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PDL 5912

XIV LEGISLATURA


CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5912



 

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DISEGNO DI LEGGE

presentato dal ministro degli affari esteri
(FINI)

di concerto con il ministro dell'interno
(PISANU)

con il ministro della giustizia
(CASTELLI)

e con il ministro dell'economia e delle finanze
(SINISCALCO)

Ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, emendante il sistema di controllo della Convenzione, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004

Presentato il 9 giugno 2005


      

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Onorevoli Deputati! - La Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), firmata a Roma, il 4 novembre 1950 sotto l'egida del Consiglio d'Europa, nell'enunciare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, ha disposto un originale sistema di tutela internazionale di tali diritti, introducendo il ricorso individuale davanti agli appositi organi di giurisdizione internazionale ed offrendo così ai singoli soggetti la facoltà di invocare il controllo giudiziario sul rispetto dei loro diritti. La Convenzione, successivamente ratificata da tutti gli Stati membri dell'Unione europea, per l'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, aveva istituito come organi di controllo, insediati a Strasburgo:

          una Commissione, incaricata di istruire le istanze presentate da persone fisiche o da Stati membri;

          la Corte europea dei diritti dell'uomo, che poteva essere adita dalla Commissione, anche su istanza del ricorrente, o dallo Stato membro convenuto, previo rapporto della Commissione stessa;

 

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          il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, al quale era stato assegnato il ruolo di «custode» della Convenzione. Il Comitato si pronunciava, facendo proprio il rapporto della Commissione, nel merito delle controversie sulle violazioni della CEDU che non venivano rimesse alla cognizione della Corte e, in ogni caso, sorvegliava l'esatta esecuzione della sentenza o della decisione da parte dello Stato interessato, in caso di constatazione di violazione della Convenzione.

      La CEDU è stata da allora più volte emendata, sotto il duplice profilo dei diritti sostanziali e della relativa tutela giudiziaria. In particolare, con l'adozione del Protocollo n. 11 ratificato dall'Italia, con legge 28 agosto 1997, n. 296, la Commissione è stata soppressa e sostituita, il 1o novembre 1998, da un'unica Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale giudica ormai tutti i ricorsi, presentati direttamente dinanzi ad essa; la competenza del Comitato dei Ministri a pronunciarsi sul merito delle controversie è così venuta meno, ferma restando, invece, quella relativa al controllo dell'esecuzione. Questa riforma ha così conferito alla possibilità di ricorrere alla Corte contro le asserite violazioni dei diritti fondamentali, commesse dagli Stati membri, la dignità di vero e proprio diritto soggettivo perfetto.
      La semplificazione delle strutture e della procedura avrebbe dovuto consentire di abbreviare la durata dei procedimenti e di accentuare la natura giurisdizionale del sistema.
      Nonostante le modifiche apportate dal Protocollo n. 11, però, il problema del carico eccessivo di lavoro sia per la Corte che per il Comitato dei Ministri in sede di controllo dell'esecuzione, è tuttora preoccupante, ed anzi si è andato aggravando, anche in ragione dell'accresciuto numero di Paesi che hanno aderito negli ultimi anni al sistema della Convenzione. Esso si riscontra in particolare in due aree: quella riguardante l'esame dei numerosi ricorsi individuali che si concludono senza una decisione di merito, poiché il più delle volte (90 per cento) dichiarati inammissibili d'ufficio dalla Corte (perché manifestamente infondati o per altre ragioni processuali) e quella dei ricorsi individuali che, invece, derivando dalla stessa causa strutturale di ricorsi precedenti che hanno condotto ad un giudizio di violazione della Convenzione, appaiono «manifestamente fondati» (si tratta dei casi ripetitivi, o cosiddetti casi «clone»).
      Tale situazione ha comportato l'esigenza di studiare misure concrete e coerenti (tra le quali la riforma dello stesso sistema di controllo) onde preservare il sistema in futuro. Allo stesso tempo, la riforma cui si è pervenuti ha puntato a non ledere in alcun modo quelle che vengono considerate le caratteristiche principali ed uniche della Convenzione, ovvero il carattere giuridico della supervisione europea ed il principio del diritto di ricorso individuale, per cui ogni persona che afferma di essere vittima di una violazione della Convenzione possa sottoporre la questione alla Corte.
      Il Protocollo in esame, rispondendo a tale esigenza, non apporta modifiche fondamentali al sistema di controllo da essa istituito; i cambiamenti introdotti, infatti, si riferiscono al funzionamento, piuttosto che alla struttura del sistema. L'obiettivo principale è quello di migliorare tale funzionamento, in modo da fornire alla Corte i mezzi procedurali e la flessibilità necessaria per esaminare tutti ricorsi in modo opportuno, permettendole di concentrarsi sui casi di maggiore rilievo, che richiedono un'analisi più approfondita. A tale fine, gli emendamenti apportati alla Convenzione investono tre particolari ambiti:

          il rafforzamento della capacità di filtraggio della Corte rispetto alla mole di ricorsi non meritevoli;

          un nuovo criterio di ammissibilità riguardo ai casi in cui il ricorrente non ha subìto un danno significativo, criterio che conterrà, inoltre, due clausole di salvaguardia;

          l'individuazione di misure per la gestione dei casi ripetitivi.

