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PDL 6022

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6022



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BENVENUTO, LETTIERI, PISTONE, AGOSTINI, CENNAMO,
CRISCI, FLUVI, GRANDI, NANNICINI, NICOLA ROSSI, TOLOTTI

Disposizioni per la salvaguardia del potere d'acquisto dei trattamenti pensionistici e per l'abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro autonomo e pensioni

Presentata il 25 luglio 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge scaturisce dalla necessità di intervenire su un fenomeno che è percepito dalla collettività in maniera sempre più diffusa, ovvero quello della perdita progressiva di potere d'acquisto delle pensioni.
      I trattamenti pensionistici vengono rivalutati, secondo il sistema attuale, in base a criteri di indicizzazione che prevedono l'applicazione di aliquote decrescenti a fasce d'importo pensionistico crescenti.
      Più in dettaglio, oggi l'indicizzazione viene applicata al 100 per cento fino a 1.236 euro circa, al 90 per cento per importi compresi tra 1.236 euro e 2.060 euro circa, e al 75 per cento oltre 2.060 euro.
      Questo progressivo décalage penalizza progressivamente i redditi non solo «alti» ma anche «medi», come ad esempio quelli dei dirigenti e dei quadri, danneggiando e impoverendo ampi segmenti di popolazione.
      Il meccanismo di rivalutazione delle pensioni fino al 1992 era invece legato anche alla dinamica salariale e quindi prevedeva una forma di indicizzazione certamente più adeguata alle esigenze di vita dei pensionati, anche se con un meccanismo imperfetto che non sempre aveva arrecato effettivi benefìci ai pensionati.
      Il Governo Amato, con la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, aveva previsto l'emanazione di uno o più decreti legislativi per il riordino del sistema previdenziale «salvaguardando i diritti quesiti» (articolo 3) in base ad una serie di criteri, tra i quali quello dell'applicazione della perequazione delle pensioni dei lavoratori dipendenti e degli autonomi per salvaguardare il loro potere d'acquisto, anche attraverso
 

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l'agganciamento alla dinamica delle retribuzioni.
      In attuazione di tale legge delega fu quindi emanato il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che ha introdotto l'indicizzazione una volta l'anno anziché due e ha sganciato la rivalutazione dalla dinamica retributiva.
      È noto che da allora in poi non è stato ottemperato all'obbligo previsto dalla legge delega di salvaguardare il potere d'acquisto degli importi pensionistici con l'aggancio alle retribuzioni. Potremmo dire a tale proposito che ci troviamo di fronte ad un «difetto di delega», anziché, come spesso accade, ad un eccesso di delega. Tale scelta, non casuale, è dovuta al fatto che si è calcolato che dal risparmio complessivo di spesa pensionistica che si dovrebbe realizzare intorno al 2030 (quando si raggiungerà il picco della spesa pensionistica), pari a 7 punti del prodotto interno lordo, ben 5 punti saranno dovuti proprio alla soppressione dell'aggancio delle pensioni alla dinamica salariale.
      In altre parole, allora come oggi, viene addossata sulla categoria dei pensionati una parte dell'onere del risanamento del bilancio pubblico. La categoria dei pensionati risulta così penalizzata innanzitutto perché non ha significativo potere contrattuale, in secondo luogo perché è indifferenziata riguardo al livello di reddito e infine perché è una categoria di massa, che negli anni tende a crescere. Qualsiasi intervento pubblico, per quanto sia improntato al rigore finanziario, se riguarda l'universo dei pensionati sposta una quantità ingente di risorse.
      Inoltre, mentre tra i lavoratori in servizio si può operare una distinzione tra pubblico e privato, e nell'ambito dell'uno e dell'altro vi sono trattative sindacali differenziate a livello settoriale o di comparto, i pensionati non hanno alcuna identità settoriale.
      È per questo che le pensioni hanno accumulato 13 anni di erosione.
      Ma a quanto ammonta tale erosione? Diversi studi sono stati compiuti per calcolare l'andamento, in termini monetari e reali, dei trattamenti pensionistici negli ultimi dieci-quindici anni.
      Va in primo luogo notato che in tutti questi studi sono stati utilizzati tassi di inflazione ufficiali, ma la reale perdita del potere d'acquisto è piuttosto soggettiva. In base a quella che viene denominata «inflazione percepita», ciascun cittadino sa quanto ha perso realmente negli ultimi dieci anni. L'altra considerazione riguarda l'andamento inflazionistico degli ultimi dieci anni, che si è mantenuto piuttosto basso rispetto agli anni '80, nei quali il tasso era decisamente più elevato. Ovviamente, più è basso il tasso di inflazione e minore è la perdita dovuta alla svalutazione.
      Tutte le ricerche hanno dimostrato chiaramente che si è determinato nel decennio un impoverimento progressivo di circa il 6 per cento per le pensioni dei ceti medi, che risultano penalizzate soprattutto rispetto alla rivalutazione intervenuta nelle retribuzioni del personale in servizio.
      Vi è infatti una divaricazione importante, che si accresce di anno in anno, tra il reddito del lavoratore in servizio e quello del pensionato.
      Essa risulta più grave per i dirigenti, se si pensa che la categoria è quella che maggiormente soffre della fuoriuscita prematura dal mondo produttivo. Con motivazioni varie, la carriera del dirigente si conclude spesso anzitempo, intorno ai 50-55 anni, finora accompagnata dalla pensione di anzianità che ha rappresentato un surrogato di ammortizzatore sociale per la categoria.
      Sono molte migliaia i dirigenti che sono stati costretti a «beneficiare» della pensione di anzianità ancora giovani, con delle prestazioni anche relativamente basse, e che dopo 15-20 anni versano in un grave disagio economico.
      È palese che se si va in quiescienza a quella età, nel giro di pochi decenni si vedrà pesantemente erosa la propria pensione.
      Si tratta di un problema sociale di non poca rilevanza: i dirigenti e i quadri, che spesso vengono allontanati anticipatamente dal lavoro, vedono progressivamente
 

