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PDL 6064

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6064



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TAORMINA

Disposizioni per la ragionevole durata dei processi
e per la migliore tutela delle libertà costituzionali.

Presentata il 12 settembre 2005


      

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Onorevoli Colleghi! -       1. Premessa. Con il concorso di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, la scorsa legislatura ha arricchito il nostro ordinamento, con la legge costituzionale n. 2 del 1999, delle regole del «giusto processo», estratte, per quanto di ragione, dai sistemi anglosassoni.
      Non è facile dire in quale misura le nostre leggi abbiano dato attuazione al nuovo articolo 111 della Costituzione, sotto i centrali profili della garanzia di imparzialità della giurisdizione e della realizzazione di un contraddittorio probatorio pieno. Molti fattori hanno determinato inottemperanze, compromessi, indietreggiamenti, talvolta a cagione di situazioni emergenziali legate all'esigenza di una più forte repressione di certi delitti, altre volte per la difficoltà culturale di condividere fino in fondo le radicali innovazioni progressivamente introdotte.
      Bisognerà, nel futuro, lavorare molto perché il dettato costituzionale possa ritenersi rispettato, ma c'è una motivazione essenziale perché si debba con amarezza rilevare che il debito di sostanziale legittimità costituzionale della normativa ordinaria sul processo penale sia particolarmente grande. Non c'è disponibilità degli addetti ai lavori, qualunque ne sia il livello, e nemmeno dei cittadini ad entrare nel merito, spesso sofisticato, delle regole del «giusto processo» fino a quando ed in quanto l'apparato giudiziario penale evidenzi fatiscenza, inefficienza, lunghezza
 

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insopportabile di tempi e sia quindi fonte di grave pregiudizio per gli imputati e per le vittime dei reati. La durata dei processi, anzi, diventa talvolta un ingiustificato alibi al quale peraltro è difficile contrapporsi, per la compressione o la contrazione delle regole del «giusto processo»: ad esempio, istituti, quali il patteggiamento e il giudizio abbreviato, vengono vissuti come dolorose necessità, perché frutto di una costante ricerca di tecniche di decongestionamento, facendole, però, passare per il sacrificio di garanzie talvolta persino elementari, come in effetti sotto qualche profilo si verifica. Insomma, appare diffusa, ormai, l'opinione che più si continua a ritoccare questo sistema processuale anche per adeguarlo alle regole del «giusto processo» e più si combinano guai, particolarmente dall'angolo visuale della durata delle procedure; ma è anche molto convinta l'idea che, se non si mettono a posto queste cose, l'attuazione di tali regole è destinata a rimanere, nel concreto, una chimera.
      Del resto, non è assolutamente casuale che la riforma costituzionale in precedenza ricordata dalla quale si sono prese le mosse, insieme alle regole del «giusto processo», abbiano imposto al legislatore ordinario l'attuazione dell'altro principio, quello della ragionevole durata dei processi, non solo perché non è «giusto» un processo, quando non ha durata ragionevole, ma anche perché è questa durata a determinare la individuazione delle situazioni processuali nelle quali ha reale e sostanziale motivo di trovare applicazione il nucleo del principio, come detto, da identificare nella garanzia di imparzialità della giurisdizione e nel contraddittorio probatorio: non sfugge a nessuno, invero, che non è un pregio della cultura processualpenalistica italiana il ritenere che questo nucleo debba trovare applicazione generalizzata in tutte le situazioni procedurali, giacché è chiaro, invece, che bisogna saggiamente distinguere, senza, tuttavia, mai risparmiare nulla rispetto alle attività strumentali alla formulazione delle decisioni, sotto il duplice profilo della formazione delle prove e della loro valutazione.

      2. I tempi morti e gli snodi da riformare. È erroneo ritenere che l'attuazione di una durata ragionevole dei processi passi per l'abbassamento dei limiti temporali, a cominciare da quelli per il compimento delle indagini e per finire con quelli previsti per l'esercizio di diritti spettanti alle parti processuali. Né gli uni né gli altri, per alcuni dei quali è addirittura ipotizzabile una ampiezza anche superiore per garantire un miglior accertamento penale e più sostanziali attività difensive o accusatorie, sono mai stati individuati come causali della insopportabile lentezza della nostra giustizia penale. È, questa, una rilevazione, qui formulata soltanto in chiave parentetica, mentre ben diverse sono le valutazioni da esprimere rispetto ai così detti «tempi morti»: la sommatoria di quelli che si realizzano nei processi penali nel passaggio da un grado all'altro di giurisdizione, dal rinvio a giudizio all'inizio dei dibattimenti, dalla conclusione delle indagini alla richiesta di rinvio a giudizio oppure da questa richiesta all'udienza preliminare, darebbe risultati che farebbero impallidire rispetto all'obiettivo, giacché sicuramente capace di garantire processi dalla durata ragionevole. Ed è il caso di aggiungere, però, che, prima di invocare abolizioni di gradi di giurisdizione o di spingere all'inverosimile la sospensione dei termini di custodia cautelare, si sarebbe fatto e si farebbe bene a pensare ad un tipo di percorso come quello da ultimo evocato.
      Ma non è questo il punto. La ragionevole durata dei processi può passare anche attraverso operazioni di questo genere, ma essa implica essenzialmente interventi sulle strutture portanti del sistema processuale e sulle forme ordinarie del procedere, operazione, quest'ultima, di particolare complessità, anche per la necessità di coniugarla con l'applicazione delle regole del «giusto processo». Non molto diversamente, tuttavia, stanno le cose anche dal lato degli interventi strutturali perché da essi può derivare grave pregiudizio per beni processuali irrinunciabili come l'accertamento della verità e la garanzia dei diritti, a cominciare da quelli di

 

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natura costituzionale, donde la necessità, ogni volta, del bilanciamento tra gli opposti interessi che si misurano nella vicenda processuale.
      La proposta di legge che si è inteso formulare cerca di farsi carico di tutte le implicazioni in questione ed affida la controprova della accettabilità delle soluzioni di volta in volta prescelte alla assenza del benché minimo sacrificio dei «beni processuali» e delle regole del «giusto processo», anche di fronte alla consapevolezza della discutibilità di alcune impostazioni per le quali si è ritenuto di esprimere preferenze. In questa ottica, era inevitabile che la maggiore attenzione venisse dedicata al processo di primo grado, in esso ricomprendendo approssimativamente anche le attività di indagine preliminare, nell'ambito del quale si consuma con maggiore drammaticità il sacrificio della ragionevole durata di cui al primo comma dell'articolo 111 della Costituzione. Certamente, molto può e deve essere fatto rispetto ai gradi di impugnazione, ma essi risultano già improntati a notevole potenzialità di contrazione dei tempi, sui quali tuttavia è possibile ulteriormente incidere, ma indagini preliminari e dibattimento di primo grado, specie dopo il fallimento fatto registrare dalle procedure alternative, costituiscono un punctum dolens per gli interessi dell'accusa come per quelli della difesa. Ciò anche in ragione dell'impatto che, specialmente nell'ambito delle prime, il processo fa registrare con il sacrificio delle libertà inviolabili e del diritto di proprietà, tutti rigorosamente garantiti dalla Costituzione. Non meno estenuante è la evoluzione della fase dibattimentale del primo grado di giudizio, nella quale, senza contare i pesantissimi costi economici che essa comporta, spesso si assiste ad una autentica saga delle inutilità proprio a cagione di quella mentalità di generalizzazione dell'applicazione delle regole del «giusto processo» di cui si è detto in precedenza, per qualunque situazione, per qualunque reato, per qualunque tipo di procedimento. Il processo di primo grado, infine, si impone all'attenzione, dall'angolo visuale del principio della ragionevole durata, anche per il suo snodarsi nell'intermezzo dell'udienza preliminare tra le indagini e il dibattimento. Non è minimamente in contestazione la esigenza di garantire il cittadino dalla formulazione di imputazioni azzardate, purtroppo assai frequenti, ma quando questa eventualità si verifica difficilmente l'intervento giurisdizionale serve ad ovviare all'anomalia ed in ogni altro caso di utilizzabilità di questa fase per attendere ad un'opera di sfittimento, la prassi ha dimostrato l'assoluta inutilità dello strumento. Ben vero che ciò dipende, specialmente oggi, dopo la modifica dell'articolo 425 del codice di procedura penale, non dalla previsione normativa, ma da una cattiva applicazione pratica che ne viene effettuata. Ma tant'è, giacché di fronte alla sperimentazione ormai decennale, l'esito negativo deve in ogni caso indurre al cambiamento.

      3.1. Il nuovo ruolo della polizia. L'imputazione come spartiacque tra indagini e processo. Il capitolo certamente più innovativo e sul quale è da prevedere più serrato dibattito è quello relativo alla nuova disciplina delle indagini preliminari che con la presente proposta di legge si auspica possano costituire il futuro del nostro sistema processuale. Va anche detto che ove si prescinda da questo intervento, meno radicale di quanto a prima vista possa ritenersi, è difficile che davvero si realizzi l'obiettivo di una ragionevole durata dei processi, giacché, come in precedenza osservato, non è dubbio che il cuore del malanno che si vuole combattere all'insegna del richiamato principio costituzionale sia costituito proprio dall'attuale regime delle indagini preliminari.
      Per spianare la strada alla comprensione della innovazione, ed ancor prima che essa sia raccontata, va detto che la ragione storica dello slargamento dell'ambito del procedimento penale, cui il codice del 1989 aveva tentato di mettere riparo, non riuscendo nell'obiettivo soprattutto per colpa di una mentalità ancora non sradicabile e che qualche fine giurista aveva etichettato come «garantismo inquisitorio»,

 

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fu data dalla volontà di ricomprendervi anche tutte le attività investigative necessarie per giungere alla formulazione di una imputazione nei confronti di un determinato imputato, contro il criterio fondamentale di ogni sistema accusatorio per il quale un processo può iniziare solo se ed in quanto imputato ed imputazione siano perfettamente individuati. È ben noto, infatti, che il sistema accusatorio non solo ripudia la processualità delle attività di indagine, ma si regge su questo principio e non si dovrebbe mai dimenticare che, nonostante tutti gli indietreggiamenti dovuti a schizofrenie giurisprudenziali e legislative, il nostro sistema si è dichiaratamente iscritto al modello accusatorio di tipo anglosassone, a partire dalla legge delega del 1974. Non pare, però, che di questa ispirazione si sia molto tenuto conto né che se ne tenga conto oggi, quando si reclama l'attuazione di princìpi, come quello della ragionevole durata dei processi e del contraddittorio probatorio, i quali costituiscono il portato più caratterizzante di quel modello.
      Bisogna riconoscere con franchezza che la linea di tendenza della processualizzazione o procedimentalizzazione delle indagini di polizia deve essere contrastata, se questi princìpi si vogliono realmente attuare. La delimitazione del processo tra la formulazione dell'accusa e la sentenza definitiva non costituisce affatto una ipocrisia, nel senso che la espulsione delle attività di indagine dall'orbita processuale rischia di risolversi in una sorta di giochetto, mentre, nella sostanza, ci si limiterebbe a trasferire le causali della irragionevole durata dalla sede dei processi a quella gestita dagli organi da individuare come titolari del potere di investigazione. A parte che l'argomento proverebbe troppo perché, mostrando contrarietà rispetto a questa innovazione, si manifesterebbe contestualmente l'idea di ineluttabilità della irragionevole durata dei processi, ma negare valore all'integrale recupero della non procedimentalità delle indagini significherebbe ignorare benefìci e riflessi rivenienti dalla natura delle funzioni esercitate dagli organi di polizia dal punto di vista degli atti relativi, secondo il principio generale per il quale tanto più si può prescindere dalla formalizzazione quanto più se ne escluda la utilizzazione probatoria. L'esperienza ha dimostrato che la logica delle garanzie in funzione di una piena valenza probatoria dei risultati di una investigazione non paga.
      Si è tentato di individuare operazioni combinatorie, di cui il nostro attuale sistema processuale è emblematico esempio, ma il bilancio fallimentare che ne è derivato e che continuerebbe a derivarne è davvero sotto gli occhi di tutti.
      Dunque, da una eiezione delle attività investigative dal processo non sembra potersi più prescindere e, pur con tutte le cautele che la nostra storia istituzionale consiglia e che ha reso quasi atavica la prevenzione verso le attività di polizia, da qui bisogna cominciare.