      L'insieme di questi elementi di riforma è atto a ridurre il tempo dedicato dalla

 

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Corte a ricorsi chiaramente non ammissibili o ripetitivi, per consentirle di dedicare maggiore attenzione a casi che sollevano importanti quesiti in materia di diritti umani. La capacità di filtraggio viene aumentata investendo ogni singolo giudice della competenza di dichiarare inammissibile un ricorso individuale. I giudici saranno assistiti da «rapporteurs» (relatori).
      La misura di carattere sostanziale che modifica maggiormente l'attuale assetto della Convenzione è rappresentata dalla nuova formulazione dell'articolo 35, paragrafo 3, che introduce un nuovo criterio di irricevibilità del ricorso, applicabile a tutti i casi in cui il ricorrente non abbia subìto alcun importante pregiudizio, salvo che il rispetto dei diritti dell'uomo, garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, esiga un esame del merito del ricorso e a condizione che, per tale motivo, non sia rigettato alcun affare non debitamente esaminato da un tribunale interno.

      La formula è stata adottata al termine di una lunga démarche negoziale, caratterizzata, da un lato, dalla presenza di uno schieramento di Paesi «garantisti» (sostanzialmente contrari a qualsivoglia modifica dell'articolo 35 attualmente in vigore) e, dall'altro, di proposte innovative tendenti a ridurre l'eccessivo numero di ricorsi, ma con il rischio di ledere la sfera di giustiziabilità sostanziale dei diritti protetti dal sistema.
      Da parte italiana si è compiuta la scelta strategica di favorire comunque il consenso su un'ipotesi di riforma, sia pure con il minor sacrificio dello status attuale e limitando al massimo eventuali rischi di arbitrarietà interpretativa.
      La formula finale adottata non è priva di elementi compromissori, che dovranno essere chiariti ad opera della giurisprudenza della Corte. Almeno in fase di prima applicazione, l'accresciuto potere interpretativo nella ponderazione delle circostanze potrebbe in astratto incidere sul versante della certezza del diritto del ricorrente. Va detto, d'altra parte, che il paragrafo 3 dell'articolo 35 vigente già prevede alcune cause di irricevibilità (incompatibilità con la Convenzione, manifesta infondatezza, abusività) che, per la loro genericità, necessitano di un'opera interpretativa maggiormente discrezionale rispetto ad altri criteri apparentemente più determinati (termine di sei mesi dalla decisione interna definitiva, esaurimento delle vie di ricorso interno).
      Pare inoltre opportuno fare richiamo alla ratio legis che ha a suo tempo ispirato l'istituzione del ricorso individuale che è quella di istituto a carattere eccezionale a garanzia delle violazioni più gravi della Convenzione, senza perciò rappresentare un estremo grado del giudizio nazionale. La regola del sistema di Strasburgo avrebbe, infatti, dovuto essere il ricorso interstatale, invero nella prassi raramente utilizzato. Anche in base al principio di sussidiarietà, è all'interno del sistema giudiziario nazionale che i diritti fondamentali devono trovare ordinarie garanzie di salvaguardia. La Corte europea, infatti, per esigenze oggettive di funzionalità, dovrà sempre più concentrarsi nella fissazione di grandi princìpi e sempre di meno nella risoluzione di singoli casi, specialmente se ripetitivi o non gravi.
      Tra le clausole di salvaguardia approvate dopo intenso dibattito e sulle quali da parte italiana erano state avanzate perplessità, figura l'accertamento che l'istanza fosse già stata compiutamente esaminata dalle autorità nazionali.
      Altra innovazione significativa è rappresentata dalla facoltà attribuita al Comitato dei Ministri di avviare una procedura davanti alla Corte avverso uno Stato contraente che non adempia gli obblighi derivanti dalle sentenze di condanna da essa pronunciate nei suoi confronti, nonché di richiederle l'interpretazione di una sentenza.
      Le altre innovazioni procedurali di maggiore rilievo consistono nell'aver incoraggiato, ad ogni stadio del procedimento, i regolamenti amichevoli e nell'aver esteso la possibilità per la Corte di decidere con un unico provvedimento tanto la ricevibilità, quanto il merito dei ricorsi (ipotesi oggi eccezionale e che diverrà, invece, la procedura ordinaria).
 

