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PDL 5514

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5514



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

ONNIS, COLA

Introduzione dell'articolo 110-bis del codice penale,
in materia di concorso esterno nei reati associativi

Presentata il 22 dicembre 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con una recente sentenza (Cassazione, Sezioni unite, 30 ottobre 2002, Carnevale), hanno riaffermato la configurabilità del concorso esterno nel reato associativo, precisando, nel contempo, i presupposti oggettivi e soggettivi di tale forma di responsabilità penale.
      Già nell'ottobre del 1994, con la sentenza Demitry, le Sezioni unite avevano affrontato, e risolto positivamente, il problema del concorso eventuale nei delitti di associazione; tuttavia, i dubbi, i contrasti, le radicali differenze di opinione registrate nel frattempo, sulla materia, in dottrina e in giurisprudenza, hanno indotto il Supremo collegio a rivisitare le soluzioni offerte quasi dieci anni prima, verificandone, e infine - pur con alcune precisazioni - ribadendone, la validità.
      Il tema appare d'importanza centrale nel sistema penalistico: come segnalato dai più attenti commentatori, la punibilità del concorrente esterno nel delitto associativo «è un ottimo esempio di diritto giurisprudenziale», «una judge made law italiana», in quanto «è la giurisprudenza, non la legge a stabilire che cosa è (o non è più) reato».
      Ma questa modifica del «ruolo istituzionale del giudice, trasformato da "consumatore" del diritto scritto in suo produttore» non può in alcun modo ritenersi compatibile con le norme che sanciscono i princìpi di legalità-tassatività in materia penale (articolo 25, secondo e terzo comma, della Costituzione, articoli 1 e 199 del codice penale) e fa vacillare le garanzie che presidiano le libertà fondamentali dell'individuo, oltre che gli equilibri istituzionali.
      Infatti, la sentenza Demitry, sopra citata, è stata anche recentemente definita «sostanzialmente eversiva del nullum crimen sine lege scripta», avendo essa esercitato
 

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«una vera e propria funzione normativa (...) formalmente illegittima perché invasiva delle competenze del legislatore», creatrice di «un modello d'incriminazione (...) una tipologia d'illecito strutturalmente autonoma».
      Sono note le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza a utilizzare le norme sul concorso (articolo 110 e seguenti del codice penale), per espandere l'area dell'illecito, con riguardo ai reati associativi.
      Le specifiche norme incriminatrici, infatti, non sembravano, già dieci anni fa, adeguate ai profondi mutamenti evidenziati nella natura e nel modus operandi della criminalità organizzata: essa non era - e non è - più un elemento assolutamente isolato dal contesto del vivere civile. Soprattutto in alcuni settori (ad esempio, nel caso delle associazioni di tipo mafioso), il sodalizio illecito è riuscito a infiltrarsi nel tessuto sociale, intrecciando relazioni, funzionali al perseguimento del programma delittuoso, con soggetti che, pur essendo rimasti estranei alla struttura organizzativa dell'impresa criminale, ne hanno tuttavia assicurato il rafforzamento o la conservazione, anche con contributi isolati, magari in occasione di fasi critiche (di «fibrillazione») per l'esistenza dell'associazione.
      In particolare, sarebbero state le chiamate di correo dei collaboratori di giustizia a rivelare il nuovo assetto strutturale di questi fenomeni criminali e, quindi, l'esistenza di differenti forme di coinvolgimento nell'attività del gruppo: non più soltanto attraverso l'affiliazione (preventiva) alla societas sceleris, ma, anche, attraverso apporti esterni, talora decisivi, atipici rispetto alla condotta di «partecipazione» direttamente incriminata dalle norme.
      Quelle vicende processuali avrebbero perciò proposto ai giudici un duplice problema: sul piano processuale era necessario rintracciare i riscontri di quelle chiamate di correo; sul piano sostanziale occorreva individuare un meccanismo che, in assenza di adeguati interventi legislativi, potesse consentire di sanzionare penalmente tutti quei comportamenti atipici, costituenti il «grumo rancido e velenoso» del contributo esterno alle fortune del sodalizio.
      Da questa esigenza derivavano le affermazioni della sentenza Demitry e delle pronunce che, in seguito ad essa, si sono uniformate.
      Da un lato, allora, si è denunciato il contrasto tra questi indirizzi giurisprudenziali, creativi del modello incriminato, e i princìpi costituzionali di legalità-tassatività; dall'altro lato, si è preso atto della fondatezza delle ragioni di politica criminale ispiratrici di queste scelte interpretative.
      Attualmente, queste esigenze di repressione non possono dirsi cessate o superate e infatti, con la sentenza Carnevale, si ripropone, nei medesimi termini, il problema dell'anomala elaborazione, da parte della giurisprudenza, della fattispecie (concorsuale) penalmente sanzionata.
      Tale attività giuriusprudenziale «creatrice» sarebbe impropria, nel diritto penale, pur se avesse raggiunto risultati incontroversi, comunemente condivisi; essa è però più allarmante nel caso in esame, per il perdurare di dubbi e discussioni sia in ordine all'astratta possibilità di punire il concorrente eventuale nel delitto associativo, sia a proposito dell'individuazione dei requisiti che devono coesistere per affermarne la responsabilità.       A questo proposito, si considera che la soluzione offerta dalla sentenza Demitry, circa la configurabilità del concorso esterno in questi delitti d'associazione, è stata assai criticata in dottrina e non sembra aver convinto integralmente neppure i giudici: la sentenza Villecco (Cassazione, sezione VI, 21 settembre 2000) interveniva a «riaprire le ostilità» su questo fronte, «mossa dal dichiarato intento di verificare la "tenuta" della Demitry, avvertita come problematica, già nella decisione 25 giugno 1999 (ric. Trigili)»; per questo, le Sezioni unite, pronunciando la sentenza Carnevale, hanno dovuto rimeditare lo stesso quesito cui avevano dato risposta quasi dieci anni prima.
 

