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PDL 3189

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3189



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TANZILLI

Modifiche all'articolo 1 della legge 19 ottobre 1999, n. 370,
in materia di valutazione interna degli atenei

Presentata il 25 settembre 2002


      

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Onorevoli Colleghi! - Nell'ambito della normativa di riferimento per i compiti già attribuiti all'osservatorio per la valutazione del sistema universitario, è intervenuta la legge 19 ottobre 1999, n. 370, la quale ha introdotto nell'ordinamento nuove disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica.
      In particolare l'articolo 1 della citata legge ha introdotto i «nuclei di valutazione interna degli atenei». Si tratta di una disposizione all'avanguardia - comunque in linea con le legislazioni europee - che vuole sempre di più orientare verso l'obiettivo (ideale?) della «autovalutazione degli atenei», intesa come strumento essenziale (anche se non esclusivo!) e, comunque, criterio-guida dell'intero sistema di valutazione delle università.
      Ma le università, nella realtà, sono tutta un'altra cosa!
      Bisogna partire dal presupposto che una riforma non in linea con lo stato di crescita e di maturità delle università italiane (e soprattutto non in linea con un cambiamento «culturale» del mondo accademico, rimasto invece ancora oggi rigidamente ancorato a logiche baronali) può produrre il risultato - invero aberrante! - di una automobile Mercedes in mano ad un carrettiere.
      Alla conquista di una norma di progresso civile deve potersi arrivare da parte della società prima ancora che mediante la legge: diversamente, norme così decisamente ispirate a punti di arrivo soltanto ideale, le quali non trovino nella realtà attuale alcun riscontro ed alcuna compiuta
 

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attuazione, possono produrre discrasie gravi fra la realtà e la legge, con il risultato di una norma che travalichi e sopravanzi non soltanto le possibilità reali ma persino le potenzialità che la comunità sociale sa e può esprimere.
      È quanto purtroppo è accaduto nella delicatissima materia dei controlli e della valutazione degli atenei dove, a causa di una legge troppo (se così si può dire) progressista - simbolo invero di una università che non esiste se non nei sogni, una università capace di autovalutarsi secondo criteri di imparzialità e, direi, nell'interesse del Paese, di farlo anche spietatamente - si sono aperte voragini di arbitrarietà, caratterizzate, soprattutto nei piccoli atenei, da sacche di gestione monocratica, di protezionismo becero ed ottuso - quando non finalizzato alla realizzazione di interessi privatistici e personali - avallate, spesso e volentieri, dal sistema centrale di valutazione, incapace di svolgere una concreta azione di controllo quantomeno sui dati forniti dalle singole università.
      Ne è venuto fuori un grande bluff che la vecchia e farraginosa macchina ministeriale avalla pur di continuare a gestire i «rapporti» con un mondo accademico oramai (si veda il caso emblematico della strapotente Conferenza dei rettori delle università italiane) avvolto su se stesso, nel quale il merito e le qualità scientifiche e didattiche sono un optional ed in cui perfino «concorsopoli» non è valsa a spostare di un millimetro la gestione baronale del sapere.
      La legislazione vigente attribuisce alle singole università (l'organo competente ad adottare una tale decisione sembrerebbe il consiglio di amministrazione, sempreché gli «statuti delle università», emessi nell'ambito di un malinteso concetto di «autonomia», non ne avessero stravolto la funzione stabilendo talora una così ristretta e tassativa categoria di attribuzioni da estrometterne perfino alcune essenziali, quali proprio la valutazione, non potendosi invero immaginare in altri organi statutari la presenza di competenze e di rappresentatività sufficienti al fine di adottare un «sistema di valutazione interna della gestione amministrativa») il compito di adottare «un sistema di valutazione interna della gestione amministrativa, delle attività didattiche e di ricerca, degli interventi di sostegno al diritto allo studio (...)».
      Come si vede la legge attribuisce al «sistema di valutazione» una funzione essenziale: valutare tutti gli aspetti della vita dell'ateneo.
      Ed il legislatore, volendo nel dettaglio disciplinare la materia - segno questo della significativa attenzione del Parlamento al tema, di interesse collettivo e «mai delegata ad alcuno», del diritto allo studio e dell'interesse dello Stato a «verificare» la finalizzazione delle risorse destinate, dalle singole università, per l'attuazione di un diritto costituzionalmente garantito - ha perfino indicato le modalità di valutazione - utilizzando non a caso il gerundio «verificando» - proponendo un'ampia gamma di strumenti di verifica (cfr. la dizione: «anche mediante») e, comunque, segnalando alcuni specifici strumenti di verifica invero essenziali ed imprescindibili.
      In primo luogo, quindi, il legislatore indica le «analisi comparative dei costi e dei rendimenti», perché le università diventino sistemi produttivi del sapere secondo le regole, ormai globali, dell'efficienza e dell'efficacia gestionali.
      In secondo luogo il legislatore indica il paradigma del «corretto utilizzo delle risorse pubbliche»: se, allora, il sistema di valutazione «deve» prevedere una verifica sulla correttezza dell'utilizzo di pubbliche risorse ciò, quantomeno, dovrebbe valere a dimostrare che il presidio del «corretto utilizzo» di tali risorse «deve essere garantito» secondo la previsione normativa, proprio dai sistemi di valutazione!
      Il principio è ulteriormente rafforzato, nel testo della legge vigente, dal richiamo alla verifica della «imparzialità» e del «buon andamento dell'azione amministrativa».
      Qui il legislatore addirittura fa ricorso alla dizione costituzionale, quasi a sottolineare il demanio pubblicistico dell'azione
 