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      La riforma dei meccanismi presuppone una conferma ed un'accentuazione della responsabilità primaria degli Stati membri, già affermata dagli articoli 1, 13, 35 e 46 della Convenzione, sia nel curare la compatibilità della propria legislazione e delle proprie prassi applicative nazionali con i princìpi convenzionali (articolo 1), sia nel fornire al proprio interno adeguata tutela anche giudiziaria alle libertà ed ai diritti fondamentali (articoli 13 e 35), sia, infine, nell'ottemperare puntualmente all'esecuzione delle sentenze della Corte (articolo 46).
      L'insieme delle disposizioni adottate con il Protocollo n. 14, frutto di un compromesso lungamente dibattuto tra diverse posizioni negoziali e mirante in particolare ad alleggerire il carico di lavoro della Corte di Strasburgo senza intaccare il principio del ricorso individuale, potrà apportare una prima, parziale soluzione alla problematica indicata. È peraltro da rilevare che l'Italia, da cui si riversa annualmente sulla Corte un imponente carico di ricorsi, è tenuta ad impegnarsi a fondo per assicurare la buona riuscita della riforma così avviata. Va soggiunto che, ai sensi dell'articolo 19 ed in ragione della natura stessa del funzionamento di un sistema giurisdizionale internazionale, il Protocollo in parola entrerà in vigore soltanto a condizione ed allorquando tutti gli Stati parte alla Convenzione avranno proceduto alla sua ratifica (attualmente, aprile 2005, solo 7 Stati dei 34 che hanno firmato il Protocollo lo hanno anche ratificato: Armenia, Danimarca, Georgia, Irlanda, Malta, Norvegia e Regno Unito).
      È stata, infine, più volte ventilata l'idea di un'adesione dell'Unione europea alla Convenzione, ma in un parere del 28 marzo 1996, la Corte di giustizia delle Comunità europee aveva stabilito che la Comunità non poteva aderire a tale Convenzione poiché il trattato CE non prevede alcuna competenza delle istituzioni comunitarie per emanare norme o concludere accordi internazionali in materia di diritti dell'uomo. Dal momento che al tempo della stesura del Protocollo n. 14 l'Unione europea mancava delle competenze necessarie per dare inizio ai negoziati di adesione alla Convenzione, non è stato possibile introdurre all'interno del Protocollo le modifiche in tale senso. L'articolo 17 prevede, dunque, che i provvedimenti atti a consentire l'accesso dell'Unione europea vengano approvati attraverso una seconda procedura di ratifica.

Analisi dell'articolato.

      L'articolo 1 del Protocollo sopprime il secondo paragrafo dell'articolo 22 della Convenzione, riguardante l'elezione dei giudici. Esso non sarà più necessario, date le modifiche apportate all'articolo 23; infatti, non ci saranno più «vacanze casuali» nel senso che ogni giudice sarà eletto alla Corte per un singolo periodo di nove anni, incluso il caso in cui il suo predecessore non abbia portato a termine il periodo totale.
      L'articolo 2 emenda l'articolo 23 della Convenzione, riguardante il periodo di permanenza in carica ed il congedo dei giudici:

          il mandato dei giudici è stato incrementato a nove anni, eliminando tuttavia la possibilità di rielezione. Queste modifiche sono intese a rafforzare l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici e ad ottenere nel tempo un regolare rinnovo nella composizione della Corte;

          il periodo di permanenza in carica dei giudici terminerà una volta raggiunti i 70 anni di età;

          i giudici dovranno rimanere in carica finché non saranno sostituiti; tuttavia essi continueranno a trattare i casi già loro assegnati;

          infine, nessun giudice potrà essere destituito dal proprio incarico, se non nel caso in cui gli altri giudici decidano con una maggioranza dei due terzi che egli abbia cessato di adempiere alle condizioni richieste.

      L'articolo 3 sopprime l'articolo 24 della Convenzione.

 

