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PDL 5812

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5812



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

VALPIANA, GIOVANNI BIANCHI, RUZZANTE, BOATO, MAZZUCA, LUCCHESE, PISTONE, GRANDI, RUGGERI, BANDOLI, BIELLI, BIMBI, BULGARELLI, CALZOLAIO, CIMA, MAURA COSSUTTA, CRUCIANELLI, DEIANA, TITTI DE SIMONE, FUMAGALLI, GIACCO, GIULIETTI, GRIGNAFFINI, KESSLER, LUCÀ, MANTOVANI, MASCIA, PROVERA, RUSSO SPENA, ZANOTTI

Disposizioni per il riconoscimento dei congedi per la partecipazione a missioni organizzate nell'ambito dei Corpi civili di pace

Presentata il 28 aprile 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - Era il maggio del 1995 quando il Parlamento europeo adottava un emendamento di Alexander Langer sulla creazione di un Corpo civile di pace europeo, affermando che «un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo civile europeo di pace assicurando la formazione di controllori, mediatori, specialisti in materia di soluzione dei conflitti».
      Nel corso di questi dieci anni il mondo intero ha dovuto assistere alla guerra in Afghanistan, a quelle in Iraq, a Timor Est, in Cecenia, in Liberia, in Uganda, in Israele-Palestina, solo per citare alcuni della lunga lista di drammatici eventi che hanno segnato questi anni. Sempre più urgente diviene quindi un ripensamento delle politiche di intervento rispetto ai conflitti, soprattutto in linea con un approccio di prevenzione e di trasformazione nonviolenta dei conflitti.
      Quando Alexander Langer pensava ai Corpi civili di pace pensava proprio alla possibilità di dotare di uno strumento nonviolento e civile la appena nata «politica estera e di sicurezza comune», in
 

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seguito integrata con la «politica comune di sicurezza e di difesa», divisa in tre componenti: gestione militare delle crisi, gestione civile e prevenzione dei conflitti.
      Dopo che la proposta è stata ripresa nel 1999 dal Parlamento di Strasburgo sotto forma di una raccomandazione al Consiglio cercando di mettere insieme e valorizzare le esperienze di molte organizzazioni non governative (ONG) in vari angoli del mondo e dopo che la successiva crisi in Kossovo ha fatto scivolare di nuovo in secondo piano questo tema provocando fra i Paesi europei, in seguito ai malcelati dissensi con il Governo americano, la necessità di definire e mettere in piedi con urgenza una politica europea di sicurezza e difesa (PESD) a base prevalentemente militare, è relativamente recente (settembre 2003) la decisione, assunta dall'Unione europea, di avviare uno studio di fattibilità sulla costituzione di un Corpo civile di pace.
      Ed è di pochi mesi fa, sotto la Presidenza italiana, la discussione della Convenzione europea, nella quale attualmente i Corpi civili di pace sono inseriti come strumenti per l'erogazione di aiuti umanitari. Chi da anni ha avviato azioni nonviolente in aree di conflitto sottolinea invece la maggiore opportunità di inserire i Corpi civili di pace all'interno della politica europea di difesa.
      Da quel maggio del 1995 gli sforzi maggiori tesi alla creazione di questo Corpo sono arrivati dalla società civile, sforzi che però non trovano una significativa e chiara risposta a livello istituzionale.
      Molte sono le associazioni che hanno accumulato una preziosa e ricca esperienza sul campo in termini di interposizione nonviolenta e di diplomazia popolare.
      Numerose sono le campagne internazionali cui anche associazioni italiane hanno preso parte portando avanti azioni di interposizione diretta nonviolenta e di mediazione, come quella dei «Volontari di pace in Medioriente» nel 1990 e nel 1991, o più specificatamente in forma di marce per la pace, come Mir Sada a Sarajevo nel 1992 e nel 1993, a Pristina nel 1998, dove era già stata aperta un'Ambasciata di pace, in Congo nel 2000, per non dimenticare le azioni fatte in Palestina con Time for Peace prima e Action for Peace poi e le azioni di diplomazia parallela portate avanti dalla Comunità di Sant'Egidio. È questo un bagaglio di competenze e conoscenze che va riconosciuto e valorizzato e da cui i Corpi civili di pace dovrebbero partire, in quanto permettono proprio di garantire quella sostenibilità, in termini di appartenenza locale e di durata di lungo termine dei processi di costruzione della pace, che è origine e punto di arrivo di un approccio di prevenzione e trasformazione nonviolenta dei conflitti.
      Langer stesso aveva sottolineato che alle ONG doveva essere inizialmente affidato il reclutamento di personale da inserire nei Corpi civili di pace; il Parlamento europeo nella raccomandazione al Consiglio sostiene l'importanza di potere valutare il ruolo che le ONG hanno svolto nella soluzione pacifica dei conflitti, di censire e mobilitare le risorse delle ONG.
      In Italia, dove il discorso sui Corpi civili di pace è legato alla lotta per l'obiezione di coscienza, per l'obiezione alle spese militari e per la difesa popolare nonviolenta, la creazione di Corpi civili di pace ha come punti di riferimento importanti la sentenza della Corte costituzionale, che dichiara che «il sacro dovere della difesa della patria è realizzabile non solo attraverso il servizio militare, ma anche con un servizio civile di impegno sociale non armato», la legge n. 230 del 1998 di riforma dell'obiezione di coscienza in cui vengono previste forme «di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta» e si stabilisce che gli obiettori di coscienza possono prestare il loro servizio in missioni di tipo umanitario all'estero.
      Momento importante di sostegno in Italia da parte delle associazioni e ONG dei Corpi civili di pace è la creazione della «Rete verso i Corpi civili di pace».
      La rete vede i Corpi civili di pace come un'articolazione della società civile, costituiti da persone qualificate, adeguatamente
 