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      Non minori incertezze si colgono nell'indicazione degli elementi costitutivi di questa forma di concorso esterno.
      Così, sotto il profilo oggettivo, la sentenza Demitry faceva riferimento ai contributi offerti nelle fasi patologiche dell'esistenza del sodalizio; le pronunce successive si preoccupavano di meglio definire questa nozione (in verità assai generica e «metaforica») di patologia o «fibrillazione» dell'associazione (ad esempio, Cassazione, sezione II, 13 giugno 1997, Dominante; Cassazione, sezione VI, 4 settembre 2000, Pangallo; Cassazione, sezione V, 23 aprile 2002, Apicella), infine, la sentenza Carnevale oblitera la necessità di questo requisito e, anzi, sottolinea che la precedente decisione (Demitry) si sarebbe espressa, sul punto, con un argomento di «carattere [solo] esemplificativo».
      Sul versante soggettivo, il contenuto del dolo è stato indicato dalla sentenza Demitry e, poco dopo, puntualizzato dalla sentenza Mannino (Cassazione, Sezioni unite, 27 settembre 1995); sullo stesso aspetto è intervenuta la sentenza Carnevale, avvertendo la necessità di «rivisitare» la soluzione offerta nel 1994 e di «precisare» le «ragioni che la giustificano».
      Quanto finora si è evidenziato fa ritenere indifferibile un intervento legislativo sul tema.
      Essendo tuttora fortemente avvertita l'esigenza politico-criminale di reprimere qualsivoglia contributo che sostenga il sodalizio illecito o ne aiuti la crescita, non potrebbe utilmente praticarsi la strada che vieta espressamente la configurabilità del concorso esterno nei delitti associativi (per evitare che la giurisprudenza insista nell'interpretazione creatrice) e nel contempo introduce specifiche norme incriminatici di parte speciale, per colpire «ben individuati fenomeni di fiancheggiamento», sul modello offerto dall'articolo 378, secondo comma, del codice penale, o dall'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
      Questa tecnica, infatti, rischierebbe di lasciare impuniti comportamenti contrassegnati da un sicuro disvalore, meritevoli di sanzione penale, eppure atipici rispetto alla fattispecie associativa come pure alle specifiche norme che si fossero potute elaborare.
      Per questo motivo, sembra più efficace un'integrazione delle norme esistenti in materia di concorso di persone nel reato, nel solco già tracciato dalle decisioni cui si è fatto riferimento, per la migliore, stabile tipizzazione legale degli elementi essenziali del comportamento punibile.
      Infatti, se, in virtù dei princìpi di legalità-tassatività, non può concedersi che la giurisprudenza delinei, in mancanza di riferimenti normativi, i contorni di nuovi modelli criminosi, nulla vieta - e anzi frequentemente accade - che il legislatore valorizzi le indicazioni dei giudici, per adeguare il sistema repressivo ai mutamenti intervenuti nella società e (per quanto ora direttamente interessa) nell'agire delle organizzazioni criminali.
      In tale prospettiva, occorre individuare l'area del concorso eventuale nel reato associativo sia sul lato «interno», distinguendola dall'ambito della condotta tipicamente partecipativa, che sul lato «esterno», per marcarne la differenza rispetto ai fenomeni - non incriminati, almeno a tale titolo - di «contiguità compiacente».
      La presente proposta di legge introduce, dunque, l'articolo 110-bis del codice penale, proprio per soddisfare entrambe le esigenze appena segnalate, recependo e sintetizzando, nella formula normativa, le più recenti indicazioni delle Sezioni unite della Corte di cassazione.
      Innanzi tutto, il contributo esterno è distinto da quello del partecipe in termini negativi, richiedendosi che, sotto il profilo oggettivo, il concorrente eventuale non sia inserito nella struttura organizzativa dell'associazione e, sotto il profilo soggettivo, che egli non abbia concepito la cosiddetta affectio societatis, intesa come volontà di fare parte del sodalizio.
      L'ambito della punibilità è quindi precisato dal riferimento al contributo concreto e specifico (consapevolmente, volutamente) offerto dall'agente, con efficacia causale, per il rafforzamento o la conservazione
 

