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PDL 5171

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5171



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

FASSINO, AGOSTINI, VIOLANTE, FINOCCHIARO, VISCO, ADDUCE, AMICI, ANGIONI, BELLINI, BENVENUTO, BIELLI, BOLOGNESI, BONITO, BORRELLI, BOVA, BURLANDO, CABRAS, CALZOLAIO, CAPITELLI, CARBONI, CARLI, CAZZARO, CENNAMO, CHIANALE, CHITI, COLUCCINI, CRISCI, DE BRASI, DIANA, DUCA, FILIPPESCHI, FLUVI, FRANCI, GAMBINI, GASPERONI, GIACCO, GIULIETTI, GRANDI, GRILLINI, GUERZONI, INNOCENTI, KESSLER, LABATE, LUCIDI, LULLI, MAGNOLFI, MANCINI, MARAN, RAFFAELLA MARIANI, MARIOTTI, MARTELLA, MAURANDI, MAZZARELLO, MONTECCHI, MOTTA, NIGRA, OLIVERIO, OTTONE, PANATTONI, PENNACCHI, PETRELLA, PREDA, QUARTIANI, RAFFALDINI, RANIERI, RAVA, NICOLA ROSSI, ROSSIELLO, ROTUNDO, RUGGHIA, RUZZANTE, SANDI, SEDIOLI, SERENI, SINISCALCHI, TRUPIA, MICHELE VENTURA, VIANELLO, VIGNI, ZUNINO

Delega al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa

Presentata il 20 luglio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Nel corso della passata legislatura i Democratici di Sinistra hanno presentato una proposta organica di riforma delle procedure per le crisi di impresa (atto Camera n. 7497, XIII legislatura).
      Dopo la presentazione di questa proposta di legge, il dibattito politico e nella comunità scientifica è continuato e sono emerse ulteriori idee migliorative, che confluiscono nella nuova proposta di legge che ora presentiamo, la quale tiene conto anche della recente riforma societaria.
      Procedure concorsuali efficienti sono essenziali per assicurare la crescita e la competitività delle imprese. Le modalità di soluzione delle crisi hanno infatti effetti sulle aspettative dei soggetti che gestiscono le imprese e di quelli che forniscono finanziamenti e, quindi, sul loro comportamento. Da un lato, insufficienti garanzie per i creditori nelle fasi di crisi possono limitare l'accesso al credito delle imprese e aumentarne il costo; dall'altro sanzioni severe possono avere molteplici effetti negativi: a) scoraggiare in misura eccessiva l'assunzione del rischio da parte degli imprenditori; b) ritardare l'avvio delle procedure concorsuali ed indurre investimenti eccessivamente rischiosi da parte dell'imprenditore in crisi nella speranza di evitare l'assoggettamento alla procedura.
      In generale, come sottolineano anche alcuni organismi internazionali (Fondo monetario internazionale, «Orderly and Effective Insolvency Procedures», 1999), buone procedure concorsuali incrementano il valore delle attività economiche, sia scegliendo fra le opzioni possibili quella che massimizza il valore dell'impresa, sia riducendo costi e tempi delle procedure stesse.
      Le carenze delle procedure concorsuali vigenti nel nostro ordinamento sono da
 

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tempo oggetto di discussione e sollevano la necessità di una profonda revisione dei meccanismi.
      Con riferimento ai fallimenti conclusi nel periodo 1981-1995, sono stati rilevati costi diretti - vale a dire spese per il compenso degli organi della procedura e spese amministrative ad esclusione degli oneri sostenuti dai creditori per il recupero dei crediti - mediamente pari al 4 per cento dei crediti ammessi allo stato passivo e al 20 per cento degli introiti derivanti dalla liquidazione dell'attivo.
      La durata media della procedura è di sei anni ed aumenta nel caso di procedure che si concludono con il pagamento integrale dei creditori. Quest'ultimo esito non è il risultato prevalente: al contrario, nel corso del tempo si è assistito ad un incremento della frequenza dei casi di chiusura per insufficienza dell'attivo. Le percentuali di recupero del credito sono mediamente pari al 33 per cento per i creditori garantiti e salgono al 48 per cento nel caso di finanziamento bancario.
      L'integrità dell'attivo aziendale è ovviamente legata anche alla tempestività con cui viene reso noto lo stato di dissesto. Al proposito, l'evidenza empirica relativa al periodo 1989-1993, pur non permettendo di trarre considerazioni definitive sul fenomeno, sembra testimoniare la scarsa propensione dell'imprenditore a rivelare lo stato di crisi: solo il 7,3 per cento delle procedure fallimentari è stato aperto su iniziativa dell'imprenditore. L'evidenza empirica è poco incoraggiante anche con riferimento alle procedure concorsuali minori. In particolare, per un campione di procedure di concordato avviate presso alcuni tribunali nel periodo 1980-1993, è emerso che circa il 50 per cento dei casi è sfociato nel fallimento, mentre solo il 14 per cento ha avuto regolare esecuzione. In quest'ultima circostanza, i tempi medi si aggirano attorno ai quattro anni.
      Anche l'istituto dell'amministrazione controllata si è rivelato uno strumento poco utile al conseguimento dell'obiettivo per il quale era stato concepito, ossia il risanamento delle imprese in crisi: infatti esso sfocia spesso nel concordato preventivo e nel fallimento. Indagini campionarie mostrano che, pur essendo la presentazione della domanda di ammissione alla procedura giudicata tempestiva nella maggior parte di casi, il concordato preventivo rappresenta l'esito finale nel 43 per cento dei casi, mentre il fallimento emerge a conclusione della procedura nel 44 per cento dei casi.
      Questi dati assumono rilievo ancora maggiore se inseriti nel particolare contesto produttivo italiano, caratterizzato dalla rilevanza numerica delle piccole imprese, più esposte ai rischi derivanti da una legge fallimentare inadeguata. Tra le imprese minori il tasso di natalità, ma anche di mortalità, è molto elevato e tale da generare un alto rischio di incorrere nelle procedure concorsuali. Il maggiore grado di indebitamento delle piccole imprese rispetto alle grandi (il rapporto tra debiti e capitale di rischio è pari all'1,9 per le imprese con meno di 15 addetti e allo 0,8 per quelle con oltre 100 addetti) accentua tale rischio e la sua influenza sul comportamento imprenditoriale. L'elevata varianza della struttura industriale per aree geografiche in termini di redditività e produttività rappresenta una ulteriore peculiarità del sistema, che lo espone ai costi di una legge fallimentare non più adeguata. Infine, l'inefficienza delle procedure concorsuali incide negativamente sullo stesso costo del credito per le imprese di più ridotte dimensioni. È dunque opportuno modificare i meccanismi di risoluzione delle crisi di impresa in modo da consentirne il risanamento, laddove ciò rappresenti la soluzione economicamente conveniente. Occorre altresì dare impulso allo svolgimento delle procedure e contenerne i costi amministrativi. E infine importante predisporre meccanismi che garantiscano la tutela dei creditori, finalità primaria ed indefettibile delle procedure concorsuali, e incentivino il debitore a rivelare tempestivamente lo stato di dissesto, adoperandosi per la salvaguardia dell'integrità dell'attivo aziendale.
      Tali finalità possono ricondursi nell'alveo di due obiettivi che, secondo la teoria economica, dovrebbero informare le procedure
 

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di gestione delle crisi di impresa: l'efficienza ex post e l'efficienza ex ante. Il primo obiettivo consiste nella massimizzazione del valore dell'impresa in crisi; esso si colloca in un'ottica ex post rispetto allo stato di dissesto e attiene all'efficienza dell'allocazione delle risorse. Il raggiungimento di tale obiettivo è legato all'individuazione del soggetto legittimato a decidere circa il destino (continuazione o liquidazione) dell'impresa assoggettata alla procedura e del soggetto incaricato di gestirla qualora venga decisa la sua continuazione, nonché ai costi e alla durata della procedura medesima.
      In questo contesto, è opportuno prevedere, soprattutto nell'ambito di meccanismi di ristrutturazione delle passività, il coinvolgimento del debitore, in modo da sfruttare il vantaggio informativo che egli possiede con riferimento alla valutazione della convenienza economica della eventuale continuazione dell'attività; inoltre è necessario disciplinare l'intervento dei creditori in fase di ammissione del debitore alle procedure, ovvero di omologazione di un eventuale piano di risanamento, in modo da garantire flessibilità e rapidità della gestione della crisi, nonché la continuazione dell'impresa se il valore di liquidazione è inferiore a quello che si ottiene mediante la sua conservazione.
      La continuità aziendale dipende ovviamente anche dalla possibilità dell'impresa di contrarre nuovo debito. Ciò richiede un'adeguata tutela dei crediti sorti nel corso della procedura, pur non potendosi trascurare la predisposizione di meccanismi di controllo atti a prevenire fenomeni di overinvestment, ovvero di aggravamento del dissesto a causa del sorgere di crediti prededucibili.
      L'obiettivo dell'efficienza ex ante tiene conto del fatto che le disposizioni definite in un'ottica ex post riguardano soggetti - ossia debitore e creditori - operanti prima che lo stato di dissesto divenga palese e ne possono pertanto influenzare i comportamenti. La legislazione in materia di procedure concorsuali, se da un lato può costituire un meccanismo di disciplina del debitore, dall'altro lato, se è particolarmente rigida, può produrre effetti indesiderati per i creditori: ad esempio, amministratori consci delle condizioni di dissesto potrebbero tentare di evitare le sanzioni scommettendo sul destino dell'impresa ed intraprendendo progetti eccessivamente rischiosi, che potrebbero danneggiare tutti i soggetti coinvolti.
      Sempre in un'ottica ex ante si inquadrano la tutela dei creditori e il rispetto delle regole sull'ordine di priorità di rimborso. L'opportunità di garantire tale tutela attraverso le procedure concorsuali si fonda su due considerazioni. Anzitutto, la salvaguardia dei diritti dei creditori contribuisce al contenimento del costo del debito, nonché all'esercizio della funzione di monitoraggio dell'impresa che la letteratura economica attribuisce ai creditori in generale e alle banche in particolare; in secondo luogo, il rispetto della priorità di rimborso consente di massimizzare il valore dell'impresa insolvente, inducendo i creditori a ricorrere alle procedure concorsuali anziché ad azioni esecutive individuali che potrebbero ridurre il valore dell'attivo. Emerge quindi l'esigenza di un intervento di riforma che, superando le inadeguatezze della vigente disciplina, ancorata a principi e valori contrastanti con l'attuale contesto economico, sappia trovare un equilibrio tra gli obiettivi di efficienza ex post ed ex ante delle misure per fare fronte alle crisi di impresa.
      Tale intervento è reso tanto più urgente dalla esigenza di rendere il nostro ordinamento competitivo rispetto a quelli degli altri Paesi europei che negli ultimi anni hanno realizzato (Germania, 1994, Belgio, 1998, Regno Unito, 2002, Spagna 2003) o avviato (Francia) processi di revisione della disciplina delle procedure concorsuali con la finalità di alleggerirne la valenza afflittiva nei confronti del debitore in crisi, favorendo nel contempo un tempestivo ricorso alle procedure in vista, quando ciò sia possibile, del risanamento dell'impresa.
      Un moderno sistema fallimentare deve infine farsi carico non solo delle crisi di impresa, ma anche delle situazioni di sovraindebitamento delle persone fisiche
 

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non imprenditori, alle quali va assicurata, al ricorrere di specifiche condizioni di meritevolezza, la possibilità di rientro nel ciclo economico entro un termine ragionevole, previa liberazione dai debiti pregressi (fresh start).
      Tale possibilità appare essenziale in una prospettiva di crescita accelerata dei volumi del credito al consumo, quale si sta delineando anche in Italia. Il connesso prevedibile innalzamento delle soglie di indebitamento dei debitori-consumatori pone infatti l'esigenza di apprestare meccanismi di tutela delle persone a fronte del più elevato rischio di una loro eccessiva o non adeguatamente ponderata esposizione finanziaria. Inoltre, su un piano più generale, l'introduzione di una procedura di crisi per le persone fisiche potrebbe avere effetti positivi sull'iniziativa imprenditoriale, favorendo il passaggio da lavoratore subordinato a lavoratore autonomo a imprenditore, in ragione della mitigazione dei rischi connessi alla transizione da una fase all'altra e della possibilità, in caso di insuccesso, di non restare oppressi dai debiti per un tempo indefinito. La previsione di una procedura di esdebitazione delle persone fisiche, infine, colmerebbe una grave lacuna del nostro ordinamento rispetto agli altri Stati dell'Unione europea, lacuna che fra l'altro pone problemi di operatività in Italia del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure d'insolvenza.
      Alla luce di tali considerazioni, la presente proposta di riforma della disciplina della crisi e dell'insolvenza dei debitori, imprenditori e non imprenditori, vuole conseguire le seguenti finalità:

          a) per le persone fisiche non imprenditori, prevedere una procedura che consenta la loro liberazione dai debiti eccessivi, contemperando le esigenze di tutela della dignità della persona con le esigenze di tutelare i creditori contro comportamenti opportunistici;

          b) per le imprese, discriminare con la massima rapidità le imprese da ristrutturare e quelle da liquidare, e conseguentemente:

              1) per le imprese da ristrutturare, consentire sia la ristrutturazione industriale sia la ristrutturazione finanziaria, dotando anche quest'ultima di idonei strumenti;

              2) per le imprese da liquidare, prevedere tempi massimi entro i quali si deve concludere la liquidazione;

          c) in ogni caso, prevedere il massimo ricorso al mercato per la gestione delle crisi di impresa e per la liquidazione dei patrimoni, anche sulla scorta di esperienze già maturate nella prassi giurisprudenziale, incoraggiando una concorrenza effettiva fra i possibili acquirenti dei beni del debitore insolvente;

          d) prevedere ed incoraggiare il raggiungimento di accordi fra il debitore e i creditori senza il diretto ricorso all'autorità giudiziaria;

          e) prevedere specifici requisiti di professionalità, crescenti in ragione delle dimensioni dell'impresa in crisi, per i rappresentanti dei creditori nelle procedure concorsuali (commissario giudiziale e curatore);

          f) prevedere idonei meccanismi di raccordo e di responsabilità fra i creditori e il commissario giudiziale o curatore, prevedendo un loro potere di provocarne la revoca e di propone l'azione di responsabilità per i danni arrecati alla massa dei creditori;

          g) prevedere un ruolo di sorveglianza per l'autorità amministrativa e per le autorità a tutela del risparmio quando siano coinvolti gli interessi generali e gli interessi specifici dei risparmiatori.

      In generale, inoltre, è opportuno ricondurre il ruolo del curatore (o commissario giudiziale) ad un amministratore e liquidatore di patrimoni nell'interesse dei creditori, con una netta riduzione degli enormi agency costs che generano sacche di inefficienza o, peggio, rendite di posizione

 

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(questo con il potere dei creditori di provocare la revoca del curatore o commissario giudiziale e di proporre l'azione di responsabilità contro gli stessi).
      Infine, riteniamo che se si pone l'accento sui requisiti di professionalità dei curatori o commissari giudiziali, le categorie oggi esistenti non vengono penalizzate, ma al contrario valorizzate.
      Vengono infine previsti i necessari raccordi della riforma delle procedure concorsuali con la riforma con il nuovo diritto societario, sotto i profili più problematici, quali quello dei gruppi, delle azioni di responsabilità, dei patrimoni destinati.
      Gli obiettivi di cui sopra vengono raggiunti come segue:

          a) anticipazione, mediante la predisposizione di un vasto ed organico apparato di misure premiali, del ricorso alle procedure concorsuali da parte del debitore in crisi;

          b) eliminazione del carattere afflittivo delle procedure concorsuali, dovendo queste ultime essere viste da un lato come esito sfortunato ma in una certa misura fisiologico dell'agire sul mercato, dall'altro lato come strumenti di gestione dell'insolvenza e della sua risoluzione nell'interesse dei creditori, contemporaneamente realizzando la repressione di comportamenti scorretti ed abusivi;

          c) aumento della trasparenza della gestione delle procedure;

          d) accelerazione delle cadenze delle procedure, correlando ai risultati ottenuti, anche in termini di celerità, il compenso di commissari giudiziali e curatori, che deve essere adeguato in relazione ai complessi compiti da svolgere;

          e) riduzione del contenzioso mediante una normativa chiara e consapevole dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione;

          f) neutralizzazione dell'incognita fiscale e previdenziale che attualmente grava sulle procedure concorsuali, mediante la previsione di un obbligo degli uffici di attivarsi per determinare il quantum dovuto dal debitore assoggettato alla procedura;

          g) coordinamento della normativa fiscale con quella delle procedure concorsuali, eliminando le incertezze che attualmente rallentano e rendono più difficile l'operato degli organi delle procedure.

Caratteristiche generali dell'intervento.

      La presente proposta di legge delega prevede per l'imprenditore due procedure concorsuali: ristrutturazione delle passività e insolvenza. Accanto a queste, come importantissimo complemento, si colloca la disciplina degli accordi stragiudiziali che abbiano lo scopo e l'effetto di consentire all'imprenditore di superare lo stato di crisi. Completano il disegno la disciplina delle procedure concorsuali dei gruppi di imprese e la disciplina sanzionatoria.
      La procedura di ristrutturazione delle passività, che dovrà avere un campo di applicazione assai più vasto della attuale amministrazione controllata e del concordato preventivo, si limita a dettare una cornice normativa nella quale l'autorità giudiziaria svolge un ruolo di garante della corretta formazione ed esecuzione di un accordo tra il debitore e i suoi creditori. In questa cornice, qualsiasi accordo è ammissibile, purché sia vantaggioso per i creditori rispetto alla alternativa della liquidazione forzata. Il debitore mantiene l'amministrazione del proprio patrimonio, sotto la vigilanza degli organi della procedura, in ragione del fatto che egli possiede le informazioni più idonee a valorizzarlo nell'interesse dei creditori.
      La procedura di insolvenza si caratterizza rispetto alla precedente per un maggiore intervento dell'autorità giudiziaria. Salvo che intervenga un concordato, proponibile su iniziativa di qualunque interessato, essa conduce alla liquidazione del patrimonio del debitore (non necessariamente alla disgregazione dell'azienda), ossia alla sua riallocazione sul mercato in mano a soggetti più efficienti. Rispetto alla vigente disciplina fallimentare, la nuova

 

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procedura presenta rilevanti novità, con riferimento in particolare alla possibilità della conservazione dell'impresa in attività, per un breve periodo di osservazione ed anche successivamente qualora ciò risponda all'esigenza di un migliore realizzo dell'attivo. Si segnalano inoltre il miglioramento delle tecniche di liquidazione del patrimonio, la possibilità di ricapitalizzazioni e di conferimenti in società su iniziativa del curatore, la riduzione della revocatoria alle fattispecie che abbiano arrecato un reale pregiudizio ai creditori. La disciplina degli effetti della composizione negoziale della crisi non configura un intervento autoritativo, ma si limita a dare certezza e convenienza ad accordi che abbiano lo scopo e la conseguenza della eliminazione dello stato di crisi. Imprese anche recuperabili, infatti, spesso non vengono salvate a causa dei timori delle revocatorie e delle sanzioni penali che potrebbero scattare nel caso di insuccesso del salvataggio. Una maggiore certezza deriva da una sorta di «sigillo» dell'autorità giudiziaria, concesso su certificazione di un esperto, ad accordi che perseguano il risanamento.
      La normativa sulle procedure concorsuali che investono imprese di gruppo si propone di adattare la disciplina ordinaria a situazioni di collegamento che esigono da un lato un coordinamento fra le procedure pur nella separatezza dei patrimoni, dall'altro lato una maggiore severità nei confronti di atti che potrebbero configurare depauperamenti e indebiti trasferimenti di ricchezza all'interno del gruppo, con danno dei creditori. Infine la disciplina sanzionatoria si propone di ridurre le caratteristiche di afflittività delle procedure concorsuali, pur nel rispetto dell'interesse alla corretta applicazione delle stesse. Si è così provveduto a escludere la punibilità a titolo di colpa e si sono meglio precisate le fattispecie penalmente rilevanti.
      Riguardo all'insolvenza delle persone fisiche non imprenditrici, il progetto utilizza in modo intelligente le esperienze e le tendenze straniere, che accomunano Paesi con tradizioni diverse in una convergenza verso un modello:

          a) di incentivazione al consumo e di incentivazione all'iniziativa economica (che è scoraggiata dalla prospettiva di una responsabilità «perpetua»);

          b) di mitigazione del moral hazard che può derivare dalla prospettiva di una liberazione a basso costo dai debiti contratti;

          c) di presa in considerazione dell'allarme sociale (si pensi all'impatto sulla famiglia dell'insolvente) connesso all'insolvenza della persona fisica.

      Come noto, l'originario progetto di legge (atto Camera n. 7497 della XIII legislatura) prevedeva che le persone fisiche che non svolgono attività d'impresa potessero accedere alla procedura di ristrutturazione delle passività, i cui presupposti possono essere costituiti sia dalla temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, sia dallo stato d'insolvenza attuale o imminente.
      L'esigenza di tutelare la persona fisica ha portato alla predisposizione di un nuovo progetto avanzatissimo e in linea con le tendenze europee (riforme degli anni '90 in Germania, Paesi Bassi, Austria e altri).
      La presente proposta di legge, prevede in sintesi:

          1) una procedura semplice e a basso costo mirante al raggiungimento di un accordo con i creditori;

          2) in mancanza di accordo con i creditori, la liquidazione del patrimonio della persona fisica, cui consegue l'esdebitazione (discharge o fresh start);

          3) commissioni di aiuto (da istituire presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) ai debitori con masse debitorie modeste.

Articolo 1.

      Con l'articolo 1 della proposta di legge si delega il Governo a adottare uno o più decreti legislativi per disciplinare la crisi e

 

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l'insolvenza dei debitori, imprenditori e non imprenditori, ed alcuni effetti della composizione negoziale delle crisi. Dall'intervento dovrà comunque uscire un testo legislativo completamente nuovo, dotato di caratteristiche di organicità e di completezza.
      Il testo dovrà coordinare:

          a) le norme vigenti nelle stesse materie e nelle materie connesse, inclusa la liquidazione coatta amministrativa, sopprimendo la procedura di amministrazione straordinaria e limitando l'applicabilità della procedura di liquidazione coatta amministrativa alle imprese esercenti l'attività bancaria o assicurativa e alle imprese autorizzate alla prestazione di servizi di investimento o a queste assimilate dalle vigenti disposizioni speciali di settore, nonché alle imprese per le quali, in ragione dell'esistenza di collegamenti con imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, sia ritenuta necessaria la sottrazione alle procedure concorsuali ordinarie;

          b) le norme del codice civile e delle leggi speciali in materia societaria, per quanto riguarda le responsabilità ed i poteri degli organi sociali all'insorgere di una situazione di crisi o di insolvenza;

          c) le norme del codice civile e le disposizioni di attuazione del codice civile in materia di liquidazione delle persone giuridiche e di responsabilità delle associazioni non riconosciute e dei comitati, nonché degli organizzatori e dei componenti degli stessi;

          d) le norme in materia di definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento o di regolamento titoli.

      Per quanto concerne la liquidazione coatta amministrativa, se ne limita l'applicazione alle imprese bancarie e assicurative, alle società di intermediazione mobiliare, alle società di gestione del risparmio, alle società di investimento a capitale variabile (SICAV) nonché alle imprese per le quali, a causa di collegamenti con altre imprese a loro volta soggette a liquidazione coatta, sia ritenuta necessaria la sottrazione alle procedure ordinarie. In questo modo subisce una riduzione l'area dei soggetti per i quali la situazione di crisi economica è assoggettata a discipline amministrative, manifestandosi la preferenza, alla luce del ripensamento complessivo dell'impianto delle norme sulla crisi di impresa, per una più generale riconduzione di tutte le categorie di imprese alle procedure ordinarie, ferme restando le eventuali discipline speciali di prevenzione e di repressione delle situazioni di crisi, anche derivanti da irregolarità o da violazioni di legge, che possano essere risolte mediante interventi sugli organi societari e non con la liquidazione dell'ente.
      In questa prospettiva si sono salvaguardate soltanto quelle imprese la cui «specificità» e rilevanza degli interessi coinvolti (risparmiatori ed investitori) suggeriscono più penetranti interventi da parte delle autorità di vigilanza, per la individuazione delle soluzioni, spesso caratterizzate da elevato tecnicismo, in grado di rispondere con più rapidità ed efficienza a tali interessi. Peraltro anche per queste imprese si delinea con crescente evidenza la necessità di una maggiore coerenza, per quanto riguarda la fase della crisi, con la disciplina di diritto comune. Occorrerà pertanto avviare, anche in relazione all'emanazione e al recepimento delle iniziative comunitarie in tema di armonizzazione delle procedure di risanamento e liquidazione delle imprese bancarie, un'opera di complessivo ripensamento della disciplina in materia e di coordinamento con le norme emanate in attuazione dei presenti criteri di delega.
      Si è ritenuto di non riprodurre nella proposta di legge una procedura speciale per le grandi imprese, quale è nell'attuale regime la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999. Da un lato la procedura in questione si è dimostrata inadatta a gestire crisi di grandissime dimensioni, sollecitando pertanto interventi appositi ed urgenti, dall'altro lato la proposta di legge che presentiamo contiene strumenti che si

 

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adattano perfettamente alla gestione della crisi della grande impresa, sì che nulla vi è da aggiungere di specifico, per la grande impresa, allo strumentario delle nuove procedure. Dimostrazione ne è il fatto che le norme recentemente adottate per la soluzione della crisi del gruppo Parmalat (decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39) riprendono letteralmente l'impostazione del progetto di legge presentato dai Democratici di Sinistra nel 2000, che oggi viene confermata in pieno.
      Per le imprese definite «di rilevanti dimensioni», dunque, più che una procedura speciale, si è ritenuto di prevedere meccanismi di raccordo fra l'autorità giudiziaria e quella amministrativa, mediante speciali forme di coinvolgimento del Ministero delle attività produttive allorché l'impresa superi le soglie che la legge delegata dovrà individuare anche con riferimento al numero dei suoi dipendenti.

Articolo 2.

      L'articolo 2 enuncia le finalità generali dell'intervento, di cui sopra si è ampiamente illustrato. Esso, enunciando gli obiettivi di fondo della riforma, dovrà costituire una guida nella redazione delle norme delegate.
      Si sottolinea che si assoggettano alle procedure concorsuali tutte le categorie di imprenditori, ritenendo che nella logica della riforma non vi sia ragione per conservare le aree di esenzione previste dalla vigente legge fallimentare, che del resto si riferiscono ad imprenditori, quali gli artigiani o gli imprenditori agricoli, le cui caratteristiche sono oggi del tutto diverse da quelle dei loro omologhi del 1942. È poi la stessa filosofia delle procedure concorsuali che muta completamente: esse intendono oggi porsi come procedure «amiche» dell'imprenditore, che viene aiutato a trovare un accordo con i creditori e quindi a risollevarsi, o ad uscire dal mercato se questo non è possibile, proteggendolo da azioni esecutive multiple certamente non meno gravose. Proprio in questa prospettiva si consente (ma non si impone) anche al privato di chiedere l'intervento delle procedure: non di rado, ad esempio, in conseguenza di fideiussioni personali a favore di imprese, anche soggetti privati si trovano oberati di una massa debitoria largamente eccedente il loro patrimonio, ed è ragionevole offrire anche ad essi la possibilità di saldare il passivo offrendo quanto è in loro possesso, consentendo loro di rientrare nel ciclo produttivo.
      L'ampliamento del presupposto soggettivo deve essere letto in coordinamento con la previsione di cui all'articolo 3, comma 2, lettera f), che consente di semplificare le procedure in ragione della entità del passivo e del limitato numero dei creditori, richiedendo però criteri certi per individuare i parametri che legittimano tale semplificazione. Questa previsione mira a rafforzare la nuova impostazione della riforma, rendendo massimo il beneficio delle procedure concorsuali a fronte di costi ragionevoli, effettivamente commisurati alle funzioni, in ipotesi modeste, da svolgere nel caso concreto.
      L'ampliamento della platea dei soggetti sottoponibili alle procedure concorsuali produrrà, è vero, un aumento del numero delle procedure stesse, ma ciò a fronte di un attuale massiccio carico per esecuzioni individuali multiple contro soggetti non fallibili, spesso prive di qualsiasi coordinamento e fonte di costi per i creditori e per lo Stato. È dunque ipotizzabile che l'estensione del presupposto soggettivo avvenga senza significativi aggravi per il carico gravante sulla macchina giudiziaria.
      Per le persone giuridiche, le associazioni non riconosciute ed i comitati, quando non esercitino attività d'impresa, si è preferito conservare, integrandola opportunamente, la impostazione della disciplina vigente, secondo la quale in caso di estinzione della persona giuridica o di scioglimento della associazione si procede alla liquidazione dell'ente, che assume caratteristiche concorsuali allorché i liquidatori «riconoscano» che «il patrimonio non è sufficiente al pagamento integrale delle passività» (articolo 14 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, di cui al regio decreto 30 marzo 1942,

 

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n. 318). In questa ottica si sono precisate le norme della procedura di insolvenza che divengono applicabili alla «liquidazione generale», escludendo quelle tese alla ricostituzione (azioni revocatorie) o al ridisegnamento (regime delle inopponibilità) del patrimonio del «fallito»; si è specificato che l'accertamento del passivo è di competenza dei liquidatori, salva la facoltà degli interessati di opporsi alla esclusione delle proprie pretese od al riconoscimento di pretese altrui davanti all'autorità giudiziaria; e si è previsto che in caso di «insolvenza» - che come per la procedura di insolvenza induce a dubitare che l'ente sia in condizione di soddisfare tutti i creditori - la liquidazione dell'ente possa essere anche disposta dal tribunale su istanza dei creditori o di chiunque vi abbia interesse, sviluppandosi senz'altro secondo le disposizioni della «liquidazione generale», come sopra precisate.

Articolo 3.

