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PDL 5492

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5492



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato COLA

Disposizioni per la promozione della conciliazione stragiudiziale

Presentata il 15 dicembre 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Un fenomeno in costante crescita in molti Paesi è quello del ricorso, specie in caso di lite in materia civile e commerciale, a procedure di «risoluzione alternativa delle controversie» - o procedure di «ADR», dall'inglese Alternative Dispute Resolution - ispirate al paradigma cooperativo del negoziato diretto tra i litiganti, facilitato da un terzo neutrale (diverso dal giudice competente) nel ruolo di conciliatore, invece che a quello avversariale «a distanza», caratteristico del processo civile e dell'arbitrato. Tra queste procedure campeggia per importanza e diffusione quella della conciliazione stragiudiziale (mediation), che è oggetto del presente intervento normativo, al punto di essere divenuta sinonimo corrente di ADR e di risoluzione alternativa delle controversie.
      Fra le cause principali dell'affermazione della conciliazione stragiudiziale vanno senz'altro annoverate le diffuse preoccupazioni circa i costi e i ritardi, spesso assai gravi, della giustizia ordinaria. Nonostante le peculiarità riscontrabili nei diversi Paesi, infatti, il tratto comune di tutte le esperienze di ADR è quello finalistico di gestire la lite, sia in fase di prevenzione che di trattamento, in modo semplificato, e quindi con forte risparmio di costi e di tempo. Sennonché, l'enfasi sui soli aspetti «quantitativi» (il risparmio di tempo e di denaro) rischia di andare a oscurare ingiustificatamente le potenzialità anche «qualitative» della risoluzione alternativa delle controversie, tra cui soprattutto l'idoneità della conciliazione a non interrompere necessariamente, e magari brutalmente, i rapporti economico-professionali e spesso anche personali tra le parti, come di norma accade, invece, con il mero avvio di un processo civile o di un arbitrato. Diversamente dal giudice
 

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e dall'arbitro, infatti, il conciliatore professionale può concentrarsi sul futuro piuttosto che sul passato, sui reali interessi delle parti invece che sulle mere pretese espresse, aiutando così i litiganti a elaborare soluzioni della vertenza, anche originali, che non lascino sul campo un vincitore e un vinto, ma possibilmente entrambi soddisfatti. È nell'autodeterminazione dei contenuti solutivi della lite, pertanto, che va rintracciato un autonomo pregio delle procedure di risoluzione delle controversie dette, come la conciliazione, «non adjudicative».
      Pur non mancando talune esperienze di crescente successo, la fornitura di servizi qualificati di conciliazione stragiudiziale da parte di soggetti terzi rispetto ai litiganti è tuttavia un fenomeno ancora abbastanza raro, nonostante l'assenza di limiti ordinamentali a tale attività e talvolta persino l'obbligatorietà dell'esperimento di una procedura di conciliazione in caso di lite, come ad esempio è previsto dalla legge sulla sub-fornitura. Questo scarto tra teoria e pratica, stando ai sempre più frequenti e partecipati incontri di studio in materia di ADR, va imputato a due ostacoli principali all'affermazione di modelli di risoluzione delle liti alternativi alla giurisdizione statale.
      Il primo degli ostacoli è senz'altro di ordine culturale. In Italia, il fenomeno della risoluzione non contenziosa delle liti, a partire dallo studio del quadro giuridico e soprattutto delle relative tecniche, è stato a lungo pressoché interamente trascurato, sia nella fase di formazione tecnica del giurista, sia in quella della successiva preparazione professionale. Il contrario è avvenuto, e la cosa non sorprende, non solo nei Paesi ove la ADR prospera da tempo, ma di recente anche in Paesi dell'Europa continentale, dove la risoluzione alternativa delle controversie è divenuta materia di studio curricolare, talvolta persino obbligatoria, nella formazione del giurista (e non solo). L'offerta formativa non si ferma poi al livello della laurea, ma prosegue a quello post-laurea con appositi Master e persino con programmi specifici di dottorato di ricerca (Ph.D.). Le cose stanno lentamente cambiando anche in Italia, ma la strada da percorrere, specie da parte del mondo accademico e degli organismi che curano la formazione e l'aggiornamento professionale, è alquanto lunga.
      Il secondo tipo di ostacolo è invece di natura tecnica, e consiste nella necessità di definire norme certe per disciplinare il fenomeno della risoluzione alternativa delle controversie. Diverse sono state le proposte di legge in questo campo, susseguitesi a partire dal 1998. Nel corso di questa legislatura alcune di esse sono poi state valutate, come noto, nell'ambito di un apposito Comitato ristretto che, a metà del 2003, era riuscito a identificare e approvare un testo base. Verso la fine del 2003, tuttavia, una serie di emendamenti, sia della maggioranza che dell'opposizione, aveva finito per modificare radicalmente l'impianto originario del testo base, rendendo così inevitabile un intervento di risistemazione, che si ritiene essere stato compiuto in questa sede. Due avvenimenti recenti, infatti, consentono di superare agevolmente le difficoltà sino ad ora incontrate nella definizione di un quadro ordinamentale generale per la ADR, lungo due direttrici di lavoro tanto solide quanto ragionevoli: la prima è l'entrata in vigore della nuova disciplina per la conciliazione stragiudiziale delle controversie societarie; la seconda è la proposta di direttiva sull'ADR della Commissione europea di Bruxelles, formalizzata lo scorso 22 ottobre 2004.
      Con riferimento alla prima direttrice, occorre notare come il decreto legislativo n. 5 del 2003, e i successivi regolamenti di cui ai decreti del Ministro della giustizia di attuazione (n. 222 e n. 223 del 2004), abbiano posto fine alla lunga querelle, che affollava i dibattiti e le varie proposte di legge precedenti, relativa alla natura giuridica dei creandi «organismi di conciliazione». Recependo le tendenze che emergevano dal dibattito dottrinale, e riflesse in alcune delle precedenti proposte, il decreto legislativo n. 5 del 2003 ha quindi previsto sia la costituzione di organismi pubblici (prevedendo per alcuni di essi, le camere di commercio, industria, artigianato e
 