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amministrativa nelle università, contemporaneamente sottraendo questa azione ad una gestione non ispirata a criteri di imparzialità.
      Insomma: efficienza gestionale, secondo parametri aziendalistici (la pubblica amministrazione stabilisce che agisce quindi come privato) ma secondo l'ispirazione di un servizio che è e deve rimanere pubblico, in quanto destinato a tutti i cittadini, a tutti i giovani utenti-fruitori del diritto allo studio universitario.
      Ma se l'autonomia gestionale e amministrativa delle università trova proprio nei sistemi di valutazione il suo strumento di più incisiva ed efficace verifica, non diversamente può dirsi per l'area della ricerca e della didattica.
      L'articolo 1 della citata legge, lungi dall'occuparsi soltanto della verifica dell'attività gestionale e amministrativa, impone pure un controllo sulla «produttività della ricerca e della didattica».
      Laddove con l'espressione «produttività» si indica anche la finalizzazione della ricerca e della didattica verso obiettivi compatibili con lo sviluppo.
      «Produttività» non è soltanto quantità e qualità dell'efficienza nella ricerca e nella didattica ma è, soprattutto, risultato, raggiungimento di obiettivi programmabili secondo schemi precisi.
      Il momento della verifica della produttività della ricerca e della didattica implica dunque un controllo sull'adeguatezza delle strutture, delle risorse materiali e umane utilizzate in vista del raggiungimento di determinati obiettivi che ogni singolo ateneo si è proposto di raggiungere, in sostanza una disamina completa del livello di adeguatezza dell'azione formativa e della efficienza gestionale messa in atto da ciascuna università in relazione a precisi obiettivi che l'università avrà programmato per lo sviluppo della ricerca e del territorio nel quale essa insiste.
      Se ne deve dedurre che la funzione svolta dal «sistema di valutazione» è «funzione essenziale» all'interno dell'università (perché offre agli organi interni di amministrazione dell'ateneo elementi essenziali per l'adattamento e per la eventuale correzione di lacune e carenze in determinati settori) ma è anche «funzione propulsiva» dell'azione complessivamente e concretamente attuata dalle università verso il territorio di appartenenza e verso l'intera comunità scientifica, al di là dei proclami e delle abbaglianti programmazioni spesso prive di alcun realistico esito provenienti dagli «intranei» all'ambiente universitario.
      Il limite della disciplina vigente può senz'altro riscontrarsi nella previsione del comma 2 dell'articolo 1 richiamato: mentre infatti la previsione dell'attribuzione delle funzioni ad un «organo collegiale» appare compatibile con la necessità di una azione di verifica che si avvalga di molteplici esperienze e, soprattutto, che si nutra di un confronto pieno nell'ambito di un organo costituito in collegio (nucleo di valutazione interna) e mentre pure ragionevole sembra essere la previsione che i singoli atenei adottino, attraverso lo strumento statutario, il «sistema di valutazione» (espressione di autonomia è il creare le «proprie regole» non già l'attuarle arbitrariamente!), del pari, non appare compatibile con le necessità (e soprattutto con l'ispirazione) del sistema la previsione di modalità di nomina e dei requisiti di composizione del nucleo invero ispirati ad un criterio di autoprotezione e non di eterovalutazione.
      Una volta fissate regole nel sistema di valutazione, infatti, l'università deve consentire ed accettare di farsi valutare da soggetti terzi, deve in sostanza, in piena trasparenza, consentire la verifica dei risultati da parte di soggetti certamente esperti e qualificati, ma per converso sicuramente terzi rispetto all'ateneo, alla sua vita interna, ovvero alle dinamiche interne del mondo accademico e del coevo «stuolo» paraministeriale.
      Il fatto che si tratti di una valutazione interna, ossia destinata al controllo interno degli organi dell'ateneo, non implica necessariamente che essa debba essere anche una valutazione potenzialmente addomesticabile, non sorretta dalle dovute terzietà e imparzialità.
 