      L'articolo 3 contiene i principi e criteri direttivi generali che ispirano l'impianto complessivo della riforma. Il comma 1 definisce i canoni di redazione delle nuove norme, facendo riferimento alla chiarezza, alla semplificazione e alla valutazione dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione. Si noti che la chiarezza della normativa, quando si affrontano fenomeni complessi come l'insolvenza, la quale si svolge in assenza di qualunque previo «contratto» fra creditori, è un vincolo incompatibile con la brevità: non a caso le normative concorsuali di altri Paesi sviluppati sono dettagliate, proprio perché mirano a prevenire quei conflitti che inevitabilmente sorgono quando invece la normativa è carente.
      Il comma 2 definisce quale obiettivo fondamentale della nuova disciplina delle procedure concorsuali la migliore soddisfazione dei creditori in termini di importi e di rapidità dei tempi di soluzione delle crisi. Viene omesso il richiamo esplicito ad altri interessi che innegabilmente rilevano, quali ad esempio quelli dei lavoratori, poiché una pluralità di finalità introduce nelle procedure rischi di conflitto tra diversi obiettivi che finiscono con il pregiudicarne il successo. Peraltro (e al di là di retorici, quanto nella prassi inefficaci, richiami), lo spirito stesso di tutta la riforma, volta a salvaguardare nella misura più ampia possibile le possibilità di risanamento dell'impresa e a valorizzare comunque, anche nella ipotesi di liquidazione, il suo patrimonio, è preciso testimone di una reale coerenza della complessiva disciplina con le esigenze di salvaguardia dei livelli occupazionali nelle imprese in crisi, pur senza cedere a logiche meramente assistenzialistiche, del tutto prive di efficacia ed anzi dannose per gli stessi interessi dei lavoratori che vorrebbero tutelare.
      Alla luce di questo obiettivo di massima, sono elencati i principi generali ai quali la riforma si ispira. Comma 2: in base alle lettere a) e b) si delega il legislatore ad introdurre criteri che diano maggiori certezze in ordine sia al momento nel quale si acquista o si perde la qualità soggettiva per essere sottoposti alle procedure, sia all'individuazione della competenza territoriale dell'autorità giudiziaria. Se, per quanto riguarda il primo profilo, si tratta di chiarire la vigente disciplina e di adeguarla alle recenti pronunzie della Corte costituzionale, in rapporto al secondo aspetto occorre riconsiderare il vigente criterio della competenza inderogabile del tribunale nella cui circoscrizione l'imprenditore ha la «sede principale». Poiché non è sempre chiaro quale sia la sede principale (e la giurisprudenza ritiene che, in caso di società, questa non coincida necessariamente con la sede sociale) spesso si creano gravissimi ritardi e conflitti tra tribunali nell'apertura delle procedure concorsuali, con conseguente dispersione del patrimonio del debitore o perdita di azioni revocatorie. Con il criterio di delega si intendono pertanto definire canoni facilmente accettabili per stabilire la competenza territoriale, con riferimento al luogo dove il debitore è stato iscritto nel registro delle imprese più a lungo nel biennio anteriore al deposito

 

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della domanda di apertura della procedura. Infine si prevede la attenuazione della rilevanza, pregiudizievole per i creditori, di eventuali conflitti di competenza territoriale, ad esempio attraverso la previsione che le questioni inerenti alla competenza non provochino la nullità del provvedimento che apre la procedura concorsuale.
      Alla lettera c) si conferma l'attribuzione alla autorità giudiziaria delle funzioni di vigilanza sul debitore e sugli organi della procedura, rivedendo le competenze del giudice delegato secondo criteri che rafforzino la sua posizione di terzietà nell'ambito della procedura stessa. Alla stessa lettera si consente, inoltre, al legislatore delegato di prevedere sezioni specializzate nella materia della crisi di impresa, allo scopo determinandone la competenza territoriale. Si tratta di un intervento che, sia pure da effettuare con ponderazione, si ritiene indispensabile per il successo della riforma.
      Alla lettera d) si individua il criterio della massima valorizzazione degli organismi produttivi e del patrimonio del debitore attraverso ogni possibile soluzione nell'interesse dei creditori. Di fronte alla rigidità della attuale disciplina, sostanzialmente incentrata sulla liquidazione del patrimonio mediante vendita all'incanto, si configura un più ampio spettro di possibilità (continuazione dell'impresa, ristrutturazione - eventualmente anche mediante ricapitalizzazioni o conversioni di crediti in capitale - liquidazione anche parziale) che vanno ad inserirsi in una diversa logica di conservazione e di valorizzazione del patrimonio dell'impresa.
      La lettera e) fa riferimento all'importante coordinamento, la cui esigenza è giustamente e fortemente avvertita, con la disciplina societaria, con particolare riguardo alla estensione ai soci illimitatamente responsabili, al funzionamento e alle competenze degli organi, anche di società di capitali, in pendenza di una procedura concorsuale e alle modalità di funzionamento della organizzazione societaria. Essa si propone altresì di risolvere, in relazione alle diverse possibilità di chiusura delle procedure concorsuali, il problema della sorte della società dopo la fine della procedura, da tempo oggetto di dispute e di soluzioni divergenti e con non lievi problemi operativi. Si tratta di un importante intervento in materia di insolvenza societaria, che viene completato dal comma 4 di questo stesso articolo, di cui più oltre diremo.
      Della lettera f) già si è detto. La lettera g) prevede il coordinamento della normativa fiscale con le disposizioni da emanare in attuazione della presente proposta di legge delega.
      Comma 3: vengono indicati gli specifici obiettivi ai quali la disciplina dovrà ispirarsi; in particolare:

          a) aumento della trasparenza nella gestione e nella liquidazione del patrimonio del debitore, utilizzando anche i mezzi telematici per pubblicizzare gli atti e gli organi delle procedure; analoga trasparenza dovrà investire anche gli incarichi connessi all'espletamento delle procedure e i relativi compensi;

          b) previsione di una maggiore responsabilizzazione del commissario giudiziale o curatore, prevedendo la possibilità per i creditori, in qualunque momento, di deliberare a maggioranza dei creditori chirografari la loro revoca per giusta causa, seppure con la salvaguardia dell'approvazione del tribunale, sentiti l'interessato e i creditori; si prevede inoltre, a somiglianza di quanto accade per gli amministratori di società a seguito della recente riforma, la possibilità per i creditori che rappresentino un'aliquota qualificata del passivo di proporre l'azione di responsabilità contro il commissario giudiziale o il curatore anche in carica per i danni arrecati alla massa dei creditori nell'esecuzione dell'incarico;

          c) previsione di un coinvolgimento diretto dei creditori nelle scelte che vengono compiute nelle procedure concorsuali: essi, lungi dall'essere spettatori, sono infatti i diretti interessati dalla gestione delle procedure. Si prevede così una completa rivisitazione dell'istituto del comitato

 

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dei creditori, che viene reso professionale e retribuito, sulla scorta delle raccomandazioni di best practice degli organismi internazionali;

          d) aumento della efficacia della liquidazione, migliorando l'informazione e gli incentivi per gli eventuali interessati all'acquisto, anche attraverso una riduzione degli adempimenti, se del caso prevedendo procedure diverse dalla vendita all'incanto, che è notoriamente distruttiva di ricchezza, se funzionali ad una rapida ed efficiente realizzazione delle finalità della liquidazione. In questo settore alcuni tribunali dell'Italia del nord hanno dimostrato che tecniche di vendita forzata più «amichevoli», accompagnate da una serie di accorgimenti diretti ad incoraggiare la partecipazione di potenziali acquirenti, possono dare risultati inaspettati in termini di tempi e di risultati. La riforma si propone di dare stabilità e certezza a queste (peraltro ancora rare) prassi, incoraggiandole nel critico settore della liquidazione all'interno delle procedure concorsuali;

          e) e f) riduzione dei costi e dei tempi per l'esecuzione degli adempimenti connessi alle procedure, con correlazione dei compensi ai risultati ottenuti e previsione di ipotesi di responsabilità per gli organi in caso di danni arrecati dal ritardo; possibilità di cessioni in blocco di attività di lungo ed incerto realizzo, superando, con beneficio dei creditori, problemi oggi non risolti o risolti creativamente (da alcune pronunzie giurisprudenziali) mediante l'istituto della cessione di tali attivi ad un trust che poi pagherà i creditori; adozione di riti semplificati per la soluzione delle controversie nascenti dallo svolgimento delle procedure concorsuali, rivedendo anche il sistema delle opposizioni e delle impugnazioni per garantire una più rapida e certa tutela dei diritti; riduzione dei termini di prescrizione delle azioni revocatorie ad un anno dal momento in cui esse divengono esperibili ad opera degli organi della procedura, con applicazione dello stesso termine di prescrizione all'azione revocatoria ordinaria esperita all'interno della procedura (salvo comunque per l'azione revocatoria ordinaria il termine massimo quinquennale a decorrere dalla data dell'atto, se anteriore). Si è infatti ritenuto che, quando sia presente un organo istituzionalmente deputato a tutelare gli interessi dei creditori, la possibilità di un ritardo fino a cinque anni dall'apertura della procedura per la proposizione dell'azione revocatoria (oggi ammesso dalla giurisprudenza) non abbia alcuna giustificazione, e possa essere fonte degli attuali rallentamenti che si intendono eliminare; rafforzamento della autonomia gestionale degli organi della procedura, al fine di realizzare gestioni ispirate a criteri di rapidità ed efficienza, limitando l'obbligo del ricorso alla autorità giudiziaria soltanto agli atti di straordinaria amministrazione. Ciò nell'ottica della massima responsabilizzazione del commissario giudiziale e del curatore, da un lato, e della ottimizzazione delle risorse giudiziarie rispetto alle questioni che effettivamente richiedono l'intervento del giudice. Sempre alla lettera f), si è previsto al numero 6) uno degli interventi più qualificanti dell'intera riforma, prevedendo il diritto del debitore e degli organi della procedura di ottenere dagli uffici tributari e dagli enti previdenziali, entro il periodo di un anno dalla comunicazione dell'apertura della procedura, la determinazione definitiva dell'ammontare dovuto per capitale, sanzioni ed interessi in relazione ai tributi e contributi i cui presupposti si sono verificati anteriormente all'apertura della procedura concorsuale. La norma vuole favorire una rapida determinazione dei debiti tributari e previdenziali della procedura, al fine di consentire la formazione di un chiaro quadro della esposizione complessiva dell'imprenditore della quale tenere conto nel prefigurare le soluzioni (di risanamento o di liquidazione) ritenute più efficienti. Si tratta di imporre all'apparato dello Stato la massima collaborazione alla soluzione delle crisi. Ciò è da ottenere non mediante un improponibile intervento nel pagamento delle passività delle imprese, bensì mediante l'utilizzo da parte del creditore pubblico, nell'esazione

 

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dei propri spesso ingenti crediti, della stessa flessibilità di cui dispone il creditore privato, il quale già conosce per esperienza che talvolta una dilazione o una rinunzia parziale può portare ad un recupero maggiore di quanto possa consentire un'azione di forza. Né questa flessibilità costituisce un aiuto di Stato vietato dall'articolo 87 del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità europea, come chiarito dalle recenti pronunzie della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di procedure concorsuali, dato che essa viene applicata a tutte le imprese in modo non discriminatorio, a prescindere dalla dimensione o dall'attività esercitata;

          g) anticipazione del momento di apertura delle procedure, al fine di una loro maggiore efficacia, mediante la previsione a favore del debitore di misure premiali consistenti nella dilazione del pagamento di tutti i tributi e contributi previdenziali e nella diminuzione di sanzioni per il mancato pagamento di debiti tributari e contributivi, nonché nella diminuzione della pena per i delitti commessi dal debitore che, dopo la commissione del fatto, volontariamente richieda l'apertura di una procedura concorsuale e si adoperi seriamente per eliminare o ridurre il pregiudizio per i creditori. Attraverso misure che incentivano la tempestività del ricorso alle procedure, si mira a prevenire il ritardo nella denunzia dello stato di crisi, che rende più difficile la soluzione della crisi medesima (il patrimonio rischia infatti di essere disperso in tentativi di soluzione che naufragano per incapacità dell'imprenditore o per la mancanza di coordinamento fra i creditori);

          h) riconoscimento e valorizzazione dell'autonomia privata nella soluzione delle crisi, agevolando soluzioni adottate con il consenso delle categorie interessate e rimuovendo eventuali ostacoli di carattere legislativo, regolamentare e fiscale a tali soluzioni. La previsione si muove nell'ottica di incentivare soluzioni che trovino fondamento in accordi fra debitore e creditori che spesso si rivelano maggiormente capaci di cogliere la specificità delle singole situazioni e di definire strumenti di intervento su queste modulati. Tali accordi devono dunque ricevere adeguata tutela soprattutto per quanto concerne la certezza degli effetti degli atti compiuti;

          i) incentivazione dei comportamenti cooperativi del debitore, sia mediante eventuali misure premiali, sia sanzionando (civilmente, mediante la perdita di benefìci e nei casi più gravi anche penalmente) la violazione dei doveri di buona fede, correttezza e trasparenza.

      Comma 4: il comma in questione intende precisare la responsabilità degli amministratori di società in crisi, prima che si apra una procedura concorsuale. Ciò mediante:

          a) una responsabilità per una gestione irriguardosa degli interessi dei creditori, quando il soddisfacimento delle loro ragioni sia in pericolo. Si tratta di una previsione recentemente raccomandata dalla stessa Commissione europea nella modernizzazione del diritto societario;

          b) e c) precisare i presupposti di tale responsabilità, troppo spesso ricostruiti ex post con la conoscenza dei fatti successivi, e precisare l'assenza di responsabilità per tentativi di salvataggio, purché solleciti ed effettuati in buona fede;

          d) prevedere sanzioni e forme di interdizione dall'assunzione di cariche societarie per i membri di organi amministrativi o di controllo che si siano resi inadempienti ai loro obblighi, con danno per i creditori, sulla scorta di esperienze straniere dimostratesi un efficace complemento del sistema in aggiunta alle azioni di responsabilità e alle sanzioni penali (che hanno presupposti necessariamente diversi);

          e) prevedere sanzioni amministrative e forme di interdizione dall'assunzione di cariche societarie per i soci ed i membri di organi amministrativi o di controllo che partecipino od assumano cariche in società che per la ragione o denominazione sociale, la sede, l'attività o altri elementi

 

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rilevanti, mirino ad appropriarsi senza corrispettivo dei valori o dell'avviamento dell'impresa insolvente, per scoraggiare quella che altrove viene definita «sindrome della fenice».

Articolo 4.

      All'importanza di incentivare comportamenti cooperativi del debitore si ispira anche l'articolo 4, che introduce l'istituto della esdebitazione del debitore-consumatore. La nuova procedura è congegnata come strumento di tutela per le persone sovraindebitate che non esercitano attività d'impresa. Essa è volta a consentire la liberazione del debitore dall'oppressione dei debiti, qualunque ne sia l'origine e, cioè, tanto se maturati in connessione ad eventi straordinari ed imprevisti (quali la perdita del lavoro o una grave malattia), quanto se semplicemente conseguenti ad una errata valutazione delle proprie capacità finanziarie. Pensata quindi come strumento di tutela, del quale il debitore può decidere se avvalersi o meno, la procedura è attivabile su esclusiva istanza del debitore, che in tal modo viene anche posto al riparo da possibili iniziative ricattatorie dei creditori.
      La proposta di legge prevede al comma 1 una procedura giudiziale unica, suscettibile di concludersi con un accordo con i creditori (per il quale ampio spazio è lasciato all'autonomia negoziale), ovvero con la liquidazione collettiva del patrimonio del debitore, a seconda che sussistano o meno le condizioni per una regolazione convenzionale delle passività. Accanto alla procedura giudiziale è anche prevista la possibilità di concludere accordi stragiudiziali con l'intermediazione di un apposito organismo costituito a tale scopo (commissione di regolazione delle insolvenze), avente come compito quello di fornire assistenza delle persone indebitate ai fini del raggiungimento di accordi con i creditori, da sottoporre all'omologazione dell'autorità giudiziaria.
      Al comma 2, ai fini dell'individuazione del presupposto oggettivo per accedere alla procedura, si è preferito utilizzare un termine diverso da quello di insolvenza, allo scopo di distinguere il requisito da quello tradizionalmente previsto dalla legge fallimentare come riferito all'attività d'impresa. La formula prescelta, facendo riferimento alla incapacità di far fronte alle obbligazioni non appena vengono a scadenza, tenta di ricomprendere una tipologia di situazioni più ampia, tendenzialmente coincidente con quella dell'insolvenza civile di cui all'articolo 1186 del codice civile. Quest'ultima abbraccia non solo le situazioni dei debitori che hanno subìto una infruttuosa esecuzione, ma anche quelle situazioni che, senza configurare una conclamata certezza dell'inadempimento, corrispondono ad una situazione concreta di pericolo, allorchè sia evidente che il debitore non potrà eseguire la sua prestazione alla scadenza.
      Gli effetti protettivi conseguenti all'apertura della procedura (blocco delle azioni esecutive dei creditori e sospensione della decorrenza degli interessi) vengono fatti decorrere dal decreto di ammissione, da emettere a seguito di giudizio sommario, fondato sull'esame della documentazione fornita dall'interessato. Quest'ultima, predisposta dal debitore, deve fornire una chiara rappresentazione della situazione di indebitamento e degli eventuali mezzi a disposizione del debitore medesimo per porvi rimedio; ciò al fine di scoraggiare iniziative del tutto infondate e pretestuose. Inoltre, considerando come possa non essere agevole per il comune debitore-consumatore predisporre i documenti richiesti in forma adeguata, si prevede la possibilità di disciplinare in via regolamentare gli schemi e formulari da utilizzare a tal fine.
      Infine, allo scopo di prevenire abusi e condotte opportunistiche, la possibilità di fare ricorso alla procedura viene limitata attraverso la previsione che non vi si può accedere ove analoga procedura sia stata già attivata nei cinque anni anteriori.
      Sul piano procedurale e degli effetti, i caratteri salienti della procedura possono così riassumersi:

          a) il debitore può presentare, contestualmente alla domanda di ammissione o

 

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entro un breve termine, un piano di regolazione dei debiti, da sottoporre all'approvazione dei creditori e destinato, in caso di approvazione, ad avere esecuzione entro un termine massimo di 3-5 anni;

          b) in mancanza di un piano o dell'approvazione di esso, può essere avviata la liquidazione concorsuale dei beni, affidata ad un fiduciario. Tale passaggio non è tuttavia automatico. Infatti, al fine di non scoraggiare l'attivazione della procedura di esdebitazione da parte del debitore che ricerchi un accordo, ma non voglia, in caso di insuccesso, trovarsi esposto al rischio di subire la liquidazione coattiva del proprio intero patrimonio, si consente al debitore stesso di chiedere l'archiviazione della procedura una volta fallita l'ipotesi di accordo. Ciò non limita in alcun modo il diritto dei creditori di agire individualmente in via esecutiva, una volta cessata la procedura. Tuttavia, al fine di evitare condotte pregiudizievoli, la possibilità di archiviazione è esclusa se vi è il pericolo di occultamenti di beni o comunque di condotte del debitore volte a danneggiare in altro modo i creditori;

          c) il debitore rimane, fino all'avvio della procedura liquidatoria, investito della gestione del proprio patrimonio sotto la vigilanza di un fiduciario. Ciò nel presupposto che un coinvolgimento diretto del debitore nella distribuzione dei propri beni assicuri recuperi più alti ai creditori, i quali, in cambio, sarebbero disponibili a concedere, attraverso l'approvazione del piano, la liberazione del debitore dai debiti rimasti insoddisfatti;

          d) ai fini dell'approvazione del piano sono previsti meccanismi atti a facilitare la formazione del consenso, come la suddivisione in classi dei creditori, la previsione di forme di assenso tacito, la possibilità di votare il piano senza necessità della convocazione di un'adunanza dei creditori; inoltre è prevista la possibilità per il giudice di superare il dissenso di singole classi di creditori, a condizione di assicurare ai dissenzienti un trattamento non deteriore rispetto a quello derivante da un'eventuale liquidazione coattiva dei beni;

          e) nel caso in cui sia avviata la liquidazione del patrimonio del debitore, il ruolo di curatore è assunto dal fiduciario, che prende in gestione i beni del debitore e predispone lo stato passivo, la cui definitività è agevolata attraverso la previsione di una procedura abbreviata per la trattazione delle opposizioni e contestazioni dei creditori;

          f) il debitore non è assoggettato all'esperimento delle azioni revocatorie fallimentari, che mal si giustificano al di fuori di un'attività imprenditoriale (rispetto alla quale il principio della par condicio assume una ben diversa rilevanza) e che potrebbero avere effetti negativi sul mercato, innalzando le soglie di diffidenza nelle relazioni commerciali;

          g) il debitore civile è infine esonerato anche dalle sanzioni penali previste per l'imprenditore, la cui afflittività sarebbe incoerente con la prevalente funzione di tutela propria della procedura di esdebitazione; il ricorso ad essa sarebbe del resto disincentivato ove accompagnato dalla possibilità di incorrere in fattispecie di reato che non sarebbero altrimenti configurabili in via autonoma;

          h) la chiusura della procedura ha come effetto la concessione della esdebitazione del debitore che, come precisato, è l'aspetto qualificante ed essenziale del nuovo istituto. Ad essa si perviene su istanza del debitore, una volta terminata l'esecuzione del piano, ovvero conclusa la liquidazione dei beni. Considerate le possibilità di abuso cui può dare luogo, si prevede che l'esdebitazione non sia concessa ove il debitore abbia fornito dichiarazioni inesatte o incomplete ai fini dell'ammissione alla procedura o comunque nel corso di essa, ovvero se nell'anno anteriore alla domanda abbia dolosamente pregiudicato le ragioni dei creditori o tenuto altre condotte fraudolente o abusive (come il ricorso abusivo al credito, la distrazione dell'attivo, l'esposizione di passività inesistenti, eccetera), sintomatiche di

 

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una «immeritevolezza» rispetto alla quale non si giustifica la concessione del beneficio.

Articolo 5.

      L'articolo 5 si propone di introdurre delle misure di «allerta» e di prevenzione delle situazioni di crisi, che favoriscano la emersione delle situazioni di difficoltà più tempestivamente di quanto la prassi oggi non registri.
      In linea di principio tale funzione è attribuita agli organi di controllo interni e al revisore o alla società di revisione, ai quali si attribuisce da una parte la specifica competenza ad accertare se le condizioni di indebitamento della società possano pregiudicarne la continuità aziendale; e dall'altro la legittimazione a convocare l'assemblea dei soci nelle ipotesi di inerzia degli amministratori, debitamente «allertati».
      È altresì previsto il potere-dovere degli organi di controllo di segnalare la situazione di «crisi» al tribunale competente, laddove le misure adottate dagli amministratori o dai soci (o la mancata adozione di iniziative) non abbiano rimosso il pericolo di compromissione della continuità aziendale.
      Si è peraltro ritenuto opportuno limitare l'intervento del tribunale alla richiesta di esplicitazione delle intenzioni degli amministratori, ritenendo sufficiente la responsabilizzazione derivante dalla necessità per gli amministratori di formalizzare in sede giudiziale le valutazioni sulle condizioni della società e sulla attitudine delle misure adottate a superare la situazione di difficoltà denunciata dall'organo di controllo, senza prevedere l'adottabilità da parte del tribunale di specifici provvedimenti, salva la dichiarazione di apertura della procedura di insolvenza in caso di «insolvenza attuale», in quanto il richiamo delle disposizioni di cui agli articoli 3 e seguenti del decreto legislativo n. 270 del 1999 - si veda di seguito l'articolo 7 - comprende l'instaurabilità della procedura «d'ufficio».

Articolo 6.

      In relazione all'articolo 6 (procedura di ristrutturazione delle passività), rileviamo che è naturale e corretto che l'imprenditore cerchi di affrontare le situazioni di crisi ricercando un accordo con i propri creditori e ricorrendo quindi a soluzioni alternative alla liquidazione forzata del proprio patrimonio. I vantaggi delle soluzioni contrattate sono la tendenziale conservazione dei valori, la adattabilità dei contenuti alle caratteristiche dei singoli casi, la flessibilità delle modalità operative attraverso le quali perseguire gli obiettivi individuati. Il ricorso a soluzioni extragiudiziali delle situazioni di crisi appare tuttavia impraticabile in fattispecie caratterizzate, per esempio, dalla frammentazione delle categorie di creditori e di controparti interessate al tentativo di risanamento, in cui l'affidamento del tentativo alla sola iniziativa del debitore espone al rischio di iniziative individuali comportanti l'alterazione della condizione dei creditori, al di fuori di qualsiasi regola idonea a giustificare in qualche misura la previsione di eccezioni al principio della par condicio creditorum. Si è pertanto proposto di disciplinare una procedura, che si sostituisce agli attuali procedimenti di amministrazione controllata e di concordato preventivo, la quale consenta di inserire i tentativi di superamento delle situazioni di crisi di impresa in un contesto caratterizzato da alcuni elementi fondamentali di controllo giudiziale, fissando i requisiti essenziali in presenza dei quali:

          mettere al riparo l'imprenditore da azioni esecutive individuali, capaci di fare naufragare sul nascere il tentativo di soluzione della crisi anche quando quest'ultimo vada a vantaggio di tutti i creditori;

          favorire la formazione di un consenso informato dei creditori, valorizzando il principio di maggioranza (qualificata);

          giustificare l'esonero da «persecuzione» penale e da revocatoria di quei comportamenti ed atti posti in essere coerentemente

 

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con un programma di soluzione della crisi condiviso dai titolari degli interessi coinvolti e positivamente valutato dall'autorità giudiziaria;

          favorire l'afflusso di finanziamenti, se ed in quanto necessari secondo il programma approvato dalle parti interessate, mediante l'attribuzione di una prededucibilità analoga a quella assicurata alle obbligazioni contratte per l'esercizio dell'impresa nel contesto di una gestione che avviene sotto il controllo dell'autorità giudiziaria;

          consentire l'ideazione di soluzioni modellate sulle specifiche caratteristiche della singola situazione di crisi, sia dal punto di vista tecnico (relativo ai profili di ingegneria giuridica e finanziaria del programma di ristrutturazione), sia dal punto di vista gestionale (relativo alla individuazione dei protagonisti del tentativo di superamento della crisi).

      Per ciò che concerne quest'ultimo aspetto, la procedura di ristrutturazione delle passività parte dal presupposto che il soggetto al quale affidare il tentativo di superamento della crisi nel corso della procedura di ristrutturazione delle passività debba essere lo stesso debitore, sia pure sotto la vigilanza degli organi della procedura, proprio perché è lui quello che possiede le informazioni più idonee a valorizzare la propria impresa e il proprio patrimonio: ciò senza impedire che lo stesso debitore possa valutare caso per caso se, in quali termini e con riguardo a quali risorse manageriali offrire ai creditori, come motivo di garanzia supplementare della credibilità del programma di ristrutturazione, anche la sostituzione o l'integrazione del management precedente, oppure che a ciò possa provvedere, quando lo giudichi assolutamente necessario, la stessa autorità giudiziaria.
      In sintesi, la procedura di ristrutturazione delle passività:

          a) lascia il debitore nel controllo del proprio patrimonio, poiché egli è l'unico che ha informazioni idonee a valorizzarlo; lo assoggetta tuttavia al controllo del commissario giudiziale e dell'autorità giudiziaria;

          b) mira alla massima soddisfazione per i creditori, comunque conseguita, e dunque alla massimizzazione del valore attuale del patrimonio, senza dettare vincoli sulle modalità del raggiungimento dell'obiettivo, rendendo quindi lecite sia la continuazione dell'attività sia la sua cessazione, come pure la dismissione parziale o totale dell'azienda;

          c) fornisce un forte incentivo al debitore, il quale con questa procedura non ha concorrenza, poiché i creditori possono accettare o rigettare il piano (provocando l'apertura della procedura di insolvenza), ma non modificarlo;

          d) suddivide i creditori per classi, con possibilità di soddisfacimento differenziato (ad esempio mediante l'attribuzione di obbligazioni o azioni, mediante dilazioni maggiori, o minori somme, ai creditori finanziari, eccetera);

          e) prevede l'approvazione del piano per classi, con approvazione forzata (sul modello del cosiddetto «cram down» statunitense o dell'Obstruktionsverbot tedesco) in caso di ostruzionismo di una classe;

          f) consente di sciogliere i contratti pendenti se la loro prosecuzione sia contraria all'interesse dei creditori.

      Circa i presupposti soggettivi, alla procedura di ristrutturazione delle passività può accedere qualsiasi impresa, a prescindere dalla tipologia dell'attività esercitata e dalle dimensioni. In questa prospettiva, anche le imprese attualmente soggette alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999 - comprese quelle interessate dalla disciplina introdotta dal citato decreto-legge n. 347 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 2004, e successive modificazioni, - possono essere ammesse a presentare piani di ristrutturazione del loro indebitamento. È parso peraltro opportuno non estendere l'ambito

 

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di applicazione alle imprese dei settori assicurativo, bancario e finanziario. La ragione risiede essenzialmente nella circostanza che per tali imprese i rispettivi ordinamenti di settore prevedono già una disciplina organica delle situazioni di «crisi», sulle quali non è pertanto necessario intervenire. Per le società fiduciarie disciplinate dalla legge n. 1966 del 1939 e dalle disposizioni integrative successive sussiste in parte la stessa ragione, in parte la ragione connessa al progetto di riforma in corso di esame, nell'ambito del quale potrà più opportunamente essere affrontato anche questo tema.
      Alla procedura possono infine accedere i debitori non imprenditori (persone fisiche o enti), allorché, per motivi che possono essere vari, intendano conseguire il beneficio della liberazione dai debiti che consegue all'accordo con i creditori con forme diverse dalla procedura ad hoc prevista dall'articolo 4. Infatti, benché ideata con lo sguardo principalmente rivolto alla soluzione di crisi di impresa, la procedura di ristrutturazione delle passività si presenta come una soluzione praticabile per qualsiasi situazione di sovraindebitamento, purché ovviamente di una qualche minima consistenza: ciò sia perché l'esigenza di una sistemazione, dai contenuti adattabili ai singoli casi di specie, può concernere soggetti anche diversi dall'imprenditore; sia perché la sistemazione delle situazioni di sovraindebitamento di singole persone fisiche può rappresentare un presupposto indispensabile per la sistemazione della corrispondente situazione di crisi di imprese variamente collegate, come accade nelle ipotesi di presenza di fideiussori o di soci illimitatamente responsabili.
      Il presupposto oggettivo della procedura di ristrutturazione delle passività è costituito sia dalla temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, sia dallo stato d'insolvenza attuale o imminente. Si tratta di una scelta che volutamente amplifica al massimo le possibilità di ricorso del debitore alla procedura. Infatti, se da un lato ciò deve essere consentito in situazioni di semplice difficoltà di adempiere (cosa che sarebbe auspicabile nell'ottica dell'anticipazione che tutta la presente proposta di legge persegue), dall'altro lato si è ritenuto di non precluderlo anche al soggetto che si trovi in stato di vera e propria insolvenza. Infatti:

          a) l'esistenza dello stato di insolvenza nulla dice di definitivo circa il valore dell'impresa, la quale può essere sovraindebitata ma comunque produttiva di ricchezza o in ogni caso risanabile; in sintesi: essa può avere necessità di una nuova struttura finanziaria e, dunque, appunto di una «ristrutturazione delle passività»;

          b) la collaborazione del debitore, grazie al patrimonio informativo di cui è in possesso, è comunque utile alla massima soddisfazione dei creditori anche quando la soluzione sia meramente liquidativa;

          c) l'ammissione anche dell'imprenditore insolvente alla procedura di ristrutturazione delle passività consente di demandare alla procedura di insolvenza una funzione prevalentemente liquidativa, conseguendo così una netta distinzione di funzioni, che implica anche maggiore celerità, fra le due procedure, evitando così di dover esperire, nella procedura di insolvenza, tentativi di risanamento che sono del tutto velleitari se effettuati in condizione di spossessamento del debitore;

          d) è inevitabile prendere atto del fatto che l'imprenditore si rende conto delle difficoltà in ritardo, quando spesso la situazione è già di insolvenza; chiudere le porte alla sua collaborazione sarebbe inutilmente afflittivo e, soprattutto, dannoso per i creditori.

      Nella procedura di ristrutturazione delle passività l'autorità giudiziaria si limita a svolgere il ruolo di garante della corretta formazione ed esecuzione di un accordo fra il debitore e i creditori. Qualsiasi accordo è dunque ammissibile, purché sia vantaggioso per i creditori rispetto all'alternativa della liquidazione forzata del patrimonio.