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dell'associazione criminale e, riguardo al dolo, chiarendo che ciò deve avvenire in vista della realizzazione del programma delittuoso comune agli associati.
      Il secondo comma dell'articolo 110-bis dovrebbe poi contemplare una diminuzione della pena da infliggere al concorrente «esterno», derogando alle norme generali, ispirate al principio della pari responsabilità dei correi.
      Del resto, anche l'articolo 114 del codice penale accoglie un'eccezione a quel criterio di massima, quando, ad esempio, ammette che il giudice possa diminuire la pena se ritiene che il contributo offerto dall'imputato sia stato di minima importanza.
      L'esigenza di prevedere, al suddetto secondo comma, un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello ricollegabile al reato associativo dipende dalle caratteristiche oggettive e soggettive della condotta ascritta al concorrente eventuale, che non è inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e, soprattutto, non ha la volontà di farne parte.
      Quindi, non apparirebbe congrua la scelta di applicare la stessa sanzione a colui che partecipa, dall'interno, alla societas sceleris e al soggetto che, magari in una sola occasione, ha fornito, dall'esterno, un contributo circoscritto e specificamente individuabile.
      Differenziando e graduando nel modo proposto le sanzioni da irrogare al soggetto membro dell'associazione e al concorrente eventuale, si ottiene, poi, che quest'ultimo, reso consapevole dell'aggravamento del trattamento punitivo cui andrebbe incontro se decidesse di aderire al sodalizio criminale, preferisca rimanerne estraneo ed eviti, così, di potenziarne la struttura.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo l'articolo 110 del codice penale, è inserito il seguente:

      «Art. 110-bis. - (Concorso di persone nei reati associativi). - Concorre nei reati associativi, ai sensi dell'articolo 110, chi, essendo estraneo alla struttura organizzativa dell'associazione e senza comunque avere la volontà di farne parte, consapevolmente e volontariamente presta un contributo concreto, specifico ed essenziale per la conservazione o il rafforzamento della stessa associazione, al fine della realizzazione del programma criminoso di quest'ultima.
      Nei casi indicati dal primo comma la pena da infliggere per il reato commesso è diminuita della metà».


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