      3.2 Riflessi del nuovo ordinamento giudiziario. Ma un altro dato si è aggiunto nel mosaico del nostro ordinamento da cui pure non sembra potersi prescindere nel riscrivere la disciplina del sistema processuale penale, particolarmente dal lato della ineludibile compenetrazione delle regole del «giusto processo» con il principio della sua ragionevole durata. Ci si riferisce alla tanto vituperata e contrastata riforma dell'ordinamento giudiziario. Sono in molti a credere che questa riforma sarebbe venuta meglio se si fosse prima atteso dalla costruzione di un nuovo sistema processuale, per la elementare ragione che, dovendo la riforma organizzare una funzione, non conoscendosi con precisione le opzioni da questo profilo, vale a dire le caratteristiche di un sistema processuale, non facilmente può pervenirsi ad una felice forma di organizzazione, soprattutto sintonica ai concreti meccanismi procedurali. Ma tant'è, soprattutto considerando che, all'indomani della trasformazione della cosiddetta «riforma Castelli» in legge dello Stato, molta parte dell'attuale opposizione che era stata strenuamente sulle barricate durante i lavori preparatori, ha avuto modo onestamente di riconoscere che, in realtà, si tratta di

 

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una legge «non tanto male», quando addirittura non abbia affermato trattarsi di una buona legge. L'evocazione di questo contraddittorio atteggiamento dell'opposizione non ha finalità polemica ma solo quella di poter dire, sul piano della politica legislativa, che il nuovo ordinamento giudiziario è sufficientemente non contrastato da tutti e quindi, se contenesse indicazioni utili per la soluzione degli annosi problemi del processo penale, dall'angolo visuale della presente proposta di legge, si tratterebbe di un altro punto da porre a base comune dei ragionamenti. E questi elementi di utilità esistono.
      Nessuno può contestare, fuorché alcuni esponenti della classe forense a corto, negligentemente, di consapevolezze precise, che la «riforma Castelli» ha decretato una vera separazione delle carriere e tale è un sistema che impone una scelta tra ruolo giudicante e ruolo requirente al quinto anno dell'ingresso in carriera, con una sola irraggiungibile possibilità, per il futuro, di cambiare ruolo, tornando però a far esami scritti e orali con indosso il grembiulino azzurro e con il fiocco bianco. L'attuazione, dunque, di una rigida separazione di carriere deve essere apprezzata nella dimensione tutta nuova che essa rivela per effetto della persistenza del ruolo inquirente all'interno dell'ordine giudiziario. Questo dato, lungi dal rafforzare, come da qualcuno erroneamente è stato detto, il taglio investigativo del ruolo stesso, ne sancisce una definitiva scissione. Una esclusione del pubblico ministero dall'ordine giudiziario ne avrebbe decretato con sicurezza la collocazione al vertice della funzione investigativa, in posizione autonoma dalle Forze di polizia e dalla giurisdizione ovvero a costo della sua inclusione nell'ambito del potere esecutivo. Il non avere prescelto questa soluzione ha come conseguenza piuttosto evidente che, non essendovi agganci funzionali con le attività di investigazione e non potendosi pretendere una doppia natura, da una parte giudiziaria e dall'altra esecutivo-investigativa, il ruolo del pubblico ministero non può che essere quello requirente e non inquirente, non soltanto nel tradizionale modo di intendere tale qualificazione con riferimento all'attività di formulazione del giudizio, ma anche con riguardo alla formazione, diretta e indiretta, mediata o immediata, delle prove, rispetto alle quali dovrà essere istigatore formatore ma non autore.
      Da un simile angolo visuale tornano molti conti: anzitutto, emerge la infondatezza dell'argomento contrario alle osservazioni fin qui svolte. Ci si riferisce al fatto che il pubblico ministero è titolare del potere costituzionale di azione penale. L'attenta lettura dell'articolo 112 della Costituzione, come già notato in dottrina, svela che del potere di azione il pubblico ministero non ha la integrale titolarità, ma ha solo quella dell'«esercizio» dell'azione stessa. Questo significa, anzitutto, che il legislatore ordinario ha le mani libere rispetto alla attribuzione di funzioni che siano correlate ma che non integrino attività di esercizio dell'azione penale. Il dettato costituzionale impedisce soltanto che anche una attività integratrice o consecutiva all'esercizio dell'azione penale possa essere di pertinenza di organi diversi dal pubblico ministero. Orbene, è noto che l'atto di esercizio dell'azione penale si identifica, secondo concorde opinione dottrinale e secondo l'attuale impianto legislativo, nella formulazione dell'imputazione, qualunque sia la veste formale, unica o con alternative, che si intenda prescegliere. Dalla formulazione dell'imputazione si dipanano le attività di stretta ed esclusiva pertinenza processuale relative alla formazione delle prove ed alla formulazione del giudizio, le quali, in una visione dinamica dell'esercizio dell'azione penale, ad essa, tutte, nessuna esclusa, si riconducono.

      3.3. Coordinamento con il disposto dell'articolo 109 della Costituzione. Ma non è solo questo il riferimento costituzionale che, nel quadro della separazione delle carriere, acquisisce chiarezza e sistematicità. Ad esso si aggiunge il contenuto normativo dell'articolo 109 della Costituzione in materia di disponibilità diretta della polizia giudiziaria da parte dell'autorità

 

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giudiziaria. Vengono in rilievo due aspetti. Anzitutto, si capisce meglio perché la Costituzione ha ritenuto di riaffermare con forza la separazione tra «esecutivo», sotto la specie degli organi di polizia, e «giudiziario», prevedendo non già la dipendenza della polizia dall'autorità giudiziaria ma, appunto, la mera disponibilità che fa rimanere saldamente la prima nell'ambito delle strutture amministrative. La separazione dei poteri è ribadita, e non avrebbe potuto essere diversamente, proprio per la essenziale diversità di funzioni giudiziario-probatorie, quelle della magistratura e, può dirsi oggi, investigative, quelle della polizia. A voler fare un collegamento con il citato articolo 111 della Costituzione è evidente la euritmia di una ricostruzione che individui, come è necessario che sia, nell'esercizio dell'azione penale, e quindi, come detto, nella formulazione dell'accusa, lo spartiacque tra «esecutivo» e «giudiziario», tra investigazione e processo, tra polizia e magistratura.
      Il secondo aspetto che emerge da questa sorta di rilettura dell'articolo 109 della Costituzione sta nel riferimento, in esso contenuto, all'autorità giudiziaria. Una locuzione, quest'ultima, che ha subìto alterne vicende semantiche, da quando si riteneva che implicasse il riferimento sia al pubblico ministero sia alla giurisdizione, sotto il codice processuale del 1930, e quando si è ritenuto che essa si riferisse esclusivamente alla giurisdizione, come è per il codice processuale vigente. Quest'ultima posizione, che trova poderosi riscontri in altre disposizioni costituzionali, a cominciare dall'articolo 13, sulle quali non è questa la sede per effettuare approfondimenti, trova una conferma proprio nell'articolo 109, interpretato sistematicamente nei termini qui indicati. È evidente, infatti, che, riferito il quadro investigativo alle Forze di polizia e non al pubblico ministero, le esigenze di acquisizione e di formazione della prova non possono che fare capo alla giurisdizione e, riconosciuto al pubblico ministero nell'ambito della attività probatorie il ruolo requirente, ma non oltre, la polizia giudiziaria non può che svolgere un ruolo servente rispetto alla giurisdizione medesima, circostanza, questa, che rende ancora più pregna di significato e di logicità la regola della mera disponibilità diretta della polizia giudiziaria rispetto alla autorità giudiziaria, scomparendo ogni ragione di commistione tra i due poteri che solo nel rapporto con il pubblico ministero, secondo una tradizionale impostazione, si sarebbe potuta, pure sempre in maniera erronea, intravedere. Anche se è doveroso ed anzitutto possibile, a questo punto, rilevare come, sganciata la polizia giudiziaria dal rapporto con il pubblico ministero (situazione, questa, che di essa aveva contribuito a dare una immagine di organo di parte), ciò determina una sicura riconduzione ad una cifra di imparzialità quale riflesso del suo ruolo di collaborazione con la sola giurisdizione.
      Non è possibile qui entrare in altri importanti particolari, ma è bene riflettere sulla riconquista di questa dimensione da parte della polizia giudiziaria di cui in anni lontani fu teorizzatore Giuliano Vasalli, la cui posizione, peraltro, sarebbe stata travolta dalla foga poliziesca impressa al ruolo del pubblico ministero, teorizzazione che, peraltro, oggi riguadagnerebbe una bella quanto giusta rivincita. Si pensi, tanto per avere una prospettiva, a quale avrebbe potuto essere, nella evoluzione del nostro sistema processuale, il ruolo esercitabile da una polizia giudiziaria fondata sulla imparzialità rispetto a temi che, pure giustamente emersi alla attenzione legislativa e perciò oggetto di importante regolamentazione, come quella delle indagini difensive, hanno determinato complicazioni aggiuntive all'inestricabile normazione processuale, se di esse si fosse potuto trattare avendo come punto di riferimento normativo la polizia giudiziaria, magari quale struttura «bipartisan», utilizzabile cioè per le indagini difensive non meno che per quelle accusatorie.

      3.4. Deduzione di sintesi. Alla luce delle osservazioni fin qui svolte, mettendo insieme il dato della formulazione dell'accusa come spartiacque tra l'investigazione

 

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e il processo, ricondotta questa formulazione all'esercizio dell'azione penale pure nell'ottica dinamica in precedenza evidenziata, restituita alla giurisdizione in maniera esclusiva la funzione della formazione delle prove in quanto strettamente compenetrata con la valutazione giudiziale, si dispone di tutti gli ingredienti per capire quale possa essere la evoluzione della strutturazione del nostro sistema processuale, la cui principale e fondamentale novità rispetto al regime attuale risulta essere la monopolizzazione delle investigazioni da parte della polizia giudiziaria, la esclusione del pubblico ministero da qualsiasi potere di indagine e la riconduzione del suo ruolo a quello di promotore del processo attraverso l'esercizio dell'azione penale e la stimolazione delle attività probatorie in funzione esclusivamente giudiziale.
      Naturalmente, quest'approccio di carattere generale non può esimersi dal formulare alcune osservazioni critico-costruttive, cui già si è riservato qualche rilievo. È evidente che il ruolo nuovo che le Forze di polizia sono destinate ad assumere nella prossima impostazione del processo penale impone grosse modificazioni nella loro organizzazione, in quanto si atteggino come organi di polizia giudiziaria, e soprattutto nella loro qualificazione professionale che dovrà richiedere grande versatilità investigativa ma anche duttilità rispetto a problematiche giuridiche, visto che, venendo meno il cordone ombelicale con l'autorità giudiziaria, le decisioni pure di questo tipo spetteranno ad essi e su di essi si concentreranno, insieme ai poteri, responsabilità di assoluto rilievo. Non sembra che questi obiettivi possano essere ottenuti in tempi brevi, laddove si consideri che, nell'attuale situazione, a fronte delle pubbliche esibizioni, veri protagonisti delle indagini preliminari sono gli organi di polizia del cui operato, nella stragrande maggioranza dei casi, i pubblici ministeri si appropriano. Non v'è motivo di prospettare preoccupazioni o addirittura pericoli per questa concentrazione di poteri nelle mani delle Forze di polizia. È ben vero che il passato storico è stato segnato da un esautoramento delle Forze dell'ordine per una affidabilità che eventi politici e questioni di potere talvolta hanno dimostrato non sempre ottimale, ma il rimedio di mettere tutto nelle mani dei pubblici ministeri è stato peggiore del male che si intendeva estirpare. Posto che non v'è sistema che non sia esposto alla patologia, va detto che migliore partito sembra essere quello di lavorare per impedire, con controlli e pesanti responsabilità, ogni pericolo di sottrazione delle vicende criminose alla trattazione della magistratura e la proposta di legge in esame ha come principale preoccupazione proprio quella di rispondere in maniera soddisfacente a tutti questi possibili interrogativi.