 

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      È così prevista la possibilità di attribuzione di azioni, quote, obbligazioni ed altri strumenti finanziari ai creditori, nonché la possibilità di pagamenti integrali o in percentuale, di riorganizzazioni aziendali e dismissioni. È prevista la libertà nella determinazione dei tassi d'interesse sulle passività ristrutturate (importante anche in considerazione del fatto che la sospensione degli interessi non è automatica) e delle scadenze di pagamento del piano. Un fondamentale ruolo a questo riguardo saranno chiamati a svolgere i professionisti esperti di consulenza alle imprese.
      Ai fini della procedura:

          a) i creditori che hanno iscritto ipoteca giudiziale sui beni del debitore nei sei mesi precedenti la domanda vengono equiparati ai creditori chirografari: ciò da un lato perché è noto che l'esistenza di ipoteche giudiziali ostacola, per una serie di ragioni, i tentativi di composizione delle crisi su base (anche) negoziale, e dall'altro lato perché in una situazione di concorsualità l'iscrizione di un'ipoteca giudiziale, se pure giustifica un diritto di seguito del bene nei confronti dei successivi acquirenti, non giustifica il sacrificio degli altri creditori nell'ottica di una soluzione che deve mirare all'interesse collettivo;

          b) le cause legittime di prelazione, anche in caso di mancata liquidazione dei beni sui quali insistono, operano nei limiti entro i quali le pretese relative avrebbero ricevuto collocazione preferenziale sul ricavato in caso di vendita. L'obiettivo è di escludere la necessità di considerare «privilegiati» crediti che si presentino tali solo sotto un profilo nominale, senza risultare effettivamente capienti in prospettiva liquidatoria, favorendo l'adozione di soluzioni che, pur non contemplando la vendita dei beni, vadano a vantaggio di tutti i creditori.

      La legittimazione a chiedere l'apertura della procedura è attribuita al solo debitore interessato. Per le imprese organizzate in forma societaria si è ritenuto opportuno prevedere la competenza dell'organo amministrativo, in luogo della più complessa competenza dell'organo assembleare, ma con salvezza delle eventuali previsioni in senso contrario dello statuto. Si è altresì ritenuto di consentire all'organo di controllo di provocare una determinazione dell'organo amministrativo circa l'opportunità di richiedere l'ammissione all'apertura, nell'ottica di una valorizzazione del ruolo dell'organo di controllo, pur nel rispetto della separazione dei ruoli. Gli effetti della procedura si producono dal momento del deposito della domanda relativa. Essi ricalcano gli attuali effetti dell'apertura delle procedure concorsuali, per ciò che concerne l'inefficacia degli atti variamente diretti ad alterare la situazione dei creditori anteriori. In particolare sono previsti:

          a) la conservazione della gestione del patrimonio, ivi incluso l'eventuale esercizio dell'impresa, in capo al debitore, in coerenza con i criteri di realizzazione del piano e sotto la vigilanza del commissario giudiziale e del giudice delegato, salva la possibilità che l'autorità giudiziaria sostituisca anche parzialmente il debitore quando sussistano gravi motivi, o ne limiti in modo specifico i poteri;

          b) il divieto di azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore;

          c) l'inefficacia degli atti diretti a conseguire o fare conseguire diritti di prelazione sullo stesso patrimonio, salva espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

          d) l'inefficacia delle formalità necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, salva sempre espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

          e) la continuazione in linea di principio dei rapporti giuridici in corso, ma in un contesto nel quale viene affermata la facoltà degli organi della procedura di provocarne lo scioglimento, ove ciò si riveli conveniente per i creditori;

          f) l'inapplicabilità delle disposizioni sugli effetti della riduzione del capitale sociale.

 

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      Non è prevista la sospensione automatica degli interessi, che, in ossequio alla natura non interventista della proposta di legge sul contenuto dell'accordo, è rimessa alla trattativa fra debitore e creditori, rientrando a pieno titolo nel piano di ristrutturazione delle passività.
      L'ammissione alla procedura di ristrutturazione delle passività dovrà avvenire sulla base di una valutazione che ne escluda il carattere manifestamente inattuabile o lo scopo esclusivamente dilatorio. Per le imprese «di rilevanti dimensioni» è prevista l'ammissibilità alla procedura in via d'urgenza, per intuibili esigenze di carattere generale.
      Ai fini di garantire la serietà del piano e l'attendibilità dei dati e delle valutazioni sui quali sono impostate le soluzioni di volta in volta proposte ai creditori, si richiede che la domanda del debitore sia accompagnata dalla relazione di un esperto, scelto all'interno di categorie caratterizzate da una professionalità specifica, che potrà essere chiamato a rendere conto del suo operato, oltre che nell'ambito della generale responsabilità professionale, in particolare nelle ipotesi in cui si pervenga all'annullamento dell'accordo nei casi di comportamento fraudolento del debitore.
      A tale proposito si prevede:

          a) che venga istituito presso il Ministero della giustizia un'albo speciale dei «professionisti delle crisi di impresa», nel quale iscrivere i soggetti che possono essere designati commissario giudiziale (e curatore della procedura di insolvenza);

          b) che l'albo possa essere suddiviso in distinte sezioni in relazione all'attitudine dei soggetti iscritti in ciascuna di esse, per esperienza e professionalità, ad assumere incarichi della specie in relazione alle dimensioni dell'impresa e al ricorso della stessa al mercato dei capitali;

          c) che possano essere iscritte a tale albo anche persone giuridiche, le quali possano presentare quei livelli organizzativi e garantire quella completezza di professionalità che possono risultare indispensabili nell'espletamento delle mansioni della specie all'interno di situazioni di crisi caratterizzate da complessità della più varia natura.

      In presenza di «gravi motivi» (anche connessi alla dimensione dell'impresa interessata) l'accesso alla procedura potrà avvenire anche prima di avere ultimato la predisposizione del piano di ristrutturazione delle passività, che peraltro dovrà essere depositato, unitamente alla necessaria relazione dell'esperto, entro un breve termine (sessanta giorni prorogabili di altri sessanta), salvo che il tribunale accerti che nessun piano appare ragionevolmente attuabile (nel qual caso si può procedere alla dichiarazione di cessazione della procedura).
      La possibilità segnalata - apertura della procedura nonostante la mancanza di un piano di ristrutturazione (definitivo) - risulterà particolarmente apprezzabile nelle situazioni nelle quali il debitore ritenga di dovere anticipare per quanto possibile gli «effetti protettivi» conseguibili con riguardo alle possibili iniziative aggressive di singoli creditori.
      La procedura si svolgerà sotto il controllo di un giudice delegato e di un commissario giudiziale professionalmente qualificato, il quale dovrà predisporre una relazione articolata in merito alla realizzabilità del piano, e di un comitato dei creditori. Nelle ipotesi di procedure di ristrutturazione delle passività avviate da imprese «di rilevanti dimensioni» il commissario giudiziale dovrà acquisire il parere preventivo del Ministero delle attività produttive sulla realizzabilità del piano di ristrutturazione. È previsto che tale parere non sia vincolante, ma obblighi il commissario giudiziale a motivare «circostanziatamente» il suo eventuale dissenso dallo stesso. Il voto dei creditori sarà manifestato nel corso di una apposita adunanza davanti all'autorità giudiziaria. Si è ritenuto che il commissario giudiziale debba essere scelto fra gli iscritti agli albi professionali degli avvocati, dei dottori commercialisti o dei ragionieri, a garanzia della serietà e della tendenziale indipendenza

 

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nell'esecuzione dell'incarico. Non è esclusa in linea di principio la nomina di società professionali, a condizione che la normativa in vigore ne consenta l'iscrizione ai relativi albi professionali. Tenuto conto del carattere non pienamente soddisfacente dell'attuale disciplina dell'accertamento dei crediti e delle altre pretese dei creditori nell'ambito delle procedure concorsuali minori, si è previsto che l'accertamento del passivo avvenga ad opera degli organi della procedura e d'ufficio, con effetti e forme di impugnativa analoghi a quelli previsti per la corrispondente attività nell'ambito della procedura di insolvenza.
      La formazione del consenso dei creditori è agevolata dalla loro suddivisione in classi caratterizzate da interessi omogenei, all'interno di ciascuna delle quali il consenso sarà perseguito attraverso i generali principi di maggioranza, e per le quali potranno essere previsti trattamenti anche diversi. Se è vero che la necessità di raccogliere il consenso di più classi può apparentemente rendere più difficile il raggiungimento dell'accordo, è altresì vero che l'accordo è più agevole laddove ad ogni tipologia di creditore venga offerto ciò che più risponde ai suoi specifici interessi (si pensi alla differenza fra creditori commerciali e creditori finanziari).
      Al fine di favorire la ordinata ed efficiente formazione della volontà dei creditori si prevede inoltre l'introduzione di una presunzione di assenso per chi non esprime dissenso (oggi prevista per il voto sulla proposta di concordato fallimentare dall'articolo 128 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di seguito denominato «legge fallimentare»), nonché una legittimazione speciale dei titolari degli uffici finanziari e previdenziali ad esprimere il voto sul piano di ristrutturazione, con l'eventuale conseguente effetto dilatorio o remissorio sui debiti per tributi, contributi, sanzioni ed interessi.
      Eventuali comportamenti di free-riding di una classe di creditori, la quale si astenga dall'approvare il piano pur non essendo pregiudicata dall'alternativa della liquidazione forzata del patrimonio, non devono impedire una soluzione che vada a beneficio di tutti i creditori. È infatti prevista la possibilità per il giudice di superare la mancata approvazione del piano da parte di una o più classi di creditori, allorquando la maggioranza delle classi di creditori lo abbia approvato e la classe o le classi dissenzienti non ne ricevano pregiudizio. L'omologazione del piano di ristrutturazione postula esclusivamente la verifica della regolarità del procedimento e l'accertamento del raggiungimento dell'accordo con i creditori nei modi prefigurati dal piano. È invece esclusa qualsiasi valutazione di convenienza della procedura, lasciata al giudizio delle controparti del debitore. Viene espressamente precisata l'esecutorietà della sentenza di omologa, al fine di circoscrivere al solo risarcimento del danno gli effetti della eventuale riforma della sentenza.
      Per prevenire l'utilizzo strumentale e dilatorio della procedura, si è previsto che per l'approvazione del piano di ristrutturazione e per l'adempimento degli impegni da parte del debitore siano previsti dei termini massimi fissati a priori, la cui scadenza comporta l'apertura della procedura di insolvenza.
      Si noti che l'esecuzione degli impegni assunti con il piano non coincide necessariamente con l'adempimento delle obbligazioni ristrutturate: mentre per i primi infatti è necessaria una rigidità a garanzia dei creditori (si pensi alla prestazione di garanzie reali o personali, alla costituzione di depositi vincolati, all'emissione di azioni o di obbligazioni a favore di particolari categorie di creditori), per l'adempimento delle obbligazioni non è opportuno prevedere termini massimi, che i creditori devono essere liberi di negoziare con il debitore. Ad esempio, per i creditori finanziari, a differenza dei creditori commerciali, possono essere del tutto accettabili tempi lunghi di pagamento delle obbligazioni ristrutturate (anche di alcuni anni), nella misura in cui vi siano sufficienti garanzie dell'adempimento. In ossequio al rispetto dell'autonomia privata nella soluzione delle crisi, si è dunque
 

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ritenuto di rimettere anche questo aspetto all'accordo fra debitore e creditori.
      L'esecuzione del piano è affidata, in linea di principio, allo stesso debitore. Ciò non esclude che il debitore conferisca incarichi specifici a terzi, anche come ulteriore forma di tutela dei creditori; mentre all'autorità giudiziaria rimane comunque sempre riservata la possibilità di designare un sostituto degli organi amministrativi. Le modalità di esecuzione sono vincolanti per tutti i creditori anteriori all'apertura della procedura, mentre le obbligazioni originarie non vincolano più il debitore. Rimangono invece vincolati i coobbligati ed i fideiussori, salva la possibilità che il piano di ristrutturazione preveda la liberazione anche di costoro, nel qual caso di ciò dovrà essere tenuto conto nella fase di suddivisione dei creditori in classi omogenee.
      Oltre che per l'effetto, fisiologico, dell'esecuzione del piano, la procedura può cessare per una serie di cause, quali la mancata ammissione da parte dell'autorità giudiziaria, la scadenza del termine per l'approvazione del piano o la sua mancata approvazione, la mancata omologazione dell'accordo tra debitore e creditori, la mancata esecuzione degli impegni assunti dal debitore. In tutte queste ipotesi gli effetti o non si producono o vengono meno, con salvezza comunque degli atti posti in essere coerentemente con la disciplina della procedura, in relazione alla fase nella quale è intervenuta la cessazione; ciò in quanto l'avvio e la trattativa relativa al programma di ristrutturazione devono essere seri, ed è dunque conseguente che l'eventuale insuccesso del tentativo non possa rimettere in discussione gli effetti che medio tempore si sono prodotti.
      La cessazione anticipata della procedura, dimostrando da un lato l'incapacità di adempiere del debitore e dall'altro lato la sua incapacità di trovare un accordo con i propri creditori, dovrà comportare di regola la dichiarazione di insolvenza e l'apertura del relativo procedimento disciplinato dal successivo articolo 7, salvo il caso in cui la procedura sia stata iniziata da un privato non imprenditore, il quale può essere assoggettato ad insolvenza solo su sua domanda. È invece escluso un nuovo accertamento della sussistenza del presupposto oggettivo, ritenuto superfluo per il fatto stesso che il debitore non è riuscito a portare a buon fine la ristrutturazione delle passività. È vero che questo automatismo fra cessazione della procedura di ristrutturazione ed apertura della procedura di insolvenza potrebbe costituire un disincentivo per il debitore ad adire l'autorità giudiziaria, ma si è d'altra parte ritenuto che esso costituisca anche una irrinunciabile garanzia della serietà del tentativo e del massimo impegno a negoziare correttamente con i creditori l'accordo di ristrutturazione. La risoluzione dell'accordo è prevista per la sola ipotesi di inadempimento da parte del debitore agli obblighi assunti con lo stesso (ad esempio, mancata prestazione di garanzie o costituzione di depositi), e l'annullamento è condizionato alla scoperta di comportamenti fraudolenti del debitore, per la migliore valutazione dei quali è richiesta la predisposizione di una specifica relazione da parte dell'esperto che ha provveduto a certificare i dati e le informazioni posti alla base del piano.
      Viene previsto che i relativi procedimenti debbano essere avviati entro termini brevi di decadenza rispetto alla verificazione o alla scoperta della causa di risoluzione o di annullamento, e che dell'apertura della relativa istruttoria debba essere data adeguata pubblicità. Ciò al fine di consentire ai terzi interessati di valutare opportunamente se continuare ad intrattenere relazioni con il debitore, essendosi ritenuto necessario limitare la salvezza degli atti legittimamente compiuti nel corso della procedura al momento in cui sia resa nota l'assunzione di iniziative tese a provocarne la risoluzione o l'annullamento.
      Per le ipotesi di apertura della procedura di insolvenza in conseguenza della cessazione della procedura di ristrutturazione, il periodo rilevante al fine di assoggettare ad azione revocatoria fallimentare gli atti di disposizione del debitore, o
 

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posti in essere nei confronti dei suoi beni, deve essere individuato con riguardo all'apertura della prima procedura in tutte le ipotesi nelle quali la stessa si è rivelata priva dei necessari presupposti essenziali, e dunque quando sia addirittura mancata l'ammissione, o la approvazione del piano, o sia scaduto (invano) il termine previsto per approvarlo, o ancora l'accordo pure raggiunto con i creditori non sia stato omologato. In tale modo si è preso atto dell'attuale orientamento giurisprudenziale in materia di proponibilità dell'azione revocatoria nelle ipotesi di «consecuzione» di procedure concorsuali, che priva di effetti, ai fini del «consolidamento» degli atti potenzialmente revocabili, il periodo di durata dei tentativi di superamento o di sistemazione della crisi affidati alle procedure concorsuali minori.
      Fanno eccezione, peraltro, le ipotesi nelle quali la cessazione della procedura di ristrutturazione non sia dipesa dalla inadeguatezza originale del piano o dalla mancata approvazione da parte dei creditori o dall'accertamento della mancanza di requisiti necessari per la sua omologabilità, bensì dalla sopravvenienza di cause imprevedibili che hanno impedito di portare ad esecuzione la ristrutturazione prospettata ed originariamente approvata. Si tratta dunque dei casi nei quali la cessazione della procedura sia dichiarata per risoluzione dell'accordo con i creditori o per il suo annullamento (salvo che per gli atti posti in essere da soggetti in mala fede). Tale soluzione pare opportuna al fine di conferire certezza giuridica agli effetti dei rapporti giuridici posti in essere dal debitore nel periodo anteriore all'apertura della procedura di ristrutturazione e già suscettibili di essere considerati dai terzi come temporalmente estranei all'ambito di applicazione di eventuali azioni revocatorie fallimentari.
      Sempre per le ipotesi di apertura della procedura di insolvenza in conseguenza della cessazione della procedura di ristrutturazione, si disciplinano taluni degli altri effetti che la giurisprudenza riconnette al fenomeno cosiddetto della «consecuzione» di procedure concorsuali, disponendo che le obbligazioni sorte per atti legittimamente posti in essere durante la prima procedura ricevano, nell'ambito della seconda, una collocazione analoga a quella attribuita alle obbligazioni assunte per l'amministrazione della procedura di insolvenza, e che i crediti fruttiferi producano interessi sino alla data di apertura di quest'ultima.
      Viene poi ribadito, con l'affermazione di un principio generale di chiusura, che il compimento in buona fede di atti di esecuzione coerenti con il piano di ristrutturazione omologato devono considerarsi legittimamente posti in essere sotto ogni profilo.

Articolo 7.

      Allorquando il debitore non abbia ritenuto di ricorrere alla procedura di ristrutturazione delle passività o quando il tentativo di ristrutturare le passività non abbia avuto buon esito, si apre la procedura di insolvenza, La procedura di insolvenza, di cui all'articolo 7, si caratterizza per una finalità essenzialmente liquidativa, nel senso che - salvo eccezioni e salva la possibilità di un concordato - il patrimonio dell'insolvente viene riallocato sul mercato, destinando il ricavato alla soddisfazione dei creditori.
      Ciò non implica la necessaria distruzione dei valori dell'impresa, che invece deve essere recuperata quando ciò risponda all'interesse dei creditori: implica soltanto la tendenziale separazione delle sorti del debitore da quelle del suo patrimonio, che è pienamente giustificata dall'ampiezza degli strumenti a disposizione del debitore per trovare preventivamente un accordo mediante la procedura di ristrutturazione delle passività. Dato che, con tale procedura «amica», il debitore è ammesso a proporre un accordo avente qualsiasi contenuto, se non gli è riuscito di trovare un accordo o non ha voluto esperire questo tentativo quando aveva la titolarità dell'iniziativa, è chiaro che la parola deve passare ai creditori, i quali hanno diritto ad essere soddisfatti sul

 

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ricavato dalla vendita del patrimonio. Si è così ritenuto, pur evitando qualunque carattere sanzionatorio della procedura di insolvenza, di conseguire un giusto equilibrio fra incentivi al debitore e rigore nella tutela dei creditori.
      Le differenze fra la proposta procedura di insolvenza e quella attuale di fallimento, pur aprendosi entrambe in mancanza di diverse iniziative del debitore, sono invero notevoli. La nuova procedura mira infatti a salvaguardare i valori del patrimonio, e in primo luogo - quando ciò sia possibile e vantaggioso per i creditori - il valore d'avviamento. È infatti vista come automatica, salva diversa determinazione del tribunale, la continuazione dell'attività d'impresa per un breve periodo d'osservazione, a meno che tale attività fosse già cessata alla data dell'apertura, nel quale caso non può essere chiesto ai creditori di pagare il costo della ripresa. Decorso tale periodo, durante il quale verranno acquisite le necessarie informazioni, l'impresa continua se ciò sia funzionale al migliore realizzo dell'attivo, in vista della cessione del complesso aziendale. Importante novità è che il curatore, che raramente è provvisto della necessaria competenza tecnica, può avvalersi di ausiliari con capacità manageriali.
      Altre significative innovazioni sono le seguenti:

          a) la liquidazione viene notevolmente potenziata sia nei tempi, dato che si ammettono vendite o comunque dismissioni anche immediatamente dopo l'apertura della procedura, sia negli strumenti, dato che si consentono operazioni di finanza straordinaria quali conferimenti in società di nuova costituzione (previa valutazione che ciò sia conveniente per i creditori), fusioni, scissioni, eccetera; sono ammissibili anche offerte di acquisto dell'attivo e del passivo in blocco;

          b) la riduzione delle revocatorie ai soli atti anormali; il potenziamento delle revocatorie per atti «preferenziali» e per atti che si configurino in generale come appropriazione dei valori dell'azienda;

          c) la possibilità di chiusura con un concordato fallimentare potenziato, che può essere proposto, oltre che dal debitore, anche dal curatore e da singoli creditori o terzi;

          d) la liberazione dai debiti non soddisfatti concessa al debitore-persona fisica che onestamente coopera al migliore soddisfacimento dei creditori.

      Il presupposto oggettivo è costituito dallo stato di insolvenza, così come attualmente individuato dall'articolo 5 della legge fallimentare. Allorché l'apertura della procedura sia, come auspicabile, richiesta dal debitore, è annessa anche una valutazione prospettica di «insolvenza imminente» che solo questi può avere, non essendo ammissibile che terzi presentino istanze, di per sé pericolose per l'imprenditore, basate su mere congetture.
      Una disciplina del procedimento per la dichiarazione di insolvenza organica e conforme ai princìpi costituzionali è contenuta nel decreto legislativo n. 270 del 1999 sull'amministrazione straordinaria. Per questo motivo si è ritenuto di indicarla al legislatore delegato come modello da seguire, sia pure con opportuni adattamenti. Si è introdotto il requisito della necessità che il creditore non munito di titolo esecutivo effettui, su modulo predisposto dal Ministro della giustizia, una richiesta formale al debitore di pagare entro un breve termine come condizione della richiesta di apertura della procedura di insolvenza: esso da un lato dà certezza circa la mancata (o insufficiente) risposta del debitore all'intimazione, dall'altro mette quest'ultimo sull'avviso circa l'intenzione del creditore di promuovere l'apertura di una procedura di insolvenza.
      Il giudizio d'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento si svolge attualmente nelle forme del giudizio ordinario. Questo, se dà in astratto maggiori garanzie, fa sì che l'eventuale revoca giunga a molti anni di distanza dalla sentenza dichiarativa di fallimento, che tuttavia necessariamente deve essere provvisoriamente esecutiva. Si è dunque reputato

 

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opportuno che il legislatore delegato preveda per il giudizio d'opposizione alla sentenza che dichiara lo stato di insolvenza un rito per quanto possibile celere, nel rispetto delle garanzie costituzionali. Inoltre è previsto che il legislatore delegato affronti e risolva il delicato problema delle spese della procedura in caso di accoglimento dell'opposizione, la cui disciplina è oggi affidata ad una norma del tutto carente (l'articolo 147 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di spese di giustizia), che si è limitata a riprodurre il vuoto normativo a suo tempo creato nella legge fallimentare da una sentenza della Corte costituzionale. Questa carenza ha dato luogo a prassi di dubbia correttezza ed a gravi problemi per il debitore che risulti essere stato ingiustamente assoggettato a procedura concorsuale.
      Rispetto all'attuale impostazione della legge fallimentare, la disciplina degli organi della procedura, oltre a riflettere la completa rivisitazione del comitato dei creditori di cui sopra si è detto, diviene più funzionale ad esigenze di celerità. Le novità sono costituite dalla costante attenzione alle effettive possibilità di realizzo derivanti dalle azioni giudiziarie da intraprendere, così che la procedura concorsuale cessi di essere, come talvolta oggi, il luogo del trionfo del diritto astratto, per divenire una tecnica di massima soddisfazione dei creditori. È così previsto che il giudice delegato, nell'autorizzare le azioni relative al recupero dei crediti e le azioni revocatorie, valuti espressamente la convenienza per la procedura anche in relazione alle possibilità di soddisfacimento sul patrimonio del presunto debitore ed al ritardo che la pendenza del giudizio comporta per la chiusura della procedura di insolvenza, avuto riguardo all'interesse dei creditori e del debitore. Viene inoltre accentuata l'autonomia del curatore, il quale ha la capacità di compiere autonomamente, senza previa autorizzazione del giudice delegato o del tribunale, le operazioni di prelievo e le alienazioni di valore non superiore a 10.000 euro, fatta salva la possibilità per il tribunale, con la sentenza che apre la procedura ovvero con successivo provvedimento, di stabilire un diverso valore.
      Importante è anche l'attribuzione al curatore del potere di compiere operazioni societarie di carattere straordinario, con l'autorizzazione degli organi della procedura in luogo di quella dei soci, e con la previsione della introduzione di regole speciali che consentano l'attribuzione ai creditori delle relative utilità. L'obiettivo è quello di consentire al curatore di essere il motore, non di avventurosi salvataggi, ma di efficaci soluzioni della crisi nell'interesse dei creditori.
      Gli effetti per i soggetti interessati si caratterizzano per un'eliminazione degli ormai antiquati residui afflittivi a carico del debitore per l'affermazione della salvezza degli effetti degli atti compiuti da chi ignorava legittimamente l'apertura della procedura di insolvenza; e per una generalizzazione del divieto di azioni esecutive individuali anche speciali, giustificata dalla rinnovata impostazione mirante ad una soddisfazione rapida e per quanto possibile generale dei creditori. Completano il disegno una disciplina organica della sospensione e della limitazione degli interessi e dell'estensione della prelazione agli interessi, oggi risultante da un coacervo di non sempre coerenti sentenze della Cassazione e di pronunzie della Corte costituzionale, e una disciplina della compensazione, che si intende estendere secondo i recenti indirizzi giurisprudenziali (con l'aggiunta della compensabilità del credito di rivalsa del fideiussore e di quello eventuale del coobbligato in solido, che divengono compensabili anche se l'escussione avviene dopo l'apertura della procedura), pur con la previsione di limiti contro i frequentissimi abusi a danno dei creditori oggi non impediti dall'articolo 56, secondo comma, della legge fallimentare.
      Si prevedono poi gli effetti della insolvenza della società sui «patrimoni destinati»; le conseguenze dell'insuccesso dell'operazione per la cui effettuazione la società abbia destinato un determinato patrimonio; gli effetti dei cosiddetti «finanziamenti
 

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destinati» (istituti tutti introdotti dalla recente riforma del diritto societario).
      Si è ritenuto opportuno affermare la proseguibilità dell'affare per il quale la società avesse destinato un patrimonio, purché sotto la responsabilità del curatore o di altro soggetto designato dal giudice delegato, e sino a quando ciò non produca effetti pregiudizievoli per i creditori del patrimonio destinato (la qual cosa avverrà quando l'affare in questione non presenti i caratteri della redditività), oppure non ostacoli o ritardi la chiusura della procedura di insolvenza aperta a carico della società.
      Per tutte le ipotesi di «cessazione» del patrimonio destinato si afferma il principio secondo il quale gli amministratori devono valutare in via preliminare se il prevedibile ricavato dalla liquidazione delle attività di detto patrimonio si prospetti come sufficiente a soddisfare le pretese dei creditori del patrimonio destinato. Si precisa poi che laddove tale valutazione abbia contenuto negativo la liquidazione dell'attivo deve svolgersi (non già secondo le regole della liquidazione volontaria delle società, bensì) secondo le regole della liquidazione dell'attivo e della ripartizione del ricavato in sede concorsuale.
      Non si è ritenuto opportuno prevedere l'applicazione generalizzata delle disposizioni relative alla procedura di insolvenza al cosiddetto «fallimento del patrimonio separato», con particolare riguardo alle disposizioni concernenti la ricostruzione del patrimonio (azioni revocatorie) o la ridefinizione del patrimonio (disciplina delle opponibilità) dell'insolvente, sia perché giudicate proprie delle situazioni nelle quali si registra l'insolvenza di un soggetto (anziché di una porzione del patrimonio di un soggetto che non viene sottoposto a procedura concorsuale), sia per la mancanza, nel caso di specie, di un riferimento essenziale quale la (data della) sentenza giudiziale di accertamento dell'insolvenza (del patrimonio destinato).
      Si precisa altresì che la liquidazione del patrimonio separato possa avvenire anche mediante «cessione delle attività e passività» ad un terzo, con attribuzione alla procedura del solo «netto di liquidazione», non ostando a ciò il soddisfacimento (prevedibilmente) integrale dei creditori «accollati» all'acquirente del patrimonio separato, in quanto tale soddisfacimento avviene a carico di beni sul cui ricavato tali creditori avevano il diritto di essere preferiti agli altri creditori sociali.
      Per i finanziamenti destinati ad uno specifico affare si precisa il necessario assoggettamento al procedimento di accertamento dello stato passivo nella procedura di insolvenza alla quale sia stata assoggettata la società, con la raccomandazione di disciplinare, in particolare, gli effetti delle garanzie eventualmente rilasciate dalla società e quelli dei pagamenti ricevuti dai creditori sui proventi dell'affare finanziato.
      Si prevede infine che la società che non osservi le disposizioni di «separatezza» tra il proprio patrimonio ed il patrimonio o i patrimoni destinati che abbia costituito, o tra più patrimoni destinati tra loro, sia illimitatamente responsabile delle obbligazioni pur contratte per l'esercizio di uno specifico affare. In caso di insolvenza della società i creditori dei patrimoni destinati per i quali non sia stata osservata la regola della «doppia separatezza» potranno concorrere anche sul patrimonio sociale «ordinario».
      È noto che l'azione revocatoria, come attualmente concepita dalla legge fallimentare e come applicata dalla costante giurisprudenza, si caratterizza per la notevole lunghezza del periodo in cui atti del tutto normali come il pagamento di debiti scaduti possono essere revocati in caso di successivo fallimento e per la scarsa chiarezza circa i presupposti di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo. Ciò produce gravi incertezze. Obiettivo della riforma è quello di ridurre tali margini di incertezza, chiarendo inoltre i presupposti oggettivi e soggettivi per la revoca.
      L'opzione prescelta è quella di una riconduzione della revocatoria, anche quando sia svolta all'interno di procedure
 