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      Occorre quindi apportare talune modifiche ad una disciplina che oggi non esprime adeguatamente due interessi fondamentali per i quali la società richiede appropriata tutela:

          a) il primo interesse riguarda il diritto dello Stato, ancor di più in un regime di autonomia piena delle università, di controllare e di verificare l'allocazione e la gestione delle risorse predisposte e finalizzate (l'università autonoma continua ad essere finanziata in massima parte dal Governo!) per l'attuazione di un diritto, quello della formazione universitaria, che costituzionalmente resta radicato in capo allo Stato centrale;

          b) il secondo interesse riguarda la genuinità e la correttezza dei dati forniti dalle singole università. Bisogna superare la fase della trasmissione «obbligata» di dati molto spesso generici (i quali troppo spesso non delineano un quadro compiuto e soprattutto veritiero dello stato delle università) per passare ad un sistema nel quale organismi permanenti di valutazione sappiano offrire allo Stato, ma anche agli enti territoriali e ai cittadini-utenti, una visione realistica e veritiera dello «stato dell'ateneo».

      In un sistema che oggi, dopo l'autonomia, sembra caratterizzato da una sfrenata concorrenza e competizione fra atenei, il rischio maggiore è quello di far vedere ciò che non si ha, di porre sul mercato una offerta formativa qualitativamente scadente ammannendola come la più idonea alle necessità dei giovani, una vera e propria truffa verso la società di domani, che dovremmo voler migliore!
      E su chi, se non sullo Stato, incombe l'onere di garantire, nel campo del diritto allo studio universitario, alti livelli qualitativi ovunque?
      Su chi grava l'onere di assicurare pari condizioni di base per ciascuno studente universitario (da Trapani a Bolzano)?
      In tale modo, autonomia nell'istruzione universitaria finisce per significare squilibrio, sperequazione anche territoriale, per le diverse forze in campo (intorno all'università di Milano si concentrano forze economiche enormemente maggiori rispetto a quelle che si possono concentrare intorno alla università de L'Aquila o a quella di Siracusa), rispetto ai quali lo Stato deve poter compiere, proprio attraverso il sistema dei controlli e delle verifiche, scelte oculate di incentivazione ovvero di riduzione dei finanziamenti, premiando chi - in condizioni economiche e ambientali svantaggiate - si sforzi di realizzare sviluppo e riducendo le risorse nei confronti di quegli atenei che non realizzino, attraverso una gestione corretta, gli obiettivi strategici per il territorio.
      Perché lo Stato centrale (il Ministero competente e dunque il Governo) possa realizzare queste scelte ponderate, bisogna, innanzitutto, garantire una conoscenza piena di dati certi, genuini, acquisiti con terzietà e imparzialità in ciascun ateneo da parte di soggetti effettivamente estranei al mondo accademico e privi di alcun collegamento con questo ma, ciò non di meno, esperti e profondi conoscitori del sistema.
      Bisogna quindi influire non tanto - e non necessariamente - sul Comitato nazionale per la valutazione (istituito ai sensi dell'articolo 2 della citata legge n. 370 del 1999) quanto piuttosto sui nuclei interni a ciascun ateneo, garantendo una presenza capillare sul territorio di soggetti a vario titolo chiamati non già a cogestire le «università autonome» quanto a controllare e a verificare dall'interno l'azione complessivamente posta in essere dalle singole università.
      Se si interviene sui meccanismi di nomina dei nuclei di valutazione interna e sulla composizione degli stessi e se si potenziano, coevamente, i poteri dei nuclei rendendo efficaci i poteri di interdizione o di incentivazione dei finanziamenti alle università che dai nuclei non ricevano un giudizio complessivamente apprezzabile ovvero che, rispettivamente, ricevano un giudizio positivo, allora questi organi collegiali di valutazione interna (ma esterni al sistema!) potranno davvero garantire un risultato utile per l'ateneo, servendo effettivamente alla propria funzione.

