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PDL 5372

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5372



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

CÈ, BALLAMAN, BIANCHI CLERICI, BRICOLO, CAPARINI, DIDONÈ, GUIDO DUSSIN, LUCIANO DUSSIN, ERCOLE, FONTANINI, DARIO GALLI, GIBELLI, GIANCARLO GIORGETTI, LUSSANA, FRANCESCA MARTINI, PAGLIARINI, PAROLO, POLLEDRI, RIZZI, RODEGHIERO, GUIDO ROSSI, SERGIO ROSSI, STEFANI, STUCCHI, VASCON

Indizione di un referendum di indirizzo sull'adesione della Turchia all'Unione europea

Presentata il 21 ottobre 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Fin dalla sua nascita la Comunità europea, poi divenuta Unione, ha rappresentato un progetto in divenire, i cui contorni si sono venuti delineando anche in risposta agli stimoli e alle sfide che mano a mano il processo storico poneva di fronte ai governanti e ai giuristi.
      Da sempre «comunità aperta», è però solo dopo la fine della guerra fredda, con l'apertura del dialogo verso est, che l'Unione europea ha avviato un dibattito politico più approfondito sul tema dell'allargamento.
      I criteri di Copenaghen, fissati durante il Consiglio europeo del dicembre 1993, avrebbero dovuto rispondere all'esigenza, ormai avvertita chiaramente, di fissare linee guida specifiche per indirizzare il processo di adesione di nuovi Paesi dell'Europa dell'est che avevano avanzato la propria candidatura. Nel 1993 furono definite tre categorie di requisiti che i Paesi candidati avrebbero dovuto rispettare per poter diventare membri dell'Unione.
      Si tratta di criteri politici, verificati nell'esistenza di una stabilità delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto, della tutela dei diritti umani, del rispetto e protezione delle minoranze; criteri economici, soddisfatti se esiste una efficiente economia di mercato e la capacità di competere in seno al mercato unico europeo, in linea con i criteri esposti nel Trattato di Maastricht; infine, criteri legislativi, che si misurano sulla capacità di assumersi gli impegni connessi con la membership ed implementare la legislazione comunitaria. Su quest'ultimo punto occorre ricordare che già il Consiglio di Madrid del 1995 aveva sottolineato l'importanza non solo di incorporare
 