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concorsuali, alla sua originaria funzione di mezzo di eliminazione di un danno subìto dai creditori. Ciò avviene in consapevole difformità rispetto a diverse e pur affascinanti tesi, che hanno esercitato grande influenza sulla prassi applicativa. Se infatti è innegabile che una vasta applicazione dello strumento revocatorio, anche a prescindere dall'estremo del pregiudizio arrecato ai creditori, può spingere il debitore, incapace di reperire controparti con le quali continuare ad operare, verso le procedure concorsuali, è altresì vero che ciò avviene a prezzo di gravi incertezze e di costi derivanti da azioni con le quali si mira a rimettere in discussione atti del tutto normali, sul solo evanescente presupposto, quasi sempre meramente indiziario e ricostruito ex post, che la controparte conosceva lo stato di insolvenza del debitore. È così che, negli anni più recenti, l'istituto della revocatoria degli atti normali ha vissuto un fenomeno di ipertrofia, senza - occorre dirlo - reali benefìci in termini di risultati per i creditori, come testimoniato dalle statistiche giudiziarie.
      Ciò vale anche per la revoca delle garanzie per debiti contestualmente creati (che costituiscono il «corrispettivo» del finanziamento concesso) e dei pagamenti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore insolvente, oggi revocabili ai sensi dell'articolo 67, secondo comma, della legge fallimentare. Se infatti lo scopo dell'istituto è quello nobile del ripristino della par condicio creditorum, l'effetto concreto è stato quello di creare una vischiosità attorno al debitore, i cui creditori - soprattutto bancari - si astengono dall'esigere i crediti per timore della revocatoria dei pagamenti ricevuti e ancora da ricevere. È così che a vantaggio del debitore insolvente, con effetto diametralmente opposto allo scopo che si intendeva perseguire, si crea un «credito artificiale» che gli consente di sopravvivere, aggravando il dissesto. Appare invece corretto, proprio nell'ottica dell'indurre un'anticipata e tempestiva apertura delle procedure concorsuali, consentire ai creditori di esigere e trattenere il pagamento, ed obbligare il debitore a chiedere la protezione della procedura concorsuale contro i creditori più aggressivi. Né può dirsi che così facendo si favoriscono i creditori finanziari, ed in particolare le banche, e si preclude il loro coinvolgimento nella soluzione della crisi: tale coinvolgimento deve avvenire nella sede opportuna di un'azione coordinata, e non agitando la minaccia di revocatorie strumentali.
      L'esenzione da revocatoria cessa allorché il creditore ed il debitore si accordino per violare la par condicio, in quanto è sottinteso che in tale caso entrambi hanno informazioni sufficienti per comprendere la necessità di attivare una procedura concorsuale, ma si astengono dal farlo per trarre un beneficio personale e sottrarsi alla legge del concorso. Essa non opera infine per gli atti estranei al normale esercizio dell'impresa e per i pagamenti effettuati a ridosso dell'apertura della procedura: essi non hanno infatti alcun valore di spinta alla tempestiva emersione della crisi, ormai da ritenere conclamata e palese, tanto che tali atti e pagamenti devono essere revocati salvo che il terzo provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore.
      Completano il disegno un chiarimento dell'ambito della revocatoria contro atti «anormali», l'inefficacia ex lege delle ipoteche giudiziali iscritte nei sei mesi anteriori all'apertura della procedura (in coerenza con la scelta effettuata per la procedura di ristrutturazione delle passività) ed un aggravamento della revocatoria nei confronti di atti che si configurino come appropriazione dei valori dell'azienda, quali l'affitto dell'azienda stessa o di un ramo di essa, la licenza di brevetto o di altri beni immateriali, la cessione di beni aziendali dissimulata al fine di eludere l'applicabilità del secondo comma dell'articolo 2560 del codice civile. Si tratta di immeritevoli quanto purtroppo frequenti manovre in danno dei creditori, contro le quali il curatore ha spesso le armi spuntate.
      La riforma mira ad introdurre una facoltà generale degli organi della procedura di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione, nonché discipline più organiche,
 

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oggi desumibili solo da «frammenti» della legge fallimentare, dello scioglimento dei contratti in corso d'esecuzione, della sospensione e della prosecuzione della loro esecuzione, con possibilità di interventi differenziati per l'ipotesi in cui sia disposta la continuazione dell'attività d'impresa. La disciplina dell'accertamento del passivo gravante su un debitore assoggettato a procedura concorsuale riveste un rilevante interesse sistematico, giacché, pur essendo oggi dettata nell'ambito del procedimento di fallimento, viene poi resa applicabile, attraverso sistematici rinvii, in misura maggiore o minore, anche alle corrispondenti fasi delle procedure concorsuali liquidative diverse. Trattasi di una disciplina molto articolata e tendenzialmente conchiusa in sé. La presente proposta di legge implica il mantenimento della sua struttura, con l'introduzione di una serie di integrazioni e correttivi rivolti per lo più a recepire gli effetti dei numerosi interventi succedutisi negli anni ad opera della Corte costituzionale o a superare i più gravi contrasti dottrinali e giurisprudenziali radicatisi sulla soluzione di singoli problemi interpretativi, adottando le soluzioni che sono sembrate di volta in volta più coerenti con gli obiettivi di economicità e di semplificazione. In questa prospettiva:

          a) si precisa che l'accertamento del passivo fallimentare ha per oggetto anche i diritti gravanti comunque su beni del fallito, quantunque non connessi a crediti vantati direttamente nei suoi confronti (come accade nella fattispecie, oggi controversa, di costituzione da parte del fallito di pegni o di ipoteche a garanzia di debiti altrui); si riafferma inoltre il principio, già espresso dall'articolo 103 della legge fallimentare, che l'accertamento dei diritti reali mobiliari dei terzi su beni in possesso (non del fallito, ma) del curatore si esegue secondo le stesse forme;

          b) si precisa che il procedimento di accertamento del passivo ha altresì per oggetto i crediti aspiranti ad una collocazione «in prededuzione», sia quando essi siano per qualsiasi ragione contestati, sia quando abbiano origine in una procedura concorsuale diversa da quella nella quale interviene l'accertamento del passivo (con particolare riguardo ai crediti prededucibili sorti in procedure precedenti), per la conseguente necessità di un esame approfondito della ricorrenza delle condizioni della collocazione. Per i crediti della specie sorti invece in conseguenza di atti posti in essere dagli organi della procedura pendente, potrà disporre direttamente il giudice delegato con disposizione di prelievo dall'attivo disponibile;

          c) si circoscrive e si razionalizza la disciplina dell'istituto della «ammissione con riserva», precisandone l'applicabilità anche alle domande tardive, ed escludendone la fattispecie della mancata produzione dei «documenti giustificativi», per la quale sembra più appropriato un provvedimento di esclusione dal passivo. Si indica poi il procedimento concernente le osservazioni e le impugnazioni dei piani di ripartizione dell'attivo come quello più idoneo all'accertamento della verificazione o della impossibilità di verificazione della condizione posta alla base della «riserva»; ciò in funzione della liberazione delle quote accantonate in favore del creditore interessato o dei restanti creditori;

          d) si prevede che nella sentenza che dichiara aperta la procedura il tribunale possa stabilire le ipotesi nelle quali la mancata contestazione del creditore di quanto il curatore gli abbia comunicato di risultare a suo credito comporti l'ammissione della pretesa al passivo senza altre formalità (opportunità questa particolarmente avvertita nelle situazioni nelle quali ci si trova di fronte a pretese «seriali», come quelle dei crediti degli obbligazionisti);

          e) si prevede l'ammissione subordinata dei crediti postergati per effetto di clausola negoziale o di disciplina legale;

          f) si precisa che l'accoglimento delle domande di insinuazione al passivo rientra sempre nei poteri del giudice, indipendentemente dal parere favorevole del curatore fallimentare (o dell'organo corrispondente),

 

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e ciò anche per le domande proposte in via tardiva;

          g) si circoscrive l'efficacia dei provvedimenti resi in materia di accertamento del passivo alla procedura nell'ambito della quale essi sono stati adottati (oltre alle eventuali procedure consecutive o riaperte), precisando peraltro che le somme percepite dai creditori in esecuzione delle ripartizioni dell'attivo effettuate dagli organi della procedura sono comunque irripetibili;

          h) si prevede l'obbligo di comunicazione, anche con i mezzi informatici di cui all'articolo 3, comma 3, lettera e), e con comunicazioni cumulative ai creditori che abbiano presentato domanda di insinuazione, dell'intervenuto deposito dello stato passivo e di ogni sua successiva variazione, al fine di rendere effettivo il diritto di impugnazione;

          i) si prevede la omogeneizzazione dei giudizi di impugnazione delle sentenze rese sulle domande di ammissione al passivo, sia in via tempestiva sia in via tardiva;

          l) si consente l'ammissione del credito insinuato in via tardiva anche a seguito di riduzioni o di rinunzie parziali da parte del creditore. Allo scopo di alleggerire e semplificare per quanto possibile i relativi giudizi, si prevede altresì che il giudice procedente possa disporre con decreto l'ammissione al passivo del credito insinuato in via tardiva senza necessità di acquisire il parere favorevole delle altre parti, salva ovviamente la legittimazione degli altri creditori a proporre l'impugnazione dello stato passivo;

          m) si prevede la partecipazione alle ripartizioni dell'attivo dei crediti insinuati in via tardiva a decorrere dalla data della relativa domanda, al fine di evitare che il creditore tardivo vittorioso sia pregiudicato dalle eventuali ripartizioni effettuate durante il tempo, a lui non imputabile, necessario per ottenere il riconoscimento del proprio diritto;

          n) si prevede che i giudizi di accertamento del passivo siano definiti con sentenza del tribunale in forma monocratica, non sussistendo speciali esigenze per giustificare la scelta della composizione collegiale e rappresentando garanzia sufficiente la previsione che il giudice monocratico che istruisce e definisce il giudizio sia un magistrato diverso dal giudice delegato.

      Elementi che informano la nuova disciplina della gestione del patrimonio e della liquidazione sono la snellezza operativa e la riduzione dei costi. In questo senso si segnalano:

          a) la previsione che la liquidazione possa iniziare immediatamente dopo l'apertura della procedura di insolvenza. La portata innovativa di questa singola disposizione è notevole, in quanto consente di alienare immediatamente l'azienda a chi intenda perseguirne il risanamento, così come è oggi possibile nella liquidazione coatta delle imprese bancarie. Il vero risanamento è infatti quello operato dal mercato, da imprenditori mossi da legittime aspettative di profitto, e non quello tentato, spesso a spese dei creditori, in pendenza della procedura concorsuale;

          b) la previsione della possibilità, anche immediatamente dopo l'apertura della procedura di insolvenza, di conferire in una o più società di nuova costituzione beni, crediti o complessi aziendali insieme a rapporti contrattuali in corso singolarmente individuati. Questa previsione mira a consentire al curatore, soprattutto quando sia evidente la natura finanziaria o comunque circoscrivibile delle cause della crisi, di «isolare» il complesso aziendale sano e permetterne la prosecuzione dell'attività, al fine della vendita (non di beni o complessi aziendali, ma) di una partecipazione sociale, più appetibile sul mercato;

          c) la previsione della possibilità di non far luogo a liquidazione ove l'attivo ragionevolmente realizzabile non consenta di coprire le spese della procedura; ciò al fine di evitare la distruzione di ulteriore

 

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ricchezza, salvi gli effetti della pronunzia di insolvenza a tutti gli effetti di legge;

          d) il rafforzamento della concorrenza nella valorizzazione del patrimonio del debitore, mediante la previsione della possibilità per i creditori e per qualunque interessato di presentare proposte di assunzione di tutto o parte del passivo, anche in percentuale, contro rilievo dell'intero patrimonio o di parte di esso; ciò al fine di consentire la creazione di «pacchetti» di beni e di rapporti giuridici attivi e passivi appetibili sul mercato a particolari categorie di acquirenti, con beneficio per tutti i creditori. Il problema è quello della salvaguardia della par condicio fra i creditori «ceduti» e quelli residui, che deve essere risolto nel senso della necessaria rispondenza della cessione in blocco all'interesse della generalità dei creditori, considerando che, anche se taluni creditori possono avere benefìci maggiori (si pensi ai fornitori del ramo d'azienda ceduto), tutti i creditori devono comunque ricevere un vantaggio (anche mediante una riduzione del numero dei creditori residui) rispetto all'alternativa della vendita.

      Riguardo alla disciplina della ripartizione dell'attivo e della chiusura della procedura si segnalano soprattutto due novità. Innanzitutto, viene inserito il principio secondo cui le cause legittime di prelazione giovano al creditore solo nei limiti del valore effettivo del bene. Questa previsione, dettata anche per la procedura di ristrutturazione delle passività, mira ad evitare che il fatto contingente della mancata alienazione del cespite oggetto della prelazione (ad esempio perché la procedura si chiude con un concordato o perché il bene è conferito in società) dia al creditore più di quanto egli otterrebbe in caso di vendita. Il diverso orientamento, attualmente accolto dalla giurisprudenza prevalente, introduce una distorsione nella scelta della soluzione della crisi, che, anziché divenire quella più efficiente per tutti i creditori, è quella concretamente possibile stante le limitazioni imposte dall'esistenza di (pur incapienti) garanzie.
      In secondo luogo, viene prevista la liberazione del debitore dai debiti non soddisfatti nel corso della procedura, se si tratta di una persona fisica e non sussistono cause di impedimento indicate dalla legge in relazione alla condotta tenuta prima dell'apertura della procedura o durante il suo svolgimento. Si tratta di una scelta innovativa, che anche ordinamenti tradizionalmente vicini al nostro ed orientati alla tutela dei creditori, come quello tedesco, hanno recentemente effettuato. La ispira la considerazione, coerente con la filosofia che anima l'intera riforma, che le procedure sono innanzitutto tecniche, quanto più possibili amichevoli, di sistemazione dell'insolvenza, che non hanno ragione di lasciare strascichi dopo che il debitore abbia cooperato, nei limiti delle sue effettive possibilità, alla migliore soddisfazione dei creditori.
      Nella scelta fra una ripresa - per lo più del tutto teorica - delle azioni dei creditori per la parte dei crediti non soddisfatta e un recupero del debitore alla produttività, si è dunque scelto di privilegiare quest'ultimo interesse, concreto ed importante, al fine di eliminare una volta per tutte lo stigma delle procedure concorsuali e di incentivare il debitore a ricorrere tempestivamente alle procedure concorsuali. La possibilità della esdebitazione è ovviamente concessa solo alle persone fisiche, in quanto le società, essendo veicoli per l'esercizio di un'attività economica, non hanno una «vita» ulteriore che meriti di essere tutelata se i creditori non siano stati soddisfatti. Ne possono quindi beneficiare gli imprenditori individuali, i soci illimitatamente responsabili (a condizione che siano persone fisiche, come oggi la giurisprudenza richiede), e persino le persone fisiche che non esercitino un'attività d'impresa, motivo per il quale si è ritenuto di consentire anche a queste ultime, sia pure solo su loro domanda, l'accesso alla procedura di insolvenza.
      Anche la parte della proposta di legge relativa alla chiusura della procedura di insolvenza con metodi alternativi alla liquidazione si segnala per il carattere innovativo rispetto alla situazione attuale. In

 

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primo luogo si è ritenuto di estendere la legittimazione a proporre un concordato anche a soggetti diversi dal debitore; ciò perché il monopolio di quest'ultimo nella proposta di concordato, attualmente legittimato dall'articolo 124 della legge fallimentare, limita soluzioni che sarebbero convenienti per i creditori e favorisce la violazione delle regole sulla priorità dei rimborsi fra creditori e fornitori di capitale di rischio. In secondo luogo si è ritenuto di proporre la possibilità di una ricapitalizzazione della società ad opera del curatore, che costituisce una variante del sistema delle «opzioni nell'insolvenza», noto alla dottrina giuridica ed economica internazionale. Quest'ultimo costituisce una difficile ma non impossibile tecnica di eliminazione a basso costo dell'insolvenza, o comunque di riduzione del passivo, che rispetta l'ordine di priorità di rimborso. Tale innovativa tecnica di chiusura della procedura è ammessa solo per la società a responsabilità limitata, a causa di un discutibile vincolo imposto dalla seconda direttiva comunitaria in materia di società per azioni.
      Vi sono infatti situazioni in cui il valore delle attività della società, anche con l'impresa in attività, è inferiore a quello dei suoi debiti, e dunque i soci non sono incentivati a deliberare un aumento di capitale, pur se ciò ripristinerebbe condizioni di equilibrio, poiché i vantaggi dell'operazione andrebbero non a loro ma ai creditori. Si producono così condizioni di sotto-investimento, che distruggono una ricchezza che ormai è di competenza dei creditori. D'altro lato i creditori, che sono a questo punto i veri fornitori di capitale di rischio, non hanno la possibilità di intervenire sulla struttura finanziaria dell'impresa, poiché l'aumento di capitale richiede il consenso dei soci, che questi ultimi, per le ragioni sopraesposte, non sono incentivati a dare. Di qui l'attribuzione al curatore della competenza, normalmente assembleare, di lanciare, previa effettuazione della riduzione di capitale eventualmente conseguente alle perdite, un aumento di capitale che può consentire ai creditori, mediante la compensazione dei loro crediti, di far tornare la società in bonis. Proprio in vista di questo è previsto che l'ammontare dell'aumento di capitale e del sovrapprezzo deve essere fissato almeno nella misura necessaria a ripristinare la solvibilità della società, tenuto conto dei finanziamenti che eventuali terzi si siano impegnati a concedere alla società in caso di sua ricapitalizzazione.
      D'altro lato, anche in questo contesto ai soci spetta il diritto d'opzione: essi hanno infatti la precedenza rispetto a terzi nelle decisioni di reinvestimento nell'impresa (anche se hanno deciso di non avvalersene prima dell'apertura della procedura, proprio perché a differenza dei creditori essi devono liberare l'aumento di capitale con «denaro fresco»). La previsione esplicita della compensabilità del debito di sottoscrizione con il credito verso la società è necessaria, perché il debito sorge dopo l'apertura della procedura e dunque non sarebbe compensabile ai sensi dei princìpi generali. Il sovrapprezzo, infine, può essere necessario perché anche (ma non solo) a seguito delle necessarie svalutazioni e appostazioni può esservi un patrimonio netto negativo, che non può essere coperto mediante il solo aumento di capitale.
      Si disciplina infine la responsabilità degli organi di gestione e di controllo delle società e degli enti (e dei loro soci), per le condotte che abbiano provocato pregiudizio al soggetto sottoposto alla procedura di insolvenza oppure ai creditori.
      A tale proposito:

          a) si conferma l'attribuzione al curatore della legittimazione ad esercitare l'azione di responsabilità sociale e l'azione dei creditori sociali;

          b) si attribuisce al curatore la legittimazione esclusiva a fare valere la nuova forma di responsabilità solidale del socio di società a responsabilità limitata, introdotta dall'articolo 2476, settimo comma, del codice civile;

          c) si attribuisce al curatore la legittimazione a fare valere la responsabilità di coloro che abbiano fraudolentemente contribuito a determinare l'approvazione o

 

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l'omologazione di un accordo di ristrutturazione delle passività o di composizione negoziale della crisi poi annullato, precisando che detta responsabilità comprende il pregiudizio provocato dalla eventuale sopravvenuta improponibilità delle azioni revocatorie.

Articolo 8.

      In relazione all'articolo 8, si premette che la sola revisione della disciplina delle procedure concorsuali non è sembrata un intervento sufficiente a soddisfare tutte le esigenze che l'esperienza in materia di superamento o sistemazione delle situazioni di crisi ha fatto emergere.
      La soluzione del ricorso a procedimenti giudiziari strutturati presenta di per sé alcuni inconvenienti difficilmente eliminabili, quali:

          l'effetto negativo in termini di immagine, inevitabile qualunque sia il grado di efficienza delle procedure concorsuali;

          la tendenziale inattitudine ad affrontare situazioni di crisi circoscritte, cioè di carattere parziale, o con riguardo all'entità del dissesto o con riguardo alle categorie dei soggetti coinvolti;

          la rigidità connessa alla necessaria previsione di presupposti di ammissibilità necessariamente piuttosto precisi - in relazione agli effetti poi connessi all'apertura della procedura - ai quali possono non attagliarsi tutti i casi concreti di situazioni di crisi;

          l'impossibilità di tenere conto di tutte le specificità delle situazioni di crisi, che possono richiedere l'ideazione e l'attuazione di soluzioni ciascuna diversa dall'altra, all'insegna di una flessibilità ottenibile solamente con una forte deregolamentazione.

      Gli orientamenti giurisprudenziali che si sono venuti formando sulle conseguenze dell'eventuale insuccesso dei tentativi di carattere stragiudiziale di superamento delle situazioni di crisi esprimono peraltro una grande severità, sia sotto il profilo della valutazione della possibile rilevanza penale dei comportamenti posti in essere, sia sotto il profilo della precarietà degli effetti giuridici connessi agli atti compiuti dal debitore e dai creditori, sempre soggetti alla «spada di Damocle» della revocatoria, sostanzialmente certa in caso di insuccesso anche quando il tentativo sia stato effettuato in buona fede. Il ricorso alle soluzioni alternative di carattere extragiudiziario è dunque, nel panorama attuale, fortemente scoraggiato.
      Si è dunque prevista l'introduzione di alcune disposizioni che consentano la sottoposizione al controllo dell'autorità giudiziaria di accordi di carattere negoziale tra debitore e creditori, che si propongano di superare o prevenire una situazione di crisi nel rispetto della legge e dei diritti di tutte le parti interessate. L'accertamento da parte dell'autorità giudiziaria della serietà dell'accordo e della conformità delle misure che si intendono adottare a canoni di correttezza e di buona fede, consente di prevedere la stabilità degli effetti dei comportamenti e degli atti posti in essere in esecuzione del progetto di composizione negoziale.
      La necessità di una situazione patrimoniale di riferimento, posta alla base dell'accordo stragiudiziale e la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga una consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore, rappresentano una garanzia adeguata nei confronti di comportamenti esclusivamente dilatori. Ciò tanto più per la circostanza che, con l'avvio della procedura, la situazione di crisi è resa palese, con la conseguenza che l'eventuale accertamento dell'inadeguatezza dell'accordo a raggiungere gli obiettivi perseguiti potrebbe costituire l'occasione per l'assunzione, da parte dei creditori o della stessa autorità giudiziaria, delle iniziative che l'ordinamento di volta in volta prevede e consente - secondo la qualità soggettiva del debitore e le caratteristiche concrete della sua situazione economico-patrimoniale-finanziaria - allorché il dissesto sia divenuto pubblico.
      Il ricorso a questa procedura non produce «effetti protettivi» per il debitore. Con essa, infatti, il debitore si propone

 

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esclusivamente di sottoporre alla valutazione del tribunale il proposito di dare esecuzione ad accordi con uno o più creditori, quali che ne siano i contenuti, che mentre presentano l'attitudine a prevenire o superare una situazione di «crisi», comunque non compromettono la corretta gestione ordinaria dell'impresa ed il regolare adempimento delle relative obbligazioni, così da non ingenerare indebiti rischi per i creditori non facenti parte dell'accordo.
      La pendenza del giudizio di omologazione dell'accordo di composizione negoziale della crisi non ostacola, quindi, né potrebbe farlo trattandosi di una procedura che non prevede la consultazione di tutti i creditori, l'avvio di procedure esecutive, anche di carattere concorsuale, nei confronti del debitore. Qualora quest'ultimo, essendo già in possesso del consenso di una parte del ceto creditorio interessato, intenda beneficiare dell'arresto delle azioni esecutive individuali o precludere la dichiarazione di insolvenza, potrà ricorrere allo strumento della procedura di ristrutturazione delle passività, nella variante dell'«accordo preconfezionato» di cui al comma 2 dello stesso articolo 8.
      Le disposizioni sulla omologazione giudiziale degli accordi di composizione dovrebbero applicarsi a qualunque soggetto, in relazione a qualsiasi accordo posto in essere con uno o più creditori, allo scopo di superare o anche di prevenire ogni tipo di difficoltà economica, patrimoniale o finanziaria. Si è voluta consentire la stipulazione di un accordo anche fra il debitore ed un solo creditore, nel caso - non infrequente - in cui mediante tale accordo si consenta al debitore di superare definitivamente la crisi (ad esempio, mediante l'erogazione di nuova finanza assistita da idonee garanzie).
      Pur essendo destinato a produrre effetti diretti esclusivamente nei confronti dei creditori che hanno preventivamente raggiunto un determinato accordo, è possibile - anzi è normale - che la realizzazione dell'accordo comporti effetti indiretti anche nei confronti di altri controinteressati. L'aspirazione ad acquisire una garanzia di stabilità degli effetti prodotti dall'esecuzione dell'accordo, che costituisce la ragione della sua sottoposizione all'omologazione, impone di considerarne il contenuto nel contesto della più generale situazione economico-patrimoniale-finanziaria del debitore. Per tale ragione è richiesta la presentazione di una situazione patrimoniale di riferimento e la sua certificazione ad opera di un esperto professionalmente qualificato, che dovrà attestarne la congruità ed esprimere una valutazione sulla attendibilità degli obiettivi perseguiti con la conclusione dell'accordo, con particolare riguardo all'attitudine dello stesso a rimuovere o prevenire la situazione di crisi in modo durevole.
      Si prevede che l'autorità giudiziaria possa esercitare un controllo sulla congruità della situazione economico-patrimoniale-finanziaria prospettata dal debitore, attraverso la disposizione di una consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore stesso.
      Si prevede altresì che un controllo sulla conformità dell'esecuzione dell'accordo a quanto prospettato in sede di omologazione venga effettuato da parte dell'esperto che ha originariamente certificato la situazione patrimoniale di riferimento, attraverso relazioni periodiche, nonché l'introduzione di ipotesi di revocabilità dell'omologazione allorquando venga scoperto che i dati e le informazioni forniti dal debitore sono inattendibili e che le finalità dell'accordo risultano gravemente compromesse.
      Si prevede che gli effetti degli atti posti in essere in esecuzione di un accordo stragiudiziale omologato acquistino quel grado di stabilità giuridica che può convincere le controparti del debitore a consentire il tentativo di superamento o di prevenzione della situazione di crisi. In tale prospettiva, se ne prevede la sottrazione alle azioni revocatorie, e si introduce un principio generale di chiusura secondo il quale gli atti compiuti coerentemente con gli accordi omologati devono considerarsi legittimamente posti in essere sotto ogni punto di vista.
      L'accordo di composizione negoziale della crisi, rimuovendo la situazione di
 

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crisi, dovrebbe inoltre evitare la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza ad opera di terzi. Ciò, tuttavia, rappresenta l'effetto del successo dell'accordo, e non di un limite posto dalla legge a soggetti che potrebbero non avere partecipato alla formazione e all'omologazione dell'accordo medesimo.
      Inoltre, aspirando tale procedura solamente ad assicurare ai creditori partecipanti agli accordi omologati che gli effetti degli atti posti in essere coerentemente con essi non possano essere assoggettati a valutazioni critiche di carattere retrospettivo, nelle ipotesi nelle quali il tentativo di prevenire o superare la crisi non abbia comunque avuto successo, gli «effetti protettivi» non si estendono ad assicurare il carattere prededucibile delle obbligazioni assunte con i creditori partecipanti all'accordo, nella eventuale procedura di insolvenza innescata dall'insuccesso dell'accordo stesso, la qual cosa potrà costituire un ostacolo oggettivo alla erogazione della cosiddetta «nuova finanza».
      Si prevede infine che la disciplina fiscale degli accordi non ostacoli, anzi se possibile agevoli, il perfezionamento delle operazioni, con particolare riguardo al regime di deducibilità fiscale delle perdite su crediti derivanti dalle riduzioni e dalle ristrutturazioni dei debiti dedotti nell'accordo.
      È importante segnalare infine uno strumento di flessibilità consistente nella possibilità del debitore di portare davanti all'autorità giudiziaria un accordo «preconfezionato» con i propri creditori. Il comma 2 dell'articolo in questione prevede un iter semplificato per le ipotesi nelle quali la ristrutturazione delle passività interessi solamente una parte circoscritta, in senso soggettivo, delle obbligazioni (per esempio le sole obbligazioni verso le banche), ed il consenso della maggioranza della classe dei creditori relativi sia già stato formalmente conseguito con modalità atte a garantire la completezza e la trasparenza informativa nei confronti di ogni interessato. Si tratta di una previsione di grandissima rilevanza, modellata sulla cosiddetta «pre-packaged bankruptcy» conosciuta dalla prassi statunitense, che consente di disporre di uno strumento a metà strada fra la ristrutturazione delle passività di cui all'articolo 6 e l'accordo di composizione negoziale delle crisi di cui al comma 1 dell'articolo 8. Il debitore può infatti privatamente negoziare una ristrutturazione con una classe soltanto dei creditori, e l'accordo raggiunto con la maggioranza di questi viene reso efficace per tutti i creditori della classe mediante un ricorso all'autorità giudiziaria; ciò in tempi che possono anche essere brevissimi, trattandosi di consultare un numero ridotto di creditori sulla base di elementi che sono stati già forniti prima dell'apertura della procedura.
      L'istituto presenta grandi potenzialità, perché preludendo all'ammissione del debitore alla procedura di ristrutturazione delle passività, è in grado di far conseguire tanto a lui, quanto ai creditori, tutti gli «effetti protettivi» che sono propri di tale procedura, e fin dal momento dell'avvio della stessa. La presenza poi di un accordo «preconfezionato», conseguito con la sola maggioranza della classe o delle classi dei creditori interessati, ma inevitabilmente vincolante anche per i creditori dissenzienti, prelude a sua volta ad una procedura prevedibilmente di molto alleggerita (se non altro, alleggerita del procedimento di manifestazione della volontà dei creditori, in realtà già interpellati).
      In questo modo accordi stragiudiziali favoriti dalla applicazione del principio di maggioranza e dalla adottabilità di tecniche di facilitazione della formazione del consenso (la suddivisione dei creditori in «classi») divengono veicolabili in una procedura che assicura effetti protettivi immediati e diffusi, oltre a favorire (con la «prededuzione», qui sì invocabile) l'assicurazione del sostegno finanziario fondamentale per il successo di qualsiasi piano di ristrutturazione aziendale.

Articolo 9.

      L'articolo 9 della proposta di legge enuncia i princìpi della delega legislativa relativi ai gruppi di imprese.