 

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      Diversamente, secondo l'attuale formulazione della legge, il «servo sciocco» di turno potrà delineare una situazione sullo stato di ciascuna università (quale è quella che emerge in tante università italiane) talmente tanto diversa dalla realtà, da costruire un quadro d'insieme assolutamente inaffidabile!
      Un quadro sul quale poi vengono operate dal Governo scelte assolutamente ingiustificate, irrazionali, a tacere d'altro, a tutto discapito dell'interesse nazionale e dell'efficienza dello Stato in questo settore; scelte le quali portano a radicalizzare tradizionali squilibri ovvero a produrre nuove disomogeneità.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al primo periodo del comma 2 dell'articolo 1 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, le parole: «da un minimo» fino alla fine del periodo, sono sostituite dalle seguenti: «da cinque membri, oltre ai componenti di diritto di seguito indicati, nominati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fra soggetti esperti nel campo dell'economia gestionale e del diritto pubblico generale, esclusi dipendenti o ex dipendenti di università, pubbliche o private. Del nucleo di valutazione interna fanno parte di diritto: il presidente della giunta della regione in cui insiste l'università, o un suo rappresentante; il presidente della giunta della provincia in cui insiste l'università, o un suo rappresentante; il sindaco del comune in cui insiste l'università, o un suo rappresentante; il presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del luogo in cui insiste l'università, o un suo rappresentante; un rappresentante degli ordini professionali presenti all'interno dell'ateneo, scelto dal Ministro della giustizia in una rosa di tre candidati».

Art. 2.

      1. Il comma 3 dell'articolo 1 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, è sostituito dai seguenti:

      «3. Di quanto indicato nella relazione annuale del nucleo di valutazione interna di ciascun ateneo il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca tiene conto per tutte le iniziative che ritenga opportuno attuare nei confronti degli stessi atenei. Qualora la relazione attribuisca un giudizio altamente positivo, in merito alle condizioni ambientali e finanziarie nonché alle risorse strumentali, materiali e umane, specificando, altresì, gli ottimi risultati gestionali e amministrativi, nella didattica e nella

 

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ricerca scientifica e tecnologica, l'università interessata è ammessa ad ottenere in misura massima il finanziamento ordinario annuale e gli eventuali altri finanziamenti aggiuntivi nonché un finanziamento straordinario, a titolo di incentivo alla produttività, pari al 10 per cento del finanziamento ordinario annuale.
      3-bis. In ogni altro caso diverso dall'ipotesi di cui al comma 3, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ricevuta la relazione annuale del nucleo di valutazione interna, sollecita il rettore dell'università interessata a produrre ogni iniziativa necessaria per la realizzazione effettiva e la compiuta attuazione di quanto segnalato dallo stesso nucleo di valutazione, assegnando a tale fine un termine comunque non superiore a sei mesi, decorso inutilmente il quale, il Ministro sospende o riduce l'erogazione ordinaria di finanziamenti all'università. Qualora nella relazione annuale predisposta dal nucleo di valutazione interna siano indicati deficit gestionali gravi ovvero gravi inadempienze in materia didattica, di ricerca o amministrativa, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca formula un richiamo formale al rettore dell'università affinché provveda direttamente, ovvero solleciti gli uffici o gli organi preposti, ad eliminare le carenze denunziate assegnando allo scopo un termine di sei mesi, eventualmente prorogabile per ulteriori quattro mesi. In caso di parziale adeguamento, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere scritto del presidente della giunta della regione nella quale l'università insiste, stabilisce le azioni necessarie al fine di garantire la completa attuazione di quanto indicato nella relazione annuale. In difetto totale di ottemperanza alle indicazioni contenute nella relazione annuale del nucleo di valutazione interna, l'università interessata è esclusa per un triennio dal riparto dei fondi di cui al comma 2 dell'articolo 2 e agli articoli 3 e 4, nonché, per un anno, dal finanziamento ordinario e da tutte le incentivazioni di legge, salva la quota di finanziamento riguardante l'ordinaria amministrazione».
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