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      L'articolo 4 modifica l'articolo 25 della Convenzione, che assumerà il numero 24, relativamente alla Cancelleria ed ai «rapporteurs» (relatori). L'articolo è stato emendato in duplice modo. Innanzitutto, è stata cancellata la frase concernente i referendari (segretari legali), figure istituite dal Protocollo n. 11, poiché esse non hanno mai avuto una propria esistenza indipendente dalla Cancelleria. In secondo luogo, è stato aggiunto un nuovo secondo paragrafo che introduce la funzione del giurista relatore («rapporteur») come mezzo per assistere la nuova «formazione a giudice unico» sancita dall'articolo 27 emendato. I relatori agiranno sotto l'autorità del Presidente della Corte e formeranno parte della Cancelleria. Secondo il rapporto esplicativo, sarà la Corte a dover determinarne il numero ed i termini di impiego, tenendo presente la necessità di diversificare i canali di reclutamento dei relatori medesimi e dei giuristi della Cancelleria. La funzione di relatore dovrà essere conferita a persone con una solida formazione ed esperienza teorico-pratica sia del funzionamento del sistema giuridico nazionale sia in materia di Convenzione.
      L'articolo 5 aggiunge un nuovo paragrafo f all'articolo 25 della Convenzione (in precedenza articolo 26) riguardante l'Assemblea plenaria in modo da riflettere la nuova funzione attribuita dal Protocollo a quest'ultima. Il paragrafo f rimanda al paragrafo 2 dell'articolo 26 (già 27), in cui si attribuisce alla Corte la facoltà di richiedere al Comitato dei Ministri di ridurre a cinque il numero di giudici nelle singole Sezioni.
      L'articolo 6 emenda l'articolo 27 della Convenzione, il quale diviene articolo 26. Al paragrafo 1 del nuovo articolo viene introdotta la formazione a giudice unico nella lista delle formazioni giudiziali della Corte. Un nuovo paragrafo 2 introduce maggiore flessibilità per quanto riguarda la dimensione delle Sezioni della Corte; viene tuttavia proibita la costituzione di un sistema di Sezioni di dimensioni diverse che si occupino simultaneamente di casi differenti.
      In un nuovo paragrafo 3 viene inserita la regola per cui un giudice non dovrà tenere udienza, come giudice unico, nei casi concernenti la parte contraente rispetto alla quale egli è stato eletto.
      Il nuovo sistema istituito dal Protocollo mira a fornire un'assistenza adeguata ai giudici, in modo da condurre all'aumento della capacità di filtraggio della Corte in seguito alla riduzione del numero degli attori coinvolti nella preparazione e nell'adozione di decisioni, alla moltiplicazione delle formazioni di filtraggio operanti simultaneamente ed, infine, al fatto che il giudice è stato sollevato dal suo ruolo di rapporteur quando tiene udienza in formazione a giudice unico.
      Infine, il paragrafo 2 del vecchio articolo 27, divenuto paragrafo 4, è stato emendato per determinare le condizioni di nuovo sistema di nomina dei giudici ad hoc. A questo proposito, ogni parte contraente dovrà stilare una lista di giudici «di riserva» dalla quale il Presidente della Corte dovrà attingere nel momento in cui sorga la necessità di nominare un giudice ad hoc per impedimento del giudice eletto.
      L'articolo 7 determina, in un nuovo articolo 27, le competenze del giudice unico, specificando che esse si limitano a decidere l'inammissibilità o la radiazione di un caso dal ruolo, nell'eventualità che si possa prendere tale decisione senza ulteriore esame del caso. Si ricorda inoltre che i giudici singoli verranno assistiti da rapporteurs, ma che la decisione finale spetta unicamente al giudice. In caso di dubbio sull'ammissibilità, il giudice riporterà l'istanza ad un comitato o alla Sezione.
      L'articolo 8 del Protocollo emenda l'articolo 28 della Convenzione, concernente le competenza dei comitati. I paragrafi 1 e 2 dell'articolo emendato estendono le competenze dei comitati formati da tre giudici. Se fino ad ora i comitati hanno avuto la potestà di dichiarare unanimemente inammissibile un'istanza, a seguito dell'emendamento essi potranno con una sola decisione dichiarare ammissibile ed accogliere nel merito un ricorso individuale, nel caso in cui le questioni sollevate circa l'interpretazione o l'applicazione
 

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della Convenzione siano coperte da una «consolidata giurisprudenza» della Corte, ove per «consolidata giurisprudenza» si intende una giurisprudenza applicata coerentemente da una Sezione. È tuttavia concepibile, in via eccezionale, che un singolo giudizio su una questione di principio costituisca una «giurisprudenza consolidata», specialmente nel caso in cui sia stata la Sezione allargata ad emetterlo. Questo si applica soprattutto ai casi ripetitivi, che rappresentano una parte significativa dei giudizi della Corte (nel 2003 circa il 60 per cento). Le parti potranno ovviamente contestare il carattere «consolidato» della giurisprudenza di fronte al comitato. La procedura è stata evidentemente semplificata ed accelerata. Infatti, la Corte dovrà solamente portare il caso all'attenzione della parte resistente, sottolineando che si tratta di una questione già oggetto di una giurisprudenza consolidata. Se la parte resistente dovesse condividere la posizione della Corte, quest'ultima potrebbe celermente emettere la sentenza. La procedura richiede l'unanimità su ogni singolo aspetto. Nel caso in cui essa non sia raggiunta, sarà la Sezione a decidere se tutti gli aspetti del caso dovranno essere oggetto di un unico giudizio.
      L'attuazione di questa nuova procedura incrementerà la capacità decisionale della Corte e la sua efficacia, dal momento che molti casi potranno essere risolti da tre giudici invece che dai sette richiesti attualmente, quando giudizi o decisioni sono emessi dalla Sezione. Nel caso in cui la decisione venga presa da un comitato di tre giudici, il giudice eletto a titolo della parte contraente convenuta non sarà necessariamente membro ex officio del corpo decisionale. La presenza di questo giudice non appare necessaria dal momento che i comitati si occuperanno di casi sui quali esiste una giurisprudenza consolidata. Tuttavia, un comitato potrà invitare il giudice eletto rispetto alla parte contraente in questione a sostituire uno dei suoi membri, laddove ciò possa rivelarsi utile. È responsabilità della Corte risolvere le questioni pratiche relative alla composizione dei comitati di tre giudici e programmare i suoi metodi di lavoro in modo da ottimizzare l'efficacia della nuova procedura.
      L'articolo 9 emenda l'articolo 29 della Convenzione, riguardante le decisioni delle Sezioni sull'ammissibilità ed il merito delle cause, distinguendo a seconda che si tratti di ricorsi individuali ovvero di ricorsi interstatali (assai più rari).
      Per quanto riguarda i ricorsi individuali, il paragrafo 1 dell'articolo incoraggia e rende normale la possibilità, attualmente limitata a casi eccezionali delle Sezioni, di prendere decisioni congiunte sull'ammissibilità ed il merito dei ricorsi. Ciò consentirà alla Cancelleria ed ai giudici di esaminare più rapidamente i casi, nel totale rispetto del principio del contraddittorio.
      Per i ricorsi interstatali, si conferma invece la regola attuale: decisioni separate sulla ricevibilità e sul merito nella norma, unificazione delle decisioni in un solo provvedimento cumulativo in casi eccezionali.
      L'articolo 10 emenda l'articolo 31 della Convenzione, inserendo un paragrafo che riflette la nuova funzione attribuita alla Sezione allargata dal presente Protocollo, ovvero la competenza a decidere su questioni che il Comitato dei Ministri riferisca alla Corte in base al nuovo articolo 46.
      L'articolo 11, in merito alla giurisdizione della Corte, inserisce nell'articolo 32 della Convenzione un riferimento all'articolo 46 emendato.
      L'articolo 12 emenda l'articolo 35 della Convenzione in ordine ai criteri di ammissibilità. Lo scopo di tale emendamento è di fornire alla Corte un ulteriore strumento che la assista nel processo di filtraggio e le consenta di dedicare maggiore attenzione ai casi che necessitano di ulteriori approfondimenti. L'introduzione di un nuovo criterio di ammissibilità è stata giudicata necessaria dato il numero sempre crescente di ricorsi sottoposti alla Corte.
      La questione dell'importanza del pregiudizio implicherà una valutazione materiale del fumus boni iuris basata prima
 