 

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      La disciplina che si propone di introdurre al riguardo non si discosta dal principio, tradizionale in materia, del riconoscimento della distinta soggettività delle società e, correlativamente, dell'autonomia delle rispettive masse attive e passive. È sembrato infatti che l'adozione in via generale di un principio opposto (quello della confusione della masse attive e passive o addirittura del disconoscimento della separatezza dei soggetti, attraverso la tecnica del superamento della personalità giuridica o altre affini) equivalesse in realtà al disconoscimento del fenomeno dei gruppi: invero, la caratteristica peculiare ed insopprimibile della formula organizzativa in questione, che è altresì alla radice del suo successo e della sua vitalità, consiste nella costante dialettica tra unità sostanziale del fenomeno economico-finanziario sottostante e pluralità dei soggetti giuridici a cui si imputa l'attività.
      Fermo il suddetto principio, che ispira tutte le disposizioni dell'articolo 9 e che viene infatti richiamato più volte nel corpo del medesimo, si è previsto, con riguardo alla procedura di ristrutturazione delle passività, che la domanda di ammissione ad essa possa essere presentata anche contestualmente o congiuntamente da più società dello stesso gruppo, e che in tal caso possa essere elaborato e presentato altresì un unico piano di ristrutturazione delle passività, a condizione che rispetto a ciascuna società sussista il presupposto oggettivo richiesto dalla legge e la domanda venga deliberata dall'organo per ciascuna competente; si è previsto inoltre che l'impulso per la propagazione della procedura nell'ambito del gruppo possa partire dall'organo preposto alla società che per prima vi è stata assoggettata; si è contemplata, ancora, la possibilità che, per esigenze di economia e di coordinamento fra le diverse procedure, alle stesse vengano preposti i medesimi organi. Le esigenze da ultimo richiamate ispirano altresì la regola onde è radicata in un unico tribunale, individuato sulla base di criteri determinati, la competenza territoriale riguardo alle procedure che investono più società appartenenti al medesimo gruppo.
      Con riguardo alla procedura d'insolvenza, si è prevista l'applicabilità, salvo l'adattamento alle diversità di detta procedura rispetto all'altra, dei medesimi princìpi e criteri direttivi dettati con riferimento alla procedura di ristrutturazione delle passività.
      Anche in questo caso valgono dunque la regola secondo cui l'accertamento della sussistenza del presupposto oggettivo della procedura, e cioè dell'insolvenza, deve essere effettuato singolarmente rispetto a ciascuna società del gruppo, senza imputazione all'una dei risultati negativi dell'altra, salva la possibilità di tenere conto dei collegamenti economico-finanziari fra le società del gruppo (ad esempio nel caso in cui esse si collochino a diversi livelli lungo una medesima filiera produttiva) ai fini della valutazione dello stato di insolvenza attuale o imminente di ciascuna; la regola onde è consentito che alle diverse procedure concorsuali, concernenti società del medesimo gruppo, siano preposti gli stessi organi (salva la designazione di curatori speciali, ove ciò si riveli opportuno o necessario al fine di evitare situazioni di conflitto, come ad esempio nel caso in cui s'intenda promuovere un'azione revocatoria nei confronti di altra società del gruppo sottoposta alla medesima procedura della società attrice); la regola che fa salva in ogni caso (anche in quello di presentazione, da parte delle diverse società del gruppo sottoposte alla medesima procedura di insolvenza, di un'unica proposta di concordato) l'autonomia delle rispettive masse attive e passive.
      La possibile identità degli organi preposti alle diverse procedure concorsuali innesta tuttavia un profilo di unità delle diverse procedure, consistente nel computo unitario o complessivo dei costi delle medesime. Ciò implica tuttavia, in ossequio al ricordato principio di separatezza delle masse patrimoniali, la necessità di una loro ripartizione fra le diverse società del gruppo, i criteri della quale dovranno essere specificamente indicati dal legislatore delegato (eventualmente ispirandosi a quello enunciato nell'articolo 85, comma
 

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2, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270).
      Un altro profilo di possibile unità delle diverse procedure è dato dal coordinamento (espressamente previsto come legittimo ed anzi auspicabile) delle modalità e delle strategie di gestione (là dove vi sia prosecuzione temporanea dell'attività d'impresa) e di liquidazione, coordinamento che viene auspicato in tutti i casi in cui possa risolversi in un vantaggio per i creditori di ciascuna delle loro società, in termini di incremento delle rispettive masse attive e dunque delle possibilità di soddisfacimento di ciascun gruppo o serie di creditori.
      La fattispecie di gruppo a cui si applica la disciplina dell'articolo 9 è ricavata dalla nozione civilistica che funge da presupposto della disciplina di cui agli articoli 2497 e seguenti del codice civile: gruppo è quindi l'insieme delle società soggette all'attività di direzione e coordinamento di una medesima società o ente.
      Si prevede espressamente, al fine di superare dubbi e diatribe risalenti, che lo status di società o ente esercente l'attività di direzione e coordinamento di un insieme di società sia di per sé sufficiente ad integrare il presupposto soggettivo sia della procedura d'insolvenza, sia della procedura di ristrutturazione delle passività, indipendentemente dall'esercizio di una qualsiasi attività immediatamente produttiva di beni o di servizi. In altre parole, si ammette che possa essere soggetto passivo delle procedure concorsuali la cosiddetta «holding pura».
      Si prevede inoltre che la società appartenente al gruppo, in quanto soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento, nel momento in cui viene sottoposta ad una delle procedure concorsuali, cessi di essere assoggettata a detta attività. Essa viene infatti assoggettata ad una procedura che persegue scopi ed obiettivi i quali potrebbero risultare incompatibili con quelli propri della capogruppo: alla gestione eteronoma di quest'ultima si sostituisce, per così dire, la gestione eteronoma dell'organo della procedura. Non si reputa tuttavia opportuno, in questa specifica ipotesi di «uscita» dal gruppo ed in considerazione soprattutto dello stato di dissesto o comunque di crisi in cui versa la società, prevedere una tutela dei soci esterni mediante l'exit: viene perciò dichiarata inapplicabile la disposizione dell'articolo 2497-quater, primo comma, lettera c), del codice civile, relativa al diritto di recesso.
      Infine, è previsto [e si veda infatti il rinvio contenuto nell'articolo 7, comma 5, lettera f)] che vengano dettate dal legislatore delegato regole peculiari in merito alla disciplina degli atti pregiudizievoli ai creditori «esterni» al gruppo, posti in essere da una società soggetta a procedura di insolvenza nei confronti (e verosimilmente con la «complicità») delle società collegate alla prima dall'appartenenza al medesimo gruppo: regole, in particolare, che tendano ad «aggravare» o a «rinforzare», secondo una linea di politica legislativa inaugurata già con la prima legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la disciplina della revocatoria intragruppo, sul presupposto che i legami di gruppo favoriscano «scambi negoziali» atti o diretti a produrre travasi di risorse da una società all'altra, in danno dei creditori che non siano a loro volta soggetti appartenenti al gruppo. La novità sistematica, imposta dalla riforma societaria del 2003, consiste nel coordinamento, previsto dall'articolo 9, comma 1, lettera i), fra detta disciplina della revocatoria intragruppo e quella in materia di rimborso dei finanziamenti erogati alla società sottoposta alla procedura di insolvenza da altre società del medesimo gruppo, oggi contenuta negli articoli 2497-quinquies e 2467 del codice civile.

Articolo 10.

      1. Premessa. - Anche sotto il profilo penalistico la proposta di legge si muove nel solco di una sostanziale continuità con la precedente proposta di legge atto Camera n. 7497 del 14 dicembre 2000, della quale la versione attuale si presenta come un aggiornamento ed un affinamento, con qualche più profonda modifica (in relazione

 

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soprattutto al rapporto fra bancarotta e dichiarazione di insolvenza) e qualche significativa integrazione (l'arricchimento dell'intervento penale sul versante specifico dei rapporti fra banca e impresa in crisi), suggerite sia dal dibattito scientifico degli ultimi tempi, sia dai recenti e gravi fatti di criminalità economica che hanno profondamente turbato l'opinione pubblica del nostro Paese, a cominciare dalle vicende Cirio e Parmalat. Lo spirito della proposta è comunque quello di un «work in progress», aperto al confronto e al dibattito, nella consapevolezza che una riforma di tale portata non può prescindere da una fase preparatoria nella quale confluiscano i contributi di una pluralità di soggetti (portatori di interessi, magistratura, avvocatura, mondo accademico, eccetera). Il progetto non è quindi da assumere «a scatola chiusa», al contrario di quanto è avvenuto con il recente esempio della riforma penale societaria, imposta a colpi di maggioranza parlamentare senza alcun previo confronto e nessuna seria riflessione sui contenuti e sulle conseguenze delle scelte politico-criminali che si andavano compiendo. La forma della legge delega, anche sotto questo punto di vista, è apparsa come quella più congrua e conforme allo scopo: i princìpi e criteri direttivi contenuti nel progetto devono infatti intendersi come tali, ossia come scelte politico-criminali di fondo, destinate ad essere completate e rifinite tecnicamente da parte del legislatore delegato, al contrario - anche in questo caso - di quanto avvenuto con la frettolosa riforma penale societaria, che ha tradotto meccanicamente in fattispecie incriminatrici una materia prima normativa ancora in gran parte allo stato grezzo.
      2. Princìpi ispiratori della riforma. - Rispetto alla proposta di legge del 2000 non è mutato l'originario spunto di partenza: l'idea guida è quella di una sostanziale revisione del rigorismo sanzionatorio che caratterizza la disciplina della legge fallimentare del 1942, in una prospettiva di riequilibrio del rapporto reato-pena, in attuazione del principio costituzionale di proporzione. Si è inteso in tal modo sfuggire ad una duplice pericolosa tentazione: da un lato, quella di un'esasperata reazione punitiva, sull'onda di una facile quanto incongrua imitazione di taluni modelli nordamericani (Sarbanes-Oxley Act) troppo lontani dagli equilibri sanzionatori del nostro ordinamento; e dal lato opposto, la tentazione di un supino adeguamento a quella linea di indiscriminato indebolimento dei presìdi sanzionatori, che si è già tradotta - con il decreto legislativo n. 61 del 2002 - nella «bagatellizzazione» degli illeciti penali societari, apportando guasti profondi all'intero sistema del diritto penale dell'economia.
      In realtà, tanto fra gli studiosi, quanto fra gli operatori pratici del diritto si riscontra da tempo un consenso diffuso sulla necessità di un «alleggerimento» dell'intervento penale nelle crisi d'impresa, inteso come condizione preliminare anche per un suo recupero di efficienza. L' attuale disciplina repressiva dei reati fallimentari è infatti nettamente sproporzionata per eccesso, sia dal punto di vista degli equilibri interni del sistema penale italiano (in raffronto a tutte le altre categorie di delitti economici e patrimoniali), sia da un punto di vista comparatistico: le pene previste per la bancarotta fraudolenta, in particolare (da tre a dieci anni di reclusione), rasentano il doppio di quanto previsto nella media degli altri Paesi europei. Ma non è solo, naturalmente, un problema di livelli sanzionatori: si tratta altresì (e prima di tutto) di colmare il divario attualmente esistente fra la realtà normativa e la realizzazione dei fondamentali princìpi di colpevolezza e di offensività dell'illecito penale; ciò che impone un ripensamento dell'intera struttura della fattispecie di bancarotta.
      Sulla base di una tale ispirazione di fondo, i punti di forza della riforma della disciplina penale delle procedure concorsuali possono essere sintetizzati nei seguenti termini:

          a) riduzione, semplificazione e razionalizzazione delle fattispecie di bancarotta nelle loro diverse articolazioni, con eliminazione delle ipotesi colpose e tendenziale circoscrizione dell'intervento penale ai soli

 

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comportamenti dolosi dell'imprenditore privi di qualunque giustificazione economica e lesivi della garanzia dei creditori, in quanto posti in essere in stato di insolvenza ovvero dotati rispetto ad essa di efficacia causale (o di aggravamento delle relative conseguenze);

          b) mantenimento dell'efficacia condizionante della dichiarazione dello stato di insolvenza da parte della giurisdizione civile;

          c) introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, volte a disciplinare il rapporto fra banca e impresa in crisi;

          d) previsione di adeguati meccanismi premiali, volti ad incentivare il debitore a ricorrere agli strumenti giudiziari o extragiudiziari di prevenzione o risoluzione delle crisi d'impresa;

          e) introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, volte a garantire l'affidabilità dei predetti strumenti e la trasparenza del debitore che a questi fa ricorso;

          f) tendenziale assimilazione, sotto il profilo della responsabilità penale, della figura del curatore della procedura concorsuale a quella dell'amministratore di società, con introduzione di nuove fattispecie penali ad hoc;

          g) ristrutturazione del raccordo fra disciplina penale concorsuale e societaria;

          h) applicazione al settore in esame, là dove possibile, del nuovo istituto della responsabilità da reato delle persone giuridiche.

      3. La nuova struttura del delitto di bancarotta. - Dal punto di vista della tecnica di tipizzazione del delitto di bancarotta, si riscontra una contrapposizione storica fondamentale - ancor oggi ben visibile nel diritto positivo dei diversi Paesi - fra un modello di fattispecie di bancarotta causalmente orientata, costruita su un evento rappresentato dal fallimento o dall'insolvenza del debitore - il cui esempio più significativo è fornito oggi senz'altro dal codice penale spagnolo del 1995 (articolo 260) - ed un modello di incriminazione di stampo accentuatamente casistico, tendenzialmente emancipato dal riscontro di un nesso di causalità con il fallimento o l'insolvenza, ed articolato invece sulla descrizione, variamente formulata, di ipotesi di manipolazioni patrimoniali, di alterazioni contabili e documentali e di indebito favoreggiamento di alcuni creditori a discapito di altri (Germania, Francia, Austria, Svizzera, Portogallo, eccetera). Anche qui, tuttavia, si riscontrano molteplici soluzioni intermedie o miste, dove il modello analitico si intreccia con quello sintetico, dando vita a fattispecie nelle quali, da un lato, la previsione di specifiche condotte di bancarotta è arricchita e completata da vere e proprie clausole generali; e, dall'altro lato, l'«emancipazione» dall'accertamento del nesso di causalità fra le condotte tipiche ed il dissesto del debitore, è compensata dalla necessaria inclusione di tali condotte in un contesto preliminare di rischio qualificato (la crisi economica).
      La disciplina penale prevista dalla legge fallimentare è ispirata ad una tecnica di incriminazione fortemente casistica, volta in linea di principio ad escludere la rilevanza del nesso di causalità fra le singole condotte di bancarotta ed il dissesto dell'impresa. Uno dei punti qualificanti della riforma dovrebbe essere rappresentato invece dal recupero della centralità del momento del cagionare (o aggravare) con dolo l'insolvenza. È questo il nucleo fondamentale ed originario - alla base di tutte le istanze punitive in materia fallimentare - che va opportunamente riportato in primo piano nella ricostruzione della fattispecie di bancarotta ed a questo criterio si ispira la previsione di apertura della disciplina penale del progetto di legge, che delinea la fondamentale fattispecie di «bancarotta patrimoniale» [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 1)] punita con la pena base della reclusione da due a sei anni. Non si tratta, tuttavia, di una fattispecie a forma libera: la causazione (o aggravamento) del dissesto assume rilievo penale in quanto realizzata attraverso una serie di modalità tipiche: condotte di distrazione,

 

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occultamento o sottrazione (realizzabili anche con atti simulati) di elementi del patrimonio destinati alla soddisfazione dei creditori, oppure, in alternativa, aumento (anche fittizio) delle passività.
      Una repressione penale attestata esclusivamente sulla soglia della causazione dell'insolvenza andrebbe incontro tuttavia a gravi problemi applicativi, che rischierebbero o di rendere la fattispecie pressoché inapplicabile, o di indurre la giurisprudenza ad eludere il rigore dell'accertamento del nesso di causalità, attraverso un ricorso surrettizio a meccanismi presuntivi. Da qui dunque l'opportunità di prevedere un secondo livello di intervento penale, che dovrebbe essere caratterizzato - come è nella tradizione della maggior parte delle legislazioni europee - dalla tipizzazione di una serie di comportamenti di gestione d'impresa gravemente anti-economici e caratterizzati da una generale idoneità a cagionare o aggravare il dissesto.
      Dall'elaborazione normativa dei diversi ordinamenti si possono comunque trarre utili indicazioni circa la necessità, in generale, di apportare qualche ritocco: la previsione di fattispecie di bancarotta svincolate da un nesso di causalità con l'insolvenza reca infatti pur sempre con sé il rischio di un'estensione a dismisura della zona di «rischio penale» dell'imprenditore, che potrebbe essere chiamato a rispondere per bancarotta di condotte di mala gestione lontanissime nel tempo dal momento della verificazione dell'insolvenza, che potrebbe poi essersi prodotta per cause completamente diverse ed autonome. Da qui, dunque, la frequente (e opportuna) ricerca di ulteriori elementi correttivi, tali da valorizzare il legame fra le condotte di bancarotta ed il dissesto dell'impresa: correttivi da apportare sul versante dei presupposti di tali condotte - definendo ad esempio, in termini generali, i contorni di una situazione di crisi economica nel cui contesto devono necessariamente inserirsi i comportamenti vietati (come nelle fattispecie di bancarotta del codice penale tedesco) - o sul versante dell'elemento soggettivo, tipizzando ipotesi particolari di delitti a dolo specifico, caratterizzati vuoi da un intento di frode o di ritardare l'incombente procedura concorsuale (come in alcune ipotesi di bancarotta del diritto francese), vuoi da uno scopo di indebito profitto o di pregiudizio per le ragioni dei creditori o per taluni di questi (come ad esempio in talune ipotesi della legge fallimentare); o, ancora, prevedendo una determinata soglia temporale, a partire dalla quale possono essere prese in considerazione condotte anteriori (o, naturalmente, posteriori) alla dichiarazione di insolvenza.
      Il modello di incriminazione che si è inteso seguire con il progetto di legge fa leva sulla tipizzazione di un presupposto delle condotte di bancarotta capace di illuminare sotto il profilo oggettivo e soggettivo il contenuto di disvalore di tali condotte: a tal fine non è parso tuttavia sufficiente - in quanto concetto difficilmente traducibile in termini di sufficiente determinatezza - un riferimento, come quello operato dal legislatore tedesco, allo «stato d'insolvenza attuale o imminente»; e lo stesso vale per concetti come «stato di crisi» o altri analoghi. L'unico elemento utile dotato di sufficiente pregnanza semantica, e che gode di una solida identità sul piano dell'elaborazione interpretativa extrapenale, sembra dunque essere il concetto di «stato d'insolvenza», inteso come impossibilità del debitore di adempiere le proprie obbligazioni: una sorta di filtro preliminare - che dovrà rimanere, secondo lo schema qui seguito, riservato alla giurisdizione civile - del giudizio penale volto all'accertamento delle condotte di bancarotta.
      Trovano qui posto tipologie di condotta ricavate dalla tradizionale articolazione del delitto di bancarotta fraudolenta (articolo 216 della legge fallimentare) e che nel progetto di legge vengono individuate come bancarotta «documentale» e «preferenziale». La prima [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 2)] consiste in una serie di condotte illecite, previste in via alternativa, aventi ad oggetto le scritture contabili dell'impresa ed accomunate dall'idoneità
 

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ad impedire od ostacolare gravemente la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Dovrà trattarsi in ogni caso di condotte di natura commissiva: l'omessa tenuta delle scritture contabili viene invece esclusa dalla sfera del penalmente rilevante, coerentemente con la scelta di eliminare tutte le fattispecie di bancarotta semplice. La pena prevista è inferiore nel minimo a quella stabilita per la più grave fattispecie della bancarotta patrimoniale, ma raggiunge lo stesso massimo edittale di quest'ultima: la serietà della risposta sanzionatoria - più elevata anche di quella della vecchia fattispecie di false comunicazioni sociali del codice civile del 1942 - tiene conto sia del consistente disvalore obiettivo delle condotte, sia del fatto che queste vengono tenute in stato di insolvenza (dichiarata) e con una concreta idoneità a pregiudicare l'accertamento da parte degli organi della procedura. Rappresenta infine una novità assoluta - che tiene conto della concreta realtà empirica rivelata dalle patologie criminose d'impresa più recenti - il richiamo espresso ad una possibile responsabilità autonoma (anche dunque al di fuori dei casi di concorso nel reato dell'imprenditore) degli esperti, dei consulenti e degli amministratori e dipendenti delle società di revisione, che abbiano avuto la gestione o la disponibilità di scritture contabili dell'imprenditore o di elaborazioni delle stesse.
      Sul gradino inferiore della scala sanzionatoria si colloca infine la fattispecie della bancarotta «preferenziale» [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 3)], consistente nel fatto dell'imprenditore insolvente che effettua un pagamento od altra prestazione in favore di un creditore. Il disvalore della condotta risiede nella sua idoneità a favorire ingiustificatamente il creditore beneficiato, con concreto pericolo di pregiudizio degli altri: si tratta dunque - a differenza delle ipotesi precedenti - di un delitto di pericolo concreto, ma i margini edittali di pena (reclusione da uno a quattro anni) sono sensibilmente più ridotti di quelli delle altre figure di bancarotta. La prestazione in favore del creditore rileverà penalmente solo in quanto posta in essere «fuori dai casi consentiti»: si delinea pertanto un'ipotesi di illiceità speciale, tale da escludere qualsiasi dubbio circa un possibile coinvolgimento in sede penale di tutte le forme di negoziazione fra debitore e creditori espressamente previste dalla nuova disciplina, con particolare riferimento ai casi di pagamenti effettuati in esecuzione degli accordi di composizione negoziale delle crisi (articolo 8).
      È espressamente prevista la punibilità (con la stessa pena prevista a carico del debitore) anche del creditore che riceve il pagamento o la prestazione, ma solo qualora questi, oltre ad essere consapevole dello stato di dissesto dell'imprenditore, lo abbia (quanto meno) indotto ad effettuare il pagamento. Si vuole così chiarire che - contrariamente a quanto ritenuto attualmente dalla giurisprudenza - il creditore favorito non è punibile per il solo fatto di chiedere e ricevere il pagamento nella consapevolezza dell'insolvenza del debitore: occorre invece un quid pluris, ossia un comportamento che abbia almeno i contorni dell'induzione, di una coartazione relativa. In coerenza con i princìpi della revocatoria (articolo 7, comma 5), infatti, così come al creditore deve essere consentito, nella generalità dei casi, di trattenere il pagamento, così nella bancarotta preferenziale la punibilità del creditore beneficiato deve rappresentare un'eccezione alla regola.
      4. Illeciti rapporti creditizi. - In stretta connessione ed affinità con le fattispecie di bancarotta stricto sensu si pongono due altre figure criminose, attinenti entrambe alla sfera dei rapporti fra banca e impresa in crisi, che i dissesti imprenditoriali degli ultimi mesi hanno rivelato in tutta la loro delicatezza e problematicità. La prima è quella del «ricorso al credito in stato di insolvenza» [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 5)]. Essa rappresenta in sostanza una riedizione della tradizionale fattispecie del ricorso abusivo al credito, consistente nel fatto dell'imprenditore che, nella consapevolezza del proprio dissesto, lo occulta per ottenere ulteriore credito. Rispetto all'attuale incriminazione di cui
 

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all'articolo 218 della legge fallimentare, le novità sono rappresentate, per un verso, dal riferimento espresso alla necessaria idoneità della condotta ad aggravare il dissesto e, per altro verso (e soprattutto), dall'eliminazione della clausola di riserva («salvo che il fatto costituisca un reato più grave»), che - unitamente all'innalzamento dei limiti edittali di pena (reclusione da sei mesi a tre anni) - dovrebbe emancipare la nuova figura criminosa dal soffocante giogo della fattispecie di truffa, rispetto alla quale (equiparata finalmente sul piano sanzionatorio) si verrebbe ora a trovare in un ordinario rapporto di specialità, tale da consentirne in futuro l'applicazione secondo la regola generale dell'articolo 15 del codice penale.
      Molto più innovativa è tuttavia la fattispecie incriminatrice destinata a dispiegarsi sull'altro versante del rapporto creditizio, ossia nei confronti del soggetto erogatore: la figura criminosa che qui si delinea - la «concessione abusiva del credito» [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 4)] - rappresenta infatti una novità assoluta per l'ordinamento italiano e non sembra trovare precedenti neppure nel diritto comparato. Sino ad oggi, infatti, il tema dell'abuso nell'erogazione del credito era stato preso in considerazione dalla giurisprudenza esclusivamente nella prospettiva dell'infedeltà dell'operatore bancario, con operazioni interpretative ben note (ed oggetto a più riprese di un acceso dibattito dottrinale) volte ad applicare dapprima la vecchia figura del peculato per distrazione e, più recentemente, la norma incriminatrice dell'appropriazione indebita. La fattispecie qui prefigurata, invece, si muove secondo una prospettiva di tutela affatto differente (non già la protezione del patrimonio della banca, bensì quella degli interessi dei creditori dell'impresa in crisi): la prospettiva, cioè, caratteristica dei delitti di bancarotta, che giustifica l'inquadramento della nuova fattispecie nel novero dei reati concorsuali.
      Il fatto tipico dovrà consistere nella concessione, da parte di un creditore, di ulteriori crediti o finanziamenti ad un imprenditore in stato di dissesto, nella consapevolezza di tale stato, e con lo scopo esclusivo o dominante di conseguire in tal modo «indebitamente» garanzie o rimborsi, anche parziali, per crediti concessi in precedenza. Così come la fatti-specie incriminatrice del ricorso al credito in stato di insolvenza delinea un reato proprio del debitore-imprenditore, analogamente soggetto attivo del nuovo delitto di concessione abusiva del credito non potrà essere qualsiasi creditore: la struttura della fattispecie e la constatazione della sottostante realtà empirico-criminologica hanno indotto infatti a circoscrivere l'operatività dell'incriminazione nei confronti di soggetti esercenti professionalmente attività creditizia o finanziaria, con la conseguente concreta possibilità che dal fatto possano derivare anche conseguenze sanzionatorie amministrative a carico della persona giuridica (banca o società finanziaria) [articolo 10, comma 1, lettera m)]. I limiti edittali di pena sono più elevati di quelli previsti per il reato del debitore e si pongono invece sullo stesso livello di quelli della bancarotta preferenziale (reclusione da uno a quattro anni).
      Entrambe le fattispecie - tanto quella dell'erogatore, quanto quella del percettore del credito - tipicizzano comportamenti posti in essere in stato di dissesto, ma (come è ovvio) prima della dichiarazione giudiziaria di insolvenza; tuttavia anche in questi casi, come per le fattispecie di bancarotta in senso stretto, la punibilità in concreto - come si vedrà fra breve - è condizionata dall'intervento di tale dichiarazione.
      5. Condizione di punibilità. - Problema centrale della riforma del diritto penale concorsuale è quello del mantenimento o meno della condizione di punibilità (elemento costitutivo del reato, secondo la giurisprudenza) rappresentata dalla dichiarazione formale di insolvenza.
      Sulla base dei dati offerti dall'indagine comparatistica, nella grande maggioranza degli ordinamenti la punibilità delle condotte di bancarotta è ancor oggi condizionata oggettivamente dall'esistenza di uno stato di insolvenza del debitore; ma le strade seguite dai vari legislatori nazionali
 

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si divaricano nel momento in cui alcuni (come è tradizione, in generale, negli ordinamenti dell'area romanistica) radicano la condizione di punibilità sulla pronuncia formale di un provvedimento di apertura di una procedura concorsuale, di competenza della giurisdizione civile (Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera), mentre altri guardano piuttosto all'esistenza di una situazione sostanziale (l'insolvenza) che può essere anche autonomamente accertata dal giudice penale: è quest'ultimo il caso, in particolare, dell'ordinamento tedesco, che equipara, ai fini della condizione di punibilità, l'apertura formale di un «Insolvenzverfahren» (ovvero il rigetto della relativa domanda per carenza di massa) al fatto dell'avvenuta cessazione dei pagamenti (§ 283 comma 6 StGB). Più radicale, infine, l'esempio offerto dal legislatore austriaco, che prescinde da qualsiasi condizione obiettiva di punibilità e punisce come «betrügerische Krida» le condotte di bancarotta che impediscano o limitino il soddisfacimento anche di uno soltanto dei creditori (§ 156 StGB).
      Nei termini in cui è tradizionalmente prevista nell'ordinamento italiano, la condizione di punibilità potrebbe apparire contraddittoria con gli obiettivi perseguiti dalla riforma: se è proprio e soltanto il momento formale dell'apertura di una procedura concorsuale ciò che spalanca le porte alla repressione penale di una serie di illeciti fino ad allora non punibili, rischia infatti di venire vanificato l'intento di indurre il debitore ad una tempestiva denuncia dello stato di crisi o di insolvenza. La condizione di punibilità appare in sostanza figlia di (ed è coerente soprattutto con) una concezione «sanzionatoria» del fallimento, in cui il debitore subisce passivamente l'apertura della procedura concorsuale. Se viceversa - come è nello spirito della presente riforma - la procedura concorsuale deve perdere il tradizionale carattere stigmatizzante, per diventare soltanto una tecnica di prevenzione o gestione dell'insolvenza, accompagnata da adeguati benefìci nel caso di accesso spontaneo e tempestivo, il mantenimento della condizione di punibilità deve necessariamente essere messo in discussione; e nella direzione dell'eliminazione di tale elemento - in quanto soluzione astrattamente più coerente e lineare con gli obiettivi generali della riforma - ci si era orientati in un primo momento con la citata proposta di legge atto Camera n. 7497.
      Ad una più attenta riconsiderazione in termini di costi e benefìci, le controindicazioni sono apparse tuttavia prevalenti rispetto alle ragioni poste originariamente a base della scelta «abolizionista» della condizione di punibilità: i rischi insiti nell'affidamento ex novo al giudice penale dell'accertamento di un elemento dai contorni eccessivamente elastici e sfumati nella prassi interpretativa, con le conseguenti incertezze sulla identificazione del momento consumativo del delitto di bancarotta e con tutti i possibili riflessi negativi in termini di anticipazione del decorso dei termini di prescrizione, hanno indotto a rivedere la scelta originaria e a mantenere la consumazione delle fattispecie di bancarotta (pre-fallimentare) ancorata alla dichiarazione formale di insolvenza pronunciata dal giudice civile (mentre per la bancarotta post-fallimentare la dichiarazione di insolvenza va considerata come presupposto della condotta tipica); nella consapevolezza, comunque, che si tratta di una scelta che va ulteriormente ponderata e sottoposta al vaglio critico della dottrina e dei pratici.
      6. Misure premiali. - È questo un punto fra i più delicati, sia perché quello delle misure premiali, dovunque vengano sperimentate, è sempre un terreno particolarmente scottante della moderna politica criminale, sia perché su questo punto - tanto più alla luce della soluzione seguita sul piano della condizione di punibilità - si gioca una fetta consistente della «appetibilità» delle nuove procedure concorsuali nei confronti del debitore. L'indicazione di fondo - che non può non trovare adeguata ricaduta anche in sede penale - è quella di premiare il debitore che ricorra tempestivamente all'autorità giudiziaria, promuovendo l'apertura delle procedure di ristrutturazione delle passività
 

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o di insolvenza: il problema, tuttavia, è quello di individuare una formulazione tecnica ed un punto di equilibrio politicamente accettabile.
      La soluzione, astrattamente prospettabile, di una non punibilità per tutti gli illeciti commessi prima del ricorso all'autorità giudiziaria, ogniqualvolta sia stato eliminato il pregiudizio per i creditori, lascerebbe aperta la porta a diversi interrogativi e perplessità. Per queste ragioni, dunque, la soluzione più equilibrata - che trova espressione nel criterio di delega di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 10 - è apparsa quella di una riduzione di pena fino alla metà per il debitore che, dopo la commissione del fatto di bancarotta (patrimoniale, documentale o preferenziale), abbia volontariamente richiesto l'apertura di una procedura concorsuale e si sia efficacemente adoperato, in rapporto alle sue condizioni economiche, per eliminare o ridurre sensibilmente il pregiudizio per i creditori.
      7. Soggetti attivi. - Per quanto attiene ai potenziali destinatari dell'intervento penale, la generalità degli ordinamenti giuridici fa coincidere la sfera dei soggetti attivi del delitto di bancarotta con quella dei soggetti delle procedure concorsuali: a seconda dei casi, qualunque tipologia di debitore (come ad esempio, in linea di principio, nell'ordinamento tedesco), ovvero il solo debitore imprenditore (come ad esempio nel sistema francese), o, infine, particolari categorie di imprenditori (come nella vigente legge fallimentare italiana).
      Sotto questo profilo la scelta operata dal progetto di legge si muove nel segno di una moderata estensione dell'ambito soggettivo di operatività delle fattispecie incriminatrici, con il venire meno del privilegio accordato a piccoli imprenditori e imprenditori agricoli, che divengono a pieno titolo possibili protagonisti delle nuove procedure di insolvenza e di ristrutturazione delle passività. L'espansione soggettiva dell'intervento penale non giunge tuttavia a coinvolgere, in linea generale - e fatte salve le eccezioni alle quali si farà cenno in seguito (i nuovi delitti di falso e l'ipotesi del mercato di voto) - il debitore «comune» non imprenditore, al quale pure il progetto di legge concede l'opportunità di accedere alle nuove procedure di esdebitazione delle persone fisiche (articolo 4), di ristrutturazione delle passività (articolo 6) e di composizione negoziale delle crisi (articolo 8). A questo riguardo la proposta di legge rivendica la propria consapevole originalità nel contesto europeo, rifuggendo da un'automatica sovrapposizione delle due sfere soggettive (soggetti delle procedure e soggetti attivi dei reati), in omaggio, da un lato, ad una visione maggiormente selettiva dell'intervento penale, ed in coerenza, dall'altro lato, con una impostazione generale che mira a sottrarre alle procedure concorsuali il loro tradizionale crisma di «sanzionatorietà» e di anticamera della responsabilità penale.
      Per il debitore «comune» (non imprenditore) è prevista soltanto una possibile responsabilità penale al di fuori della sfera propria del delitto di bancarotta, e circoscritta alle ipotesi di falsità nella situazione patrimoniale nella relazione allegata al piano di ristrutturazione delle passività, alla domanda di ammissione alla procedura di esdebitazione o alla domanda di omologazione dell'accordo di composizione negoziale delle crisi [articolo 19, comma 1, lettera a), n. 6)], nonché all'ipotesi del mercato di voto [articolo 10, comma 1, lettera a), n. 7)]. Per quest'ultima ipotesi, poi - che delinea una fattispecie di reato a concorso necessario - è prevista a pari titolo la responsabilità penale del creditore (come già nell'articolo 233 della legge fallimentare), il quale figura infine come destinatario esclusivo dell'intervento penale nell'ipotesi di insinuazione fraudolenta di crediti [lettera a), n. 7)].
      8. Unità del delitto di bancarotta e disciplina delle circostanze. - Con il criterio di delega fissato dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 10, che stabilisce un aumento della pena (fino al triplo) nel caso di commissione di una pluralità di fatti di bancarotta, si ribadisce - quantomeno agli effetti della pena e sulla falsariga di quanto già oggi prevede l'articolo
 

