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PDL 5396

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5396



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ONNIS

Modifica all'articolo 284 del codice di procedura penale, in materia di controlli eseguiti nei confronti della persona sottoposta agli arresti domiciliari

Presentata il 3 novembre 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Gli arresti domiciliari, che il codice di procedura penale annovera tra le misure cautelari personali coercitive, impongono alla persona che vi è sottoposta di non allontanarsi dalla propria abitazione, da un altro luogo di privata dimora, ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza (articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale), e perciò configurano, com'è stato rilevato, «un'autoprigionia domestica».
      Tale incisiva limitazione della libertà personale può essere imposta dal giudice quando non sussistano i presupposti per fare luogo alla custodia in carcere ma, nel contempo, ogni altra e meno afflittiva misura dello stesso genere (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, divieto e obbligo di dimora) sia ritenuta insufficiente, non adeguata alle esigenze cautelari del caso di specie.
      Del resto, il giudice deve uniformarsi al cosiddetto «principio di adeguatezza» (articolo 275, comma 1, del codice di procedura penale, per il quale, nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto) non solo nella scelta tra le diverse misure disciplinate dal codice stesso ma, anche, nel determinare il concreto contenuto del provvedimento cautelare di volta in volta adottato.
      Nel caso degli arresti domiciliari, in particolare, la libertà personale può essere infatti ulteriormente limitata, quando lo consiglino le concrete esigenze cautelari della singola fattispecie, vietando all'imputato
 

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di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono (articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale), ovvero prescrivendo controlli mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (articolo 275-bis del codice di procedura penale), da attuare con il consenso dell'imputato (che peraltro, negando il consenso, dovrà soggiacere alla custodia in carcere: articolo 275-bis, comma 1, ultimo periodo, del codice di procedura penale).
      Per contro, se la persona sottoposta agli arresti domiciliari è assolutamente indigente, ovvero non è in grado di soddisfare le indispensabili esigenze di vita, potrà ottenere dal giudice l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo d'arresto, nel corso della giornata e per il tempo strettamente necessario (articolo 284, comma 3, del codice di procedura penale).
      Tale ultima previsione conferma e concretizza quanto dispone, in generale, l'articolo 277 dello stesso codice di rito, per il quale le «modalità di esecuzione delle misure cautelari devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto».
      Il legislatore, pertanto, ha affidato al giudice (articolo 279 del codice di procedura penale) la ricerca del punto di equilibrio tra le esigenze cautelari e i diritti della persona, affinché, valorizzando le variabili di ogni vicenda sottoposta al suo esame, egli possa scegliere la misura più adatta e articolare il contenuto del provvedimento coercitivo, senza sacrificare inutilmente quei diritti.
      Tuttavia, ai sensi del comma 4 dell'articolo 284 del codice di procedura penale, quando siano stati inflitti gli arresti domiciliari, «il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l'osservanza delle prescrizioni imposte [dal giudice] all'imputato».
      Questi controlli sono certamente indispensabili, per evitare che, sottraendosi agli obblighi o violando i divieti impostigli, il soggetto sottoposto agli arresti domiciliari possa vanificare le esigenze di cautela, che la misura si proponeva di realizzare; è poi evidente che, per essere efficaci, i controlli in questione dovranno essere imprevedibili, estemporanei, non determinabili, a priori, dalla legge, né dal giudice, perché, in caso contrario, sarebbe facile eluderli, senza essere scoperti. È però altrettanto evidente che la scelta (oggi integralmente rimessa all'iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria) dei modi e dei tempi di attuazione di tali controlli incide sul concreto contenuto della misura, attribuendole connotati di maggiore o minore afflittività, in base, ad esempio, alla frequenza di queste verifiche, ovvero al loro ripetuto svolgimento durante la stessa notte, o, comunque, in tempi ravvicinati, nelle ore normalmente dedicate al riposo. L'incidenza pratica di simili controlli può essere anche più marcata, quando le condizioni di salute della persona trattenuta agli arresti domiciliari siano precarie e, magari, abbiano imposto la restrizione del paziente in un pubblico luogo di cura.
      Né dovrebbe trascurarsi che le verifiche, eseguite nei confronti dell'imputato (o dell'indagato), coinvolgono quasi sempre, inevitabilmente, anche le persone che con lui coabitano (o che lo assistono); ad esempio, le ripetute visite, da parte della polizia giudiziaria, nell'arco notturno, interferiscono anche con il riposo dei congiunti (e talvolta, tra questi, dei figli in tenera età, di familiari anziani o sofferenti) del soggetto sottoposto alla misura; in queste occasioni, le modalità di esecuzione del provvedimento che ha imposto gli arresti domiciliari dovrebbero armonizzarsi con i diritti - e anzi (come nel caso del riposo notturno) con le fondamentali esigenze di vita - di quanti sono estranei al procedimento penale.
      Se è vero, dunque, che la realizzazione di questi controlli nei confronti della persona ristretta agli arresti domiciliari attribuisce alla misura una fisionomia concreta di volta in volta diversa, più o meno penalizzante per l'imputato e per i suoi conviventi, la scelta di affidare integralmente queste verifiche al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria non appare
 