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sull'an e poi sul quantum del danno eventualmente patito dal ricorrente.
      Il riferimento al rispetto dei diritti dell'uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, desunto dall'articolo 37, paragrafo 1, lettera c), è stato preferito alla previsione di una «questione grave relativa all'interpretazione o all'applicazione» della Convenzione (tratta dall'attuale articolo 43) che figurava in molte delle proposte in discussione. Il criterio adottato è così riconducibile alla giurisprudenza della Corte, già consolidata in materia, e non genera complicati rinvii agli ordinamenti nazionali, mentre garantisce in tale modo l'unità della giurisdizione. Nella pratica, la Cancelleria potrà riconoscere già ad un primo vaglio le più significative tra le asserite violazioni rispetto ai casi più dubbi.
      Infine, il richiamo al concetto del debito esame da parte del tribunale interno, secondo la terminologia utilizzata dall'articolo 6, ha lo scopo di responsabilizzare le autorità nazionali al rispetto della Convenzione sulla base del principio di sussidiarietà.
      Per quanto riguarda il nuovo criterio di ammissibilità, quest'ultimo consiste, in primo luogo, nella necessità di un pregiudizio «rilevante» subìto dal ricorrente. Le condizioni di tale rilevanza sono aperte ad interpretazione; l'emendamento introduce un elemento di flessibilità e di discrezionalità da parte della Corte.
      Il secondo punto caratterizzante il nuovo criterio consiste nelle clausole di salvaguardia, che devono essere soddisfatte cumulativamente affinché la condizione della scarsa rilevanza del pregiudizio possa effettivamente determinare l'inammissibilità del ricorso. La prima clausola consiste nella condizione che il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non imponga comunque l'esame del merito. La seconda, approvata dopo intenso dibattito, consiste nell'accertamento, demandato alla Corte europea, che l'istanza sia, comunque, già stata debitamente esaminata da un'autorità nazionale.
      L'insieme di queste due clausole mira a garantire l'esame di casi che presentano interrogativi seri circa l'interpretazione e l'applicazione delle norme convenzionali, ovvero che rivelano problemi particolari di diritto interno, e, al tempo stesso, riflette il principio di sussidiarietà e tende ad assicurare che ogni caso di ipotizzata violazione di un diritto fondamentale venga comunque esaminato in una sede giurisdizionale, a livello nazionale o a livello europeo.
      Le formazioni a giudice unico ed i comitati saranno abilitati ad impiegare il nuovo criterio solo allo scadere di un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del Protocollo. Inoltre, il nuovo criterio non potrà essere applicato a ricorsi dichiarati ammissibili prima della sua entrata in vigore. Si prevede in ogni caso che il pieno utilizzo di questo nuovo strumento e gli effetti benèfici che se ne attendono non possano essere conseguiti prima di un certo periodo di tempo, necessario alla Corte per elaborare criteri omogenei e coerenti di interpretazione della nuova disposizione.
      La disposizione inserita dall'articolo 13 del Protocollo nell'articolo 36 della Convenzione, citando per la prima volta la figura del Commissario per i diritti umani all'interno della Convenzione, gli conferisce formalmente, in un paragrafo 3 aggiuntivo, la potestà di intervenire in qualità di terzo nei procedimenti davanti alla Corte. Tale riferimento era stato richiesto espressamente dallo stesso Commissario europeo per i diritti umani (il quale, anzi, aveva ipotizzato anche l'introduzione di un proprio potere di ricorso «d'ufficio»). La Convenzione consente già al Presidente della Corte di invitare il Commissario per i diritti umani, su propria iniziativa o su richiesta, ad intervenire in casi pendenti; questa mera possibilità si trasformerà quindi in un vero e proprio diritto del Commissario.
      L'esperienza del Commissario potrebbe rivelarsi utile, particolarmente, nei casi che evidenziano debolezze sistemiche o strutturali da parte del resistente o altre Parti contraenti. La possibilità di intervento
 