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219, secondo comma, n. 1), della legge fallimentare, il tradizionale principio dell'unitarietà del delitto di bancarotta, a prescindere dal carattere reale o fittizio che a tale unificazione si voglia riconoscere sul piano interpretativo.
      Non sono state riprodotte, invece - per non dilatare eccessivamente i margini edittali di pena - le attuali circostanze oggettive ad effetto speciale relative all'entità del danno patrimoniale (in coerenza con quanto previsto anche per la riforma della disciplina penale delle società commerciali, dalla quale è scomparsa l'analoga circostanza ad effetto speciale relativa al danno di gravità rilevante all'impresa): nelle ipotesi di apprezzabile gravità o tenuità del danno patrimoniale troveranno dunque applicazione le circostanze comuni di cui agli articoli 61, n. 7), e 62, n. 4, del codice penale con l'ordinario aumento (o, rispettivamente, diminuzione) fino ad un terzo della pena base (articolo 64 e 65 del codice penale).
      Non è stata nemmeno riprodotta infine - stante anche la sua scarsa rilevanza pratica - la circostanza aggravante relativa alla violazione di un divieto legale di esercizio di un'impresa commerciale (articolo 219, secondo comma, n. 2), della legge fallimentare).
      9. Bancarotta societaria. - Data la necessaria natura imprenditoriale del soggetto attivo non poteva mancare una previsione espressa dell'ipotesi della bancarotta societaria [(articolo 10, comma 1, lettera e)], destinata a figurare nella prassi come la «normale» forma di realizzazione del delitto di bancarotta. La cerchia dei soggetti attivi viene descritta, in questo caso, come quella degli «amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori», con le estensioni previste dall'articolo 2639 del codice civile (esercizio delle medesime funzioni sotto diversa denominazione ed esercizio di fatto, in modo continuativo e significativo, dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione).
      Accanto alla figura della bancarotta societaria compare anche un richiamo di ordine generale alle fattispecie dei reati societari: le esigenze di tutela del patrimonio sociale, di salvaguardia dell'integrità del capitale sociale e di trasparenza dell'informazione societaria, che in tali fattispecie trovano (o dovrebbero trovare) affermazione, si pongono infatti in una linea di ideale anticipazione, durante la fase vitale della gestione dell'impresa societaria, di quelle stesse istanze che trovano più rigorosa e definitiva conferma con la repressione del delitto concorsuale. Il meccanismo tecnico più idoneo per dare vita a tale raccordo fra i due complessi di disciplina - rifuggendo dagli incongrui automatismi repressivi che contrassegnavano la tradizionale disciplina della cosiddetta «bancarotta impropria» (articolo 223, secondo comma, n. 1), della legge fallimentare nella versione originaria del 1942) - è stato individuato nella previsione dell'insolvenza dell'impresa sociale come circostanza aggravante dei reati societari [articolo 10, comma 1, lettera f)]. Quest'ultima soluzione consentirebbe di stabilire una più salda connessione, in termini oggettivi e soggettivi, fra il reato societario e lo stato di insolvenza, il quale - alla stregua delle regole ordinarie di imputazione delle circostanze aggravanti (articolo 59, secondo comma, del codice penale) - comporterebbe l'aumento della pena solo in quanto la sua insorgenza o il suo aggravamento rappresentino una conseguenza prevista o prevedibile del reato societario al momento della realizzazione della condotta tipica, oppure quando questa venga tenuta in uno «stato di manifesta insolvenza» dell'impresa sociale.
      10. Bancarotta nei gruppi. - Decisamente innovativa è la previsione relativa alla bancarotta nell'ambito dei gruppi di società: un problema estremamente rilevante nella pratica, ma riguardo al quale la normativa vigente è rimasta tradizionalmente cieca. In coerenza con le linee guida della nuova disciplina di cui all'articolo 9, che introduce finalmente anche in sede concorsuale il principio del riconoscimento espresso dei gruppi di imprese, si è introdotta una clausola sui gruppi all'interno del punto della legge delega relativo alla bancarotta patrimoniale. Si tratta di una strada già battuta nell'ambito della riforma penale societaria, specie con
 

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la previsione contenuta nell'articolo 2634, terzo comma, del codice civile, la quale esclude - ai fini dell'applicazione della nuova fattispecie incriminatrice dell'infedeltà patrimoniale - che possa essere considerato «ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo». La formula adottata in sede penale societaria - ispirata al criterio dei vantaggi compensativi - non ha mancato tuttavia di dare adito a perplessità e ad incertezze interpretative, anche per l'incongrua funzione di «battistrada» che le è stata inopinatamente attribuita, a causa della scelta del legislatore di anticipare l'introduzione dell'appendice penale della riforma (con il decreto legislativo n. 61 del 2002) rispetto all'elaborazione della disciplina di base civilistica (che ha preso vita a quasi un anno di distanza, con il decreto legislativo n. 6 del 2003), con la conseguente impossibilità di realizzare un effettivo coordinamento fra i due settori normativi. Anziché riprodurre o richiamare in sede concorsuale la previsione dell'articolo 2634, terzo comma, del codice civile, si è così preferito ricorrere ad una formulazione autonoma, che - ribadendo i princìpi di una «corretta gestione societaria e imprenditoriale» delle società di gruppo (già impiegata nel nuovo articolo 2497 del codice civile, così come nell'articolo 9 della presente proposta di legge) e senza fare riferimento al controverso criterio dei vantaggi compensativi - stabilisce un saldo (ancorché indubbiamente generico) collegamento fra la normativa penale e la sottostante disciplina civilistica. Sarà compito del legislatore delegato, pertanto, concretizzare tale formula, attribuendo contorni più determinati possibile alla fattispecie di bancarotta patrimoniale in un contesto di gruppo, adottando sempre come criterio di fondo quello dell'armonizzazione con il relativo substrato civilistico.
      11. Altre fattispecie incriminatrici: a) nuovi delitti di falso. - La peculiare importanza che la «visibilità» della situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore è destinata ad assumere, nell'economia delle nuove procedure di ristrutturazione delle passività (articolo 6) e di esdebitazione delle persone fisiche (articolo 4), così come nell'ambito dei meccanismi di soluzione stragiudiziale delle crisi (articolo 8), deve trovare adeguato riflesso anche sotto il profilo penale; ciò a tutela dei creditori che potrebbero essere indotti a concessioni, anche gravose, sulla base di elementi strumentalmente falsificati. Si prevede pertanto l'introduzione di una o più nuove figure di reato (la scelta circa l'unità o pluralità di fattispecie incriminatrici viene rimessa al legislatore delegato), relative rispettivamente alla falsità nella situazione patrimoniale o nella relazione allegata al piano di ristrutturazione delle passività o alla domanda di ammissione alla procedura di esdebitazione e alla falsità nella situazione patrimoniale allegata alla domanda di omologazione dell'accordo di composizione negoziale delle crisi [(articolo 10, comma 1, lettera a), n. 6)]. Soggetto attivo sarebbe il debitore (in questo caso, non necessariamente imprenditore) - unico legittimato ad attivare la nuova procedura - ed il fatto tipico dovrebbe essere definito come esposizione di dati o informazioni non rispondenti al vero e tali da impedire - a seconda dei casi - agli organi della procedura, ai creditori o agli altri interessati un fondato giudizio sulla convenienza del piano.
      12. Altre fattispecie incriminatrici (segue): b) responsabile del curatore. - I reati del curatore e dei suoi coadiutori - così come attualmente previsti dagli articoli 228-231 della legge fallimentare (interesse privato negli atti del fallimento, accettazione di retribuzione non dovuta, omessa consegna o deposito di cose del fallimento) - rappresentano (analogamente ai vecchi reati degli amministratori giudiziari e dei commissari governativi, di cui agli articoli 2637-2639 del codice civile, anteriormente alla riforma) una sorta di «relitto» storico del vecchio statuto penale della pubblica amministrazione, non sfiorato dalla riforma del 1990. Vi compaiono infatti modelli di incriminazione - come l'«interesse
 

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privato» - ormai scomparsi dalla disciplina penale «comune» dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio. La complessiva riforma della disciplina civile e penale delle procedure concorsuali rappresenta pertanto l'occasione più propizia per ripensare - anche sotto il profilo penale - la figura ed il ruolo del curatore fallimentare, decidendo se accostarne funzioni e responsabilità a quelle dei pubblici ufficiali, ovvero a quelle degli amministratori di società.
      La soluzione privatistica appare a questo riguardo come quella più coerente con lo spirito della riforma e con gli equilibri complessivi del sistema: tanto più che la disciplina penale societaria uscita dalla recente riforma presenta nuove figure di reato - quali in particolare l'infedeltà patrimoniale (articolo 2634 del codice civile) e l'infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (articolo 2635 del codice civile) - che potrebbero attagliarsi idealmente (con alcuni sostanziosi adattamenti) alla peculiare posizione del curatore della procedura di insolvenza. Il criterio di delega stabilito dalla lettera i) del comma 1 dell'articolo 10 prevede pertanto di rendere applicabili al curatore, in quanto compatibili con la natura delle relative funzioni, le norme sui reati societari ed analoga previsione viene poi sancita nei confronti della figura del commissario giudiziale. Al generale richiamo della disciplina penale societaria, dalla quale devono ricavarsi le coordinate generali dello statuto penale del curatore, si aggiungono inoltre due fattispecie autonome, ossia l'«infedeltà del curatore» e la «corruzione del curatore». Si tratta in effetti di fattispecie ispirate a modelli già presenti nel nuovo diritto penale societario: la ragion d'essere della loro autonoma previsione risiede tuttavia, da un lato, nella obiettiva specificità delle funzioni e della posizione del curatore della procedura di insolvenza, e, dall'altro lato, nella congenita inadeguatezza strutturale delle fattispecie incriminatici degli articoli 2634 e 2635 del codice civile, così come configurate dal legislatore della riforma societaria.
      13. Altre fattispecie incriminatrici (segue): c) mercato di voto e insinuazione fraudolenta di crediti. - Si tratta di due previsioni [(articolo 10, comma 1, lettera a), n. 7) e 8)] che sostanzialmente riproducono fattispecie incriminatrici già presenti nella legge fallimentare (articolo 232, primo comma, e articolo 233). Rispetto alla vigente figura del mercato di voto, la novità più significativa è rappresentata dal riferimento al carattere «indebito» dei vantaggi pattuiti, che vale ovviamente ad escludere dall'area del penalmente rilevante tutte quelle ipotesi (si pensi in particolare ai casi di composizione negoziale delle crisi, articolo 8 della presente proposta di legge) nelle quali è fisiologica una negoziazione tra le parti. Con riguardo infine alla fattispecie dell'insinuazione fraudolenta di crediti, si segnala in particolare l'eliminazione dell'avverbio «fraudolentemente».
      14. Responsabilità delle persone giuridiche. - Quale ulteriore conseguenza sanzionatoria è previsto che dalla commissione dei delitti di bancarotta (patrimoniale, documentale e preferenziale), concessione abusiva del credito, mercato di voto, insinuazione di crediti fittizi, infedeltà del curatore e corruzione del curatore possa derivare una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (società), estendendo espressamente a tali ipotesi la disciplina introdotta dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Ovviamente non è la società colpita dall'insolvenza quella che potrà andare incontro a conseguenze sanzionatorie, in quanto l'applicazione di una sanzione nei confronti degli enti presuppone - secondo la disciplina generale testé richiamata - la commissione di un reato nell'interesse o a vantaggio dell'ente: ipotesi che potrà invece trovare concretamente attuazione nei casi in cui nei delitti di bancarotta (o negli altri testé richiamati) concorrano persone fisiche che ricoprano la posizione di amministratori o direttori generali di società, nell'interesse delle quali vengono realizzati gli illeciti in questione (si pensi, in particolare, all'ipotesi della bancarotta preferenziale o della bancarotta patrimoniale mediante condotte distrattive a beneficio di terzi).
 

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      15. Prescrizione. - Un'ultima novità che si è inteso inserire nella presente proposta di legge consiste nel neutralizzare l'incidenza delle circostanze sulla durata della prescrizione [(articolo 10, comma 1, lettera h)], con l'unica eccezione - motivata dall'intento di valorizzare il carattere premiale della previsione di cui alla lettera g) delle circostanze attenuanti ad effetto speciale: si tratta di una modifica di grande rilievo pratico, che viene qui proposta solo per i delitti in materia concorsuale, ma che vuole ovviamente rappresentare anche uno stimolo rivolto al legislatore nella prospettiva di una revisione generale dell'istituto della prescrizione, in sede di riforma del codice penale.
      16. Disciplina transitoria. - Ad evitare discussioni ed incertezze, in sede di applicazione della nuova disciplina ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa - del tipo di quelli sorti con la riforma della disciplina delle false comunicazioni sociali - si prevede espressamente l'applicabilità del regime della successione di leggi penali di cui all'articolo 2, terzo comma, del codice penale; si prevede tuttavia una deroga in favor rei, con possibile revoca dei giudicati, nel caso in cui gli elementi specializzanti inseriti nelle nuove fattispecie incriminatrici siano stati oggetto di accertamento nel corso del precedente giudizio penale e la loro sussistenza sia stata esclusa.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Delega).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina della crisi e dell'insolvenza dei debitori, imprenditori e non imprenditori, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge.
      2. Il Governo è delegato altresì a coordinare con le disposizioni emanate in attuazione della delega di cui al comma 1:

          a) le norme vigenti nelle stesse materie e nelle materie connesse, inclusa la liquidazione coatta amministrativa, sopprimendo la procedura di amministrazione straordinaria e limitando l'applicabilità della procedura di liquidazione coatta amministrativa alle imprese esercenti l'attività bancaria o assicurativa ed alle imprese autorizzate alla prestazione di servizi di investimento o a queste assimilate dalle vigenti disposizioni speciali di settore, nonché alle imprese per le quali, in ragione dell'esistenza di collegamenti con imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, sia ritenuta necessaria la sottrazione alle procedure concorsuali ordinarie;

          b) le norme del codice civile e di leggi speciali in materia societaria, per quanto riguarda le responsabilità ed i poteri degli organi sociali all'insorgere di una situazione di crisi o di insolvenza;

          c) le norme del codice civile e le disposizioni di attuazione del codice civile in materia di liquidazione delle persone giuridiche e di responsabilità delle associazioni non riconosciute e dei comitati, nonché degli organizzatori e dei componenti degli stessi;

 

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          d) le norme in materia di definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento o di regolamento titoli.

      3. Nei decreti legislativi di cui al comma 1 sono, altresì, previste le necessarie norme transitorie.
      4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi, entro il termine previsto dal medesimo comma 1, ad una Commissione composta da dieci deputati e da dieci senatori scelti, rispettivamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato della Repubblica in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascuna componente politica costituita in gruppo in almeno un ramo del Parlamento. La Commissione esprime il proprio parere entro sessanta giorni dalla data di ricezione, indicando specificamente le eventuali disposizioni che non ritiene corrispondenti alle direttive della legge di delega. Il Governo nei trenta giorni successivi, esaminato il parere della Commissione, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alla Commissione per il parere definitivo sull'intero testo, che deve essere espresso entro trenta giorni dalla data di invio.
      5. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare, con le procedure di cui al comma 4, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge.

Art. 2.
(Finalità).

      1. La disciplina della crisi e dell'insolvenza dei debitori, imprenditori e non imprenditori, di cui all'articolo 1, deve perseguire i seguenti obiettivi prioritari:

          a) per le persone fisiche non imprenditori, prevedere una procedura che consenta

 

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il superamento delle situazioni di eccessivo indebitamento, contemperando l'esigenza di tutela della dignità della persona con l'esigenza di tutelare i creditori contro comportamenti opportunistici;

          b) per le imprese, discriminare con la massima rapidità, nell'interesse prioritario dei creditori, le imprese da ristrutturare e quelle da liquidare, e conseguentemente:

              1) per le imprese da ristrutturare, consentire sia la ristrutturazione industriale sia la ristrutturazione finanziaria, dotando anche quest'ultima di idonei strumenti;

              2) per quelle da liquidare, prevedere tempi massimi entro i quali si deve concludere la liquidazione;

          c) per le persone giuridiche, le associazioni non riconosciute ed i comitati, quando non esercitano attività d'impresa, prevedere:

              1) nell'ipotesi di accertamento da parte dei liquidatori dell'insufficienza delle attività a garantire il soddisfacimento integrale delle passività, la liquidazione generale avvenga con applicazione delle disposizioni della procedura di insolvenza concernenti gli effetti per i creditori, gli effetti sui rapporti preesistenti, la liquidazione dell'attivo e la ripartizione del ricavato, prevedendo che all'accertamento del passivo procedano i liquidatori, con diritto dei creditori di proporre opposizione od impugnazione dello stato passivo davanti all'autorità giudiziaria;

              2) la liquidazione generale della persona giuridica, dell'associazione non riconosciuta o del comitato possa essere dichiarata dal tribunale, in caso di insolvenza, su istanza dei creditori e di chiunque vi abbia interesse;

          d) in ogni caso, prevedere il massimo ricorso al mercato per la gestione delle crisi d'impresa e per la liquidazione dei patrimoni, incoraggiando una concorrenza effettiva fra i possibili acquirenti dei beni del debitore insolvente;

 

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          e) prevedere ed incoraggiare il raggiungimento di accordi fra il debitore e i creditori senza il diretto ricorso all'autorità giudiziaria;

          f) prevedere norme che favoriscano l'intervento di investitori istituzionali nel capitale di imprese in crisi, incoraggiando l'assunzione del rischio a fronte di comportamenti in buona fede che mirino alla conservazione di organismi produttivi;

          g) prevedere specifici requisiti di professionalità, crescenti in ragione delle dimensioni dell'impresa in crisi, per i soggetti investiti di funzioni nelle procedure concorsuali e di crisi;

          h) prevedere idonei meccanismi di raccordo e di responsabilità fra i creditori e il commissario giudiziale o curatore, prevedendo un loro potere di provocarne la revoca e di proporre l'azione di responsabilità per i danni arrecati alla massa dei creditori;

          i) prevedere un ruolo di sorveglianza per l'autorità amministrativa e per le autorità a tutela del risparmio quando siano coinvolti interessi di carattere generale e gli interessi specifici dei risparmiatori e degli investitori;

          l) prevedere speciali forme di coinvolgimento del Ministero delle attività produttive allorché l'impresa abbia rilevanti dimensioni, che i decreti legislativi di cui all'articolo 1 devono individuare anche con riferimento al numero dei suoi dipendenti.

      2. La disciplina di cui all'articolo 1 deve prevedere le seguenti procedure:

          a) per le persone fisiche non esercenti attività d'impresa, una procedura di composizione del sovraindebitamento, denominata «procedura di esdebitazione del debitore-consumatore», accessibile solo su loro domanda, con previsione di idonee forme di assistenza al debitore nell'accesso alla procedura, nonché strumenti di ausilio al raggiungimento di accordi con i creditori;

 

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          b) per tutti i soggetti che esercitano attività d'impresa, commerciale, agricola o artigiana, ivi inclusi i piccoli imprenditori:

              1) una procedura mirante al raggiungimento di un accordo con i creditori, accessibile su domanda del debitore, denominata «procedura di ristrutturazione delle passività»;

              2) una procedura mirante alla soddisfazione dei creditori a prescindere da un accordo fra debitore e creditori, denominata «procedura di insolvenza»;

          c) per qualsiasi debitore, una procedura di composizione negoziale delle situazioni di crisi, denominata «composizione negoziale delle crisi».

      3. Alla procedura di ristrutturazione delle passività possono accedere anche i debitori non imprenditori, qualora si tratti di persone fisiche oppure il debitore persona fisica non ritenga di avvalersi della procedura di cui al comma 2, lettera a).

Art. 3.
(Princìpi e criteri direttivi generali).

      1. La disciplina della crisi di impresa di cui all'articolo 1 deve ispirarsi a criteri generali di chiarezza, di semplificazione e di valutazione dell'impatto economico delle scelte di regolamentazione.
      2. La disciplina delle procedure concorsuali, che deve perseguire l'obiettivo di assicurare ai creditori la migliore soddisfazione possibile in termini di tempo e di importi, deve altresì ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

          a) individuazione del momento dell'acquisto e della perdita del presupposto soggettivo, che risponda ad esigenze di certezza, nei casi di cessazione dell'attività d'impresa individuale o sociale, di morte o di perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile;

          b) individuazione della competenza territoriale dell'autorità giudiziaria mediante criteri facilmente accertabili, fondati,

 

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ovunque possibile, sul luogo in cui il debitore è stato iscritto nel registro delle imprese più a lungo nel biennio anteriore al deposito della domanda di apertura della procedura; riduzione della rilevanza pregiudizievole per la tutela dei creditori di eventuali conflitti di competenza territoriale, anche attraverso la conservazione degli effetti dell'originario provvedimento di apertura della procedura;

          c) attribuzione all'autorità giudiziaria di funzioni di vigilanza sulle attività poste in essere dal debitore sottoposto alla procedura o dagli organi delle procedure; revisione delle competenze del giudice delegato alla procedura e del tribunale, nonché del regime delle opposizioni e delle impugnazioni, secondo i princìpi del giusto processo stabiliti dall'articolo 111 della Costituzione; previsione di sezioni specializzate nella materia della crisi d'impresa, allo scopo determinandone la competenza territoriale;

          d) massima valorizzazione degli organismi produttivi e del patrimonio del debitore, da conseguire valutando ogni possibile soluzione rispondente all'interesse dei creditori, ivi incluse la continuazione dell'attività d'impresa, la ristrutturazione, la cessazione e la liquidazione parziale o totale;

          e) coordinamento della disciplina delle procedure concorsuali con quella delle società, anche in relazione alla responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, all'estensione ai soci illimitatamente responsabili e agli effetti per costoro delle procedure concorsuali della società, al funzionamento ed alle competenze degli organi in pendenza della procedura, alle azioni di responsabilità contro organi sociali e amministratori di fatto, con disciplina degli effetti delle diverse forme di chiusura delle procedure concorsuali per la società;

          f) introduzione di procedure semplificate in ragione della ridotta entità del passivo o dell'esiguo numero dei creditori, individuando entrambe le condizioni sulla base di parametri facilmente accertabili e

 

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senza conseguenze sulla validità degli atti compiuti in caso di errori di valutazione;

          g) coordinamento della normativa fiscale con la nuova normativa da emanare in attuazione della presente legge.

      3. La disciplina delle procedure concorsuali deve in particolare perseguire i seguenti obiettivi:

          a) aumento della trasparenza nella gestione e nella liquidazione del patrimonio del debitore, mediante ampio ricorso a mezzi telematici per la pubblicizzazione degli atti degli organi della procedura, inclusa la creazione di pagine web relative alle singole procedure; trasparenza degli incarichi connessi con l'espletamento delle procedure concorsuali, mediante la previsione della pubblicità, con mezzi telematici, degli incarichi conferiti e dei compensi corrisposti;

          b) maggiore responsabilizzazione del commissario giudiziale o curatore, prevedendo la possibilità per i creditori, in qualunque momento, di deliberare a maggioranza dei creditori chirografari, anche mediante procedure di consultazione scritta, la loro revoca per giusta causa, con deliberazione approvata dal tribunale, sentiti l'interessato e i creditori; previsione della possibilità per i creditori che rappresentano almeno il 20 per cento del passivo di proporre l'azione di responsabilità contro il commissario giudiziale o il curatore anche in carica per i danni arrecati alla massa dei creditori nell'esecuzione dell'incarico; previsione che, in caso di accoglimento della domanda, vengano rimborsate agli attori, in prededuzione, le spese del giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti che il giudice non ha posto a carico del soccombente o che non è possibile recuperare a seguito della sua escussione; previsione che i creditori che hanno agito possano rinunciare all'azione o transigerla, e che ogni corrispettivo per la rinuncia o transazione debba andare a vantaggio della massa;

 

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          c) un coinvolgimento diretto dei creditori nelle decisioni relative alla gestione delle procedure concorsuali, mediante la previsione:

              1) di un comitato nominato dai creditori, anche formato da professionisti da retribuire a spese della massa, con espressa possibilità che il comitato dei creditori si avvalga di propri consulenti o esperti, con costo a carico della massa;

              2) di pareri vincolanti del comitato dei creditori relativamente alle scelte dei consulenti e degli ausiliari nonché alla nomina e alla revoca del curatore;

              3) di specifici obblighi di consultazione dei creditori in caso di decisioni che possono pregiudicarli;

          d) aumento dell'efficacia della liquidazione, mediante regole che migliorano l'informazione dei potenziali interessati all'acquisto e ne incoraggiano la partecipazione, anche attraverso la riduzione degli adempimenti a loro carico e l'utilizzo di tecniche di pubblicità chiare ed efficaci, se del caso utilizzando procedure, diverse dalla vendita all'incanto, che consentono di ridurre tempi e costi e di eliminare pericoli di turbative d'asta;

          e) riduzione dei costi delle procedure, mediante ampio ricorso a mezzi informatici e telematici per le comunicazioni dirette agli organi della procedura e provenienti da essi, assicurando la certezza del ricevimento ed eventualmente mediante adozione della firma digitale o di mezzo equivalente;

          f) accelerazione dei tempi delle procedure, mediante:

              1) riduzione dei tempi per l'esecuzione degli adempimenti, con attribuzione di compensi adeguati alle funzioni da svolgere e ai risultati ottenuti e sanzioni economiche per il mancato rispetto dei tempi previsti; responsabilità degli organi delle procedure in caso di danni arrecati dal ritardo;

              2) possibilità, nell'ambito delle procedure di ristrutturazione delle passività e

 

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di insolvenza, di cessione in blocco delle attività di incerto o lungo realizzo, prevedendo sia la cessione definitiva, sia la cessione con conguagli in caso di realizzo superiore ad una determinata percentuale; possibilità, in questo secondo caso, che la procedura venga chiusa a fronte dell'assunzione, da parte dell'acquirente, di un obbligo di pagare i creditori sulla base dello stato passivo alla data della chiusura della procedura; in caso di procedura di insolvenza, estensione della possibilità di cessione anche alle azioni revocatorie e alle altre azioni che da essa derivano; previsione della non aggredibilità dei corrispettivi da parte dei creditori dell'insolvente i cui crediti sono sorti dopo l'apertura della procedura;

              3) adozione di riti semplificati per la soluzione delle controversie nascenti dallo svolgimento delle procedure concorsuali, ivi incluse quelle relative all'accertamento del passivo, nel rispetto dei princìpi costituzionali;

              4) riduzione dei termini di prescrizione delle azioni revocatorie a due anni dal momento in cui esse divengono esperibili ad opera degli organi della procedura; applicazione del medesimo termine all'azione revocatoria di cui all'articolo 2901 del codice civile quando esperita all'interno della procedura, salvo comunque il decorso del termine di prescrizione di cui all'articolo 2903 del medesimo codice;

              5) rafforzamento dell'autonomia decisionale degli organi cui è affidata la gestione del patrimonio del debitore, con limitazione del ricorso all'autorità giudiziaria ai soli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione;

              6) obbligo degli uffici tributari statali e locali e degli enti previdenziali di addivenire, entro un anno dalla data della richiesta degli organi della procedura o del debitore, a pena di decadenza, alla determinazione definitiva dell'ammontare dovuto per capitale, sanzioni e interessi in relazione ai tributi e ai contributi i cui presupposti si siano verificati anteriormente

 

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all'apertura della procedura concorsuale; eventuale attribuzione di priorità ai giudizi aventi ad oggetto l'impugnativa di tali determinazioni;

          g) fermo restando quanto previsto dall'articolo 10, comma 1, lettera g), incentivazione del ricorso tempestivo alle procedure concorsuali al fine di una loro maggiore efficacia, mediante concessione, a favore del debitore che ricorre tempestivamente all'autorità giudiziaria, di misure premiali con riferimento:

              1) alla automatica dilazione, per un periodo prefissato e con maturazione dei soli interessi, del pagamento di tutti i tributi ed i contributi previdenziali dovuti, con possibilità di rateizzazione degli stessi al termine del periodo di dilazione; applicazione della disposizione di cui al presente numero ai soli imprenditori;

              2) alla riduzione di sanzioni per il mancato pagamento di debiti tributari e contributivi;

          h) riconoscimento e valorizzazione del ruolo dell'autonomia privata nella soluzione delle crisi d'impresa, agevolando soluzioni adottate con il consenso delle categorie interessate, rimuovendo eventuali ostacoli di natura legislativa, regolamentare e fiscale e precisando le condizioni alle quali la partecipazione alla fusione ed alla scissione può essere consentita a società sottoposte alle procedure di ristrutturazione delle passività e di insolvenza;

          i) incentivazione dei comportamenti cooperativi del debitore e dei creditori, introducendo specifiche sanzioni per la violazione dei doveri di buona fede, correttezza e trasparenza.

      4. Con riferimento alla crisi e all'insolvenza delle società, la disciplina emanata in attuazione della delega di cui all'articolo 1 deve:

          a) precisare le responsabilità degli amministratori delle società di capitali allorché si profila una situazione di crisi, prevedendo che gli amministratori devono

 

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attivarsi per ridurre al minimo il rischio di perdite per i creditori entro un determinato termine dal momento in cui sia evidente la probabilità che la società cada in stato di insolvenza, pena l'obbligo di risarcire il danno cagionato ai creditori;

          b) precisare i presupposti patrimoniali economici e finanziari del sorgere dell'obbligo di cui alla lettera a), precisando altresì le azioni che devono essere intraprese;

          c) prevedere l'assenza di responsabilità per gli amministratori per i tentativi di evitare l'assoggettamento ad una procedura concorsuale compiuti nel termine massimo di novanta giorni dal momento di cui alla lettera a), purché effettuati in buona fede e con l'obiettivo di ridurre al minimo le perdite dei creditori;

          d) prevedere sanzioni amministrative e forme di interdizione dall'assunzione di cariche societarie per i membri di organi amministrativi o di controllo che si sono resi inadempienti ai loro obblighi, con danno per i creditori;

          e) prevedere sanzioni amministrative e forme di interdizione dall'assunzione di cariche societarie per i soci ed i membri di organi amministrativi o di controllo che partecipano od assumono cariche in società che per la ragione o la denominazione sociale, la sede, l'attività o altri elementi rilevanti, mirino ad appropriarsi senza corrispettivo dei valori o dell'avviamento dell'impresa insolvente.

Art. 4.
(Procedura di esdebitazione
del debitore-consumatore).