      4.1. Garanzie di legalità sulle funzioni di polizia. Gerarchia interna e controllo giudiziale. L'esclusione del potere e di investigazione di indagine a favore delle Forze di polizia ha sempre trovato opposizione, come osservato in precedenza, nell'idea che l'appartenenza di esse all'«esecutivo» potesse tradursi in una gestione politica dei loro poteri con scelte arbitrarie o illegittime e perciò capaci di vanificare il principio di obbligatorietà dell'azione penale, da cui nella presente proposta di legge non si può e non si deve prescindere. Questa preoccupazione è stata alla base della riforma del 1989 con la quale si ritenne di dover ingabbiare la polizia giudiziaria nell'organizzazione del pubblico ministero, praticamente trasferendo qualsiasi reale potere di iniziativa. È logico, dunque, che ci si faccia carico delle problematiche che in questo modo si ritiene di poter superare, affinché la presente proposta di legge non si traduca in uno strumento di ricaduta negli stessi inconvenienti.
      Strettamente connesso, però, con tale tematica è l'aspetto dei controlli sull'operato della polizia giudiziaria, onde garantire il sistema da pericoli quantomeno non superiori a quelli attuali sotto il già segnalato profilo della vanificazione del principio di obbligatorietà e della gestione politica degli affari giudiziari. Tra parentesi, si osserva che l'operazione compiuta

 

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soprattutto dal codice processuale penale vigente di ovviare, come si è detto, alle tendenze verso l'arbitrarietà da parte delle Forze di polizia con la sostanziale eliminazione di ogni autonomia mettendo al loro posto gli organi del pubblico ministero, non solo ha prodotto il gravissimo vulnus a tutti noto nel principio costituzionale della separazione dei poteri, fonte di ancora più gravi danni per il tessuto costituzionale del nostro ordinamento, ma si è tradotta nello spostamento del problema dalla polizia alla magistratura, con l'aggravante dovuta all'autoreferenzialità dell'autorità giudiziaria tradottasi, senza voler esasperare i toni, in una troppo pregnante impunità per la strumentalizzazione politica della macchina giudiziaria. Senza contare, poi, il fatto che la surrogazione della magistratura inquirente alla polizia ha determinato la traslazione delle anomalie in discorso direttamente all'interno del procedimento penale, diversamente da quanto accadeva quando esse erano di pertinenza delle attività di polizia in senso stretto. Non che questo ultimo assetto andasse bene, ma certamente si trattava di una situazione dotata di minore gravità e sulla quale comunque, attraverso pur non perfetti sistemi di controllo, non infrequentemente si era stati in grado di intervenire sulla diortosi.
      Tornando alla questione centrale, non v'è ombra di dubbio che la presente proposta di legge debba farsi carico, come in effetti accade, della utilizzazione della strutturazione gerarchica delle Forze dell'ordine per far scattare doveri non solo nel subordinato ma prima di tutto nel vertice delle specifiche organizzazioni: l'organizzazione interna dei servizi di polizia giudiziaria dovrà essere delineata con precisione e con essa i presupposti e i limiti di responsabilità di ciascuno degli appartenenti in ragione del titolo specifico a ciascuno di essi. A ciò la proposta di legge in esame non può non fare seguito con la introduzione di gravissime sanzioni a carico dell'ufficiale, agente e capo della polizia giudiziaria per le omissioni, per i ritardi, per l'aggiramento dei doveri specialmente con riferimento al rispetto dei termini di indagine ed a quelli di trasmissione degli atti al pubblico ministero. Tutto ciò è oggetto di considerazione e, nel sottolineare l'impegno riversato nella presente proposta di legge per rispondere a queste problematiche, non può farsi a meno di far osservare come la predisposizione di un simile corredo di strumenti di contrasto per le situazioni patologiche qui solo esemplificativamente indicate, ed alle quali altre possono aggiungersi, è possibile in una cornice che richiami all'esercizio dei poteri organi della pubblica amministrazione e proprio in ragione della organizzazione gerarchica che ad essi è propria. Non sarebbe possibile avvalersi di simili strumenti, come non lo è stato fino ad oggi, se termini di riferimento continuassero ad esserlo i pubblici ministeri, per i quali, nonostante la diversa impostazione della Costituzione, che all'articolo 107, ultimo comma, mostra chiaramente di ritenere, se non doverosa, compatibile la strutturazione gerarchica del pubblico ministero con la qualità della sua funzione, non è mai stato possibile giungere ad una simile soluzione e si è, anzi, marciato in direzione assolutamente opposta, con l'accentuazione della omologazione alla giurisdizione, pure pretendendosi, con non poca contraddittorietà, l'attribuzione dei poteri della polizia attraverso l'assoggettamento della stessa ad una rigorosa attuazione dei princìpi di gerarchia. Il raggiungimento, dunque, dell'obiettivo di un sistema adeguato di controlli e di un regime sanzionatorio pesante per le infedeltà delle Forze dell'ordine chiamate a questo nuovo, essenziale compito di organi garanti esclusivi delle attività di investigazione e di indagine, è stato costante preoccupazione della proposta di legge in esame, pure nella consapevolezza, peraltro, che anche la migliore soluzione non possa essere priva di inconvenienti.
      Emerge, a questo punto, il problema di fondo che la cultura giuridica italiana, pure dopo l'accoglimento dei capisaldi del modello accusatorio di tipo anglosassone, ha sempre evitato di affrontare, rinviandone l'approfondimento, ma al tempo stesso imbastardendo il sistema abbastanza
 

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linearmente delineato dal codice processuale penale del 1989. Ci si riferisce alla erronea affermazione secondo la quale, in base ad una visione essenzialmente inquisitoria della logica processuale, l'intervento giurisdizionale nelle questioni di tutela dei diritti dovrebbe ritenersi compatibile solo in ambito e per esigenze processuali. In questa impostazione c'è del vero, ma soprattutto del falso.
      Non vi è dubbio che il ruolo della giurisdizione ha ragione di esistere in quanto vi sia da dirimere un conflitto di interessi né è in dubbio che questo sia anche la ragione d'essere dei processi, ma non è vero che il conflitto esiga sempre la pendenza di un processo, mentre è vero che la questione oggetto di conflitto possa determinare una processualità limitata alla sua soluzione o, se si preferisce, che possa determinare una giurisdizionalità dell'attività diretta a risolverlo, in ragione, cioè, della necessità che essa avvenga secondo princìpi di imparzialità e di equidistanza rispetto agli interessi in conflitto. I tempi attuali si sono incaricati di dimostrare la esattezza scientifica, ma anche la bontà pratica, di questa impostazione.
      La recente normativa per il contrasto del terrorismo islamico, ad esempio, è intervenuta con la previsione di intercettazioni preventive ed a ciò si è potuti pervenire apprestando un sistema autorizzatorio che chiama in causa la magistratura. A parte l'errore di aver affidato il potere in questione ad un organo del pubblico ministero - il procuratore generale presso la corte d'appello - e non ad uno della giurisdizione, interessa qui il principio racchiuso in questa normativa, giacché si tratta di una situazione che per definizione - trattandosi di attività di prevenzione - non ha molto da spartire con un processo, ma l'intervento giudiziario, come tale postulante un conflitto di interessi, è ugualmente considerato lo strumento per la risoluzione della questione. Non è, questa, la prima volta che il legislatore sperimenta questo modulo di una giurisdizione limitata alla soluzione di un punto specifico di conflitto: potrebbe, al riguardo, rammentarsi l'analogo intervento in materia di intercettazioni preventive per il contrasto della criminalità mafiosa nonché l'intero sistema delle misure di prevenzione, imperniato su una giurisdizione esercitata per il tempo necessario ad assicurare tutela legale a molteplici, svariati conflitti. Cosa vi sia dietro questa impostazione dovrebbe ormai essere chiaro, dopo la esemplificazione che precede, pur dovendosi limitare l'analisi ai temi di specifico interesse della proposta di legge in esame.
      Quando il potere pubblico, per essere esercitato, implica la ingerenza nella sfera giuridica del cittadino, e quindi si realizza un confronto tra le ragioni dell'interesse generale e quelle dell'individuo, dal quale per legge deve derivare la soccombenza, dell'uno o dell'altro, sussistono tutte le motivazioni per la configurazione di un conflitto. Molto frequentemente, per non dire quasi sempre, il legislatore sceglie la strada del controllo sulla osservanza della legge nella risoluzione del conflitto riservando ogni cosa alla radicazione della controversia processuale. Questo percorso è eccettuato particolarmente quando vengono in rilievo diritti fondamentali e, tra questi, tutti quelli che godono di una protezione costituzionale, come accade per le libertà inviolabili, allorché di esse si profili un pregiudizio immediato o mediato, situazione, questa, che è in grado di espandere la medesima logica anche ad altri interessi fondamentali, pure se non inerenti alle libertà costituzionalmente protette. Naturalmente, tutto ciò dipende dalla previsione di legge quanto a presupposti e a limiti e, con riferimento ai temi ora oggetto di interesse, questa previsione non può che essere di natura costituzionale. È esattamente quanto accade nel nostro ordinamento, dal quale emerge il delineamento, attraverso la Costituzione, di un rapporto tra cittadino e Stato, appunto di natura costituzionale, per cui ogni volta che si ponga il problema della compressione delle libertà inviolabili - personale, di domicilio, di comunicazione - non solo è postulato un conflitto tra individuo e autorità, ma si tratta di un conflitto la cui soluzione non può essere
 

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risolta da chi il potere vuole esercitare o da chi il potere deve subire, venendo in rilievo il fondamento dei fondamenti del nostro ordinamento democratico che passa per la prevalenza dell'individuo rispetto all'Autorità, ma da un organo super partes ed in via preventiva, dando, appunto, il ricorso all'intervento giurisdizionale.
      Orbene, la conseguenza più rilevante della natura costituzionale di questo rapporto sta nel fatto, cui poco si è prestata attenzione fino ad ora, che esso prescinde dalle qualità dell'organo che il potere intende esercitare e dalle situazioni in cui esso si colloca. In ogni caso, il conflitto è postulato e la relativa soluzione è reclamata dalla Costituzione: che le libertà personali, di domicilio o di comunicazione siano in procinto di essere pregiudicate per una ragione inerente ad un processo oppure per altre di natura pubblica, nulla muta rispetto alle necessità dell'intervento giurisdizionale in chiave preventiva o di controllo, a seconda di ciò che consigli la situazione concreta in base alle valutazioni del legislatore.
      Questa conclusiva, pure se sintetica deduzione, consente di dare scientifica e legislativa ragione della scelta effettuata nella proposta di legge in esame, dove, facendosi tesoro dell'illimitata compatibilità dell'intervento giurisdizionale con l'esercizio di qualsiasi potere pubblico che implichi l'ingerenza, appunto, in alcuni beni appartenenti alla sfera giuridica del cittadino, ne cura l'applicazione nel settore delle attività investigative delle Forze di polizia. Il passato è stato contrassegnato dalla preclusione per le Forze medesime di poteri caratterizzati da questa ingerenza, nel presupposto, dunque erroneo, che si trattasse di questioni inerenti solo ai processi e quindi di esclusiva pertinenza della magistratura. Il tempo attuale e quello futuro sono invece per l'attribuzione di questi poteri alle Forze di polizia, ma nel rigoroso rispetto del medesimo principio di autorizzazione e/o di controllo giurisdizionale, postulati come fonte di valutazione imparziale degli opposti interessi.