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di terzi non è, invece, prevista per la nuova procedura dei comitati stabilita dall'articolo 28 summenzionato.
      L'articolo 14 modifica l'articolo 38 della Convenzione, al fine di consentire alla Corte di esaminare i casi nel contraddittorio dei rappresentanti delle parti e di intraprendere un'eventuale indagine, non solo dopo che sia stata presa una decisione circa l'ammissibilità del caso, ma a qualsiasi stadio del processo. Tale modifica è una logica conseguenza degli emendamenti apportati agli articoli 28 e 29 della Convenzione, che incoraggiano il sistema della decisione cumulativa sull'ammissibilità ed il merito dei ricorsi individuali. Le Alte Parti contraenti, tenute a cooperare con la Corte nella ricerca della verità, dovranno, quindi, adempiere agli obblighi conseguenti già nella fase precedente la decisione, unica, che risolverà contemporaneamente le questioni di ammissibilità e di merito.
      L'articolo 15 emenda l'articolo 39 della Convenzione riguardante i regolamenti amichevoli. Come risultato dell'attuazione dei nuovi articoli 28 e 29, dovrebbe diminuire il numero di decisioni separate sull'ammissibilità. La Corte potrà, grazie alle modifiche introdotte all'articolo, essere a disposizione delle parti in ogni stadio del processo per concludere un regolamento amichevole e non, come in precedenza, solo dopo la dichiarazione di ammissibilità del ricorso. Il regolamento amichevole viene reso più flessibile e dunque incoraggiato, particolarmente nei casi ripetitivi. Il nuovo articolo 39 prevede che il Comitato dei Ministri supervisioni l'esecuzione di decisioni che avallino le condizioni dei regolamenti amichevoli. Tale disposizione non fa altro che formalizzare una prassi già sviluppata dalla Corte.
      Il nuovo articolo 46 emendato dall'articolo 16 del Protocollo, conferisce al Comitato dei Ministri il potere di chiedere alla Corte di interpretare una sentenza definitiva (cioè non più impugnabile), allo scopo di semplificare la supervisione della sua esecuzione. Non è stato stabilito alcun termine per procedere alla richiesta di giudizio, poiché una questione di interpretazione può insorgere in un qualunque stadio dell'esame condotto dal Comitato dei Ministri. La Corte è libera di decidere circa il modo e la forma in cui rispondere alla suddetta richiesta.
      A norma dei paragrafi 4 e 5 del nuovo articolo, inoltre, il Comitato dei Ministri avrà il potere di deferire alla Corte uno Stato membro il quale si rifiuti di dare esecuzione ad una sentenza resa nei suoi confronti, previa messa in mora dello Stato medesimo, affinché la Corte accerti l'inadempimento della Parte contraente agli obblighi derivanti dal paragrafo 1 del medesimo articolo. Una tale decisione da parte del Comitato dei Ministri richiederà una maggioranza qualificata di due terzi dei delegati aventi diritto di voto in tale Comitato. Il Comitato dei Ministri dovrebbe ricorrere a questa procedura solo in casi eccezionali; la sua mera esistenza e la minaccia di poterla utilizzare dovrebbero costituire un nuovo incentivo per gli Stati membri ad eseguire puntualmente la sentenza della Corte.
      La ratifica e la firma del Protocollo vengono disciplinate dall'articolo 17 (emendante l'articolo 59). Quest'ultimo emendamento è stato introdotto in vista del possibile accesso dell'Unione europea alla Convenzione. A tale fine, dal punto di vista tecnico-giuridico sarebbe necessario apportare ulteriori modifiche alla Convenzione. Al riguardo, il Comitato direttivo dei diritti umani (CDDH) ha adottato nel 2002 un rapporto che individua le questioni da approfondire, rilevando che le modifiche necessarie all'accesso del nuovo membro si potrebbero apportare per mezzo di un Protocollo di emendamento alla Convenzione, ovvero attraverso un Trattato di adesione da concludersi tra l'Unione europea e tutti i Paesi che già fanno parte della Convenzione. Il CDDH ha espresso la propria preferenza per quest'ultima opzione, riservandosi tuttavia di non fare alcuna menzione del Trattato all'interno del Protocollo, in modo da non escludere alcuna possibilità per il futuro. Al momento della stesura del presente Protocollo, l'Unione europea mancava delle competenze necessarie per dare inizio
 

