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PDL 5757

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5757



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

ROSATO, MARAN, DAMIANI, VIOLANTE, CASTAGNETTI, INTINI, MAZZUCA, BANTI, BENVENUTO, GIOVANNI BIANCHI, BIMBI, BRESSA, DETOMAS, FILIPPESCHI, GALEAZZI, LEONI, LETTIERI, LUCIDI, MARINO, MARIOTTI, MATTARELLA, MAZZARELLO, MEDURI, MOSELLA

Disposizioni in materia di indennizzo dei beni abbandonati
nei territori italiani ceduti alla Jugoslavia

Presentata il 5 aprile 2005


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si propone di attivare l'iter parlamentare per fornire una soluzione equa e definitiva del complesso problema dei beni abbandonati nei territori passati nella sovranità della Jugoslavia dopo la II guerra mondiale.
      Il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ha imposto non pochi sacrifici al nostro Paese, il più grave dei quali fu indubbiamente l'estesa mutilazione (ben 7.630 chilometri quadrati) della Venezia Giulia.
      Gravemente colpiti sono stati gli abitanti dei territori ceduti alla Jugoslavia, i quali, a seguito del cambio di sovranità e di un regime persecutorio, furono costretti all'esodo. Nonostante siano trascorsi quasi sessant'anni, la storia dell'esodo istriano e della pulizia etnica dei vinti, con persecuzioni e infoibamenti, solo ora comincia a essere conosciuta a un pubblico esteso. Merita ricordare che su una popolazione istriana, fiumana e zaratina di 400-450.000 abitanti, ben 250-300.000 furono coloro che
 

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dovettero abbandonare tutto e cercare rifugio in Italia e all'estero.
      Al Trattato di pace fecero seguito il Memorandum d'intesa italo-jugoslavo del 5 ottobre 1954 - che concluse di fatto il contenzioso confinario tra i due Paesi consentendo all'amministrazione italiana di fare ritorno a Trieste in cambio della rinuncia alla zona B - e il successivo trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge n. 73 del 1977, che in un mutato clima internazionale sancì il nuovo assetto del confine. Conseguenza di tale perdita fu il completamento dell'esodo forzato di altri 50 mila italiani dalla zona B, che andarono ad aggiungersi agli altri.
      La posizione giuridica dei beni privati italiani dei territori ceduti ai termini del Trattato di pace venne determinata dall'allegato XIV, recante «Disposizioni economiche e finanziarie relative ai territori ceduti», che recita:

      «1. Lo Stato successore riceverà, senza pagamento, i beni statali e parastatali situati nel territorio ceduto in forza del presente Trattato (...).
      9. I beni, diritti e interessi dei cittadini italiani, che siano residenti permanenti nei territori ceduti alla data dell'entrata in vigore del presente Trattato, saranno rispettati, su una base di parità rispetto ai diritti dei cittadini dello Stato successore, purché siano stati legittimamente acquisiti».
      I beni, diritti e interessi entro i territori ceduti degli altri cittadini italiani e quelli delle persone giuridiche di nazionalità italiana, purché legittimamente acquisiti, saranno sottoposti soltanto a quei provvedimenti che potranno essere via via adottati in linea generale rispetto ai beni di cittadini stranieri e di persone giuridiche di nazionalità straniera.
      Detti beni, diritti e interessi non potranno essere trattenuti o liquidati ai sensi dell'articolo 79 del Trattato (cioè in compensazione del debito bellico che l'Italia doveva pagare alla Jugoslavia), ma dovranno essere restituiti ai rispettivi proprietari, liberi da vincoli di qualsiasi natura o da ogni altra misura di alienazione, di amministrazione forzosa o di sequestro presa nel periodo compreso tra il 3 settembre 1943 (data della firma dell'armistizio) e l'entrata in vigore del Trattato (16 settembre 1947).
      È chiaro che, in base a quest'ultima norma, i privati cittadini italiani conservano un diritto soggettivo perfetto - cioè il pieno diritto di proprietà - sui loro beni situati nei territori ceduti.
      Nonostante ciò, in violazione a queste norme del Trattato di pace, la Jugoslavia espropriò quasi tutti questi beni e successivamente stipulò un accordo con l'Italia per indennizzarli. Detto accordo - del 23 maggio 1949 - prevedeva la costituzione di una commissione mista italo-jugoslava per la valutazione di tutti i beni espropriati e il pagamento da parte della Jugoslavia del relativo indennizzo globale, senza alcuna deduzione.
      Dopo tale accordo fu approvata la legge 5 dicembre 1949, n. 1064, che prevedeva un indennizzo, per coloro che ne avessero fatto richiesta, nei limiti di quanto effettivamente corrisposto dal governo jugoslavo in base al citato accordo del 23 maggio 1949. È chiaro che, sulla base di questa legge e dell'accordo cui fa riferimento, i cittadini italiani - che ne avevano fatto domanda - avevano il diritto di essere indennizzati in conformità al reale valore dei beni perduti, senza alcuna deduzione.
      Invece, all'accordo del 1949 fece seguito l'accordo del 23 dicembre 1950 che prevedeva la possibilità di compensazione tra il debito per riparazioni di guerra che l'Italia doveva pagare alla Jugoslavia e quanto quest'ultima doveva pagare all'Italia per i beni da essa incamerati nei territori ceduti. Da notare che tale compensazione era stata proibita dal Trattato di pace in base all'articolo 79, paragrafo 6, lettera f).
      Infine, con il successivo accordo del 18 dicembre 1954, Italia e Jugoslavia stipularono un regolamento definitivo di tutti i debiti e crediti reciproci derivanti dal Trattato di pace e accordi successivi, in particolare dei debiti dell'Italia per riparazioni belliche e della Jugoslavia per l'indennizzo dei beni espropriati nei territori ceduti.