      4.2. La disciplina delle indagini di polizia. Nulla più delle attività investigative, per le necessità da esse implicate, celebra il conflitto tra le libertà individuali e le esigenze dell'ordinamento penale. L'approdo del percorso logico-legislativo, fin qui delineato, è quello della individuazione di un modulo che garantisca la soluzione del conflitto nei termini ormai noti.
      La scelta, integralmente aderente a logica ed a Costituzione, che si è effettuata con la presente proposta di legge, si impernia sull'attribuzione di un ruolo centrale alla giurisdizione delle indagini preliminari. Essa viene a costituire il punto di riferimento costante per le Forze di polizia, senza che, però, al giudice competa alcuna funzione elaborativa delle investigazioni e nemmeno di interferenza rispetto ad alcuna questione, compito suo essendo quello di garante della legalità investigativa, dall'angolo visuale precipuo dell'osservanza delle regole costituzionali e, più in generale, di tutte quelle previsioni normative che siano il frutto, in senso ampio, di un bilanciamento di interessi: non sono soltanto, per esemplificare, gli atti di ispezione o di perquisizione personale o domiciliare a dover essere preventivamente autorizzati dal giudice per le indagini preliminari, salvo situazioni eccezionali appartenenti alla tradizione del nostro sistema, ma anche la soluzione di questioni inerenti alla prorogabilità o meno dei termini di indagine o alla garanzia di non dispersione di risultati probatori.
La disciplina si articola nella rigorosa regolamentazione del momento di inizio della attività di investigazione coincidente con l'intervento della notizia di reato, la cui acquisizione si è avuto cura che sia di esclusiva pertinenza dell'autorità di polizia, onde evitare che possano verificarsi ingerenze da parte del pubblico ministero. L'istituzione di un apposito registro delle notizie di reato presso gli organi di polizia ne garantisce la annotazione insieme alla indicazione del soggetto cui la notizia è riferita, naturalmente laddove ciò sia possibile fin dall'inizio, con obbligo comunque di annotazione del nominativo allorché

 

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questa esigenza sopravvenga. Eguale annotazione deve riguardare il titolo del reato e le eventuali aggiunte o modificazioni che dovessero sopravvenire rispetto al momento originario. L'iscrizione della notizia di reato nei confronti di una determinata persona comporta anche l'obbligo a carico della stessa polizia di darne comunicazione alla persona indagata nonché alla persona offesa affinché entrambe possano esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Sono previste situazioni varie, principalmente legate alla qualità dei reati per i quali si precede, rispetto alle quali la notificazione in questione non debba avere luogo a beneficio della segretezza delle indagini, in alcuni casi in maniera automatica ed in altri su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari.
      Per rafforzare, infine, l'importanza formale del momento di inizio delle indagini di polizia, si è previsto che la comunicazione della iscrizione della notizia debba essere fatta, entro un brevissimo tempo, anche alla procura della Repubblica di riferimento, alla quale non spetta alcuna competenza nemmeno in punto di controllo sulla osservanza dei termini di indagine, ma ad essa competono, invece, funzioni fondamentali in punto di esercizio dell'azione, e quindi di controllo retrospettivo, a partire dal momento di conclusione delle indagini di polizia.
      Si è provveduto a delineare un procedimento di sollecitazione, da parte della polizia giudiziaria, della proroga dei termini di indagine, provvedimento, come detto, di spettanza del giudice per le indagini preliminari, cercando di precisare che il dies a quo di detto termine debba essere quello di iscrizione a registro della persona cui il reato è attribuito, ma al tempo stesso diminuendo i termini medesimi e non consentendo, comunque, il superamento del termine di un anno, per tutti i reati, e quello di diciotto mesi, per i delitti di cui al comma 2 dell'articolo 407 del codice di procedura penale.
      Come già evidenziato la surrettizia iscrizione in ritardo del nominativo della persona indagata è configurata come reato omissivo, nella duplice forma dolosa o colposa: l'articolo 361-bis del codice penale, prevede, infatti, che, laddove l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria ometta o ritardi la iscrizione del reato di cui sia venuto a conoscenza nel relativo registro, sia punito con la pena fino a quattro anni di reclusione e che la pena sia aumentata se la mancata o ritardata iscrizione riguardi il nome della persona cui il reato sia riferibile. Laddove l'omissione o il ritardo siano commessi per colpa, è prevista la pena fino a un anno.
      La conclusione delle indagini di polizia si segnala, dal punto di vista del risparmio dei tempi, soprattutto di quelli «morti», per l'annullamento di tutti quelli che sono oggi fuori da ogni regolamentazione, essendo ben noto che, attualmente, concluse le indagini, il pubblico ministero non conosce ambiti temporali entro i quali assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, pur essendo incorso nell'inibitoria relativamente al compimento degli atti, a pena di inutilizzabilità.
      La proposta di legge in esame prevede che scatti un brevissimo termine entro il quale la polizia giudiziaria, consumatosi il tempo per il compimento delle indagini, ha l'obbligo di trasmettere ogni cosa al pubblico ministero, momento a partire dal quale hanno inizio le attività strettamente inerenti alle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, anche se si è coltivata la preoccupazione di non disperdere al processo eventuali sopravvenienze: la polizia giudiziaria, infatti, pure dopo la trasmissione degli atti al pubblico ministero, resta in potere di svolgere atti di cui, se ciò accade, farà trasmissione successiva allo stesso pubblico ministero.
      L'importanza della osservanza del termine stabilito per la trasmissione degli atti e del rapporto della polizia giudiziaria al pubblico ministero è sottolineata anche in questo caso dalla previsione di una nuova fattispecie penale: il terzo comma dell'articolo 361-bis del codice penale prevede, infatti, che l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria che ometta o ritardi la trasmissione di atti o del rapporto in questione al pubblico ministero sia punito con la pena
 

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fino a sei anni, contemplando al quarto comma, peraltro, per il fatto colposo la pena fino ad un anno di reclusione.
      Tutti gli atti compiuti nel corso delle indagini di polizia, comprese le risultanze di incidente probatorio, da chiunque esso sia stato sollecitato, sono coperti, secondo la proposta di legge in esame, dal massimo segreto fino alla conclusione dell'udienza di comparizione. Questo rigore fortemente innova sulla attuale disciplina, la quale, come è noto, determina la cessazione della segretezza nel momento della conoscenza degli atti da parte dell'indagato e così sostanzialmente vanificando ogni elementare esigenza di tutela delle indagini e dei diritti delle persone. Il maggiore rigore, peraltro già consigliato da queste carenze, è motivato anche dal fatto che, molto più concretamente rispetto al sistema vigente, la sfera del processo penale ha inizio a partire dall'intervento del pubblico ministero che, come visto, si verifica solo con la trasmissione degli atti da parte della polizia al termine delle investigazioni. Anche a questo riguardo si è ritenuto di ricorrere alla sottolineatura della gravità della violazione facendo capo alla sanzione penale, più precisamente all'aggravamento del relativo regime quando oggetto di violazione del segreto siano atti comunque attinenti alle indagini di polizia, circostanza nella quale la pena, in luogo di quella da sei mesi a tre anni di cui all'attuale primo comma dell'articolo 326 codice penale sarà applicabile, a norma del nuovo articolo 361-ter del codice penale, la reclusione da uno a quattro anni.

      5. La migliore tutela delle libertà costituzionali. Anche a beneficio della migliore comprensione della normativa sulle indagini di polizia, costituenti certamente l'aspetto più caratterizzante della proposta di legge in esame, è opportuno fare convergere l'attenzione sulla nuova disciplina delle possibili limitazioni delle libertà costituzionalmente protette anche, ma non solo, nel corso delle indagini medesime, delle perquisizioni personali e della limitazione della libertà domiciliare attraverso le perquisizioni omologhe, ponendo in luce le ragioni scientifiche e normative dell'intervento giurisdizionale e della compatibilità di ogni cosa con le attività di indagine di polizia. Devono ritenersi qui trasferite le medesime osservazioni in precedenza svolte, giacchè, sotto alcuni profili, mutano le ragioni della nuova disciplina quando si tratta delle altre libertà costituzionalmente protette, quali la libertà personale e la libertà di comunicazione. Sotto il profilo di queste libertà, la differenza riguarda esclusivamente l'organo giurisdizionale preposto alla possibile limitazione ed ulteriori provvidenze suggerite dalla delicatezza dei beni coinvolti.
      È bene, fin da ora, preannunciare, per la assoluta identità di disciplina che si è ritenuto di prescegliere con la proposta di legge in esame, che la problematica si è ritenuto di doverla affrontare anche per gli interventi sulla proprietà dei cittadini. È ben noto che la tutela della proprietà non raggiunge, in Costituzione, lo stesso livello delle libertà inviolabili, ma, pure alla luce delle esperienze giudiziarie che fanno registrare un sacrificio troppo sommario, frequente e spesso eccessivamente sganciato dall'oggetto del processo, è sembrato opportuno intervenire anche in questo settore, prevalentemente, per la verità, per contrastare superficialità giurisprudenziali piuttosto che per tutelare il diritto di proprietà, al quale tuttavia compete una particolare attenzione da parte della nostra Costituzione, nei termini a tutti noti e sui quali non ci si sofferma in questa sede. Di queste libertà e di questi diritti fondamentali ci si è dovuti interessare, con l'occasione apportando modificazioni al relativo regime non strettamente indispensabili ma che comunque si fanno carico delle grandi carenze evidenziatesi in questi anni di applicazione pratica, giacché la centralità acquisita dalle indagini di polizia e la loro esclusività connessa alla estraneazione del ruolo del pubblico ministero reclamano un rafforzamento delle garanzie sostanziali e procedurali, al quale tuttavia ci si sarebbe dovuti ugualmente applicare, per le ragioni poc'anzi indicate.