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agricoltura, un percorso privilegiato ai fini dell'ottenimento della iscrizione al registro ministeriale), sia di organismi privati, previa verifica, da parte del Ministero della giustizia, del possesso di determinati requisiti. Organismi emanazione di Ordini professionali, associazioni no-profit o enti commerciali potranno quindi iscriversi al registro ministeriale per gestire le conciliazioni nella materia civile e commerciale, ottemperando a un obbligo già previsto per tutti quelli interessati a gestire procedure di conciliazione nella materia societaria. In altre parole, l'intervento governativo nel diritto societario ha già creato una «infrastruttura» di conciliazione ben definita, che gli operatori stanno al momento attivando e che quindi è agevole, oltre che raccomandabile, utilizzare ai fini della presente proposta di legge. Ad ulteriore tutela degli utenti, si prevede che gli organismi in questione svolgano la propria attività in via esclusiva. Come è noto, il decreto legislativo n. 5 del 2003 è comunque andato ben al di là della disciplina dei soli organismi di conciliazione, avendo regolamentato l'istituto della conciliazione stragiudiziale societaria «a tutto tondo». Il decreto legislativo in discorso, infatti, oltre a fornire una definizione della conciliazione stragiudiziale, identifica le regole di procedura, le conseguenze dell'accordo e del mancato accordo conciliativo, il regime dei compensi e gli aspetti fiscali della procedura In sintesi, l'ordinamento italiano possiede già, per la materia societaria, un vero e proprio «codice» della conciliazione stragiudiziale, e sarebbe incoerente tentare di crearne un altro.
      La presente proposta di legge, allora, estende a tutte le controversie civili e commerciali in materia di diritti disponibili la disciplina della conciliazione stragiudiziale societaria (articolo 3), richiamando all'articolo 2 le definizioni contenute nel citato decreto legislativo n. 5 del 2003. Relativamente all'ambito di applicazione delle nuove norme, la presente proposta di legge recepisce poi il contenuto di uno degli emendamenti presentati a novembre 2003, estendendone l'applicazione alle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). In questi casi, la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione a una proposta del conciliatore che svolge la propria attività all'interno di uno degli organismi di conciliazione iscritti al registro ministeriale, non dà luogo a responsabilità amministrativa, come già previsto dalle norme su talune tipologie di controversie di lavoro.
      Il contenuto dell'articolo 4, peraltro già previsto in talune delle proposte di legge precedenti, assume particolare importanza, recependo una delle norme e dei princìpi centrali di cui si occupa la citata proposta di direttiva europea, che dovrà essere attuata entro il 2007. La norma prevede il potere del giudice di raccomandare alle parti di rivolgersi a un organismo accreditato di conciliazione e quello, per certi versi più incisivo, di ordinare alle stesse di partecipare a una sessione informativa sul ricorso alla conciliazione stragiudiziale.
      Anche i due articoli successivi provengono in larga misura da proposte di legge precedenti. Il primo, l'articolo 5, aggiunge ai doveri generali dell'avvocato quello di informare i propri clienti in merito a tutte le possibilità conciliative della lite, tra cui il ricorso a uno degli organismi accreditati. Il secondo, previsto all'articolo 6, riguarda invece la previsione di limitate forme di conciliazione obbligatoria, in settori ove l'effetto deflativo della conciliazione stragiudiziale è più urgente. La norma si giustifica sulla base della considerazione che l'insuccesso delle forme di conciliazione obbligatoria sino ad ora previste è da ricondurre principalmente alla mancanza di professionalità degli organismi preposti, piuttosto che all'istituto della conciliazione obbligatoria in sé. I recenti sviluppi culturali e professionali del fenomeno ADR, sia in Italia che nel mondo, garantiscono alla norma in questione l'impatto atteso.
      Conclusivamente, va sottolineato come con la presente iniziativa il legislatore
 