 

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Dopo tale accordo il Governo italiano mise a disposizione per pagare questi ultimi beni soltanto 45 miliardi di lire, a fronte di un valore effettivo di 130 miliardi di lire valutato dall'Ufficio tecnico erariale.
      La differenza (85 miliardi di lire) fu adoperata come compensazione delle riparazioni belliche che l'Italia doveva pagare alla Jugoslavia e per ottenere l'assenso della stessa al ritorno di Trieste all'Italia, cioè per motivi di interesse pubblico generale. Il relativo onere, pertanto, doveva essere considerato a carico di tutti i cittadini italiani e non solo degli esuli, mentre il Governo italiano avrebbe dovuto mettere subito a disposizione - per indennizzare gli esuli espropriati - l'intero importo di 130 miliardi di lire, di cui in effetti aveva usufruito.
      Invece, a ulteriore discapito dei profughi giuliano-dalmati, con i 45 miliardi di lire messi a disposizione il Governo italiano ha pagato anche i beni parastatali (non previsti quali indennizzabili né dal Trattato di pace, né dagli accordi successivi), con il risultato che ai privati titolari di beni nei territori ceduti sono stati erogati solamente 32 miliardi di lire, corrispondenti a neanche la quarta parte del valore dei loro beni (130 miliardi di lire).
      Quale conseguenza di questi eventi, il Governo italiano ha ora il dovere di reintegrare la differenza (cioè 98 miliardi di lire del 1947) per pagare l'indennizzo equo e definitivo agli aventi diritto come è stato chiaramente stabilito dalla Corte suprema di cassazione con sentenza n. 1549 del 18 settembre 1970 che afferma: «I cittadini italiani già proprietari di beni nei territori ceduti alla Jugoslavia e dal governo di questa nazionalizzati, vantano verso lo Stato italiano un diritto soggettivo perfetto alla corresponsione dell'indennizzo, avendo la Jugoslavia versato l'indennizzo globale al Governo italiano, obbligato, pertanto, a distribuire agli aventi diritto le somme così riscosse».
      In altre parole, il Governo italiano ha fatto da tramite nella «vendita» dei beni dei suoi cittadini alla Jugoslavia, però dopo non ha versato agli aventi diritto l'importo che aveva incassato, ma lo ha invece adoperato in gran parte per pagare i danni di guerra e il ritorno di Trieste all'Italia.
      Da quanto esposto risulta evidente che il diritto soggettivo perfetto degli esuli non può che essere realizzato da un indennizzo integrale corrisposto dallo Stato italiano e non dallo Stato jugoslavo che ha effettuato gli espropri (o dalle Repubbliche subentrate alla dissoluzione della Jugoslavia) in quanto ciò è il risultato di una compensazione avvenuta in sede internazionale dei debiti fra la Jugoslavia a titolo di indennizzo per i beni espropriati e l'Italia a titolo di riparazioni di guerra e per riavere Trieste.
      Le esposte considerazioni sono riferibili anche ai beni abbandonati nella zona B, con l'aggravante che qui la disponibilità delle proprietà italiane è venuta a mancare per un atto deliberatamente e liberamente compiuto dal Governo italiano (trattato di Osimo) e non per cause di forza maggiore (Trattato di pace imposto all'Italia).
      Come è noto, il trattato di Osimo è risultato senza alcuna contropartita per l'Italia e ha, invece, assicurato molti vantaggi alla ex Jugoslavia, specie per quanto concerne i confini, sia terrestre sia marittimo.
      Infatti, nell'introduzione del trattato di Osimo si parla di «rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà», di «lealtà al principio della protezione la più ampia possibile dei cittadini appartenenti ai gruppi etnici», ispirandosi anche ai princìpi della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e dei Patti universali dei diritti dell'uomo.
      Fin qui pareva che l'Italia stesse per concludere un trattato con una nazione occidentale democratica e civile e che i beni dei cittadini italiani sarebbero stati tutelati, come avviene in una qualsiasi nazione dell'Unione europea.
      Invece, già all'articolo 4 del trattato di Osimo si verifica un'incredibile contraddizione rispetto a quanto solennemente dichiarato nel preambolo dai due Governi, quando quello italiano avalla inspiegabilmente tutti gli espropri abusivi di beni
 