 

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      Guardando agli aspetti più importanti, viene per primo in rilievo il notevole restringimento dei presupposti oggettivi, sotto un duplice profilo: i reati per i quali la restrizione delle libertà costituzionali di cui qui si tratta può verificarsi, riservando al prosieguo le problematiche inerenti alla coercizione reale; le condizioni oggettive in cui queste libertà, rispetto a tali reati, possono essere sacrificate.
      Dal primo profilo, la limitazione della libertà personale con custodia in carcere e quella della libertà di comunicazione risultano praticabili per i soli delitti che siano puniti nel massimo con pena non inferiore a dieci anni di reclusione, con la conseguenza che, quanto alla libertà personale, resteranno possibili tutte le altre restrizioni quando la pena edittale sarà inferiore, mentre, quanto alle intercettazioni di comunicazione, molte sono le situazioni, dai delitti contro la pubblica amministrazione a quelli in materia di sostanze stupefacenti, per le quali la misura sarà ugualmente praticabile. Peraltro, altre fattispecie, come il contrabbando, l'ingiuria, la minaccia semplice e l'abusiva attività finanziaria, mostrano una valenza, dal punto di vista della oggettività giuridica, non capace di fare cedere una libertà costituzionale come quella di comunicazione.
      Quanto ai presupposti concreti è sempre risultato inspiegabile, nonostante le acrobazie della giurisprudenza e di una dottrina non proprio illuminata, per quale ragione la pena detentiva come conseguenza di una condanna definitiva debba discendere dalla presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, a norma del comma 2 dell'articolo 192 del codice di procedura penale, mentre per l'esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare debbano essere sufficienti indizi solo gravi, pur se equivoci e non concordanti. Non è possibile, per elementare argomento logico, che la misura cautelare possa essere imposta in situazioni più numerose rispetto a quelle che determinano l'intervento penale definitivo. Per questa essenziale ragione, si è ritenuto di modificare l'articolo 273, comma 1, del codice di procedura penale, prevedendo che, appunto, la limitazione della libertà personale esiga sempre come presupposto, gravità, precisione e concordanza degli indizi.
      La stessa soluzione si è adottata in materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, anche in considerazione del forte semplicismo e della rilevante superficialità cui la magistratura attende alla imposizione della limitazione della libertà di comunicazione, inviolabile, per Costituzione, quanto la libertà personale.
      Una ulteriore delimitazione razionalizzante rispetto alla attuale situazione si è ottenuta prevedendo che libertà personale e di comunicazione possano essere limitate solo quando la gravità, precisione e concordanza degli indizi riguardano non già la reità bensì anche la colpevolezza e cioè, come è noto, non solo la materialità dei fatti, ma anche la attribuibilità ad un determinato soggetto.
      Quanto, invece, alle sole intercettazioni di comunicazioni, si è ritenuto di intervenire su altri, specifici ma non meno importanti aspetti, ai quali è legato l'abusivismo che ha colpito questo delicato settore. Un primo aspetto è quello, oggi per nulla disciplinato, delle intercettazioni a carico di persone estranee all'inchiesta. Ferma restando la esigenza dei gravi, precisi e concordanti indizi a carico di un indagato, la proposta di legge prevede che in tanto sarà possibile procedere anche nei confronti dell'estraneo, in quanto sussistano specifiche circostanze di fatto che colleghino la persona all'indagine e che emergano come indispensabili per l'approfondimento, quando non per l'emersione, di circostanze utili alla ricostruzione dei fatti.
      Rilevanti, inoltre, le innovazioni in tema di proroga delle intercettazioni, prevedendosi, nella riforma in esame, che non possa essere autorizzata più di una proroga per un periodo non superiore ai quindici giorni, salvo che si tratti dei delitti di cui al comma 2 dell'articolo 407 del codice di procedura penale. Non solo, ma la ragione della proroga non dovrà risiedere, come è oggi, nella persistenza delle condizioni originarie che dettero
 

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luogo all'autorizzazione dell'intercettazione, ma nella emersione di ragioni di approfondimento di circostanze di fatto risultanti dalla intercettazione per ultima espletata e necessarie per la ricostruzione dei fatti.
      Da ultimo, si è intervenuti sulla disciplina della trascrizione delle intercettazioni, condizione essenziale per l'utilizzabilità dei relativi risultati e all'origine, nell'attuale regime, della pubblicizzazione dei contenuti delle comunicazioni, a cagione della non previsione di termini rigorosi perché dalle audizioni recate dai «brogliacci» si trascorra nel testo definitivamente trascritto, operazione nell'ambito della quale si verifica la distruzione delle comunicazioni non pertinenti all'inchiesta. Ebbene, esattamente come accaduto per gli aspetti fin qui esaminati in materia di intercettazione di persone estranee alle indagini e di proroga, anche con riferimento alla osservanza dei termini di trascrizione si è prevista, per il caso negativo, la sanzione dell'inutilizzabilità, capace di essere il deterrente più sicuro a garanzia della legalità delle operazioni in esame.
      Anche riguardo alle intercettazioni va, in ultimo, sottolineato che, rispetto al pericolo, purtroppo sempre più frequente, di pubblicazione dei contenuti delle comunicazioni coinvolgenti anche oggetti delle stesse estranei all'inchiesta e riguardanti persone non coinvolte, si è ritenuto di intervenire sul codice penale, introducendo l'articolo 326-bis, per prevedere aggravamenti di pena quando si tratti, appunto, di atti pubblici integrati da comunicazioni intercettate, di violazioni del segreto da parte di magistrati o di avvocati, di comunicazioni concernenti persone estranee, appunto, o non riguardanti la inchiesta.
      La innovazione sicuramente più penetrante, soprattutto per il vantaggio che ne deriva, sotto molteplici profili, per l'attuazione della ragionevole durata dei processi, riguarda la individuazione dell'organo al quale è affidato, tra quelli giurisdizionali ovviamente, il potere di limitazione delle libertà costituzionalmente protette di cui si sta trattando. Anche a questo riguardo, la proposta di legge in esame ha inteso mettere sullo stesso piano le libertà personali e le libertà di comunicazione. Per entrambe, soprattutto, ripetesi, in correlazione con la individuazione della polizia giudiziaria come organo proponente, ma non solo, non appare francamente più tollerabile l'accentramento di un potere tanto importante da essere qualificato come inviolabile dalla Costituzione, non senza dimenticare abusi ed aggressioni inconcepibili della prassi, in un organo monocratico come il giudice per le indagini preliminari, a nulla rilevando che si provveda attraverso l'intervento di un organo collegiale, come il tribunale della libertà, dovendo avere massima preoccupazione per il danno irreparabile che può provocarsi e spesso si provoca a chi incappi nell'emanazione di provvedimenti illegali od eccessivi rispetto alle esigenze di indagine. Ragioni, queste, sulle quali, peraltro, non sembra doversi insistere, stante la notorietà delle patologie che sempre più frequentemente interessano l'esercizio del potere limitativo della libertà personale, che inducono definitivamente al salto di qualità imponendo l'intervento di un organo collegiale in prima battuta, rispetto cioè, al momento in cui si formula richiesta di limitazione della libertà personale, non già soltanto, come è oggi, in funzione di controllo sull'operato del giudice per le indagini preliminari. Rispetto alle possibili alternative tra le quali quella di attribuire il potere in questione ad un giudice per le indagini preliminari in composizione collegiale, non poche difficoltà applicative nonché la considerazione per una felice tradizione che ormai accompagna la operatività dei tribunali della libertà hanno fatto optare per la persistenza dell'attuale situazione, individuando quindi quest'organo con quello destinatario del potere.
      Non è sembrato opportuno prevedere, al di là delle note situazioni introduttive di arresto in flagranza e di fermo, situazioni di urgenza nelle quali derogare alla competenza del tribunale della libertà a favore del giudice per le indagini preliminari. Si
 

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è esclusa questa eventualità, nel presupposto che il tribunale della libertà dovrà essere, non in difformità sostanziale da quanto accade oggi, un organismo capace di operare permanentemente, previa individuazione di circoscrizioni specifiche per esso, e al quale non potrà essere attribuita, come anche si vorrebbe da qualche riforma in corso, una competenza distrettuale, troppo distante dalle varie località.
      L'innovazione, insuscettibile di alcuna critica, reca con sé altra utilissima implicazione, come si osserva, dal lato dei tempi processuali che, risparmiati nell'ambito di una procedura incidentale, producono benéfici effetti sull'andamento di quelli generalmente rilevanti per l'intero processo. La collegialità della decisione sulla libertà personale, per di più calibrata su una gravità indiziaria sostenuta anche dalla precisione e della concordanza degli elementi, costituisce garanzia adeguata affinché si possa prescindere da un secondo grado di giurisdizione di merito, ragione per la quale, per la proposta di legge in esame, è stato agevole prevedere la sola ricorribilità per cassazione del provvedimento, una esclusiva impugnazione prevedibile e prevista anche per i provvedimenti di sostituzione e di revoca delle limitazioni in questione, sempre di pertinenza dello stesso organo collegiale, pure dovendosi puntualizzare che la stessa prevede un ampliamento generale del ricorso per cassazione anche alla illogicità, alla contraddittorietà della motivazione nonché al travisamento del fatto, a parziale recupero della assenza di un secondo grado di merito, peraltro nell'ambito della previsione costituzionale dell'articolo 111. Pur nella consapevolezza della forte novità, la proposta di legge in esame estende questo stesso regime alle decisioni in materia di intercettazioni telefoniche o ambientali. Non vi sono ragioni rilevanti per contrastare la previsione di una decisione collegiale per l'autorizzazione o per la proroga di intercettazioni, mentre a suo favore sta la storia degli abusi di cui questi anni dell'entrata in vigore del codice del 1989 si sono fatti carico di dare dimostrazione, e la scelta comunque costituisce un rafforzamento della garanzia per questa libertà inviolabile, rispetto alla quale la Costituzione evidenzia maggiore rigore persino rispetto alla libertà personale, visto che questa ultima è limitabile in situazioni di eccezionalità anche da parte delle Forze di polizia in maniera autonoma, mentre la intercettazione di comunicazioni è autorizzabile solo dalla magistratura. Si aggiungono a queste ragioni, politicamente da apprezzare, quelle già in precedenza indicate, in considerazione della naturale collocazione della pratica delle intercettazioni durante indagini condotte dalla polizia, non più dal pubblico ministero.
      La modificazione più incisiva, quella di sottoporre i provvedimenti di intercettazione al controllo della Corte di cassazione, attraverso la esperibilità del ricorso, è, anzitutto, suggerita dall'esperienza che annovera tra i dati da evidenziare frequenti dichiarazioni di inutilizzabilità delle intercettazioni, soprattutto per carenza di motivazione dei relativi decreti nonché in quelli dispositivi di proroga. A ciò si aggiunga che spesso, attraverso il transito del procedimento a giudizi abbreviati o a patteggiamenti, risultano destinati a diversi dati probatori pieni i contenuti nei «brogliacci» di annotazioni degli ascolti e, pur non potendosi dimenticare che giudizio abbreviato e patteggiamento sono oggetto di scelta dell'imputato, dal punto di vista della legalità non può, per questo, essere trascurata la eventualità, percentualmente pari a quanto accade quando si agisce con le procedure ordinarie, di violazioni che risultano invece, oggi, definitivamente sotterrate. La garanzia del ricorso per cassazione vale a dotare il sistema di un controllo immediato sulla sussistenza dei presupposti di legge per il sacrificio della libertà di comunicazione ed inoltre costituisce strumento di determinazione subitanea della validità o invalidità delle intercettazioni, spesso unico strumento probatorio, consentendo così che i processi non si svuotino di significato accusatorio nelle sedi successive per effetto di declaratorie di inutilizzabilità e che, in caso di accertamento di essa da
 

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parte della Corte di cassazione nel corso persino delle indagini di polizia, l'accertamento penale prenda direzioni diverse e si avvalga di mezzi di prova ulteriori. Quanto alle modalità di proposizione del ricorso, non potevano sussistere alternative alla determinazione del dies a quo per la decorrenza del relativo termine, avendo come riferimento la conclusione degli ascolti di cui la proposta di legge prevede che sia data comunicazione ai soggetti interessati, facendosi, peraltro, carico della eventualità che esigenze di segretezza possono consigliare il tribunale ad autorizzare il ritardo della comunicazione stessa, procrastinandosi così anche i tempi di proponibilità del ricorso.