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ai negoziati per il suo ingresso nella Convenzione. Le modifiche al Protocollo che renderanno possibile un tale accesso, non potendo essere introdotte in tale sede, necessiteranno di una seconda procedura di ratifica.
      Gli ultimi articoli del Protocollo integrano le consuete clausole finali e di entrata in vigore dei Trattati conclusi nel quadro del Consiglio d'Europa, tenuto conto delle peculiarità del sistema giurisdizionale europeo sul quale incide il Protocollo medesimo.
      L'articolo 18 non contempla la possibilità di eventuali riserve, essendo la natura stessa del Protocollo ad escluderne la possibilità.
      L'entrata in vigore del Protocollo, regolamentata dall'articolo 19, è prevista dopo tre mesi dalla ratifica da parte di tutti gli Stati parte alla Convenzione originaria. Data l'urgenza della sua attuazione, il periodo di tre mesi è stato preferito a quello di un anno, previsto per taluni Protocolli di emendamento precedenti.
      L'articolo 20 sancisce che, una volta entrato in vigore il Protocollo, le sue disposizioni potranno essere applicate immediatamente a tutti i ricorsi pendenti, al fine di non posporre ulteriormente la maggiore efficienza da esso garantita. Per quanto riguarda invece il nuovo criterio di ammissibilità inserito dall'articolo 12 all'articolo 35 della Convenzione, esso non dovrà essere applicato ai ricorsi dichiarati ammissibili prima della data di entrata in vigore del Protocollo. Saranno le Sezioni e la Sezione plenaria della Corte ad applicare tale nuovo criterio nei due anni successivi alla data di entrata in vigore del Protocollo.
      L'articolo 21 disciplina in via transitoria la permanenza in carica dei giudici: se un giudice sta adempiendo il suo primo mandato al momento dell'entrata in vigore del Protocollo, questo dovrà essere prorogato sino ad un periodo totale di nove anni di permanenza in carica; gli altri giudici invece dovranno completare il proprio mandato, che verrà prorogato di due anni. Tali disposizioni mirano ad evitare congiunture in cui un numero consistente di giudici siano sostituiti nello stesso momento da nuovi giudici.
      Infine, l'articolo 22 dispone che il Segretario Generale del Consiglio d'Europa notifichi agli Stati membri del Consiglio d'Europa le firme, il deposito di ciascuno strumento di ratifica, la data di entrata in vigore del Protocollo come previsto dall'articolo 19 e qualsiasi altro atto, notifica o comunicazione relativa al Protocollo.
      L'attuazione del Protocollo non comporta ulteriori spese per il Governo italiano, così come a suo tempo non comportò nuovi oneri l'attuazione del Protocollo n. 11, anch'esso incidente in misura anche più sensibile sulla struttura del meccanismo di tutela dei diritti dell'uomo istituito a Strasburgo. Il Protocollo, infatti, apporta solo modifiche nel funzionamento del meccanismo giurisdizionale previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e altri Protocolli aggiuntivi. Esso incide pertanto su di una struttura già funzionante sul piano internazionale, in virtù di risorse finanziarie presenti nel bilancio del Consiglio d'Europa.
      Il presente disegno di legge di ratifica si compone di 3 articoli:

          l'articolo 1 prevede l'autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 14 alla Convenzione;

          l'articolo 2 richiama l'ordine di esecuzione;

          l'articolo 3 stabilisce l'entrata in vigore della legge.

      Dall'attuazione del presente provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato e, pertanto, non si rende necessaria la relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

 

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ANALISI TECNICO-NORMATIVA

        1. Aspetti tecnico-normativi in senso stretto.

        Il Protocollo n. 14 si inserisce in un solco di successivi strumenti pattizi, tesi a disciplinare i diritti dell'uomo e la relativa tutela sul piano europeo. Vertendo, come detto, specificamente sui meccanismi di funzionamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, esso consta di norme aventi carattere prettamente procedurale e risulta pertanto scarsamente suscettibile di incidere sull'ordinamento internazionale.
        Le sue disposizioni sono conformi ai princìpi costituzionali e alla normativa comunitaria. Al riguardo l'articolo 17, che contempla la possibilità di adesione della stessa Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituisce un tassello di connessione prospettica tra due complessi sistemi normativi internazionali vigenti a livello europeo.
        In particolare:

A) Necessità dell'intervento normativo.

        Al pari degli altri Protocolli addizionali alla Convenzione dei diritti dell'uomo, anche il Protocollo n. 14 innova ed integra la normativa recepita nell'ordinamento italiano con la legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica di detta Convenzione. Quindi, anche per tale Protocollo, si rende necessaria una legge di ratifica.

B) Analisi del quadro normativo e incidenza sulle leggi ed i regolamenti vigenti.

        Il Protocollo n. 14 ha per scopo principale la modifica delle procedure interne della Corte, sulle quali si rinvia, per una descrizione analitica, alla relazione illustrativa. Pertanto, l'ambito di operatività del Protocollo si svolge in ambito internazionale e non incide, a livello di normativa primaria e secondaria, sul diritto nazionale.

C) Compatibilità dell'intervento con la Costituzione.

        Le regole previste dal nuovo Protocollo alla Convenzione non creano dei profili di incompatibilità con le norme costituzionali.

D) Compatibilità dell'intervento con l'ordinamento comunitario.

        Non solo non si prospettano incompatibilità ma l'articolo 17 del Protocollo prevede, in linea generale, l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione.