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l'aquis comunitario ma di essere in grado di assicurare la sua effettiva applicazione attraverso strutture amministrative e giudiziarie appropriate.
      Non è difficile rendersi conto che criteri di adesione formulati in questi termini sono il riflesso di un preciso momento storico e di una situazione ben definita: in particolare l'attenzione del tutto preponderante riservata agli aspetti caratterizzanti un'economia di mercato rivela quali fossero le preoccupazioni dei Capi di Stato e di Governo del 1993, che temevano gli effetti economici di un allargamento non adeguatamente modulato verso i Paesi dell'ex-blocco sovietico, ma che non riscontravano incompatibilità diverse da quelle strettamente economiche. I criteri di Copenaghen, in sostanza, sono stati concepiti per offrire una risposta ad un problema contingente, ma rivelano profondi limiti nel momento in cui si decidesse di procedere ad ulteriori allargamenti. Perché il dialogo con Paesi lontani geograficamente, culturalmente e storicamente costringe ad affrontare la questione dell'identità dell'Unione europea, che non possiamo e non vogliamo ridurre ad un sistema di organizzazione dei mercati, o a standard di igiene sanitaria, e nemmeno a ragioni di strategia geopolitica, argomenti sicuramente importanti ma aridi e di corto respiro per chi ancora pensa che l'Europa sia prima di tutto un grande progetto politico.
      La prospettiva di un'adesione della Turchia all'Unione europea solleva oggi grande perplessità sia tra le Cancellerie europee che soprattutto nella popolazione degli Stati membri. Nonostante Ankara abbia manifestato il desiderio di adesione fin dal 1963, lo status di candidato è stato concesso solo nel 1999. In tutti questi anni la Commissione europea ha monitorato la situazione della Turchia, naturalmente con i soli strumenti di cui è dotata: i criteri di Copenaghen. I documenti di cui disponiamo dunque riguardano essenzialmente la sfera della giustizia, del rispetto dei diritti umani e dell'economia.
      I dati non sono completamente rassicuranti. La Commissione europea, il 6 ottobre 2004, pubblicando il suo rapporto-raccomandazione in vista del Consiglio europeo del 17 dicembre, ha rilevato come la Turchia soddisfi solo «sufficientemente» gli standard richiesti, e che molte delle riforme ritenute indispensabili sono state per ora predisposte ma non completamente attuate. In ogni caso, la Commissione stessa ha ritenuto opportuno inserire fin dall'inizio una clausola sospensiva, che potrebbe bloccare i negoziati se votata a maggioranza dai Paesi membri.
       Nel testo della raccomandazione, la Commissione europea segnala positivamente l'adozione da parte di Ankara delle convenzioni internazionali sui diritti umani, ma 388 persone hanno formalmente reclamato violazioni di diritti umani da gennaio a giugno 2004. Molti casi di tortura e di maltrattamenti continuano a verificarsi. Anche riguardo alla libertà di stampa, giornalisti, scrittori e pubblicisti sono tuttora condannati per motivi che violano i princìpi della Corte europea dei diritti umani. Le religioni non musulmane continuano ad essere ostacolate. La corruzione resta una piaga diffusa.
      Comunque vengano intese, queste analisi sembrano insufficienti, perché tralasciano aspetti che secondo noi dovrebbero essere invece considerati in via primaria nel momento in cui si decide di spostare i confini dell'Unione europea. La dimensione geografica per esempio, che sembra quasi non avere più nessuna valenza concreta. Eppure per la geografia la Turchia non può essere definita «territorialmente» europea, se non per quella piccolissima porzione di territorio che si estende sul settore orientale della Tracia ed è separata dal resto del Paese, di cui rappresenta meno del 10 per cento del territorio, dal Mar di Marmara. La maggior parte della superficie del Paese, quella anatolica, è definita geograficamente «Turchia asiatica». Considerando l'intero territorio turco come europeo si dilaterebbe il concetto geografico di Europa fino alle dirette frontiere dell'Armenia, dell'Azerbaijan, dell'Iran, dell'Iraq, della Siria, stravolgendo completamente l'immaginario collettivo di ogni cittadino europeo.
 