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conforme ai princìpi ispiratori del sistema e, in particolare, sembra allontanarsi dalla regola che riserva al giudice le scelte relative alle misure cautelari.
      Può accadere, infatti, che i controlli eseguiti per iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, a norma dell'articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale, si allentino, al punto da vanificare le esigenze cautelari del caso concreto; oppure, può accadere che, per semplice eccesso di zelo o per l'inconsapevole sopravvalutazione dei rischi di fuga dell'imputato, di inquinamento del quadro probatorio o di reiterazione del reato, detti controlli si intensifichino fino a eccedere i limiti che il giudice aveva inteso conferire alla misura, così stravolgendola e rendendola addirittura più sacrificante della stessa custodia in carcere.
      La presente proposta di legge vuole pertanto modificare l'articolo 284 del codice di procedura penale, inserendo, nel testo vigente, il comma 4-bis, per attribuire al giudice il compito di disporre (anche) in ordine ai controlli da eseguire, nei confronti del soggetto trattenuto agli arresti domiciliari, contemperando, anche sotto questo specifico aspetto, esigenze cautelari e diritti della persona.
      Non si esclude, ovviamente, il potere di vigilare, oggi riconosciuto agli organi inquirenti, ma si riporta questa particolare modalità di esecuzione della misura nella sfera di controllo del giudice, che, d'ufficio o su istanza di parte, potrà impartire le opportune indicazioni.
      Qualora, poi, il pubblico ministero (informato, magari, dalla polizia giudiziaria), dopo l'esecuzione dell'ordinanza che ha imposto gli arresti domiciliari, ritenesse necessaria un'attenuazione o un'intensificazione delle cautele, dovrebbe rappresentare l'esigenza agli organi giudicanti, deputati a valutarla.
      In questo modo, dopo avere verificato (eventualmente, in contraddittorio) la sussistenza degli specifici presupposti di fatto e di diritto, si potrebbe applicare una misura meno afflittiva o, addirittura, potrebbe disporsi la custodia in carcere dell'imputato.
      Tale scelta estrema assicurerebbe, nei casi e nei modi previsti dalla legge e valutati dal giudice, la soddisfazione delle esigenze cautelari del caso concreto, senza necessità di alterare la natura e i contenuti che le norme vigenti assegnano agli arresti domiciliari; in ogni caso, poi, si rispetterebbe la dignità della persona, essendo vietate, nel trattamento penitenziario, le restrizioni non indispensabili o non conformi «ad umanità» (articolo 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà»).
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 284 del codice di procedura penale, dopo il comma 4, è inserito il seguente:

      «4-bis. Il giudice dispone, anche d'ufficio, affinché i controlli di cui al comma 4 siano eseguiti nei modi e nei tempi resi indispensabili dalle esigenze cautelari del caso concreto, salvaguardando, ove possibile, i diritti di colui che è sottoposto alla misura e delle persone che con lui coabitano o che lo assistono».


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