 

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E) Compatibilità con le competenze delle regioni e delle autonomie locali e coerenza con le norme primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.

        Nessuna osservazione si rende necessaria, considerati i diversi campi delle normative di riferimento.

2. Elementi di drafting e linguaggio normativo.

A) Verifica dell'assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione delle possibilità di delegificazione.

        Nessuna osservazione trattandosi di normativa internazionale di coordinamento con i precedenti omogenei.

B) Linguaggio normativo.

        Nessuna osservazione.

C) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle in uso.

        Nessuna osservazione.

D) Correttezza dei riferimenti normativi con particolare riguardo alle successive modificazioni ed integrazioni.

        Nessuna osservazione.

E) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni ed integrazioni a disposizioni vigenti.

        Nessuna osservazione.

F) Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo.

        Nessuna osservazione.

3. Ulteriori elementi.

A) Verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento e relativo stato dell'iter.

        Un disegno di legge di iniziativa parlamentare, atto Senato n. 3354, recante ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il quale emenda il sistema di controllo della Convenzione, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004, e disposizioni per l'adempimento delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, è stato presentato in data 22 marzo al Senato della Repubblica.

 

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ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)

        L'attuazione del Protocollo n. 14 comporterà modifiche nel funzionamento del sistema giurisdizionale europeo di tutela dei diritti dell'uomo.
        Il relativo impatto sull'Amministrazione italiana sarà conseguentemente assai limitato.
        Quanto alla facoltà dei cittadini italiani e dello stesso Governo di ricorrere davanti alla Corte di Strasburgo per asserita violazione dei diritti contemplati nella Convenzione, essa non viene né estesa, né limitata rispetto alla situazione attuale, salvo che per l'introduzione di un ulteriore criterio di ammissibilità, nei termini indicati all'articolo 12.
        L'ulteriore requisito, per cui un'istanza sarà ritenuta ricevibile a condizione che sia anche stata compiutamente esaminata dalle autorità giudiziarie nazionali, considerata l'estrema facilità di accesso alla giustizia nel nostro Paese, non dovrebbe produrre effetti rilevanti nei confronti della casistica italiana, che di norma già si è avvalsa di pronunce giurisdizionali nazionali. Tuttavia, deve essere posto in risalto il fatto che la formulazione del nuovo articolo 35 pone ulteriormente l'accento sulla necessità che i giudici nazionali affrontino esplicitamente il merito degli aspetti di rilevanza convenzionale che vengano loro sottoposti dalle parti o che risultino manifestamente determinanti per la soluzione del caso, soltanto così, infatti, si potrà verificare la seconda delle condizioni che determinano l'inammissibilità dell'eventuale successivo ricorso alla Corte di Strasburgo, con l'evidente risultato di evitare una possibile pronunzia di censura nei confronti del nostro Paese.
        La semplificazione della procedura per la definizione dei cosiddetti «casi ripetitivi» potrebbe, per altro verso, accelerare le pronunce della Corte in ordine alle tematiche di carattere strutturale che sono alla base della più diffusa giurisprudenza nei confronti dell'Italia, in materia, ad esempio, di procedimenti penali in contumacia, di espropriazioni per pubblica utilità, di esecuzione degli sfratti, di procedure fallimentari, o di eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, nella misura in cui la questione non sia interamente risolta dalla legge 24 marzo 2001, n. 89, recante «Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile». Ciò potrà determinare, in assenza di adeguati provvedimenti tesi ad eliminare tempestivamente le cause delle violazioni ricorrenti, un'accelerazione della emissione di sentenze di accoglimento di ricorsi contro l'Italia.
        La nuova facoltà di avviare procedure di infrazione da parte del Comitato dei Ministri per mancata esecuzione delle sentenze da parte degli Stati condannati si tradurrà in ulteriore incentivo all'esecuzione di quelle sentenze in cui la Corte avrà costatato una violazione della

 

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Convenzione a carico dell'Italia. Ne deriva l'esigenza di aumentare la flessibilità e la rapidità di reazione dell'ordinamento, al fine di consentire la rapida adozione delle misure ripristinatorie, di carattere individuale, destinate ad eliminare per quanto possibile gli effetti della constatata violazione che ancora gravano sul singolo ricorrente, e di quelle di carattere generale, tese invece ad impedire, mediante i necessari interventi, anche normativi, la ripetizione della medesima violazione.
        Va ricordato in ogni caso che, sia pur non essendo espressamente disposto nel Protocollo, la riforma dei meccanismi presuppone una conferma ed un rafforzamento della responsabilità primaria degli Stati membri - e quindi dell'Italia - sia nel fornire al proprio interno adeguata tutela, anche giudiziaria, alle libertà ed ai diritti umani, sia nell'ottemperare puntualmente all'esecuzione delle sentenze della Corte.
 

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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

      1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo n.14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, emendante il sistema di controllo della Convenzione, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004.

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

      1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 19 del Protocollo stesso.

Art. 3.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Frontespizio Relazione Analisi tecnico-normativa Analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) Progetto di Legge Allegato
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