      1. La disciplina della procedura di esdebitazione è volta alla liberazione dai debiti pregressi delle persone fisiche sovraindebitate non esercenti attività d'impresa. Essa deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) previsione di un'unica procedura, attivabile esclusivamente su domanda del

 

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debitore, con la quale egli può ottenere la liberazione dai debiti pregressi, per effetto:

              1) di un piano di regolazione dei debiti approvato dalla maggioranza dei creditori, eventualmente raggruppati in classi secondo interessi economici omogenei, e omologato dal giudice; il piano può prevedere la cancellazione di penali e di interessi moratori, la riduzione o la cancellazione di interessi convenzionali, la riduzione dei debiti e la loro rateizzazione, e può contenere in genere tutte le disposizioni che risultano atte, in considerazione della situazione patrimoniale, reddituale e familiare del debitore, ad un'equa regolazione dei suoi debiti;

              2) in mancanza dell'approvazione di un piano di cui al numero 1), della liquidazione di tutti i beni del debitore, salve le esclusioni stabilite dalla legge;

          b) previsione della possibilità del debitore, in alternativa alla procedura di cui alla lettera a), di attivare preventivamente una procedura stragiudiziale di regolazione dei debiti, da promuovere con istanza rivolta ad una apposita commissione di regolazione delle insolvenze, da costituire presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, formata da rappresentanti delle banche, delle associazioni di consumatori, delle associazioni locali di imprese, ed avente il compito di promuovere la predisposizione di accordi fra debitori in difficoltà e creditori, da sottoporre all'omologazione del tribunale sulla base di apposita e semplificata procedura.

      2. La disciplina dei presupposti della procedura di esdebitazione e della sua apertura deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) presupposto oggettivo di ammissione costituito dalla incapacità attuale di fare fronte alle obbligazioni non appena vengono a scadenza;

          b) decorrenza degli effetti della procedura dal decreto di apertura;

 

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          c) necessità che il debitore presenti, contestualmente alla domanda, una relazione sulle cause del sovraindebitamento e una descrizione analitica della sua situazione economica e patrimoniale, nonché un elenco dei creditori e dei relativi crediti. Qualora il debitore abbia in precedenza attivato una procedura stragiudiziale di regolazione dei debiti alla quale non è seguito l'accordo con i creditori, la domanda di ammissione alla procedura di esdebitazione deve essere accompagnata da una relazione della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessata;

          d) attribuzione al Ministro della giustizia del potere di prevedere con regolamento, ai fini della semplificazione della procedura, formulari per attestazioni, richieste, elenchi e piano da presentare ai fini della procedura, dei quali il debitore si deve servire;

          e) obbligo per il debitore di presentare contestualmente alla domanda o nel termine massimo di trenta giorni un piano di regolazione dei debiti;

          f) previsione che il piano di regolazione dei debiti indichi se e in che misura possano essere pregiudicati le garanzie personali, i diritti di pegno e le altre garanzie dei creditori, preveda il pagamento integrale dei creditori privilegiati, salvo che singoli creditori acconsentano a un diverso trattamento, ed assicuri parità di trattamento dei creditori chirografari, ancorché eventualmente suddivisi in classi aventi interessi economici e posizione giuridica omogenei;

          g) definizione di termini massimi per l'approvazione del piano di regolazione dei debiti e per l'adempimento da parte del debitore degli impegni assunti; il termine per l'adempimento non può comunque eccedere i tre anni e, in casi di particolare complessità, i cinque anni dalla data di apertura della procedura;

          h) in mancanza della presentazione di un piano entro il termine di cui alla lettera e) ovvero in mancanza di approvazione

 

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di esso da parte dei creditori, e sempre che il debitore non richieda entro un breve termine la chiusura della procedura, avvio della liquidazione concorsuale dei beni ad opera del fiduciario;

          i) chiusura della procedura con decreto del tribunale, su istanza del debitore ai sensi della lettera h), salvo che vi sia il fondato timore che il debitore intenda occultare, anche in parte, i propri beni o comunque recare danno ai creditori;

          l) previsione che la liquidazione e il riparto del ricavato fra i creditori abbiano luogo sulla base delle disposizioni dettate per la procedura di insolvenza, salva la previsione di opportune semplificazioni;

          m) possibilità per il debitore di ottenere la liberazione da tutti i debiti pregressi: nei casi di cui alla lettera a) del comma 1, una volta ultimati i pagamenti previsti dal piano di regolazione dei debiti; nei casi di cui alla lettera b) del medesimo comma 1, alla chiusura della procedura.

      3. La disciplina dello svolgimento della procedura di esdebitazione deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) ammissione con decreto del tribunale, salvo che il debitore sia stato ammesso ad analoga procedura nei cinque anni anteriori, ovvero che la domanda, sulla base di un giudizio sommario, appaia manifestamente pretestuosa e dilatoria;

          b) sottoposizione del decreto a idonee forme di pubblicità;

          c) nomina di un fiduciario scelto, anche su proposta del debitore, fra gli iscritti in apposito albo di professionisti avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, dotati di specifica professionalità nelle materie delle procedure concorsuali, del credito al consumo, della tutela dei consumatori e del diritto di famiglia; previsione che il fiduciario verifichi l'elenco dei creditori e rediga l'inventario dei beni del debitore;

          d) previsione che il decreto di apertura fissi la data, successiva alla scadenza

 

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del termine per la presentazione del piano, per la notifica ai creditori della situazione patrimoniale, dell'inventario dei beni, dell'elenco dei creditori, rispettivamente redatti e verificati ai sensi della lettera c), nonché dell'eventuale piano di regolazione dei debiti, con invito a formulare eventuali osservazioni e ad approvare o meno tale documentazione e l'eventuale piano di regolazione dei debiti, entro il termine perentorio di trenta giorni; in presenza di un elevato numero di creditori o di un'elevata entità dei crediti, possibilità di convocazione dell'adunanza dei creditori chiamati a esprimersi sul piano di regolazione dei debiti e, in assenza del piano, sulla documentazione relativa alla situazione patrimoniale del debitore;

          e) previsione che il fiduciario, in mancanza di tempestiva predisposizione di un piano di regolazione dei debiti, provveda alla predisposizione dello stato passivo, sulla base delle osservazioni formulate dai creditori ai sensi della lettera d); disciplina dell'approvazione dello stato passivo e delle contestazioni ed opposizioni ad esso relative coerente con le esigenze di celerità della procedura e di tutela dei diritti dei creditori.

      4. La disciplina degli effetti dell'apertura della procedura di esdebitazione deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) conservazione della gestione del patrimonio in capo al debitore, sotto la vigilanza del fiduciario, in vista della predisposizione, approvazione ed esecuzione del piano di regolazione dei debiti, salva la possibilità che l'autorità giudiziaria sostituisca anche parzialmente il debitore per gravi motivi o ne limiti in modo specifico i poteri;

          b) in assenza della predisposizione o dell'approvazione del piano di regolazione dei debiti, attribuzione della gestione del patrimonio del debitore al fiduciario, che diviene mandatario per la cessione di tutti i beni e i crediti pignorabili facenti capo al

 

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debitore, ai fini della liquidazione, riscossione e del successivo riparto;

          c) divieto di azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore e su quelli dei suoi coobbligati persone fisiche; sospensione del decorso degli interessi sui debiti pecuniari;

          d) inefficacia, salva autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria, degli atti con i quali il debitore attribuisce particolari vantaggi a singoli creditori e degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione;

          e) scioglimento unilaterale, su autorizzazione del fiduciario, dei contratti in corso, la cui esecuzione è eccessivamente onerosa per il debitore, o può comunque pregiudicare un'equa regolazione dei debiti all'esito della procedura.

      5. La disciplina dell'approvazione del piano di regolazione dei debiti deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) redazione da parte del fiduciario, entro un termine breve dalla data della nomina, di una relazione articolata e dettagliata in ordine alla realizzabilità del piano, con possibilità di proporre le modifiche e le integrazioni ritenute necessarie;

          b) predisposizione di adeguate modalità di informazione dei creditori in vista della approvazione del piano;

          c) presunzione di assenso da parte dei creditori che, entro il termine di trenta giorni dalla data della notifica del piano, ovvero nell'adunanza eventualmente convocata per l'approvazione, non si oppongono al piano ovvero non propongono modifiche o integrazioni; possibilità di integrazioni o di modifiche del piano apportate dal debitore o dal fiduciario a seguito delle osservazioni dei creditori; in tale ultimo caso, possibilità di fissare un breve termine per notificare ai creditori il piano modificato, sul quale essi devono esprimersi entro il termine di trenta giorni, ovvero per riconvocare i creditori entro breve termine ai fini dell'approvazione del piano modificato;

 

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          d) previsione che il piano si consideri approvato se nessun creditore ha sollevato eccezioni; nel caso in cui il piano è stato approvato dalla maggioranza dei creditori che rappresenta la maggioranza dei crediti, possibilità del giudice, su istanza del debitore e previa audizione dei creditori dissenzienti, di approvare il piano se è rispettata la parità di trattamento dei creditori chirografari e se ai creditori dissenzienti è riservato un trattamento non deteriore rispetto a quello che conseguirebbero in caso di liquidazione dei beni del debitore;

          e) omologazione del piano di regolazione previa verifica della regolarità della procedura e dell'intervenuta approvazione secondo le modalità di cui alla lettera d);

          f) esecutività della sentenza di omologazione; disciplina delle impugnazioni, con delimitazione dei termini e dei relativi motivi.

      6. La disciplina della esecuzione del piano di regolazione dei debiti deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) esecuzione rimessa al debitore, sotto la sorveglianza del fiduciario;

          b) durata dell'esecuzione per un tempo non superiore a tre anni dalla data di omologazione del piano, estendibile a cinque anni su autorizzazione del giudice, in casi di particolare complessità, o comunque ai fini di un'equa regolazione dei debiti;

          c) previsione della possibilità di apportare modifiche successivamente all'omologazione del piano, in presenza di determinate circostanze e nell'interesse dei creditori;

          d) possibilità di annullamento del piano in caso di condotte fraudolente del debitore e possibilità di risoluzione per inadempimento degli obblighi assunti, con dettagliata disciplina della legittimazione ad agire e dei relativi termini di decadenza.

      7. Nei casi di mancata presentazione o approvazione di un piano di regolazione

 

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dei debiti a cui non segue l'archiviazione della procedura, ovvero di annullamento o di risoluzione del piano, il fiduciario assume la gestione del patrimonio del debitore e procede alla liquidazione dell'attivo, che deve essere ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) applicazione delle norme sulla procedura di insolvenza per tutto quanto non previsto in attuazione del presente articolo;

          b) affidamento al fiduciario dei compiti spettanti al curatore;

          c) presunzione di assenso allo stato passivo da parte dei creditori che non vi si oppongono entro il termine di un mese dalla notifica di esso, ovvero all'adunanza dei creditori;

          d) definitività dello stato passivo in mancanza di contestazioni dei creditori ovvero all'esito della trattazione congiunta da parte del giudice, con procedura abbreviata, delle opposizioni e delle contestazioni presentate;

          e) esclusione dell'applicazione delle norme vigenti in tema di revocatoria fallimentare;

          f) esperibilità della revocatoria di cui agli articoli 2901 e seguenti del codice civile da parte del fiduciario nell'interesse di tutti i creditori;

          g) ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura secondo le modalità previste per la procedura di insolvenza, opportunamente semplificate nei casi di indebitamento di lieve entità ovvero di numero esiguo di creditori.

      8. La disciplina della concessione della esdebitazione deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) concessione su istanza del debitore una volta adempiuti gli obblighi previsti nel piano di regolazione dei debiti, ovvero, nel caso di liquidazione, una volta concluso il riparto del ricavato fra i creditori;

 

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          b) rigetto dell'istanza nei seguenti casi:

              1) se il debitore, durante la procedura, ha fornito dati inesatti o incompleti sulla sua situazione economica o patrimoniale;

              2) se nell'anno anteriore alla domanda il debitore ha arrecato dolosamente danno ai creditori concorsuali; ha fatto ricorso abusivo al credito, ha distratto l'attivo, ha esposto passività inesistenti; ha cagionato o aggravato il proprio dissesto, anche astenendosi dal richiedere l'apertura della procedura.

Art. 5.
(Misure di allerta e di prevenzione
delle situazioni di crisi).

      1. La disciplina delle misure di allerta e di prevenzione delle situazioni di crisi delle imprese di società di capitali deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) attribuire agli organi di controllo, al revisore contabile e alla società di revisione la competenza a verificare se il livello di indebitamento sia suscettibile di mettere in pericolo la continuità dell'attività d'impresa, effettuando in tale caso le dovute comunicazioni all'organo amministrativo affinché adotti idonei provvedimenti;

          b) consentire all'organo di controllo, in caso di inerzia degli amministratori che consegue alla comunicazione di cui alla lettera a), di convocare l'assemblea per le opportune deliberazioni;

          c) possibilità per l'organo di controllo, il quale ritenga, sotto propria responsabilità, che le iniziative assunte dagli amministratori o deliberate dall'assemblea non siano in grado di rimuovere le condizioni di cui alla lettera a), di segnalare la situazione al tribunale competente, il quale convoca gli organi di amministrazione e di controllo, affinché riferiscano

 

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sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.

Art. 6.
(Procedura di ristrutturazione
delle passività).

      1. La disciplina della procedura di ristrutturazione delle passività sostituisce le attuali procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo e deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) apertura esclusivamente su domanda del debitore e decorrenza degli effetti dalla data del deposito della stessa; attribuzione all'organo amministrativo della competenza a deliberare la presentazione della domanda, se il debitore è costituito in forma di società di capitali e salva diversa previsione statutaria; attribuzione all'organo di controllo della legittimazione a porre all'ordine del giorno delle deliberazioni dell'organo amministrativo, se collegiale, la valutazione dell'opportunità di richiedere l'ammissione alla procedura ovvero a provocare una analoga determinazione formale dell'amministratore unico;

          b) presupposto oggettivo di ammissione alla procedura costituito sia dalla temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, sia dallo stato d'insolvenza attuale o imminente;

          c) presentazione, contestualmente alla domanda, di un piano di ristrutturazione delle passività diretto a garantire il massimo soddisfacimento possibile dei creditori mediante la migliore valorizzazione del patrimonio del debitore; possibilità che il piano sia presentato nel termine massimo di sessanta giorni, prorogabili di ulteriori sessanta giorni per gravi motivi, fermo restando il potere del tribunale di dichiarare la cessazione della procedura e l'apertura della procedura di insolvenza quando nessun piano appaia ragionevolmente attuabile. La cessazione della procedura di ristrutturazione delle

 

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passività deve essere dichiarata, salva la sussistenza di gravi motivi indicati dal tribunale, quando la chiedono tanti creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti chirografari;

          d) possibilità che, al fine di cui alla lettera c), il piano di ristrutturazione delle passività preveda la continuazione totale o parziale dell'attività, anche allo scopo di soddisfare i creditori in tutto o in parte con gli utili attesi dalla continuazione, la cessazione totale o parziale dell'impresa, la cessione totale o parziale del patrimonio, inclusi l'azienda o rami d'azienda con esclusione della responsabilità di cui al secondo comma dell'articolo 2560 del codice civile, fusioni o scissioni, conferimenti di beni in società esistenti o di nuova costituzione, aumenti di capitale, cessione di rapporti giuridici in blocco anche con assunzione di responsabilità esclusiva del cessionario, nonché ogni altra operazione che, nel rispetto delle normative applicabili, sia diretta a massimizzare il valore del patrimonio del debitore; limitazione delle formalità e dell'intervento notarili, in quanto possibile, in caso di dismissioni effettuate con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

          e) suddivisione dei creditori in classi secondo interessi economici omogenei, anche raggruppando categorie di creditori privilegiati; inserimento in classi separate, anche ai fini di subordinarne il soddisfacimento al pagamento totale o parziale degli altri creditori, dei crediti dei soci verso la società sottoposta alla procedura; possibilità di costituzione di speciali gruppi per i piccoli creditori;

          f) ammissibilità di qualsiasi proposta di ristrutturazione delle passività in termini di scadenza, tasso d'interesse, forma tecnica e presenza di eventuali garanzie reali e personali; in particolare, ammissibilità dell'attribuzione ai creditori, o ad alcune categorie di essi, di azioni o quote, obbligazioni anche convertibili in azioni e titoli di debito; abolizione di percentuali minime per i creditori chirografari; possibilità di pagamento in percentuale per i creditori privilegiati;

 

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          g) equiparazione ai creditori chirografari, ai fini della procedura, dei creditori che hanno iscritto ipoteca giudiziale sui beni del debitore nei sei mesi precedenti la data della domanda, salva l'efficacia di altre cause legittime di prelazione che eventualmente ne assistano la pretesa;

          h) operatività delle cause legittime di prelazione, anche in caso di mancata liquidazione dei beni sui quali esse insistono, nei limiti entro i quali le pretese relative avrebbero ricevuto collocazione preferenziale sul ricavato in caso di vendita, avuto riguardo al valore attribuito a ciascun cespite nella situazione patrimoniale di cui alla lettera a) del comma 2;

          i) definizione di termini massimi per l'approvazione del piano di ristrutturazione delle passività e per l'adempimento da parte del debitore degli impegni assunti.

      2. La disciplina della proposta di ristrutturazione delle passività deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) necessità che il piano sia accompagnato da una situazione patrimoniale di riferimento e da una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, tale da consentire ai creditori e agli altri interessati un fondato giudizio sulla sua convenienza;

          b) necessità che la situazione patrimoniale e la relazione siano certificate come veritiere da un esperto scelto tra le categorie dei dottori commercialisti, dei ragionieri, dei revisori dei conti e delle società di revisione, al quale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 64 del codice di procedura civile, salva la sua responsabilità civile.

      3. La disciplina dell'ammissione alla procedura di ristrutturazione delle passività della ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) ammissione con decreto del tribunale, salvo che la proposta, sulla base di un giudizio sommario, appaia manifestamente

 

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inattuabile o abbia carattere esclusivamente dilatorio; il decreto deve essere adottato in via d'urgenza per le imprese di rilevanti dimensioni ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera l);

          b) pubblicazione del decreto nel registro delle imprese e previsione di altre idonee forme di pubblicità anche informatica;

          c) nomina di un giudice delegato e di un commissario giudiziale scelto tra i soggetti, persone fisiche o persone giuridiche, iscritti in un istituendo albo speciale dei professionisti delle crisi d'impresa, tenuto dal Ministero della giustizia, suddiviso in distinte sezioni in relazione all'entità dell'indebitamento e dei livelli occupazionali dell'impresa, nonché in relazione all'eventuale ricorso della stessa al mercato del capitale di rischio o alla emissione di strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, prevedendo corrispondenti requisiti di professionalità e di esperienza, oltre a requisiti di indipendenza;

          d) istituzione di un comitato dei creditori con i poteri di cui all'articolo 3, comma 3, lettera c);

          e) fissazione della data di convocazione dell'adunanza dei creditori chiamati ad esprimere il voto sul piano;

          f) formazione d'ufficio dello stato passivo da parte degli organi della procedura, con disciplina degli effetti e delle impugnative.

      4. La disciplina degli effetti dell'apertura della procedura di ristrutturazione delle passività deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) conservazione della gestione del patrimonio, incluso l'eventuale esercizio dell'impresa, in capo al debitore, in coerenza con i criteri di realizzazione del piano e sotto la vigilanza del commissario giudiziale e del giudice delegato, salva la possibilità che l'autorità giudiziaria sostituisca anche parzialmente il debitore per gravi motivi o ne limiti in modo specifico i poteri;

 

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          b) divieto di azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore;

          c) inefficacia degli atti diretti a conseguire o a fare conseguire diritti di prelazione sul patrimonio, salva espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

          d) inefficacia delle formalità necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, salva espressa autorizzazione dell'autorità giudiziaria;

          e) continuazione dell'esecuzione dei contratti pendenti alla data della presentazione della domanda, salvo che gli organi della procedura ne autorizzino lo scioglimento se essi sono contrari all'interesse dei creditori, coordinando con la nuova disciplina le disposizioni vigenti in materia di rapporti di lavoro subordinato;

          f) sospensione dell'applicazione degli articoli 2447, 2482-ter e 2484, primo comma, numero 4), del codice civile, dalla data della presentazione della domanda sino all'approvazione del piano;

          g) eventuale introduzione di altre misure comunque funzionali al conseguimento dello scopo della procedura, anche mediante rinvio alla disciplina della procedura di insolvenza.

      5. La disciplina dell'approvazione del piano di ristrutturazione delle passività deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) redazione da parte del commissario giudiziale, entro un termine breve dalla data della nomina, di una relazione articolata e dettagliata contenente il parere in ordine alla realizzabilità del piano; previsione dell'obbligo del commissario giudiziale di acquisire, in caso di impresa di rilevanti dimensioni ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera l), il parere preventivo del Ministero delle attività produttive sulla realizzabilità del piano e di motivare circostanziatamene l'eventuale dissenso dallo stesso;

 

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          b) predisposizione di adeguate modalità di informazione dei creditori in vista della approvazione del piano;

          c) previsione di una adunanza di tutti i creditori, da tenere entro un breve termine dalla data di emanazione del decreto che apre la procedura;

          d) presunzione di assenso da parte di chi non esprime dissenso;

          e) attribuzione al direttore regionale delle entrate, per i tributi dovuti all'erario, ai titolari degli uffici competenti, per i tributi dovuti alle regioni e agli enti locali, e ai competenti organi degli enti previdenziali, per le obbligazioni di carattere previdenziale, del potere di esprimere il proprio voto sul piano di ristrutturazione delle passività, con il connesso eventuale effetto dilatorio o remissorio sui debiti;

          f) necessità dell'approvazione di tutte le classi dei titolari dei crediti che formano oggetto della ristrutturazione, secondo il criterio della maggioranza per crediti e per numero all'interno di ciascuna classe;

          g) possibilità per il giudice di superare la mancata approvazione del piano da parte di una o più classi di creditori, quando la maggioranza delle classi di creditori lo ha approvato e la classe o le classi dissenzienti non ricevono pregiudizio dal piano, allo scopo chiarendo la nozione di pregiudizio con riferimento all'alternativa della liquidazione concorsuale;

          h) omologazione del piano di ristrutturazione delle passività basata sulla sola verifica della regolarità della procedura e dell'approvazione dei creditori, anche con riguardo al superamento della mancata approvazione di una o più classi;

          i) provvisoria esecutività della sentenza che omologa il piano di ristrutturazione, con salvezza degli atti legittimamente compiuti anche in caso di riforma della decisione; disciplina delle impugnazioni della sentenza di omologazione.

 

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      6. La disciplina dell'esecuzione del piano di ristrutturazione delle passività deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) esecuzione rimessa al debitore, sotto la vigilanza del commissario giudiziale;

          b) previsione della necessità di informative periodiche, anche con i mezzi informatici e telematici di cui all'articolo 3, comma 3, lettera e), sino alla totale esecuzione del piano da accertare con provvedimento motivato del tribunale;

          c) liberazione del debitore dalle obbligazioni per causa o titolo anteriori alla data di apertura della procedura, salvo quanto previsto dal piano di ristrutturazione delle passività;

          d) conservazione dei diritti dei creditori contro i fideiussori del debitore, i coobbligati solidali e gli altri soggetti tenuti a rispondere, per qualsiasi titolo, delle obbligazioni del debitore, nei limiti in cui tali obbligazioni non sono state diversamente regolate nel piano.

      7. La disciplina della cessazione della procedura di ristrutturazione delle passività deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) cessazione per mancata ammissione alla procedura, scadenza del termine per l'approvazione del piano, mancata approvazione del piano, mancata omologazione dell'accordo o comunque interruzione della procedura;

          b) risoluzione per mancata esecuzione degli impegni assunti dal debitore, ivi incluse la mancata prestazione delle garanzie o la mancata consegna degli strumenti finanziari eventualmente promessi, fermo restando che, una volta che il debitore abbia regolarmente dato corso alle attività previste dal piano, il mancato pagamento di debiti oggetto di ristrutturazione non dà luogo a risoluzione dell'accordo;

 

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          c) annullamento dell'accordo nei soli casi di comportamenti fraudolenti del debitore, con esclusione di altre cause di invalidità, previa acquisizione di una relazione del soggetto che ha proceduto alla certificazione di cui alla lettera b) del comma 2;

          d) disciplina della legittimazione a domandare la risoluzione o l'annullamento del piano, con indicazione di termini di decadenza a partire dagli inadempimenti lamentati o dalla scoperta dei comportamenti fraudolenti denunciati;

          e) possibilità che il tribunale disponga forme di pubblicità dell'avvio del procedimento di risoluzione o di annullamento, quando ritenga le cause non manifestamente infondate;

          f) salvezza degli effetti degli atti legittimamente compiuti in esecuzione del piano sino alla dichiarazione di risoluzione o di annullamento dello stesso, oppure sino al compimento delle formalità pubblicitarie di cui alla lettera e), se disposte; disciplina della sorte dei pagamenti effettuati in modo difforme da quanto previsto dal piano.

      8. La disciplina degli effetti della cessazione della procedura di ristrutturazione delle passività nella consecutiva procedura di insolvenza deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) computo del periodo rilevante ai fini delle revocatorie a ritroso dall'apertura della procedura di ristrutturazione, in caso di cessazione per mancata ammissione alla procedura, mancata approvazione del piano o scadenza del termine per approvarlo, mancata omologazione dell'accordo, nonché in caso di annullamento dell'accordo limitatamente agli atti posti in essere da o nei confronti dei soggetti in mala fede; computo del periodo di prescrizione dell'azione a decorrere dalla data di apertura della procedura di insolvenza, salvo comunque il decorso del termine di prescrizione di cui all'articolo 2903 del codice civile per la proposizione dell'azione

 

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revocatoria ordinaria esperita all'interno della procedura di insolvenza;

          b) prededucibilità delle obbligazioni sorte dopo l'ammissione alla procedura di ristrutturazione rispetto alle esposizioni precedenti, ad esclusione di quelle assistite da garanzia reale;

          c) intangibilità degli atti legalmente compiuti e degli effetti prodottisi dopo l'ammissione alla procedura di ristrutturazione;

          d) sospensione del corso degli interessi a decorrere dalla data dell'apertura della procedura di insolvenza;

          e) coordinamento dell'avvio della procedura di insolvenza con i risultati della cessata procedura di ristrutturazione delle passività;

          f) esonero da responsabilità civili e penali per il compimento in buona fede di atti o fatti coerenti con il piano di ristrutturazione delle passività.

Art. 7.
(Procedura di insolvenza).

      1. La disciplina della procedura di insolvenza deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) presupposto oggettivo costituito dallo stato di insolvenza attuale ovvero, allorché l'apertura della procedura sia richiesta dal debitore, anche imminente;

          b) prosecuzione dell'attività d'impresa, se essa non è già cessata alla data dell'apertura della procedura, per un breve periodo di osservazione, non superiore a tre mesi, necessario a valutarne la convenienza per i creditori; la relativa decisione, assieme alla determinazione della durata del periodo di osservazione, è presa dal tribunale nella sentenza che dichiara aperta la procedura;

          c) prosecuzione dell'attività d'impresa anche successivamente al periodo di osservazione, per una durata massima di un

 

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anno prorogabile una sola volta per un periodo non superiore a tre mesi, se la prosecuzione è funzionale al migliore realizzo dell'attivo; la relativa decisione è presa dal tribunale, alla scadenza del periodo di osservazione o anche prima della scadenza se ne fa richiesta il curatore, previa acquisizione di idonee informazioni e su relazione del curatore; il tribunale può disporre la prosecuzione dell'attività solo se sussiste il parere favorevole del comitato dei creditori;

          d) attribuzione al curatore, il quale, con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, può avvalersi di uno o più ausiliari dotati della necessaria competenza manageriale, del potere di gestione dell'impresa nei casi di cui alle lettere b) e c), salva la necessità di autorizzazione per gli atti eccedenti l'ordinaria gestione dell'impresa e comunque salva la vigilanza degli organi della procedura; possibilità di concedere in affitto, a fini di conservarne il valore, l'azienda o rami d'azienda a investitori specializzati o a terzi, con possibilità di un diritto di prelazione in caso di successiva vendita;

          e) previsione della facoltà del tribunale che dichiara aperta la procedura di insolvenza di stabilire le ipotesi tassative nelle quali la comunicazione del curatore al creditore dell'importo risultante a suo credito dalle scritture contabili del debitore ne determina, in mancanza di opposizione, l'inserimento di diritto nello stato passivo.

      2. La disciplina del procedimento per la dichiarazione di insolvenza deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) procedimento modellato ai sensi degli articoli 3 e seguenti del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, con gli opportuni adattamenti;

          b) previsione della necessità che il creditore non munito di titolo esecutivo effettui, su modulo predisposto dal Ministro della giustizia, una richiesta formale al debitore di pagare entro un breve

 

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termine come condizione della richiesta di apertura della procedura di insolvenza;

          c) previsione di un rito per quanto possibile celere per il giudizio d'opposizione;

          d) previsione di una analitica disciplina delle spese della procedura nel caso di revoca della dichiarazione.

      3. La disciplina degli organi della procedura di insolvenza e dei poteri di gestione del patrimonio deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) definizione degli organi della procedura e delle loro competenze ai sensi degli articoli 23 e seguenti del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di seguito denominato «legge fallimentare», salvo quanto previsto dalla presente legge e salvo quanto previsto in materia di comitato dei creditori; nomina del curatore fra i soggetti indicati all'articolo 6, comma 3, lettera c);

          b) istituzione di un comitato dei creditori con i poteri di cui all'articolo 3, comma 3, lettera c);

          c) attribuzione al giudice delegato, nella fase di autorizzazione delle azioni relative al recupero dei crediti e delle azioni revocatorie, della espressa valutazione della convenienza per la procedura, anche in relazione alle possibilità di soddisfacimento sul patrimonio del presunto debitore ed al ritardo che la pendenza del giudizio comporta per la chiusura della procedura di insolvenza, avuto riguardo all'interesse dei creditori e del debitore assoggettato alla procedura;

          d) attribuzione al curatore del potere di compiere autonomamente, senza previa autorizzazione del giudice delegato o del tribunale, le operazioni di prelievo e le alienazioni di valore non superiore a 10.000 euro o al diverso valore stabilito dal tribunale con la sentenza che apre la procedura ovvero con successivo provvedimento;

 

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          e) indicazione delle ipotesi nelle quali è attribuito al curatore il potere di compiere operazioni societarie di carattere straordinario, previa autorizzazione degli organi della procedura in luogo dell'approvazione dei soci, stabilendo per le operazioni di fusione e di scissione, anche in deroga al codice civile, i beneficiari del capitale emesso a servizio del concambio ed a seguito dell'assegnazione del patrimonio della società scissa, e prevedendo che la designazione dell'esperto o degli esperti previsti dall'articolo 2501-sexies del citato codice civile sia sempre necessaria ed avvenga ad opera del tribunale fallimentare.