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italiano, partendo dalle proposte di legge precedenti e ispirandosi al diritto positivo, ottenga il risultato di giungere finalmente alla definizione di un quadro normativo generale per il fenomeno ADR, e di anticipare altresì l'emanazione di norme che, alla luce della citata proposta di direttiva europea, tutti i 25 Stati membri dell'Unione europea dovranno presto iniziare a darsi. Merita infatti precisare che la presente proposta di legge recepisce interamente - in parte direttamente, in parte per effetto del rinvio alla normativa societaria - i princìpi previsti nella proposta di direttiva della Commissione europea.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione).

      1. La Repubblica promuove e incentiva il ricorso a organismi qualificati di conciliazione al fine di incoraggiare, anche tramite procedure telematiche, la risoluzione stragiudiziale delle controversie civili e commerciali in materia di diritti disponibili, incluse quelle aventi natura internazionale.
      2. Salvo diverse previsioni contenute in leggi speciali, la presente legge si applica anche alle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, se favorita da un conciliatore che svolge la propria attività all'interno di uno degli organismi di conciliazione previsti dalla presente legge, non dà luogo a responsabilità amministrativa.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Ai fini della presente legge si intende per:

          a) «registro»: il registro degli organismi costituiti da enti pubblici o privati, deputati a gestire i tentativi di conciliazione ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5;

          b) «conciliazione»: il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall'arbitro, in condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso

 

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modalità che comunque ne favoriscono la composizione autonoma;

          c) «conciliatore»: le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la prestazione del servizio di conciliazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;

          d) «organismo»: l'organizzazione di persone e di mezzi che è stabilmente destinata in via esclusiva all'erogazione del servizio di conciliazione.

Art. 3.
(Estensione delle norme sulla conciliazione societaria).

      1. Le disposizioni sulla conciliazione stragiudiziale previste dagli articoli 38, 39 e 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni, e nei regolamenti attuativi, si applicano a tutte le controversie di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 della presente legge e, in quanto compatibili, alle controversie di cui all'articolo 6 della medesima legge.

Art. 4.
(Conciliazione stragiudiziale raccomandata dal giudice).

      1. Il giudice, qualora ritenga che per la natura del giudizio o per lo stato della controversia, anche in relazione al materiale probatorio acquisito o ai provvedimenti emessi o da emettere in relazione alle istanze istruttorie formulate dalle parti, sia possibile esperire un tentativo di conciliazione stragiudiziale, invita le parti a rivolgersi a uno degli organismi iscritti al registro. In tale caso il giudice rinvia ad altra udienza, sempre per l'espletamento degli stessi adempimenti processuali per i quali era stata originariamente fissata, con salvezza di ogni diritto e facoltà processuali. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai procedimenti

 

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pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
      2. Il comportamento della parte che, dopo avere accolto l'invito del giudice di cui al comma 1, non si presenta per il tentativo di conciliazione stragiudiziale, senza giustificato motivo, è valutato ai fini della condanna alle spese processuali del giudizio di merito. In ogni caso, il giudice può imporre alle parti di partecipare a una sessione informativa sul ricorso alla conciliazione stragiudiziale.

Art. 5.
(Dovere informativo per gli avvocati).

      1. All'articolo 11 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «È dovere dell'avvocato informare il cliente di tutte le possibilità conciliative della controversia, inclusa quella di ricorrere a uno degli organismi di conciliazione iscritti al registro del Ministero della giustizia, prima di procedere alla proposizione del giudizio o nel corso dello stesso».

Art. 6.
(Obbligatorietà dell'esperimento
di un tentativo di conciliazione).

      1. Sono sottoposte al tentativo obbligatorio di conciliazione davanti a uno degli organismi iscritti al registro, a pena di improcedibilità della relativa domanda giudiziale:

          a) le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, quando il valore non supera 25.000 euro;

          b) le cause tra professionisti, nonché tra professionisti e consumatori, quando il valore non supera 25.000 euro;

 

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          c) le cause aventi a oggetto la responsabilità medica, quando il valore non supera 100.000 euro.

      2. L'esperimento del procedimento di conciliazione di cui al comma 1 non può avere durata complessiva superiore a 45 giorni.
      3. Quando il giudice, nell'udienza di cui all'articolo 180 del codice di procedura civile, rileva l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, sospende il giudizio e fissa un termine perentorio non superiore a un mese per la presentazione dell'istanza. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, il processo si estingue se non è riassunto entro sei mesi, che decorrono dalla scadenza del termine di cui al comma 2.

Art. 7.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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