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PDL 5418

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5418



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

VIANELLO, PIGLIONICA, BANTI, LION, NESI, PAPPATERRA, RUSSO SPENA, SANTAGATA, ABBONDANZIERI, VIGNI

Modifica dell'articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, concernente l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto

Presentata il 12 novembre 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Con la decisione n. 200/2213-C(2002)3868, la Commissione delle Comunità europee ha avviato, nei confronti dell'Italia, l'ennesima procedura di infrazione in materia di legislazione ambientale. In questa occasione le contestazioni sono state formulate in ordine al decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, recante, all'articolo 14: «Interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22».
      La direttiva europea dalla quale discende la nozione di rifiuto, trasposta nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è la direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991. In particolare, l'articolo 1 della direttiva è stato trasposto nella legislazione italiana dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, cosiddetto «decreto Ronchi» recante «Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti pericolosi, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio».
      Ai sensi di tale disposizione, è da intendere per rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
 

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all'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi». L'allegato A al decreto legislativo n. 22 del 1997 riproduce l'allegato I della citata direttiva 75/442/CEE, e successive modificazioni. Gli allegati IIA e IIB della direttiva sono riprodotti, rispettivamente, agli allegati B e C annessi al decreto legislativo n. 22 del 1997.
      Attraverso l'emanazione di questa norma, dunque, la nozione di rifiuto è stata oggetto di interpretazione, in particolare per quello che riguarda uno degli aspetti cui fa riferimento la normativa europea e cioè il comportamento del detentore in ordine alla sua volontà di disfarsi della sostanza o del materiale o del bene di cui è in possesso.
      In particolare, nella trasposizione nazionale della direttiva l'atteggiamento del detentore in ordine al «disfarsi» della sostanza, del materiale o del bene, alla «decisione di farlo» o «all'averne l'obbligo», viene definito attraverso tre distinte modalità comportamentali:

          a) «si disfi»: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale, un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C annessi al decreto legislativo n. 22 del 1997;

          b) «abbia deciso»: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C annessi al decreto legislativo n. 22 del 1997, sostanze, materiali o beni;

          c) «abbia l'obbligo»: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene a operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza o del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi.

      Con le modifiche apportate dall'articolo 14 del citato decreto-legge n. 138 del 2002, è stata introdotta una doppia deroga alle definizioni delle lettere b) e c), ove ricorrano le seguenti condizioni:

          se i beni o le sostanze o i materiali residuali di produzione o di consumo:

              1) possono essere e vengono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

              2) possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subìto un trattamento preventivo, senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C annesso al decreto legislativo n. 22 del 1997.

      L'introduzione di queste esclusioni ha per effetto la non applicabilità delle disposizioni sulla gestione dei rifiuti di cui alla citata direttiva 75/442/CEE ed è, in tale senso, contraria alla direttiva stessa che non può essere derogata da una norma di diritto interno, e che non prevede alcuna esclusione dal suo ambito di applicazione per tali materiali residuali di produzione o di consumo.
      In tale senso si è chiaramente espressa la Commissione europea con la richiamata decisione:

          «In mancanza di specifiche disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario. La Corte ha stabilito che potrebbe pregiudicare l'efficacia dell'articolo 175 del Trattato e della direttiva 75/442/CEE come modificata l'uso, da parte del legislatore nazionale, di modalità di prova come le presunzioni Juris et de jure che abbiano l'effetto di restringere l'ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine "rifiuti» ai sensi della direttiva. L'esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva deve essere accertata alla luce del

 

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complesso delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia».