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      Su questi presupposti dovremmo allargare l'Unione europea in futuro anche a Tunisia, Marocco, Israele; tutti Paesi che hanno già avanzato questo desiderio e che potenzialmente potrebbero soddisfare in futuro i criteri di Copenaghen quanto la Turchia.
      Esiste poi una differenza religiosa. È inutile negare come sia l'islam che il cristianesimo abbiano profondamente inciso, nel corso dei secoli, sullo sviluppo sociale, sui modelli culturali, sulla definizione del sistema dei valori dei popoli tra i quali si sono affermati. Non si tratta di scontro di civiltà, si tratta di rispetto della propria identità.
      La Turchia è laica solo per Costituzione. La stragrande maggioranza della popolazione, soprattutto quella non urbanizzata, vive oggi secondo i dettami del credo islamico, e non è un caso che nel 2002, in pieno scenario post-11 settembre, sia salito al potere trionfalmente il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), dietro il quale c'è una storia ultratrentennale di movimenti filoislamici continuamente banditi (dall'esercito) e puntualmente risorti.
      Il Partito della giustizia e dello sviluppo, al Governo del Paese dal 2002, nelle dichiarazioni ufficiali sconfessa l'intenzione di riallacciarsi all'ideologia islamica radicale, che di fatto gli sarebbe precluso dalla Costituzione. Il suo leader Erdogan è però stato incarcerato nel 1998 per «istigazione all'odio religioso» dopo avere recitato in pubblico alcuni versi del poeta nazionalista Ziya Gokalp: «Le nostre moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri caschi, i minareti le nostre baionette e i fedeli nostri soldati», con una sentenza confermata dalla Corte europea dei diritti umani.
      Nonostante la prospettiva di adesione all'Unione europea abbia favorito una serie di riforme anche importanti, l'anima islamista del Partito di Governo non può essere sconfessata facilmente dal suo leader: la proposta di ripenalizzazione dell'adulterio, rientrata in extremis solo per non inficiare il rapporto del Commissario europeo all'allargamento, è solo l'esempio più clamoroso di una mentalità integralista diffusa nella politica e ancor più nella società non urbana della Turchia.
      Siamo dunque convinti che il problema dell'adesione della Turchia apra un capitolo del tutto nuovo per l'Unione europea, che non può essere gestito con gli strumenti finora utilizzati per l'assoluta novità e peculiarità della situazione.
      Molti intellettuali, storici ed esponenti politici, rendendosi conto di ciò, hanno espresso, anche a titolo personale, la propria contrarietà all'adesione della Turchia nell'Unione europea. Il Presidente della Convenzione europea, Valery Giscard d'Estaing, è convinto che la Turchia non sia un Paese europeo e che il suo ingresso nell'Unione europea segnerebbe «la fine dell'Europa», perché «La sua capitale non è in Europa, il 95 per cento della sua popolazione vive al di fuori dell'Europa, non si tratta di un Paese europeo». Secondo l'opinione personale dell'ex Presidente francese i sostenitori della candidatura di Ankara sono «avversari dell'Unione europea».
      Per lo storico Jaques Le Goff «la Turchia non fa parte dell'Europa, per ragioni storiche, geografiche e culturali».
      Perfino l'ex cancel1iere tedesco Helmut Kohl, promotore e protagonista della costruzione dell'Unione europea e figura certamente non contraria all'allargamento, nell'incontro-conferenza del maggio 2003 alla Camera dei deputati ha ammesso perplessità sull'adesione turca fondandole sul suo ideale di Europa che «non può essere solo economia e mercato del lavoro» ma deve spingersi verso una dimensione più profonda, «dimensione morale e spirituale», che costituisce il vero patrimonio storico e culturale del Vecchio Continente, i cui simboli sono «la croce cristiana, l'umanesimo, l'illuminismo».
      Mano a mano che si avvicina il 17 dicembre, data in cui i Capi di Stato e di Governo dei 25 Paesi membri dovranno decidere se aprire o meno i negoziati con Ankara, la necessità all'interno delle Cancellerie europee di definire una posizione sta mettendo a nudo perplessità finora sopite.
 