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italiani commessi dal Governo comunista jugoslavo «a partire dalla data dell'ingresso delle forze armate jugoslave nel suddetto territorio», quindi anche nel periodo di occupazione militare in fase armistiziale (dal maggio 1945 fino all'entrata in vigore del Trattato di pace, 16 settembre 1947) e durante l'occupazione militare convenzionale (dall'entrata in vigore del Trattato di pace fino al Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954).
      Cioè si riconobbero ufficialmente da parte italiana tutti gli espropri abusivi compiuti dagli jugoslavi in zona B sulla quale, fino alla ratifica del trattato di Osimo avvenuta in data 3 aprile 1977, la Jugoslavia non aveva nemmeno la sovranità.
      È vero che l'articolo 4 prevedeva anche «un indennizzo equo e accettabile dalle parti», ma tale paragrafo si tradusse in una ulteriore beffa a danno degli esuli, quando con l'accordo di Roma del 1983 Italia e Jugoslavia concordarono un irrisorio indennizzo globale di soli 110 milioni di dollari per tutti i beni della zona B, corrispondente a neanche un quindicesimo del loro valore reale.
      Finora gli esuli titolari di beni hanno ricevuto degli acconti minimi, frammentari e inadeguati. Anche l'ultima legge, la n. 137 del 2001, non ha risolto in modo definitivo il problema dell'indennizzo a causa di un modesto coefficiente di rivalutazione.
      La presente proposta di legge si propone di risolvere in maniera definitiva la questione dei beni già appartenenti agli esuli che hanno dovuto abbandonare forzatamente la loro terra, mediante un indennizzo equo e definitivo e non attraverso ulteriori acconti che dopo sessanta anni risulterebbero inaccettabili.
      L'articolo 1, per la determinazione del coefficiente equo e definitivo di rivalutazione del prezzo dei beni nel 1938, prevede l'applicazione del coefficiente di rivalutazione del contributo statale per il ripristino di edifici privati distrutti a seguito di eventi bellici, ovvero il rapporto esistente tra il prezzo al momento del ripristino, della riparazione o della ricostruzione ed i prezzi vigenti nel mese precedente la dichiarazione di guerra (maggio 1940), rapporto che in base all'articolo 13 della legge 13 luglio 1966, n. 610, è stabilito annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in base ai dati dell'Istituto nazionale di statistica. Nel caso degli esuli, al coefficiente stabilito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti deve essere aggiunto l'incremento relativo alla svalutazione della lira dal 1938 al maggio del 1940: il coefficiente di rivalutazione dal 1938 a oggi (marzo 2005) sarebbe così circa 3.035.
      L'articolo 2 fissa l'equo prezzo medio dell'anno 1938 in misura pari a 1,5 volte il valore di stima dei beni in base al quale sono stati finora corrisposti gli indennizzi. È infatti stato accertato nel 1965 da una commissione di esperti della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trieste che tali valori corrispondono mediamente al 65 per cento del valore effettivo dei beni abbandonati nei territori ceduti.
      L'articolo 3 prevede la validità delle domande già presentate e confermate ai sensi della legge 29 marzo 2001, n. 137; questo affinché l'intero importo stanziato a copertura della legge venga effettivamente erogato agli aventi diritto, altrimenti gli importi degli indennizzi destinati ai titolari non più reperibili andrebbero accantonati, cioè perduti. Inoltre, le domande confermative presentate ai sensi della legge 29 marzo 2001, n. 137, cioè entro il maggio 2002, hanno dato un quadro aggiornato delle pratiche ancora esistenti (11.608), mettendo così il Ministero dell'economia e delle finanze in condizione di calcolare con esattezza il costo globale derivante dall'attuazione della legge.
      È da notare che la presente proposta di legge (come la legge n. 137 del 2001) non prevede la riapertura dei termini per la presentazione di nuove domande di indennizzo, poiché tale riapertura metterebbe il Ministero dell'economia e delle finanze nell'impossibilità di calcolare l'onere della stessa proposta di legge, non conoscendo ovviamente l'ammontare delle eventuali
 