      In sostanza, dunque, è stato contestato all'Italia di aver introdotto una definizione di rifiuto in contrasto con quella contenuta nella direttiva comunitaria, annullandone, in tale modo, l'efficacia relativamente agli obiettivi che questa pone.
      L'avere, di fatto, sottratto alla norma quei materiali, sostanze o beni, che possono essere «riutilizzati» (senza, tra l'altro, specificarne le modalità), esclude ogni possibilità di controllo su notevoli quantità di rifiuti provocando, altresì, deleteri effetti a «cascata» sulle diverse attività di gestione ad essi legate.
      Se, infatti, tali sostanze non vengono considerate rifiuti, chi le trasporta non è più soggetto alle prescrizioni connesse; chi le produce è esente dai controlli e dagli obblighi in materia; chi le tratta non è più vincolato, ad esempio, alle più rigide norme sulle emissioni in atmosfera o sugli scarichi nelle acque; e così via. Gli obiettivi del diritto comunitario di pervenire a una maggiore tutela dell'ambiente, sono, in tale modo, completamente elusi.
      Lungi dall'aver chiarito definitivamente il significato del termine «rifiuto», il citato decreto-legge n. 138 del 2002 ha, al contrario, provocato maggiore confusione normativa, disparità di trattamento tra gli operatori e incertezza del diritto.
      Tali considerazioni, inoltre, assumono un'importanza maggiore se si considerano gli effetti che tale confusione arreca alle attività di controllo e di accertamento degli illeciti penali e amministrativi.
      In tale contesto, infatti, si possono inquadrare il crescente disagio e il disorientamento degli organi preposti alle attività di prevenzione e di repressione delle attività illecite in campo ambientale; attività di vera e propria gestione di rifiuti mascherate attraverso operazioni di riutilizzo.
      Il primo obiettivo che i firmatari della presente proposta di legge si pongono è, dunque, quello di ricondurre sul piano del diritto una materia sicuramente complessa ma che necessita di un quadro normativo certo e di garanzia per i cittadini, per le Forze di polizia e per gli organi preposti ai controlli e per tutti, ed in eguale misura, gli operatori economici e imprenditoriali del settore.
      La nozione di rifiuto attualmente vigente nell'ordinamento europeo deve essere correttamente applicata e a tale fine la definizione formulata nel decreto legislativo n. 22 del 1997 appare essere l'unica in grado di rappresentare con coerenza le decisioni assunte dal legislatore europeo.
      Tuttavia non possono essere taciute le difficoltà operative che lo stesso decreto-legge n. 138 del 2002 crea in molti dei settori produttivi ai quali si rivolge. Difficoltà di carattere amministrativo oltre a quelle di carattere economico legate ai costi di gestione delle attività connesse.
      Il secondo obiettivo della proposta di legge è dunque quello di definire un quadro normativo che assicuri più efficaci forme di protezione dell'ambiente, anche rispetto alle condizioni poste dalla stessa direttiva europea, offrendo tuttavia la possibilità alle imprese del settore di sganciarsi dai vincoli burocratici e amministrativi, che pure la norma impone, sulla base di determinate, condivise e controllabili condizioni.
      Nel rispetto del principio «chi inquina paga» promuovere, cioè, dei processi per cui «chi non inquina, non paga» e, proponendo una armonizzazione tra i meccanismi di «comando e controllo» con alcuni meccanismi di «auto-controllo» e «volontarietà», incentivare, attraverso misure di carattere fiscale, quei comportamenti virtuosi e di collaborazione con il mondo imprenditoriale, sollecitati anche dal Sesto programma d'azione per l'ambiente della Comunità europea.
      Una strada nuova da percorrere, dunque, della quale possono essere individuate alcune tracce anche nelle disposizioni dello stesso decreto legislativo n. 22 del 1997, al quale, peraltro, la presente proposta di legge intende rimanere agganciata. Il richiamo agli accordi di programma previsti dagli articoli 4, 25 e 42 del decreto legislativo 5 febbraio 1997,

 

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n. 22, si inquadrano proprio in questa scelta: nell'ottica, cioè, di una semplificazione normativa e, nel contempo, del mantenimento dell'unitarietà e della certezza del diritto.
      La strada della soluzione condivisa e controllata deve rappresentare il principale strumento in grado di garantire per un verso il rispetto delle regole e, con esse, l'innalzamento delle soglie di tutela e di rispetto dell'ambiente e, dall'altro, la soddisfazione delle imprese nel non percepire più lo Stato e le «sue» regole come un impedimento alle proprie attività.
      Solo in questo modo si possono felicemente coniugare gli interessi ecologici e quelli economici dei cittadini del nostro Paese.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, è sostituito dal seguente:

      «Art. 14 - (Interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) - 1. Le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato "decreto legislativo n. 22", si interpretano come segue:

          a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

          b) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

          c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

      2. Non ricorre la decisione di disfarsi dei beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo, di cui alla

 

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lettera b) del comma 1, quando sussistono le seguenti condizioni:

          a) le imprese hanno adottato modelli di organizzazione e di gestione, di cui al comma 3, idonei a realizzare la riutilizzazione certa dei beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo di cui all'allegato A del decreto legislativo n. 22, in modo da assicurare una efficace protezione dell'ambiente;

          b) le imprese utilizzano attualmente i beni e le sostanze o i materiali di cui alla lettera a) nel loro ciclo produttivo nel rispetto dei modelli organizzativi e di gestione.

      3. I modelli di organizzazione e di gestione di cui al comma 2 del presente articolo sono definiti, attraverso l'istituto dell'accordo di programma ai sensi degli articoli 4, 25 e 42 del decreto legislativo n. 22 ovvero autonomamente dalle imprese o dalle relative associazioni di categoria, sulla base di quanto previsto:

          a) dal decreto di cui al comma 5;

          b) dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e in particolare dagli articoli 2 e 7, commi 3 e 4, considerati in riferimento al ciclo integrale di gestione dei rifiuti e in relazione ai reati in materia ambientale.

      4. I modelli di cui al comma 3 definiti autonomamente dalle imprese o dalle relative associazioni di categoria devono essere comunicati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio che, entro sessanta giorni dalla data del ricevimento, può formulare osservazioni sulla idoneità dei modelli, anche imponendo prescrizioni. In caso di inosservanza delle prescrizioni, ricorre la fattispecie di cui al comma 1, lettera b).
      5. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, da emanare, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,

 

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entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le linee guida per la predisposizione e l'adozione dei modelli di organizzazione e di gestione di cui al comma 3.
      6. Fatte salve le limitazioni settoriali della Commissione europea e limitatamente all'anno fiscale nel quale le imprese interessate attuano tutte le procedure per l'adesione e la realizzazione dei modelli di organizzazione e di gestione di cui al comma 3, è concesso, alle imprese di cui al comma 7, un credito di imposta. Sono esclusi dal beneficio previsto dal presente comma i soggetti previsti dall'articolo 74 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
      7. Il credito d'imposta di cui al comma 6 è riconosciuto alle imprese che hanno realizzato eventuali lavori ovvero hanno acquistato materiali o strumentazioni per l'ammodernamento strutturale o tecnologico al fine di aderire ai modelli organizzativi e di gestione di cui al comma 3, nella misura pari alla spesa sostenuta e per un massimo di 10.000 euro ed è utilizzabile a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello indicato al comma 6, esclusivamente in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.
      8. Il credito d'imposta di cui al comma 6 non concorre alla formazione del reddito e del valore della produzione rilevante ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive né ai fini del rapporto previsto all'articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
      9. Il credito d'imposta di cui al comma 6 spetta a condizione che:

          a) i lavori o gli acquisti di cui al comma 7 siano avvenuti in data successiva alla data di entrata in vigore della presente disposizione;

          b) le spese sostenute per i lavori o per gli acquisti di materiali o di strumentazioni per l'ammodernamento strutturale o

 

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tecnologico siano state sostenute al fine dichiarato dal presente articolo e siano documentate ai sensi della vigente normativa fiscale.

      10. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Governo provvede ad effettuare la verifica e il monitoraggio degli effetti delle disposizioni di cui al presente articolo, identificando il numero delle imprese che, nel corso dell'anno, hanno aderito ai sistemi organizzativi e gestionali di cui al comma 3.
      11. Al credito d'imposta di cui al comma 6 si applica la regola de minimis di cui al regolamento (CE) n. 69/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001, e ad esso sono cumulabili altri benefìci eventualmente concessi ai sensi del citato regolamento purché non venga superato il limite massimo di 90.000 euro nel triennio».


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