente sulla libertà personale del condannato, unitamente a tutta la documentazione pertinente.
      4. Se la Corte penale internazionale ritiene che il condannato non possa beneficiare del provvedimento richiesto, il Ministro della giustizia può chiedere alla Corte penale internazionale il trasferimento del condannato in altro Stato.

Art. 63.
(Informazioni alla Corte penale internazionale).

      1. Quando il condannato è deceduto o evaso, il Ministro della giustizia ne informa immediatamente la Corte penale internazionale.
      2. Il Ministro della giustizia informa altresì la Corte penale internazionale due mesi prima della data di scarcerazione del condannato per espiazione di pena.
      3. I procedimenti penali ed ogni altra circostanza rilevante che concerne il condannato sono tempestivamente comunicati alla Corte penale internazionale.

Art. 64.
(Luogo di detenzione).

      1. Per i delitti previsti dalla presente legge, la detenzione sia per fini cautelari che in espiazione di pena può avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario, ovvero in un carcere militare, conformemente alle disposizioni vigenti in materia.

 

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Art. 65.
(Esecuzione di pene pecuniarie).

      1. Le sentenze irrevocabili di condanna ad una delle sanzioni previste nell'articolo 77, paragrafo 2, dello Statuto, sono eseguibili nel territorio dello Stato in conformità a quanto in esse stabilito.
      2. La corte di appello di Roma, su richiesta del procuratore generale, provvede all'esecuzione della confisca dei profitti, beni od averi disposta dalla Corte penale internazionale.
      3. Quando non è possibile eseguire la misura di cui al comma 2, la corte di appello dispone la confisca per equivalente di somme di denaro, beni o altre utilità, di cui il condannato abbia la disponibilità anche per interposta persona fisica o giuridica.
      4. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede. Si applica la disposizione di cui all'articolo 676 del codice di procedura penale.
      5. Le somme, i beni o le utilità confiscate sono messe a disposizione della Corte penale internazionale dal Ministro della giustizia. Esse pertanto affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, alla voce «Ministero della giustizia» per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

Art. 66.
(Consultazioni con la Corte penale internazionale per l'esecuzione di pene pecuniarie e di misure patrimoniali).

      1. Se, a seguito di richiesta di sequestro o di confisca di beni da parte della Corte penale internazionale, insorgono difficoltà nell'esecuzione, il procuratore generale ne informa preventivamente il Ministro della giustizia per l'avvio delle procedure di consultazione anche ai fini della conservazione dei mezzi di prova.

 

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TITOLO VII
DISPOSIZIONI VARIE

Art. 67.
(Abrogazioni).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge:

          a) alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 5 del codice di procedura penale, le parole: «, dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962» sono soppresse;

          b) la legge 9 ottobre 1967, n. 962, è abrogata.

Art. 68.
(Delega al Governo per l'attuazione dell'articolo 8 dello Statuto).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni occorrenti per dare attuazione all'articolo 8 dello Statuto, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) assicurare l'uniformità dell'ordinamento interno agli obblighi previsti dallo Statuto, in conformità ed in attuazione dell'articolo 11 della Costituzione nonché dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico;

          b) stabilire le regole per l'esercizio della giurisdizione sui delitti di guerra in modo che, anche attraverso la giurisdizione complementare della Corte e quella degli altri Stati, sia esclusa l'impunità per i delitti previsti dallo Statuto;

          c) definire la competenza per i delitti di guerra commessi da militari, attribuendola al giudice militare costituito in forme idonee a garantire la specializzazione per materia ed in conformità alle norme ed ai princìpi di cui al titolo I della presente legge;

          d) introdurre le disposizioni penali occorrenti per la punibilità di tutti i fatti illeciti previsti dall'articolo 8 dello Statuto

 

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prevedendo i princìpi e le disposizioni generali applicabili ai delitti in questione, in conformità ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico ed a quelli previsti dallo Statuto e disciplinando, in particolare:

              1) il coordinamento con le disposizioni del codice penale militare di guerra, apportandovi le necessarie modifiche;

              2) la possibilità di espiazione della pena, per tutti i delitti previsti dalla presente legge, in un carcere militare;

              3) l'abrogazione delle disposizioni di legge incompatibili;

          e) determinare le pene in modo che risultino proporzionate a quelle comminate per reati comuni analoghi, con riferimento al bene protetto e alle modalità di aggressione.

Art. 69.
(Delega al Governo per l'emanazione di disposizioni organizzative).

      1. Il Governo è, altresì, delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni di organizzazione occorrenti per completare la disciplina di cui alla presente legge, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi;

          a) assicurare la collaborazione con l'organizzazione e il funzionamento della Corte penale internazionale nonché lo sviluppo di un'adeguata formazione nel diritto penale internazionale, mediante la promozione della formazione e della specializzazione dei magistrati ordinari e militari nonché la facilitazione del loro collocamento fuori ruolo, stabilendo la formazione di un contingente di magistrati da impiegare all'estero anche con breve preavviso, i meccanismi per la loro anche provvisoria sostituzione, la garanzia di rientro nel livello, nelle funzioni e nella sede di provenienza nonché l'applicazione di integrazioni economiche adeguate;

 

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          b) prevedere le modalità di accesso degli avvocati in possesso di idonei requisiti alle attività di formazione e specializzazione di cui alla lettera a);

          c) prevedere l'inserimento di analoghe attività di formazione nell'addestramento specialistico delle Forze di polizia;

          d) regolare la contribuzione volontaria al Fondo in favore delle vittime previsto dallo Statuto;

          e) istituire la «Commissione per l'attuazione dello Statuto di Roma» presso il Ministero degli affari esteri, con funzioni di studio, di consulenza e di proposta al Parlamento e al Governo, in materia di promozione e adeguamento allo Statuto, composta da rappresentanti delle amministrazioni dello Stato, delle magistrature ordinaria e militare, delle università e delle organizzazioni non governative.

Art. 70.
(Norme procedurali per l'esercizio delle deleghe legislative).

      1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli 68 e 69 sono trasmessi al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati perché sia espresso, dalle competenti Commissioni permanenti, un motivato parere entro il termine di quaranta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

Art. 71.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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