      6. L'udienza di comparizione. Insieme alla esclusivizzazione del potere di investigazione-indagine in capo alle Forze di polizia, la introduzione dell'udienza di comparizione come baricentro del processo di primo grado costituisce l'aspetto più qualificante nella presente proposta di legge, la ragione, anzi, della sua formulazione e dalla quale dipende l'essenza dell'attuazione del principio della ragionevole durata dei processi. È bene, però, soggiungere che una simile efficacia non si sarebbe potuta riconnettere all'udienza di comparizione, se non si fossero create le basi con la nuova disciplina delle indagini.
      Una prima, particolare attenzione deve essere dedicata al meccanismo di transito delle indagini di polizia al processo. Già si è detto del recupero dei tempi morti racchiuso nella previsione di un brevissimo termine concesso alla polizia giudiziaria per la trasmissione degli atti al pubblico ministero, termine la cui inosservanza risulta attinta anche da sanzione penale. Eguale scelta è stata effettuata con riferimento a quanto di pertinenza del titolare dell'azione penale rispetto alle incombenze ulteriori. Due sono le alternative.
      Il pubblico ministero può decidere di non esercitare l'azione penale e si tratta di una valutazione rispetto alla quale non dispone di alcun potere integrativo di indagine. Si tratta, quindi, di una analisi dei risultati conseguiti dalla polizia giudiziaria ed è quindi perfettamente spiegabile la previsione della proposta di legge in esame di un brevissimo termine per formulare la sua richiesta di archiviazione. La quale richiesta conserva il medesimo regime attuale sia per quel che riguarda la decisione relativa di pertinenza del giudice per le indagini preliminari sia per la disciplina della trattazione conseguente ad eventuale opposizione.
      Laddove, per contro, il pubblico ministero riscontri gli estremi che lo obbligano all'esercizio dell'azione penale, il brevissimo termine varrà, questa volta, per la richiesta dell'udienza di comparizione. Questo meccanismo annulla un altro importante tempo morto del processo attuale, esattamente quello intercorrente tra la conclusione delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio quale strumento sollecitatore dell'attuale udienza preliminare. Se a ciò si aggiunge che tempi brevissimi sono previsti anche per la fissazione dell'udienza di comparizione, pur trattandosi di tempi oggi non particolarmente aggravati, tuttavia si accrescono i vantaggi sotto il profilo del risparmio temporale.
      La richiesta dell'udienza di comparizione integra, dal punto di vista anche teorico, l'atto di esercizio dell'azione penale, come risulta chiaramente anche dalla sua alternatività rispetto alla richiesta di archiviazione, sotto questo profilo senza sensibili novità rispetto a quanto oggi si rileva comunemente per la richiesta di rinvio a giudizio. Ed a proposito, ancora, di tempi che questo complessivo meccanismo consente di recuperare, è il caso di notare come la proposta di legge superi lo schema dell'avviso di conclusione delle indagini di cui all'attuale articolo 415-bis del codice di procedura penale. Ma il punto merita qualche precisione.
      Questo dato, infatti, perché non appaia un regresso rispetto all'attuale sistema, deve essere adeguatamente coordinato con quanto in precedenza evidenziato, per cui l'inizio delle indagini di polizia è segnato dalla comunicazione obbligatoria alla persona sottoposta alle indagini ed alla persona offesa, pure con la possibilità di

 

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ritardi imposti dalle esigenze di segretezza. In secondo luogo, ma in stretta correlazione con tale ultimo dato, nel corso delle indagini di polizia vi sono tutti gli spazi possibili per l'intervento anche con dichiarazioni spontanee nonché con interrogatori, soprattutto considerando che continua ad appartenere al nostro sistema il potere di indagine difensiva per l'indagato e la persona offesa ed anzi esso risulta rafforzato dalla possibilità di ottenere l'esecuzione di intercettazioni telefoniche e di perquisizioni. Da ultimo, va rilevato che la conclusione delle indagini di polizia, con riferimento al momento della trasmissione degli atti al pubblico ministero, è caratterizzata non solo dalla informativa anche all'indagato e alla persona offesa, ma anche dall'obbligo di nominare un difensore d'ufficio non esclusivamente a beneficio del primo bensì, con forte cifra innovativa, anche della seconda.
      Dall'angolo visuale che ha ispirato la proposta di legge in esame, della attuazione della ragionevole durata dei processi, il meccanismo fin qui descritto si traduce nella celebrazione dell'udienza di comparizione nei quaranta giorni dalla conclusione delle indagini di polizia, anche se non può non cogliersi l'occasione per evidenziare che al forte raccorciamento dei tempi si accomuna un'immagine del processo penale di assoluta apertura e di rispetto delle garanzie di tutti, dell'indagato e delle vittime dei reati: lo svolgimento dell'udienza di comparizione come sede delle più importanti valutazioni, evitando il chiuso per anni nelle stanze dei pubblici ministeri o dei giudici per le indagini preliminari, è un risultato altamente apprezzabile anche dal lato della democratizzazione di un sistema processuale.
      L'udienza di comparizione non è l'udienza preliminare, la quale è abolita dalla proposta di legge in esame, anche se, forse, procedendo ad una comparazione con il prototipo di origine anglosassone da cui l'udienza preliminare fu tratta per essere, però, poi maturata, l'udienza di comparizione oggetto della presente proposta di legge mostra con essa maggiore somiglianza.
      È certo che l'udienza di comparizione non è il passaggio inveramente formale di oggi, perciò divenuto non solo inutile ma fonte di lungaggini temporali assolutamente ingiustificate. Le possibili evoluzioni lo dimostrano.
      Nulla di nuovo, peraltro, sotto il profilo di una possibile sentenza di non doversi precedere né sotto quello del rinvio a giudizio dinanzi al giudice monocratico o collegiale, anche se occorre tenere presente l'intervento che la proposta di legge in esame ha inteso esercitare sulle regole di competenza, non solo perché si sono rivelate non garantiste quelle attuali per i troppi poteri attribuiti ai giudici monocratici, ma anche in relazione al regime della conclusione dell'udienza di comparizione di cui sarà detto in seguito.
      Forti, penetranti ed incisive sono le innovazioni in materia probatoria per due diversi casi. Il primo è rappresentato dalla pratica dell'incidente probatorio, esperibile non solo in indagini di polizia ma anche in tutti i momenti in cui si snoda dall'udienza di comparizione. Il secondo si incentra sull'attribuzione, ex ufficio o su richiesta di parte, al giudice per le indagini preliminari, non interessato da alcun problema di incompatibilità per la tramigrazione del potere di limitazione delle libertà al relativo tribunale e per l'inerenza dei suoi interventi su mere indagini di polizia, di ogni potere probatorio, senza limitazione di mezzi, nella osservanza delle regole previste per la formazione delle prove in dibattimento. Quest'ampiezza di poteri probatori ha l'obiettivo di creare una consistenza che è base per la scelta di soluzioni alternative allo svolgimento del processo, tanto più praticabile quanto più si conoscano i risultati probatori dai quali potrebbe emergere una soluzione anche scontata del processo: si anticipa qui, infatti, che il materiale probatorio che dovesse formarsi davanti al giudice dell'udienza preliminare è caratterizzato da piena utilizzazione dibattimentale, a cagione del fatto che esso è stato assunto
 

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nella osservanza, come detto, delle regole acquisitive del giudizio.
      Giudizio abbreviato e patteggiamento costituiscono oggetto di scelta fino all'ultimo momento dell'udienza preliminare, proprio al fine di consentire l'espletamento di tutte quelle prove il cui esito può incidere sulle scelte. C'è, però, un'altra precisazione da fare con riferimento al giudizio abbreviato. Con la proposta di legge in esame si è inteso correggere un'altra anomalia dell'attuale sistema, da più parti lamentata ma mai presa nella dovuta considerazione. Non è adeguato né razionale consentire che per i processi riguardanti reati di competenza della corte di assise un organo monocratico ne possa prendere il posto, a nulla rilevando che il giudizio sia abbreviato o meno. Per la verità, la questione riguarda i reati di competenza del giudice collegiale, tant'è che si era originariamente pensato ad una composizione collegiale del giudice dell'udienza di comparizione, magari per i soli reati di competenza di un collegio, ma le complicazioni indotte da questa scelta hanno fatto ritenere indispensabile risolvere il problema più grave, qual è la composizione popolare della corte di assise. Alla luce di tutto ciò, la soluzione prescelta dovrebbe contemperare tutte le esigenze.
      Ribadito che la scelta del giudizio abbreviato può avvenire anche un momento prima dell'avvio della conclusione dell'udienza di comparizione, quindi dopo l'espletamento di tutte le prove di cui si è detto in precedenza, si è ritenuto che il rinvio a giudizio dinanzi alla corte di assise non debba pregiudicare la celebrazione di un giudizio abbreviato dinanzi ad essa. Non è dubbio che potrà risultare compatibile questa celebrazione con l'espletamento di mezzi di prova che ne dovessero costituire la condizione ma le prove già raccolte dinanzi al giudice dell'udienza di comparizione dovrebbero aver agito nel senso della scelta a favore del giudizio abbreviato ed infrenare formazioni probatorie dinanzi alla corte. Laddove, invece, si tratti di reati di competenza del giudice monocratico, diversi da quelli implicanti citazione diretta, ovvero altro giudice collegiale, l'acquisizione probatoria secondo le regole attuali potrà aver luogo, ma, ancora una volta, le prove in precedenza raccolte dovrebbero rendere eccezionale questa eventualità.

      7. Interventi sul dibattimento. La fase del dibattimento è interessata da una sola innovazione, ma capace di dimezzare i relativi tempi. Come già rilevato, un malinteso intorno al sistema accusatorio, con particolare riferimento al principio di oralità e pubblicità nella formazione della prova in contraddittorio tra le parti ed in contestualità di intervento giurisdizionale, ha fatto sì che, per un verso, una prova pure formatasi in contraddittorio ma non con le forme della pubblicità, si ritenesse non in linea con quel sistema e, per un altro verso, che non potesse darsi formazione probatoria in dibattimento che non seguisse il prototipo del contraddittorio, fino a fare postulare reiterazione di procedimenti probatori senza plausibile ragione sostanziale.
      L'esperienza dibattimentale scaturita dal codice del 1989 ha mostrato l'articolarsi della fase in inutili passaggi probatori, spesso capaci di rasentare il ridicolo. Ci si riferisce, in particolare, a tutti gli accertamenti espletati dalle Forze di polizia, ovviamente diversi dalle acquisizioni di dichiarazioni di persone informate sui fatti o di indagati, che si risolvono in consultazione di atti per farne oggetto di ripetizione orale. Una pratica non solo inutile, come detto, ma anche assai costosa, se si considera che essa occupa molta parte delle attività dibattimentali.
      La proposta di legge in esame opta per la integralità di lettura di tutti gli atti di polizia di cui si tratta, facendosi, peraltro, carico di eventualità di approfondimenti o di riscontri, rispetto alle quali il giudice di ufficio ovvero le parti ritengano che l'organo di polizia debba ugualmente essere sottoposto ad esame. Accanto a questa provvidenza, la proposta di legge, valutata la assoluta compatibilità con le regole del processo accusatorio dal punto di vista della sostanza, dispone che tutti i materiali

 

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formati in contraddittorio, attraverso incidente probatorio ovvero dinanzi al giudice dell'udienza di comparizione, debbano essere oggetto esclusivamente di lettura, senza possibilità quindi di alcuna rinnovazione, con salvezza di situazioni assolutamente eccezionali come quelle in precedenza indicate per gli atti della polizia giudiziaria.