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future domande. Le nuove domande, inoltre, potrebbero pregiudicare «il diritto soggettivo perfetto all'indennizzo integrale dei beni abbandonati», di cui sono titolari gli esuli che hanno presentato a suo tempo le domande di indennizzo all'allora Ministro del tesoro ai sensi della legge 5 dicembre 1949, n. 1064, e dell'accordo italo-jugoslavo del 23 maggio 1949 a cui tale legge si riferisce (allegando la delega allo Stato italiano per la vendita dei loro beni alla Jugoslavia).
      L'articolo 4 stabilisce, al comma 4, che «In caso di restituzione del bene da parte degli Stati successori della ex Repubblica popolare federativa di Jugoslavia il diritto all'indennizzo viene meno».
      L'articolo 5, infine, reca le norme da applicare agli indennizzi definitivi corrisposti ai sensi della legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Ai cittadini italiani titolari di beni, diritti e interessi, esclusi i beni statali e parastatali, abbandonati nei territori italiani ceduti alla ex Jugoslavia in base al Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, e al trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo con legge 14 marzo 1977, n. 73, già indennizzati o da indennizzare ai sensi delle leggi 5 aprile 1985, n. 135, 29 gennaio 1994, n. 98, e 29 marzo 2001, n. 137, è riconosciuto un indennizzo definitivo sulla base dell'equo prezzo medio dei beni nell'anno 1938 moltiplicato per il coefficiente di rivalutazione del contributo statale per il ripristino di edifici privati distrutti da eventi bellici, ovvero per il rapporto tra i prezzi attuali e i prezzi degli edifici vigenti nel mese precedente la dichiarazione di guerra, maggio 1940, stabilito annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in base ai dati dell'Istituto nazionale di statistica, con l'incremento relativo alla svalutazione della lira nel periodo dal gennaio 1938 al maggio 1940.
      2. Gli acconti dell'indennizzo corrisposti fino alla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi delle norme vigenti in materia, incluse quelle di cui al comma 1, sono detratti dall'indennizzo definitivo stabilito nel medesimo comma, senza alcuna rivalutazione degli stessi acconti.

Art. 2.

      1. L'equo prezzo medio nell'anno 1938, di cui all'articolo 1, è fissato in misura pari a 1,5 volte il valore della stima dei beni stessi in base al quale sono stati

 

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corrisposti gli indennizzi fino alla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 3.

      1. Ai fini della corresponsione dell'indennizzo di cui all'articolo 1 sono valutate le domande già presentate e confermate ai sensi della legge 29 marzo 2001, n. 137.

Art. 4.

      1. La liquidazione dell'indennizzo calcolato ai sensi dell'articolo 1 è effettuata dai competenti uffici del Ministero dell'economia e delle finanze.
      2. Il pagamento dell'indennizzo definitivo previsto dall'articolo 1 è effettuato in contanti o in titoli di Stato su decisione del Ministero dell'economia e delle finanze.
      3. L'indennizzo definitivo previsto dalla presente legge è erogato agli aventi diritto in base agli accertamenti già acquisiti dagli organi ministeriali di cui al comma 1, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge per i beni con valore al 1938 fino a lire centomila; entro dodici mesi dalla stessa data per i beni con valore al 1938 fino a lire duecentomila, ed entro e non oltre due anni per i restanti beni, con modalità definite dal Ministro dell'economia e delle finanze in base alle disponibilità e alle esigenze di bilancio.
      4. In caso di restituzione del bene da parte degli Stati successori dell'ex Repubblica popolare federativa di Jugoslavia il diritto all'indennizzo viene meno.

Art. 5.

      1. Agli indennizzi definitivi corrisposti ai sensi della presente legge si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 5 aprile 1985, n. 135, e all'articolo 1, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 98.


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