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      Anche nei Paesi ufficialmente favorevoli: la CDU tedesca, partito d'opposizione che sta però interpretando il sentire popolare più diffuso, ha proposto invece dell'adesione un partenariato privilegiato, che rafforzi l'intesa con Ankara senza snaturare l'idea di Europa. In Francia, l'opposizione socialista ha trovato sponda nell'UMP del Presidente Chirac che ha fatto propria la possibilità che i negoziati sfocino in un rapporto rafforzato e non necessariamete in un'adesione. In ogni caso è probabile che si debba passare attraverso una consultazione popolare. Sono poi apertamente contrari Austria, Grecia e Lussemburgo e la lista dei Paesi ancora incerti sul dire «sì» o «no» all'apertura dei negoziati è lunga, e tra l'altro comprende quasi tutti i Paesi di recente adesione.
      Restiamo dunque dell'idea che prima di avventurarsi verso ulteriori ampliamenti, l'Europa debba interrogarsi a fondo sulla propria natura, la propria identità e il proprio futuro, rivedendo a fondo i criteri di appartenenza. Dal punto di vista interno, vorremmo che i cittadini d'Europa e del nostro Paese potessero incidere direttamente su scelte di portata così fondante.
      È sulla base di queste premesse che la presente proposta di legge costituzionale intende investire il corpo elettorale, attraverso un referendum di indirizzo vincolante, della questione dell'adesione della Turchia all'Unione europea, affinché si sviluppi un serio e approfondito dibattito dal quale emergano, attraverso la decisione popolare, indirizzi vincolanti per il Governo sulla posizione che esso assumerà all'interno della Conferenza intergovernativa chiamata a decidere, all'unanimità, sull'ingresso della Turchia nell'Unione europea.
      Da un punto di vista tecnico si è inteso ispirarsi al precedente referendum del 1989 con il quale i cittadini italiani furono chiamati a pronunciarsi sulla trasformazione della Comunità europea «in un'effettiva Unione dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea».
      Come in quell'occasione, è necessario procedere all'approvazione di una legge costituzionale ad hoc che introduca un'apposita consultazione referendaria non prevista dalla Costituzione.
      La battaglia condotta su più fronti dalla Lega Nord per una maggiore democratizzazione dei processi decisionali dell'Unione europea passa, riteniamo, anche da questa consultazione che potrà fornire, in base ai suoi esiti, elementi utili sui profili ai quali dovrà ispirarsi, secondo il popolo italiano, la futura Unione europea.
      La presente proposta di legge costituzionale si inserisce, infine, nell'ampio dibattito sul «deficit democratico» dell'Unione europea che investe anche il profilo della partecipazione dei Parlamenti nazionali alla fase ascendente della normazione comunitaria.
      Anche sul punto la Lega Nord ha presentato una propria proposta di legge costituzionale, l'atto Camera n. 4872 Guido Rossi ed altri, con la quale si propone di affermare a chiare lettere all'articolo 80 della Costituzione che spetta alle Camere definire gli indirizzi che il Governo sosterrà presso le istituzioni dell'Unione europea. A tale scopo si introduce l'istituto della riserva parlamentare che consente al Governo o alla maggioranza dei componenti di una Camera di provocare una deliberazione parlamentare su progetti di atti comunitari che, per la loro portata, debbano ritenersi di rilevante interesse. La delibera parlamentare esprime quindi indirizzi vincolanti per il Governo, da attuare nelle sedi di trattative e di decisione comunitaria.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, indice, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e comunque prima della Conferenza intergovernativa che delibererà sull'eventuale adesione della Turchia all'Unione europea, un referendum, avente per oggetto il quesito indicato all'articolo 2.
      2. Hanno diritto di voto tutti i cittadini che, alla data di svolgimento del referendum, hanno compiuto il diciottesimo anno di età e sono iscritti nelle liste elettorali del comune, ai sensi del testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, e successive modificazioni.
      3. L'esito referendario è vincolante per la posizione che il Governo assumerà nella Conferenza intergovernativa che deciderà sull'adesione della Turchia all'Unione europea.

Art. 2.

      1. Il quesito da sottoporre al referendum di cui all'articolo 1 è il seguente: «Volete voi che il Governo italiano sostenga nelle sedi comunitarie una posizione favorevole all'adesione della Turchia all'Unione europea?».

Art. 3.

      1. La propaganda relativa allo svolgimento del referendum previsto dalla presente legge costituzionale è disciplinata dalle disposizioni di cui alle leggi 4 aprile 1956, n. 212, e successive modificazioni,

 

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e 24 aprile 1975, n. 130, nonché all'articolo 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352, come modificato dall'articolo 3 della legge 22 maggio 1978, n. 199.
      2. La Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi formula gli indirizzi atti a garantire ai partiti e ai gruppi politici la partecipazione alle trasmissioni radiotelevisive dedicate alla illustrazione del quesito referendario di cui alla presente legge costituzionale.

Art. 4.

      1. La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, successiva alla sua promulgazione.
    


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