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preparate a intervenire con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, in situazioni di crisi, esercitando funzioni di prevenzione, in particolare attraverso il monitoraggio in «zone calde», di interposizione, di diplomazia popolare, che favoriscano l'elaborazione di soluzioni al conflitto da parte delle società civili coinvolte.
      La sfida che i Corpi civili di pace gettano all'Unione europea è quindi quella di dare voce e visibilità alle azioni che la società civile internazionale conduce e deve potere continuare a condurre, inserendole in un sistema europeo di politiche comuni di sicurezza e di difesa.
      La professionalità richiesta a livello istituzionale non deve escludere, al contrario, deve sostenere le competenze di personale proveniente dalle organizzazioni di volontariato, le quali però devono a tale fine puntare maggiormente sul momento formativo e di preparazione agli interventi in situazioni di conflitto. Il processo di costruzione dei Corpi civili di pace passa quindi attraverso una sinergia tra attori, risorse e conoscenze. Senza parlare in modo polarizzante di processo dall'alto o dal basso si può invece parlare di complementarietà e di scambio. I Corpi civili di pace non possono essere un prodotto lontano e slegato dalla società civile così come non possono operare senza un riconoscimento e un sostegno istituzionali in termini di supporto finanziario e politico.
      La presente iniziativa mira ad avere una normativa che dia il diritto a cittadini italiani di ambo i sessi che intendono partecipare a missioni organizzate nell'ambito dei Corpi civili di pace di poter usufruire di un periodo di aspettativa di almeno ventiquattro mesi frazionabili, durante il quale non decorrerà la retribuzione. Decorreranno, invece, tutti gli altri istituti (anzianità di servizio, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ferie, trattamento di fine rapporto). I contributi previdenziali saranno figurativi sia per il diritto alla pensione sia per la determinazione della misura della stessa.
      Solo gli enti e/o le associazioni che organizzano i Corpi civili di pace potranno utilizzare le persone richiedenti questo periodo di aspettativa. Tali enti e/o associazioni devono essere riconosciuti in base a quanto previsto dall'articolo 11 della legge 8 luglio 1998, n. 230, recante «Nuove norme in materia di obiezione di coscienza» (riferimento all'Ufficio nazionale per il servizio civile-UNSC).
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. I dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati hanno diritto di fruire di un periodo di aspettativa per la partecipazione a missioni organizzate nell'ambito dei Corpi civili di pace di cui al comma 2.
      2. Il Corpo civile di pace è un servizio volontario, organizzato da enti o associazioni sulla base di progetti presentati al Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta e approvati dall'Ufficio nazionale per il servizio civile, ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 luglio 1998, n. 230, finalizzato a intervenire, anche con attività collegate o propedeutiche, in occasione di crisi o di conflitti, con azioni pianificate nonviolente, che comprendono attività di formazione, prevenzione, monitoraggio, mediazione, interposizione e riconciliazione.

Art. 2.

      1. Il periodo di aspettativa di cui all'articolo 1 non può superare la durata di ventiquattro mesi, continuativi o frazionati, nell'arco dell'intera vita lavorativa, fatte salve le possibilità di aspettativa non retribuita già previste da altre normative vigenti in materia.
      2. Durante il periodo di aspettativa il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione; ha diritto all'anticipo della parte di trattamento di fine rapporto (TFR) depositata presso l'azienda nella misura del 70 per cento ai sensi della legge 29 maggio 1982, n. 297. Tale importo è versato al dipendente dal datore di lavoro in rate mensili in base alla durata dell'aspettativa.
      3. Il periodo di aspettativa è computato nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima

 

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mensilità, alle mensilità aggiuntive, alle ferie e al TFR.
      4. Il periodo di aspettativa è coperto da contribuzione figurativa, ai sensi dell'articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.

Art. 3.

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, pari a 500.000 euro annui a decorrere dal 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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