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perdere il potere d'acquisto dei loro redditi e possono cumulare solo parzialmente con altri redditi.
      Tale impoverimento progressivo potrebbe essere in parte compensato se venisse almeno abolito il divieto di cumulo: questa misura non solo darebbe la possibilità al lavoratore di integrare il reddito, ma consentirebbe anche l'emersione di lavoro nero. In realtà la legge di riforma delle pensioni (legge 23 agosto 2004, n. 243) ne ha previsto tra le deleghe l'abolizione graduale, ma non sono ancora state emanate disposizioni attuative.
      L'unico segnale di apertura è giunto nel luglio 2004, quando è stato accolto un ordine del giorno che impegnava il Governo a intervenire per salvaguardare i trattamenti pensionistici dall'inflazione. Ma da allora tutti i tentativi effettuati dal Parlamento per fare rispettare quell'ordine del giorno sono rimasti lettera morta, per il solito problema delle differenti priorità nella destinazione delle risorse finanziarie.
      È pur vero che la normativa attuale comporta una forma di penalizzazione più attenuata rispetto a quella in vigore negli anni dal 1998 al 2001, allorquando i ceti medi si batterono per ottenere una rimodulazione del sistema e ottennero l'attuale meccanismo, che, tuttavia, appare sempre più inadatto in quanto deprime progressivamente il valore degli importi pensionistici.
      Un potere d'acquisto decrescente negli anni comporta una sempre minore propensione al consumo per le famiglie con redditi da pensione e pertanto penalizza in modo crescente l'intera economia del Paese.
      Per risolvere il problema della contrazione dei consumi, si utilizza generalmente la strada della leva fiscale, riducendone la pressione. Noi riteniamo invece che una strada percorribile per il rilancio dei consumi sia quella di rivalutare i trattamenti pensionistici in misura adeguata di anno in anno.
      Non va dimenticato che i ceti medi partecipano in misura preponderante alle entrate dello Stato, in ragione della loro capacità contributiva, come richiede l'articolo 53 della Costituzione. Il nostro sistema tributario è informato a criteri di progressività, così che i lavoratori dipendenti ad alta qualificazione, come i dirigenti e i quadri, per tutta la vita contribuiscono in maniera sostanziosa a garantire alla collettività i servizi pubblici di cui necessita, e continuano a contribuire anche quando vanno in quiescenza.
      L'articolo 53 è infatti un'espressione di quei «doveri inderogabili di solidarietà», di cui all'articolo 2 della stessa Costituzione, e risulta strettamente collegato anche al principio di uguaglianza sostanziale (articolo 3, secondo comma, della Costituzione), poiché il prelievo fiscale è uno strumento essenziale per le politiche volte a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» consentendo «l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
      Grazie alle imposte lo Stato garantisce servizi essenziali ai cittadini e il mantenimento dello Stato sociale.
      Tuttavia il sistema tributario italiano versa oggi in condizioni deteriori, con un'altissima evasione fiscale; è un sistema che colpisce soprattutto i redditi da lavoro subordinato, lasciando indenni le grandi rendite finanziarie. Quelli che contribuiscono più pesantemente al mantenimento del Welfare sono sempre i «soliti noti», coloro che non possono sfuggire al fisco, perché il loro reddito viene tassato alla fonte. Da queste categorie la solidarietà, che sia voluta o coatta, comunque viene sempre assicurata; ma, per coloro che evadono, il concetto di solidarietà non vale.
      Invece il criterio della solidarietà è un presidio di civiltà; quel che si chiede è di poter almeno conservare una capacità di spesa costante nel tempo mantenendo stabile il valore della pensione, come del resto viene riconosciuto altrove in Europa.
      Il contratto sociale, che è improntato alla solidarietà tra le generazioni, non prevede che la generazione in pensione veda progressivamente svalutata la sua principale se non unica fonte di reddito proprio nel momento in cui si accrescono
 