      8. Le impugnazioni. Sarebbe interessante accertare l'entità del tempo che intercorre tra l'emanazione di una sentenza di primo e di secondo grado e, rispettivamente, la celebrazione del giudizio d'appello e di cassazione. L'eliminazione di questi tempi morti, con molta probabilità, risolverebbe la maggior parte dei problemi che si frappongono all'attuazione di una ragionevole durata dei processi. Queste gravissime anomalie hanno indotto molto spesso alla formulazione di critiche pressanti rispetto al sistema delle impugnazioni e, non potendosi nulla fare rispetto al ricorso per cassazione integrante garanzia costituzionale, si è più volte propugnata l'abolizione del giudizio d'appello non interessato da imposizione proveniente dalla nostra Carta fondamentale. Deve, anzi, soggiungersi che questa contrarietà alle impugnazioni ha prodotto qualche risultato determinando, ad esempio, una rivisitazione del procedimento di cassazione restringendone fortemente l'ambito, con grave pregiudizio per la giustizia sostanziale, come è dimostrato dal sempre più frequente ricorso all'istituto della revisione, fonte, spesso, della protrazione di ingiustizie per l'eccezionalità del rimedio, di cui la prassi si incarica di fare uguale applicazione.
      Questo percorso, da cui deriva una caduta verticale delle garanzie sia per l'accusa che per la difesa, deve essere arrestato e comunque non può continuare ad essere sostenuto dall'alibi dei tempi infiniti, effettivamente rispondente al vero, dei gradi di giurisdizione.
      Per queste ragioni, la proposta di legge in esame si fa carico di questi complessi problemi, eliminando in radice molta parte delle ragioni di questi tempi infiniti, introducendo meccanismi di trattazione a due velocità, a seconda dell'oggetto delle impugnazioni.
      Si è così previsto che quando l'appello e il ricorso per cassazione sono fondati su motivi diversi dall'accertamento sulla responsabilità o sull'innocenza dell'imputato, essi risultino assoggettati ad una trattazione in camera di consiglio senza la partecipazione di difesa ed accusa, entro ristretti termini dalla rappresentazione scritta delle effettive ragioni e con previsione di tempi rigorosi della celaborazione della stessa camera di consiglio, la cui osservanza appare fortemente garantita dalla semplificazione delle forme, a tutela del rispetto delle ragioni delle parti e ad evitare che la non concreta e fisica partecipazione alla camera di consiglio possa tradursi in una soppressione di garanzie e di sacrificio per l'accertamento della verità. La proposta di legge in esame prevede altresì che le questioni prospettate debbano essere esaminate e risolte a pena di nullità e che rispetto a quelle prospettate in appello, il relativo mancato esame si traduca in motivo di annullamento della sentenza da parte della Corte di cassazione, mentre il medesimo errore commesso dalla Cassazione si tradurrà in motivo di riesame ai sensi dell'articolo 625-bis del codice procedura penale.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
INDAGINI DI POLIZIA GIUDIZIARIA

Art. 1.

      1. Il comma 3 dell'articolo 55 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «3. Le funzioni indicate nel comma 1 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria».

      2. Il comma 1 dell'articolo 328 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. Salvo che sia diversamente disposto, nei casi previsti dalla legge, sulle richieste della polizia giudiziaria, delle parti private e della persona offesa del reato, provvede il giudice per le indagini preliminari».

      3. L'articolo 329 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 329. - (Obbligo del segreto). - 1. Gli atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino alla conclusione dell'udienza di comparizione».

      4. L'articolo 330 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 330. - (Acquisizione delle notizie di reato). - 1. La polizia giudiziaria prende notizia dei reati di propria iniziativa. Riceve altresì le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti».

 

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Art. 2.

      1. L'articolo 347 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 347. - (Obbligo di riferire la notizia di reato). - 1. La polizia dà comunicazione al pubblico ministero del giorno e dell'ora in cui ha acquisito la notizia di reato indicando gli elementi essenziali del fatto e tutti quelli fino ad allora acquisiti e, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quant'altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
      2. La polizia giudiziaria, terminate le indagini, entro quindici giorni, trasmette al pubblico ministero un rapporto scritto. La comunicazione relativa a tale trasmissione è data all'indagato e alla persona offesa i quali nominano, ove ne siano privi, un difensore di fiducia.
      3. Con il rapporto di cui al comma 2, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia di reato, le generalità complete dell'indagato, della persona offesa ove identificata, l'enunciazione del fatto in forma chiara e precisa, l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati e trasmette tutti gli atti e i provvedimenti adottati durante l'attività investigativa svolta».

Art. 3.

      1. L'articolo 348 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 348. - (Assicurazione delle fonti di prova). - 1. Anche dopo la spedizione del rapporto, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nel comma 1 dell'articolo 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole.

 

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      2. La polizia giudiziaria procede, fra l'altro:

          a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi;

          b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti;

          c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti.

      3. La polizia giudiziaria, quando compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la loro opera».

Art. 4.

      1. Al comma 11 dell'articolo 391-bis del codice di procedura penale le parole: «, in alternativa all'audizione di cui al comma 10,» sono soppresse.
      2. All'articolo 391-septies del codice di procedura penale dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

      «3-bis. Il difensore può chiedere al giudice per le indagini preliminari di autorizzare l'esecuzione di intercettazione telefonica o ambientale nei casi previsti dagli articoli 266 e seguenti, nei casi previsti dalla legge e con l'osservanza di tutte le disposizioni contenute nel titolo III, capo IV».

Art. 5.

      1. L'alinea del comma 1 dell'articolo 392 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. Nel corso dell'indagine e nella udienza di comparizione la polizia giudiziaria, il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio:».

 

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      2. L'alinea del comma 1 dell'articolo 393 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. La richiesta è presentata entro i termini per la conclusione delle indagini e comunque per l'udienza di comparizione e indica:».

      3. All'articolo 394 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, le parole: «può chiedere al pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «può chiedere alla polizia giudiziaria»;

          b) al comma 2, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria».

Art. 6.

      1. L'articolo 405 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 405. - (Forme e termini dell'azione penale). - 1. Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con la richiesta di fissazione dell'udienza di comparizione.
      2. Le indagini preliminari sono concluse entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a).
      3. Concluse le indagini di polizia, gli atti sono immediatamente, e comunque non oltre il termine di dieci giorni, trasmessi al pubblico ministero per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale».

 

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      2. All'articolo 407 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, le parole: «diciotto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «un anno»;

          b) al comma 2, alinea, le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «diciotto mesi».

Capo II
TUTELA DELLE LIBERTÀ E DEI DIRITTI COSTITUZIONALMENTE RILEVANTI

Art. 7.

      1. All'articolo 266, comma 1, del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) alla lettera a), le parole: «superiore nel massimo a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore nel massimo a dieci anni»;

          b) la lettera e) è abrogata;

          c) alla lettera f), le parole: «di ingiuria, minaccia, abusiva attività finanziaria,» sono soppresse.

Art. 8.

      1. Il comma 1 dell'articolo 267 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. La polizia giudiziaria richiede al tribunale della libertà l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato, a pena di inutilizzabilità, quando vi sono indizi gravi, precisi e concordanti di colpevolezza e l'intercettazione sia, in base a concrete e precise circostanze, assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione di indagini riguardanti determinati ed obiettivi elementi la cui acquisizione

 

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sia essenziale per la ricostruzione dei fatti».

      2. Il comma 1-bis dell'articolo 267 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1-bis. Quando l'intercettazione riguarda persone non indagate, devono, a pena di inutilizzabilità, essere indicate nel decreto le ragioni specifiche che impongono il pregiudizio per la libertà di comunicazione e la utilità di esse per lo sviluppo delle indagini».

      3. Il comma 3 dell'articolo 267 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «3. Il decreto del giudice che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per un solo periodo successivo non superiore a quindici giorni, esclusivamente, a pena di inutilizzabilità, nel caso in cui le risultanze dell'intercettazione eseguita dimostrino la necessità assoluta di ulteriori approfondimenti. Tale limitazione temporale non si applica quando si procede per i reati di cui al comma 2 dell'articolo 407».

      4. Il comma 5 dell'articolo 267 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «5. In apposito registro conservato dalla polizia giudiziaria sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine dell'operazione».

      5. Dopo il comma 5 dell'articolo 267 del codice di procedura penale, è aggiunto il seguente:

      «5-bis. Contro il decreto che autorizza le intercettazioni può essere proposto ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione della conclusione delle operazioni di ascolto. Tale comunicazione,

 

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a cura della polizia giudiziaria, deve essere effettuata non oltre cinque giorni da tale conclusione, salvo che il tribunale ritenga che sussistano ragioni connesse allo sviluppo delle indagini per ritardare tale informativa».

Art. 9.

      1. Il comma 3 dell'articolo 268 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati dalla procura della Repubblica e devono essere effettuate esclusivamente da personale civile dipendente dal Ministero della giustizia».

      2. Dopo il comma 7 dell'articolo 268 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

      «7-bis. Le disposizioni relative ai termini indicati nei commi 6 e 7 devono essere osservate a pena di inutilizzabilità».

Art. 10.

      1. Al comma 1 dell'articolo 273 del codice di procedura penale, le parole: «gravi indizi» sono sostituite dalle seguenti: «indizi gravi, precisi e concordanti».
      2. Al comma 1-bis dell'articolo 273 del codice di procedura penale, dopo le parole: «articoli 192, commi» è inserita la seguente: «2,».

Art. 11.

      1. L'articolo 279 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 279. - (Tribunale competente). - 1. Sull'applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulla modifica delle loro modalità di esecuzione, provvede, in ogni stato e grado, il tribunale della libertà.

 

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Contro l'ordinanza può essere proposto ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione, con atto da depositare nella cancelleria del giudice che lo ha emesso, salvo che il ricorso sia proposto fuori sede».

Art. 12.

      1. Al comma 2 dell'articolo 280 del codice di procedura penale, le parole: «non inferiore nel massimo a quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a dieci anni, salvo che si proceda per uno dei reati di cui al comma 2 dell'articolo 407 per i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni».

Art. 13.

      1. Al comma 3, secondo periodo, dell'articolo 299 del codice di procedura penale, le parole: «Il giudice provvede anche di ufficio quando» sono sostituite dalle seguenti: «Il tribunale della libertà può essere richiesto di tali provvedimenti, anche d'ufficio, dal giudice che procede, quando questi».

Art. 14.

      1. All'articolo 316, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, prima delle parole: «Se vi è fondata ragione di ritenere» sono premesse le seguenti: «Quando sussistono indizi gravi, precisi e concordanti di colpevolezza,».

Art. 15.

      1. L'articolo 318 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 318. - (Ricorso contro l'ordinanza di sequestro conservativo). - 1. Contro

 

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l'ordinanza di sequestro conservativo chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento.
      2. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento».

Art. 16.

      1. All'articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale, dopo la parola: «Quando» sono inserite le seguenti: «sussistono indizi gravi, precisi e concordanti e», e dopo le parole: «a richiesta» sono inserite le seguenti: «della polizia giudiziaria o».
      2. Il comma 3 dell'articolo 321 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta della polizia giudiziaria, del pubblico ministero o dell'interessato quando risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Sulla richiesta provvede il tribunale della libertà».

Art. 17.

      1. L'articolo 322 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 322. - (Ricorso contro il decreto di sequestro preventivo o di revoca). - 1. Contro i decreti di sequestro o di revoca emessi dal tribunale della libertà può essere proposto ricorso per cassazione, a seconda del rispettivo interesse, dall'imputato, dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate, da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, dal pubblico ministero. Il ricorso deve essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento».

 

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Capo III
UDIENZA DI COMPARIZIONE

Art. 18.

      1. L'articolo 416 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 416. - (Presentazione della richiesta del pubblico ministero). - 1. Ricevuto il rapporto della polizia giudiziaria, il pubblico ministero, se non deve richiedere l'archiviazione, entro trenta giorni invia la richiesta di fissazione dell'udienza di comparizione al giudice per le indagini preliminari, nominando un difensore d'ufficio all'indagato e alla persona offesa che ne siano privi.
      2. Almeno cinque giorni prima della data di svolgimento dell'udienza, il difensore della persona sottoposta alle indagini e quello della persona offesa possono presentare nella cancelleria del giudice le risultanze delle investigazioni difensive eventualmente svolte».

Art. 19.

      1. La lettera d) del comma 1 dell'articolo 417 del codice di procedura penale è sostituita dalla seguente:

          «d) la domanda al giudice di fissazione dell'udienza di comparizione;».

Art. 20.

      1. Il comma 1 dell'articolo 419 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. Il giudice fa notificare all'imputato e alla persona offesa, della quale risultino agli atti l'identità e il domicilio, l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza, con la fissazione dell'udienza di comparizione».

 

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Art. 21.

      1. Al comma 2 dell'articolo 420 del codice di procedura penale, le parole: «delle parti» sono sostituite dalle seguenti: «dei soggetti la cui partecipazione è necessaria o comunque prevista».
      2. Al comma 4 dell'articolo 420 del codice di procedura penale, la parola: «preliminare» è soppressa.

Art. 22.

      1. L'articolo 421 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 421. - (Discussione). - 1. Conclusi gli accertamenti relativi alla regolarità di avvisi e comunicazioni, il giudice dichiara aperta la discussione.
      2. Prima che sia aperta la discussione, il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere l'applicazione di pena concordata. In questo caso l'udienza prosegue con l'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 447.
      3. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini di polizia giudiziaria e gli elementi di prova che giustificano la mancata richiesta di archiviazione. La persona sottoposta alle indagini può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposta ad interrogatorio, per il quale si applicano le forme degli articoli 498 e 499. Prendono poi la parola, nell'ordine, i difensori della persona offesa e della persona sottoposta alle indagini, che espongono le loro difese. Il pubblico ministero e i difensori possono replicare una sola volta.
      4. Il pubblico ministero e i difensori formulano ed illustrano le rispettive conclusioni utilizzando gli atti di investigazione trasmessi al giudice dal pubblico ministero e dai difensori e gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione.
      5. Se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione».

 

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Art. 23.

      1. L'articolo 422 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 422. - (Attività di assunzione delle prove del giudice). - 1. Quando appare evidente la necessità in ordine alla decisione, il giudice dispone anche d'ufficio l'assunzione dei relativi elementi di prova.
      2. Il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'articolo 210 di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio.
      3. L'assunzione degli elementi di prova avviene nel rispetto delle disposizioni previste dalla disciplina per l'assunzione della prova dibattimentale. Successivamente, il pubblico ministero e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni.
      4. In ogni caso l'imputato può chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio che è reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499».

Art. 24.

      1. L'articolo 424 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 424. - (Provvedimenti del giudice). - 1. Subito dopo la dichiarazione di chiusura della discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non doversi procedere ovvero decreto con il quale dispone il rinvio a giudizio.
      2. Il giudice dà immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione alle parti presenti.
      3. Il provvedimento è immediatamente depositato in cancelleria. Le parti hanno diritto di ottenerne copia.

 

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      4. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata della motivazione della sentenza di non doversi procedere, il giudice provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia, disponendo per la notificazione o comunicazione agli interessati».

Art. 25.

      1. Il comma 1 dell'articolo 438 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. L'imputato può chiedere che il processo sia definito all'udienza di comparizione allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo nonché di cui all'articolo 441».

      2. Il comma 5 dell'articolo 438 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «5. L'imputato, ferma restando l'inutilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati al comma 1-bis dell'articolo 442 può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione. In tale caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria, ferma restando l'applicabilità dell'articolo 423».

Art. 26.

      1. Il comma 4 dell'articolo 441-bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «4. Se l'imputato chiede che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, il giudice revoca l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza di comparizione o la sua eventuale prosecuzione. Gli atti compiuti a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5, hanno la stessa efficacia

 

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degli atti compiuti in applicazione dell'articolo 422. La richiesta di giudizio abbreviato non può essere riproposta. Si applicano le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 303».

Art. 27.

      1. Il comma 2 dell'articolo 511 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «2. Salvo che risulti assolutamente indispensabile per la decisione, è sempre data lettura dei verbali relativi ai mezzi di ricerca della prova redatti dalla polizia giudiziaria, agli incidenti probatori, alle prove formate nell'ambito dell'udienza di comparizione nonché di ogni altro atto contenuto nel fascicolo del dibattimento».

Capo IV
SNELLIMENTO DEL DIBATTIMENTO
E DELLE IMPUGNAZIONI

Art. 28.

      1. Il comma 1 dell'articolo 599 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. Quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze, o l'applicabilità di circostanze, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena, della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, l'applicabilità di misure di sicurezza, ed ogni altra questione che non riguardi la responsabilità o l'innocenza dell'imputato, la corte, in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, giudica sui motivi, sulla richiesta del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti, senza l'intervento dei difensori».

 

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      2. Il comma 2 dell'articolo 599 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «2. Fino a quindici giorni prima dell'udienza tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di repliche. In tali casi la corte fissa l'udienza entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti».

Art. 29.

      1. Il comma 2 dell'articolo 601 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «2. Quando si procede in camera di consiglio a norma dell'articolo 599 l'avviso di fissazione è notificato alle parti e ai difensori almeno venti giorni prima».

Art. 30.

      1. Al comma 1 dell'articolo 603 del codice di procedura penale, le parole: «se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti,» sono soppresse.
      2. Al comma 3 dell'articolo 603 del codice di procedura penale, le parole: «se il giudice la ritiene assolutamente necessaria» sono sostituite dalle seguenti: «quando risulti utile per la decisione».

Art. 31.

      1. La lettera e) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale è sostituita dalla seguente:

          «e) mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione, nonché travisamento del fatto».

 

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      2. Dopo la lettera e) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale è aggiunta la seguente:

          «e-bis) omesso esame di questioni decisive quando si è proceduto a norma dell'articolo 599».

Art. 32.

      1. Dopo il comma 1 dell'articolo 611 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

      «1-bis. Nello stesso modo la corte procede quando i motivi di ricorso riguardano i punti di cui al comma 1 dell'articolo 599».

Art. 33.

      1. Dopo l'articolo 625-bis del codice di procedura penale è inserito il seguente:

      «Art. 625-ter. - (Richiesta di nuova trattazione). - 1. È ammessa a favore del condannato richiesta di nuova trattazione quando dal provvedimento della Corte di cassazione risulta che non sono stati esaminati i motivi riguardanti questioni decisive, allorché si sia proceduto a norma del comma 1-bis dell'articolo 611».

Capo V
COMPETENZA

Art. 34.

      1. Alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 5 del codice di procedura penale, le parole: «non inferiore nel massimo a ventiquattro anni», sono sostituite dalle seguenti: «superiore nel massimo a dieci anni».

 

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Art. 35.

      1. Al comma 2 dell'articolo 33-bis del codice di procedura penale, le parole: «superiore nel massimo a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore nel massimo a dieci anni».
      2. Il comma 1 dell'articolo 33-ter del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «1. Sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni nonché i delitti di ricettazione e furto anche se tentati».

Capo VI
DISPOSIZIONI PENALI

Art. 36.

      1. Dopo l'articolo 326 del codice penale è inserito il seguente:

      «Art. 326-bis. (Rivelazione del contenuto di intercettazioni di comunicazioni). Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio, o comunque abusando delle sue qualità, rivela il contenuto di comunicazioni oggetto di intercettazione telefonica o ambientale che deve rimanere segreto o ne agevola comunque la conoscenza, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
      Si applica la pena della reclusione da due a sei anni, se i fatti previsti dal primo comma sono commessi da un magistrato o da un avvocato.
      Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate se il contenuto delle comunicazioni divulgate riguarda persone estranee al procedimento.
      Se i fatti di cui al presente articolo sono commessi per colpa, sono puniti con la pena della reclusione fino a due anni».

 

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Art. 37.

      1. Dopo l'articolo 361 del codice penale sono inseriti i seguenti:

      «Art. 361-bis. (Omissione di comunicazioni riguardanti le indagini di polizia giudiziaria). L'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria che omette l'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
      La pena è aumentata se l'omissione riguarda il nominativo della persona indagata.
      L'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria che omette di trasmettere nel termine previsto dalla legge gli atti al pubblico ministero dopo la conclusione delle indagini è punito con la reclusione da due a sei anni.
      Se i fatti di cui al presente articolo sono commessi per colpa, si applica la pena fino a un anno.

      Art. 361-ter. (Violazione del segreto di indagine). L'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria che riveli il contenuto di atti di indagine di polizia giudiziaria è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
      Se il fatto è commesso per colpa si applica la reclusione fino a un anno».

Capo VII
DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO

Art. 38.

      1. Gli articoli 52, comma 2, 59, 267, comma 4, 268, commi 4 e 5, 309, 310, 311, 321, commi 3-bis e 3-ter, 322-bis, 324, 325 e 335, commi 1 e 3-bis, il titolo V del libro V, e gli articoli 384, commi 2 e 3, 386, comma 6, 391-bis, comma 10, 407, comma 3, 415-bis, 419, commi 5 e 6, e 421-bis del codice di procedura penale sono abrogati.

 

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      2. Al codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 267, comma 2, al primo periodo, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria» e al terzo periodo, le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria»;

          b) all'articolo 291, comma 2-bis, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria»;

          c) all'articolo 292, comma 1, le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria»;

          d) all'articolo 293, al comma 1, le parole: «al pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «alla polizia giudiziaria» e al comma 3 le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria»;

          e) all'articolo 331, al comma 2, le parole: «al pubblico ministero o» sono soppresse e, al comma 4, le parole: «al pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «alla polizia giudiziaria»;

          f) all'articolo 333, comma 2, le parole: «al pubblico ministero o» sono soppresse;

          g) all'articolo 334, comma 1, le parole: «al pubblico ministero o» sono soppresse;

          h) all'articolo 335, comma 1, le parole: «Il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «La polizia giudiziaria»;

          i) all'articolo 384, comma 1, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria»;

          l) all'articolo 393, al comma 2-bis, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria» e, al comma 4, le parole: «Il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «La polizia giudiziaria»;

 

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          m) all'articolo 406, al comma 1, le parole: «Il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «La polizia giudiziaria»; al comma 2, le parole: «dal pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «dalla polizia giudiziaria»; ai commi 4 e 7, le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria»; ai commi 5 e 5-bis, le parole: «al pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «alla polizia giudiziaria»; al comma 6, le parole: «il pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «la polizia giudiziaria»;

          n) all'articolo 407, comma 2, lettera d), le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria».

      3. Al codice di procedura penale, agli articoli 352, 353, 354 e 391-quinquies, nella rubrica e ai commi 1 e 2, le parole: «pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «giudice per le indagini preliminari».
      4. Al codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 291, comma 1, le parole: «del pubblico ministero» sono sostituite dalle seguenti: «della polizia giudiziaria» e le parole: «giudice competente» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale della libertà»;

          b) all'articolo 299, commi 3, primo periodo, e 3-bis, la parola: «giudice» è sostituita dalle seguenti: «tribunale della libertà»;

          c) all'articolo 317, al comma 1, le parole: «giudice che procede» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale della libertà, anche quando è stata pronunciata sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, soggetta a impugnazione»; il comma 2 è abrogato;

          d) all'articolo 321, al comma 1, le parole: «giudice competente a pronunciarsi nel merito» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale della libertà» e l'ultimo periodo è abrogato; ai commi 2

 

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e 2-bis, la parola: «giudice» è sostituita dalla seguente: «tribunale della libertà».

      5. La rubrica del titolo IX del libro V del codice di procedura penale è sostituita dalla seguente: «Udienza di comparizione».


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