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i suoi bisogni sul piano sanitario e sociale, e dopo avere versato ingenti somme per la contribuzione.
      In molti Paesi europei (Francia, Regno Unito, Germania, Svezia, Spagna) si registra l'adeguamento pieno annuale all'indice dei prezzi al consumo. In Germania e in Svezia il trattamento pensionistico è agganciato alla dinamica retributiva; addirittura in Svezia viene corrisposta una pensione di base che non è legata alla vita lavorativa, ma semplicemente alla residenza; se si ha diritto anche a quest'ultima la pensione di base viene progressivamente ridotta oltrepassando una certa soglia. È noto che i sistemi di Welfare nel Nord Europa sono molto più avanzati e garantisti dei nostri, eppure la contribuzione in quei Paesi è meno elevata che in Italia.
      La presente proposta di legge contiene misure dirette al recupero del potere d'acquisto delle pensioni e al superamento del divieto di cumulo.
      I commi 1 e 2 dell'articolo 1 introducono, a decorrere dal 1o gennaio 2006, la rivalutazione al 100 per cento dei trattamenti pensionistici.
      Si è calcolato che la differenza annua di spesa tra l'indicizzazione parziale attualmente prevista dall'ordinamento e l'indicizzazione piena è pari a quasi 100 milioni di euro all'anno. È una cifra cospicua ma non irraggiungibile, ed è un meccanismo che tutti i sistemi di Welfare in Europa garantiscono.
      Beneficierebbero del differenziale circa 3 milioni e mezzo di pensionati su 18 milioni circa.
      Il comma 3 stabilisce l'utilizzazione, per il calcolo dell'indicizzazione delle pensioni, dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività, intervenendo sull'articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992.
      Oggi viene utilizzato a tale scopo l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, che, per la verità, non appare congruo per il calcolo del volume delle spese per consumi dei pensionati perché si riferisce alle spese sostenute dalle famiglie la cui persona di riferimento è un lavoratore dipendente (esclusi i dirigenti). Molto più corretto, ai fini del calcolo dell'indicizzazione delle pensioni, è l'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività, che è poco più alto rispetto al primo.
      Il comma 4 dispone la totale abolizione del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro autonomo.
      Negli ultimi anni il legislatore - anche a seguito delle forti pressioni esercitate dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti (in particolare da quelle dei dirigenti) - ha già emanato una serie di disposizioni che hanno attenuato tale divieto. In particolare la legge finanziaria 2001 (legge n. 388 del 2000) e la legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002) hanno particolarmente esteso il regime di cumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e dipendente e pensioni.
      Permangono tuttavia delle disparità di trattamento, nell'attuale assetto normativo, che vanno superate.
      La citata legge delega di riforma del sistema previdenziale (legge n. 243 del 2004) ha previsto l'ampliamento progressivo della possibilità di cumulare, ma non è stata ancora attuata.
      Al comma 5 viene indicata la copertura finanziaria necessaria per la restituzione del 100 per cento del costo della vita ai trattamenti pensionistici e per l'applicazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per l'intera collettività in luogo di quello dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, che attualmente viene impiegato per il calcolo della rivalutazione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. A decorrere dal 1o gennaio 2006, ai trattamenti pensionistici dei lavoratori dipendenti privati viene corrisposto il recupero integrale dell'inflazione secondo le modalità di cui al comma 2.
      2. L'indice di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici si applica, in base al meccanismo di cui all'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nella misura del 100 per cento.
      3. All'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, le parole: «il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati» sono sostituite dalle seguenti: «il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per l'intera collettività».
      4. A decorrere dal 1o gennaio 2006, i redditi derivanti da pensione di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti privati sono cumulabili con i redditi derivanti da lavoro autonomo.
      5. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari complessivamente a 110 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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