      4. La disciplina degli effetti della procedura di insolvenza per il debitore e per i creditori deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) effetti per il debitore secondo la disciplina prevista dagli articoli 42 e seguenti della legge fallimentare, con gli opportuni chiarimenti ed adattamenti, con salvezza degli effetti degli atti compiuti da chi non conosceva né poteva conoscere l'apertura della procedura, non essendo ancora stata effettuata la relativa pubblicità;

          b) eliminazione del carattere afflittivo della procedura, mediante la riduzione della compressione dei diritti del debitore allo stretto necessario al fine di assicurare un'efficace tutela dei creditori;

          c) effetti per i creditori secondo la disciplina prevista dagli articoli 51 e seguenti della legge fallimentare, con gli opportuni chiarimenti ed adattamenti;

          d) previsione del divieto di azioni esecutive individuali anche speciali;

          e) previsione di una disciplina della sospensione e della limitazione degli interessi e dell'estensione della prelazione agli interessi;

          f) previsione di una disciplina della compensazione legale e giudiziale; ammissibilità della compensazione fra crediti reciproci anteriori alla data di apertura

 

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della procedura indipendentemente dalla loro scadenza, ivi compreso il credito di regresso verso il fallito del coobbligato in solido e del garante in qualunque momento escussi; divieto di compensazione per i crediti scaduti e non scaduti trasferiti, anche ai sensi dell'articolo 1203 del codice civile, dopo l'apertura della procedura o nell'anno anteriore;

          g) previsione di una disciplina degli effetti sulle società che hanno costituito patrimoni destinati ad uno specifico affare, o che hanno assunto finanziamenti destinati ad uno specifico affare, improntata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

              1) prevedere che in caso di apertura della procedura di insolvenza di società con patrimoni destinati ad uno specifico affare la gestione e la liquidazione sono attribuite al curatore o ad un altro soggetto designato dal giudice delegato;

              2) prevedere che l'affare alla cui conduzione la società fallita ha destinato un patrimonio separato possa continuare ad essere gestito dal curatore o dal soggetto designato dal giudice delegato, a condizione che la continuazione non abbia effetti pregiudizievoli per i creditori del patrimonio destinato e sino a quando la mancata liquidazione dello stesso non ostacoli o ritardi la chiusura della procedura di insolvenza;

              3) prevedere che in ogni ipotesi nella quale l'affare alla cui conduzione è stato destinato un patrimonio separato, è stato realizzato, oppure è divenuto impossibile o è impedita la realizzazione o la continuazione dell'operazione che ne costituisce l'oggetto, gli amministratori della società debbano accertare la sufficienza delle attività del patrimonio destinato a soddisfare le obbligazioni contratte per il compimento dello specifico affare relativo, e debbano procedere, in caso di valutazione negativa, a ripartire il ricavato dalla liquidazione delle attività del patrimonio destinato fra i creditori dello stesso, sulla base delle disposizioni dettate in materia di ripartizione dell'attivo nella procedura di insolvenza;

 

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              4) prevedere che la liquidazione del patrimonio destinato possa sempre avvenire, anche in sede di procedura di insolvenza disposta nei confronti della società che lo ha costituito, mediante cessione a terzi del patrimonio destinato, comprensivo delle attività e delle passività inerenti allo stesso;

              5) prevedere che i crediti derivanti dalla concessione di finanziamenti destinati ad uno specifico affare, di cui all'articolo 2447-decies del codice civile, debbano essere insinuati nello stato passivo della società che ha costituito il relativo patrimonio destinato, disciplinando gli effetti dell'insinuazione in relazione alle eventuali garanzie prestate dalla società nonché in relazione alle somme percepite dal creditore sui proventi dell'affare finanziato;

              6) stabilire la responsabilità illimitata della società nei casi di violazione della separatezza fra il suo patrimonio e quelli destinati ad uno specifico affare o fra più patrimoni destinati; per tali ipotesi, disciplinare, in caso di insolvenza della società e per la parte di crediti residui non soddisfatti, il concorso dei creditori dei patrimoni predetti con i creditori sociali.

      5. La disciplina degli effetti della procedura di insolvenza per gli atti pregiudizievoli per i creditori deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) salvaguardia dell'esigenza di stabilità dei rapporti giuridici; necessità del pregiudizio per i creditori, eventualmente costituito anche dalla accresciuta difficoltà di soddisfacimento, come requisito per la revocatoria;

          b) previsione della inefficacia degli atti a titolo gratuito e dei pagamenti di debiti che scadono nel giorno dell'apertura della procedura o posteriormente, ai sensi della disciplina di cui agli articoli 64 e 65 della legge fallimentare, con i necessari chiarimenti ed adattamenti; previsione dell'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei sei mesi anteriori alla data di apertura della procedura;

 

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          c) previsione della revocabilità degli atti e dei pagamenti anormali ai sensi della disciplina di cui all'articolo 67, primo comma, della legge fallimentare, con i necessari chiarimenti ed adattamenti, consentendo al terzo convenuto di evitare la revoca dimostrando che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore oppure che l'atto o il pagamento non ha avuto effetto pregiudizievole; previsione della necessità di valutare l'eventuale carattere anormale tenendo conto delle prassi commerciali e bancarie in uso per rapporti analoghi;

          d) esclusione della revocabilità, fermo restando quanto previsto dalla lettera c), degli atti a titolo oneroso e dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, ad eccezione degli atti e dei pagamenti eseguiti allo scopo di favorire alcuni creditori in danno di altri nei sei mesi anteriori alla data di apertura della procedura e ad eccezione degli atti estranei al normale esercizio dell'impresa e dei pagamenti eseguiti nei sessanta giorni prima della data di apertura della procedura, salva in questo caso la possibilità che il terzo provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore;

          e) esperibilità della revocatoria di cui agli articoli 2901 e seguenti del codice civile da parte del curatore, nell'interesse di tutti i creditori;

          f) introduzione di agevolazioni probatorie e di un più lungo periodo sospetto per gli atti compiuti dal debitore nei confronti di soggetti legati da rapporti di partecipazione, di coniugio, di parentela o di affinità, fermo restando quanto previsto dall'articolo 9 in materia di gruppi di imprese;

          g) adozione di ipotesi di revocatoria aggravata, dal punto di vista dell'elemento soggettivo e del periodo sospetto, per gli atti che sono configurabili come generale appropriazione dei valori dell'azienda, quali l'affitto dell'azienda o di un ramo di essa, la licenza di brevetto o di altri beni immateriali, la cessione di beni aziendali dissimulata al fine di eludere l'applicabilità del secondo comma dell'articolo 2560

 

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del codice civile, con possibilità del convenuto di sottrarsi a revocatoria se prova che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore o che gli atti in questione non hanno arrecato pregiudizio ai creditori;

          h) possibilità di dettare norme speciali per situazioni e per rapporti che presentano un rilevante e comprovato grado di specificità; disciplina organica dei casi di esenzione dall'azione revocatoria fallimentare.

      6. La disciplina degli effetti della procedura di insolvenza sui contratti in corso di esecuzione deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) previsione di discipline generali dello scioglimento dei contratti in corso d'esecuzione, nonché della sospensione e della prosecuzione della loro esecuzione, con possibilità di norme differenziate per l'ipotesi in cui è disposta la continuazione dell'attività d'impresa;

          b) introduzione di una facoltà generale degli organi della procedura di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione;

          c) previsione di regole particolari per contratti che presentano specificità, incluso il contratto preliminare di compravendita di beni immobili.

      7. La disciplina dell'accertamento del passivo nella procedura di insolvenza deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) determinazione tassativa delle eccezioni al principio generale della estensione dell'accertamento del passivo alla verifica di tutte le pretese pecuniarie dei creditori e dei diritti di terzi, di carattere reale od obbligatorio, sui beni ricompresi nel patrimonio del debitore o dei quali lo stesso ha la disponibilità; applicabilità del procedimento all'accertamento delle garanzie reali prestate nell'interesse di terzi e dei diritti reali mobiliari di terzi su beni in possesso del curatore;

          b) applicazione dei procedimenti di accertamento dello stato passivo alla verifica

 

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dei crediti prededucibili contestati ed a quella dei crediti prededucibili sorti in una precedente procedura concorsuale;

          c) limitazione dei provvedimenti di ammissione con riserva, comprese le ipotesi di domande tardive, alle sole ipotesi di crediti sottoposti a condizione sospensiva o alla preventiva escussione di altri obbligati; scioglimento della riserva mediante applicazione delle disposizioni dettate in materia di osservazioni ed impugnazioni dei progetti di ripartizione dell'attivo;

          d) ammissione al passivo in via subordinata per i crediti derivanti da rapporti obbligatori con clausola di postergazione per le ipotesi di liquidazione o di insolvenza del debitore e per i crediti derivanti dai finanziamenti di cui agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile;

          e) possibilità di accoglimento con decreto delle pretese fatte valere dai creditori e dai titolari di diritti alla restituzione di beni mobili, di valori mobiliari e di strumenti finanziari, eventualmente previa riformulazione delle stesse da parte del giudice investito della controversia, anche senza il consenso del curatore e dei creditori eventualmente intervenuti, in qualsiasi momento del procedimento della domanda tardiva, sino all'udienza fissata per la precisazione delle conclusioni;

          f) limitazione dell'efficacia dei provvedimenti emessi in materia di accertamento dello stato passivo all'ambito della procedura, ferma la irripetibilità delle somme attribuite ai creditori in forza di atti legittimamente posti in essere nell'ambito della stessa;

          g) comunicazione del deposito dello stato passivo esecutivo, nonché delle successive variazioni, a tutti coloro che hanno presentato domanda di ammissione, anche con i mezzi informatici di cui all'articolo 3, comma 3, lettera e), con comunicazioni cumulative;

          h) disciplina delle impugnative mediante un procedimento a cognizione piena, rendendo omogenei i procedimenti

 

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di impugnazione conseguenti ad insinuazione tempestiva e quelli conseguenti a domanda tardiva non accolta con decreto;

          i) partecipazione delle domande tardive alle ripartizioni dell'attivo a decorrere dalla rispettiva proposizione, con diritto ad accantonamento in caso di ripartizioni effettuate prima dell'accoglimento della domanda;

          l) attribuzione della competenza a decidere sulle impugnazioni dei provvedimenti emessi dal giudice delegato in materia di accertamento al tribunale in forma monocratica, in persona di un magistrato diverso dal giudice delegato, salvo il coordinamento con le eventuali disposizioni relative a giudizi specializzati in materia societaria e concorsuale.

      8. La disciplina della gestione del patrimonio del debitore e della liquidazione nella procedura di insolvenza, fermi restando gli obiettivi di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) soppressione dell'istituto dell'apposizione dei sigilli, salvo espresso provvedimento del giudice delegato in casi particolari;

          b) possibilità che la liquidazione inizi immediatamente dopo l'apertura della procedura di insolvenza;

          c) possibilità, anche immediatamente dopo l'apertura della procedura, di conferire in una o più società di nuova costituzione beni, crediti o complessi aziendali insieme a rapporti contrattuali in corso singolarmente individuati, senza alcun onere fiscale, con una procedura quanto più possibile semplificata e con esclusione della responsabilità prevista dall'articolo 2560, secondo comma, del codice civile, quando è ragionevole prevedere che le attività conferite siano meglio valorizzabili in capo ad un soggetto distinto dal debitore sottoposto alla procedura, prevedendo la facoltà degli organi della procedura di liquidare le partecipazioni rivenienti dal conferimento con le

 

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modalità ritenute più opportune nell'interesse dei creditori, ivi inclusa l'offerta pubblica di vendita;

          d) possibilità che il tribunale, nel dichiarare aperta la procedura, riservi l'inizio della liquidazione dei beni a successivo provvedimento, da emanare nel termine di sessanta giorni, sentiti il curatore e il debitore in ordine all'effettiva utilità della liquidazione;

          e) previsione che in ogni caso non si faccia luogo a liquidazione ove l'attivo ragionevolmente realizzabile non consenta di coprire le spese della procedura; in tale caso la procedura viene chiusa e la pronunzia di insolvenza conserva efficacia a tutti gli ulteriori effetti di legge, anche ai fini della responsabilità penale; previsione che contro il provvedimento del tribunale che chiude la procedura sia ammesso reclamo alla corte d'appello;

          f) rafforzamento della concorrenza nella valorizzazione del patrimonio del debitore, mediante la previsione della possibilità per i creditori e per qualunque interessato, anche immediatamente dopo l'apertura della procedura, di presentare proposte di assunzione di tutto o parte del passivo, anche in percentuale, contro rilievo dell'intero patrimonio o di parte di esso, ivi incluse le azioni revocatorie, consentendo proposte concorrenti senza limitazione di numero e subordinando la loro accettazione all'unica condizione che siano convenienti per i creditori; adozione, nel caso di assunzione parziale del passivo, di idonee misure per assicurare che essa risponda all'interesse della generalità dei creditori.

      9. La disciplina della ripartizione dell'attivo e della chiusura della procedura di insolvenza deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) ripartizione secondo la disciplina prevista dagli articoli 110 e seguenti della legge fallimentare, con gli opportuni adattamenti e chiarimenti;

 

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          b) previsione di un obbligo, dietro risarcimento dei danni, di ripartire sollecitamente l'attivo disponibile, limitando gli accantonamenti alle situazioni che ragionevolmente potrebbero dare origine a restituzioni o a maggiori crediti; possibilità di corrispondere acconti ai creditori che, con ragionevole certezza, si prevede possano essere soddisfatti alla chiusura della procedura;

          c) previsione, in caso di mancata liquidazione dei beni oggetto di cause legittime di prelazione, dell'operatività delle cause legittime di prelazione nei limiti entro i quali le pretese relative avrebbero ricevuto collocazione preferenziale sul ricavato in caso di vendita;

          d) conferma della prelazione sul ricavato del bene assoggettato a pegno, ipoteca o privilegio speciale dei crediti assistiti da dette garanzie, in caso di successione della procedura di insolvenza alla procedura di ristrutturazione delle passività o alla procedura di composizione negoziale della crisi, anche nei confronti dei crediti legittimamente sorti nell'ambito di dette procedure;

          e) postergazione del soddisfacimento dei crediti ammessi al passivo in via subordinata al preventivo soddisfacimento integrale dei crediti chirografari non ugualmente subordinati, nei limiti degli importi rispettivamente ammessi allo stato passivo;

          f) chiusura della procedura di insolvenza secondo la disciplina prevista dagli articoli 118 e seguenti della legge fallimentare, con gli opportuni adattamenti e chiarimenti; possibilità di ripartizioni supplementari in caso di beni sopravvenuti;

          g) liberazione del debitore dai debiti non soddisfatti nel corso della procedura, se egli è una persona fisica e non sussistono cause di impedimento indicate dalla legge in relazione alla condotta che il debitore ha tenuto prima dell'apertura della procedura o durante il suo svolgimento.

 

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      10. La disciplina della chiusura della procedura di insolvenza con metodi alternativi alla liquidazione deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) indicazione delle ipotesi in cui è attribuito agli organi della procedura il potere, quando il debitore è costituito in forma di società di capitali diversa dalla società per azioni e sulla base di una situazione patrimoniale secondo le regole vigenti in materia di bilancio d'esercizio, previa esecuzione delle svalutazioni e delle rettifiche di valore eventualmente dovute anche in relazione alle effettive prospettive di continuazione dell'attività ed esecuzione della riduzione del capitale che eventualmente consegue alle perdite risultanti dal bilancio, di aumentare il capitale sociale della società sottoposta alla procedura, con il sovrapprezzo necessario ad eliminare l'eventuale perdita che residua dopo l'azzeramento del capitale sociale, con diritto d'opzione e di prelazione dei soci e con successiva offerta ai creditori dei diritti d'opzione non esercitati, prevedendo esplicitamente che i creditori possano compensare il debito di sottoscrizione con il loro credito verso la società e che in caso di conseguito ripristino della solvibilità cessino la procedura di insolvenza e lo stato di liquidazione della società; inscindibilità dell'aumento di capitale; possibilità di sottoscrizione immediata dell'aumento di capitale da parte di intermediari finanziari con obbligo di offerta ai soggetti legittimati, allo scopo prevedendo che i creditori possano ottenere le partecipazioni sociali mediante cessione dei loro crediti all'intermediario che le abbia sottoscritte; l'ammontare dell'aumento di capitale e del sovrapprezzo deve essere fissato almeno nella misura necessaria a ripristinare la solvibilità della società, tenuto conto dei finanziamenti che eventuali terzi si sono impegnati a concedere alla società in caso di sua ricapitalizzazione; possibilità di eseguire l'operazione mediante il conferimento dell'attivo, assieme al debito per i finanziamenti ottenuti dalla procedura, ad una società di nuova costituzione con attribuzione delle azioni ai

 

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creditori secondo il metodo descritto dalla presente lettera;

          b) possibilità per il debitore o per un qualunque terzo, anche senza il consenso del debitore, di proporre in qualunque momento un concordato effettuato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 124 e seguenti della legge fallimentare e dell'articolo 4-bis del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, e successive modificazioni, con gli opportuni adattamenti e coordinamenti.

      11. La disciplina della responsabilità degli organi di gestione e di controllo delle società e degli enti, per le condotte che hanno recato pregiudizio al soggetto fallito e ai creditori, deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) attribuire al curatore in via esclusiva la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità per i danni provocati al soggetto sottoposto a procedura di insolvenza ed ai creditori dagli organi di gestione e di controllo dello stesso per la mancata osservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, nonché per i danni provocati per la mancata osservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio, ad eccezione delle azioni che spettano individualmente al singolo socio od al singolo terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi dei componenti gli organi di gestione e di controllo;

          b) attribuire al curatore in via esclusiva la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti dei soci solidalmente responsabili con gli amministratori ai sensi dell'articolo 2476, settimo comma, del codice civile;

          c) attribuire al curatore, in ipotesi di annullamento di un accordo di ristrutturazione delle passività o di composizione negoziale della crisi, la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti di coloro che hanno con frode contribuito a determinare l'approvazione o l'omologazione dell'accordo, anche in relazione

 

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ai danni provocati dalla sopravvenuta improponibilità di azioni revocatorie fallimentari.

Art. 8.
(Composizione negoziale delle crisi. Ristrutturazione delle passività con procedura semplificata).

      1. La disciplina della composizione negoziale delle crisi deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) incentivazione delle soluzioni negoziali delle crisi, mediante:

              1) facoltà per qualsiasi debitore, senza limitazioni di carattere soggettivo, di sottoporre all'omologazione dell'autorità giudiziaria gli accordi conclusi con uno o più creditori al fine di superare, in modo durevole, oppure prevenire, una situazione di eccessivo indebitamento o di crisi, in atto oppure imminente, di carattere economico, patrimoniale o finanziario;

              2) inclusione negli accordi di cui al numero 1) di una situazione patrimoniale di riferimento corredata dalla relazione di un esperto, scelto dal debitore tra i soggetti indicati all'articolo 6, comma 2, lettera b), avente ad oggetto la correttezza dei dati contabili posti alla base degli accordi stessi e la loro attitudine a consentire al debitore di superare durevolmente oppure di prevenire lo stato di crisi senza compromettere la corretta gestione ordinaria dell'impresa; all'esperto si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile, salva la sua responsabilità civile;

              3) omologabilità degli accordi di cui al numero 1), da parte dell'autorità giudiziaria, sulla base di una verifica sommaria circa l'attitudine degli stessi a consentire al debitore di superare durevolmente oppure di prevenire lo stato di crisi senza compromettere la corretta gestione ordinaria dell'impresa e il regolare adempimento delle relative obbligazioni; facoltà per l'autorità giudiziaria di disporre una

 

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consulenza tecnica d'ufficio a spese del debitore e di imporre all'esperto di riferire periodicamente sull'attuazione dell'accordo;

              4) revocabilità dell'omologazione in tempi determinati, qualora i dati e gli elementi di valutazione posti a base dell'accordo si dimostrino inattendibili e passibili di pregiudicare gravemente la corretta realizzazione delle sue finalità e la corretta gestione dell'impresa nonché il regolare adempimento delle obbligazioni;

              5) salvezza degli effetti degli atti legittimamente compiuti in esecuzione degli accordi raggiunti con i creditori ed omologati dall'autorità giudiziaria, con conseguente esclusione della assoggettabilità ad azioni revocatorie degli atti posti in essere in esecuzione degli stessi;

              6) esonero da responsabilità civili e penali per il compimento in buona fede di atti o di fatti coerenti con l'esecuzione degli accordi di cui al numero 1);

          b) introduzione di una normativa fiscale che non penalizzi le soluzioni delle crisi conseguite mediante accordi fra il debitore e i suoi creditori, con particolare riferimento alla deducibilità delle perdite su crediti, alla valutazione delle partecipazioni acquisite ed alla deducibilità degli accantonamenti a fronte di garanzie prestate a favore del debitore.

      2. Quando il debitore intende ristrutturare le passività verso una parte soltanto dei creditori e ha già ottenuto sulla proposta, all'atto della sua presentazione, il consenso della maggioranza degli appartenenti alla classe o a ciascuna delle classi interessate, si applica l'articolo 6, con semplificazione di adempimenti e accelerazione dei tempi.

Art. 9.
(Gruppi di imprese).

      1. La disciplina delle procedure concorsuali che riguardano imprese appartenenti

 

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a gruppi, salva la disciplina speciale applicabile alle imprese bancarie e assicurative e a quelle autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, deve ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) prevedere che, ove il debitore che chiede di accedere alla procedura di ristrutturazione delle passività sia una società collegata ad altre società o imprese dalla soggezione, ai sensi degli articoli 2497 e seguenti del codice civile, all'attività di direzione e coordinamento di una medesima società o ente, la stessa domanda, con il relativo piano di ristrutturazione delle passività, possa essere presentata dalle altre società o imprese del gruppo, rispetto alle quali sussiste il presupposto oggettivo individuato dalla legge, ovvero dalla società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, anche per conto delle società o imprese soggette a detta attività; prevedere che la competenza territoriale si radichi, per tutte le società, presso il tribunale del luogo in cui ha sede la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, oppure la società del gruppo che per prima ha presentato domanda di ammissione alla procedura;

          b) prevedere che, ove più società o imprese appartenenti allo stesso gruppo siano ammesse alla procedura di ristrutturazione delle passività, possano essere nominati un unico giudice delegato ed un unico organo commissariale; prevedere che quest'ultimo sia titolare di un potere di iniziativa e di impulso per la propagazione della procedura nell'ambito del gruppo;

          c) prevedere che i medesimi princìpi e criteri direttivi di cui alle lettere a) e b) si applichino, in quanto compatibili, anche nel caso di assoggettamento di più società o imprese insolventi dello stesso gruppo alla procedura di insolvenza; che in tale caso siano identificati i criteri per la ripartizione delle spese della procedura fra le diverse società del gruppo e per la soluzione dei possibili conflitti d'interesse attraverso la nomina di curatori speciali;

 

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          d) prevedere che l'accertamento del presupposto oggettivo della procedura venga compiuto con riferimento a ciascuna società o impresa del gruppo, salva la possibilità che, ai fini dell'accertamento medesimo, si attribuisca rilievo all'esistenza in concreto di collegamenti economici e finanziari con le altre società o imprese appartenenti allo stesso gruppo;

          e) prevedere che, nel caso in cui più imprese o società del gruppo, assoggettate alla procedura di insolvenza, siano interessate a presentare una proposta di concordato, la proposta possa essere unica per le diverse società del gruppo, ferma restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive;

          f) prevedere che, sussistendone i presupposti oggettivi, la società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento sia assoggettabile alla procedura di ristrutturazione delle passività o alla procedura di insolvenza anche quando non esercita alcuna attività direttamente produttiva di beni o di servizi;

          g) prevedere che l'ammissione alla procedura di ristrutturazione delle passività, ovvero l'assoggettamento alla procedura di insolvenza di una società o impresa sottoposta all'altrui attività di direzione e coordinamento, comporti la cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, senza che ciò implichi l'applicazione dell'articolo 2497-quater, primo comma, lettera c), del codice civile, in punto di recesso;

          h) prevedere che nello svolgimento delle procedure, sia nella fase dell'eventuale esercizio dell'attività d'impresa, sia nella fase liquidatoria, vengano tenuti fermi i princìpi dell'autonomia dei soggetti e della separatezza delle rispettive masse attive e passive, salva la legittimità di eventuali coordinamenti nelle modalità e nelle strategie di gestione e di liquidazione, qualora ciò sia vantaggioso nell'interesse dei creditori di ciascuna società;

          i) prevedere una particolare disciplina degli atti pregiudizievoli ai creditori

 

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esterni al gruppo, compiuti nei confronti di società appartenenti allo stesso gruppo al momento del compimento dell'atto, mediante agevolazioni in ordine alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza o della conoscenza del pregiudizio per i creditori, ovvero mediante allungamento del periodo sospetto, nonché, in caso di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati a società del gruppo, agevolazioni circa la prova dello scopo di favorire tali società a danno degli altri creditori; coordinare detta disciplina con quella dell'obbligo di restituzione posto a carico delle società del gruppo, con riferimento ai finanziamenti da queste erogati sotto qualsiasi forma alla società sottoposta alla procedura concorsuale e all'ipotesi in cui detti finanziamenti siano stati rimborsati nell'anno anteriore alla dichiarazione dell'insolvenza, ai sensi degli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile;

          l) fare riferimento, per l'individuazione della nozione di gruppo, agli articoli 2497 e seguenti del codice civile, disciplinando modalità, presupposti, termini prescrizionali ed obiettivi dell'azione di responsabilità prevista dal medesimo articolo 2497 a carico della società o dell'ente che ha esercitato l'attività di direzione e coordinamento nei riguardi della società assoggettata alla procedura concorsuale;

          m) attribuire al curatore la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti delle società ed enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento della società sottoposta alla procedura concorsuale, hanno agito nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società medesima, per il pregiudizio arrecato alla società e per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della stessa;

          n) attribuire al curatore la legittimazione a fare valere le responsabilità di chi ha comunque preso parte ai fatti lesivi connessi all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento della società sottoposta alla procedura concorsuale in violazione

 

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dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società medesima, nonché di chi ne ha consapevolmente tratto beneficio, nei limiti del vantaggio conseguito.

Art. 10.
(Sanzioni penali e amministrative).

      1. La disciplina delle sanzioni penali e amministrative delle procedure concorsuali dovrà ispirarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) prevedere i seguenti delitti:

              1) bancarotta patrimoniale, consistente nel fatto dell'imprenditore il quale, anche con atti simulati, distrae, occulta, distrugge o sottrae elementi del patrimonio destinati alla soddisfazione dei creditori, ovvero aumenta fittiziamente le passività; prevedere che le condotte devono cagionare o aggravare il dissesto; prevedere la pena della reclusione da due a sei anni; escludere l'esistenza di una distrazione punibile per le operazioni realizzate nei rapporti fra società sottoposte all'attività di direzione e coordinamento di una medesima società o ente, ovvero nei rapporti fra la società o l'ente esercente l'attività di direzione o coordinamento e le società che vi sono sottoposte, qualora si tratti di condotte poste in essere secondo princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, da valutare all'epoca dei fatti;

              2) bancarotta documentale, consistente nel fatto dell'imprenditore che, in stato di insolvenza occulta, sottrae, distrugge, altera i libri o le scritture contabili o li tiene difformemente dal vero; prevedere che le condotte devono essere idonee a impedire od ostacolare gravemente la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; prevedere la pena della reclusione da uno a sei anni; prevedere la responsabilità per gli stessi fatti commessi, fuori dai casi di concorso, dagli esperti, consulenti, revisori e amministratori o dipendenti delle società di

 

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revisione, che hanno avuto la gestione o la disponibilità di libri o di scritture contabili dell'imprenditore o di elaborazioni delle stesse;

              3) bancarotta preferenziale, consistente nel fatto dell'imprenditore che, in stato di insolvenza, fuori dai casi consentiti, effettua un pagamento od altra prestazione in favore di un creditore; prevedere che la condotta deve essere idonea a favorire senza giustificazione economica il creditore, con concreto pericolo di pregiudizio degli altri; prevedere la pena della reclusione da uno a quattro anni; prevedere la punibilità, con la stessa pena, del creditore che riceve il pagamento o altra prestazione solo qualora egli, consapevole dello stato di dissesto dell'imprenditore, lo induce con mezzi indebiti a effettuare il pagamento o la prestazione;

              4) concessione abusiva del credito, consistente nel fatto del creditore il quale, consapevole dello stato di insolvenza dell'imprenditore, al solo scopo di conseguire indebitamente garanzie o rimborsi, anche parziali, per crediti precedenti, o di occultare il dissesto, concede ulteriori crediti o finanziamenti, così cagionando un aggravamento del dissesto; specificare che deve trattarsi di un soggetto esercente professionalmente attività creditizia o finanziaria; prevedere la pena della reclusione da uno a quattro anni;

              5) ricorso al credito in stato di insolvenza, consistente nel fatto dell'imprenditore il quale, consapevole del proprio dissesto, lo occulta per richiedere ulteriore credito; prevedere che la condotta deve essere idonea ad aggravare il dissesto; prevedere la pena della reclusione da sei mesi a tre anni;

              6) falsità nelle relazioni, nelle situazioni patrimoniali o nelle comunicazioni imposte dalla legge nelle procedure di esdebitazione prevista dall'articolo 4, di ristrutturazione delle passività prevista dall'articolo 6, di composizione negoziale delle crisi prevista dall'articolo 8, consistente nel fatto del debitore o dell'imprenditore che, nelle situazioni patrimoniali,

 

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nelle relazioni o in altre comunicazioni imposte dalla legge nell'ambito delle procedure medesime, espone false informazioni, idonee a trarre in errore i destinatari; prevedere la pena della reclusione da uno a cinque anni;

              7) mercato di voto, consistente nel fatto del debitore e del creditore che, direttamente o per interposta persona, stipulano indebiti vantaggi a favore del creditore per influenzarne il voto nel corso della procedura concorsuale; prevedere la pena della reclusione da sei mesi a tre anni; prevedere la medesima pena per colui che ha contrattato con il creditore nell'interesse del debitore; estendere la responsabilità anche al debitore non imprenditore che presenta domanda di ammissione ad una procedura concorsuale;

              8) insinuazione di crediti fittizi, consistente nel fatto di chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, presenta domanda di ammissione al passivo della procedura di insolvenza per crediti inesistenti o con cause di prelazione simulate; prevedere la pena della reclusione da sei mesi a due anni;

          b) prevedere che la punibilità dei delitti previsti dalla lettera a), numeri 1), 2), 3), 4), 5, 7) e 8), sia subordinata, ai sensi dell'articolo 44 del codice penale, all'accertamento dello stato di insolvenza in sede civile;

          c) prevedere la punibilità dei fatti di cui alla lettera a), numeri da 1) a 3), anche se commessi dopo la dichiarazione di insolvenza;

          d) prevedere che, nel caso di commissione di più fatti tra quelli previsti dalla lettera a), numeri 1), 2), 3) e 5), si applica la pena stabilita per il fatto più grave, aumentata fino al triplo;

          e) prevedere, qualora il debitore sia una società o l'impresa sia gestita da una società, la responsabilità per i delitti previsti dalla lettera a) a carico degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, con l'estensione prevista dall'articolo 2639 del codice civile; estendere la

 

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responsabilità per i reati concorsuali all'institore dell'imprenditore;

          f) prevedere come circostanza aggravante speciale dei reati societari, con aumento della pena fino alla metà, il fatto che l'illecito sia stato commesso in stato di insolvenza ovvero abbia cagionato, aggravato o dissimulato il dissesto della società;

          g) prevedere la diminuzione della pena fino alla metà per i delitti di cui alla lettera a), numeri da 1) a 3), nei confronti dell'imprenditore che, dopo la commissione del fatto, abbia richiesto l'apertura di una procedura concorsuale e, in rapporto alle sue condizioni economiche, si sia efficacemente adoperato per eliminare o ridurre sensibilmente il pregiudizio per i creditori;

          h) prevedere che, nei delitti di cui alla lettera a), la durata della prescrizione prevista dall'articolo 157 del codice penale non risenta della presenza di circostanze, fatta eccezione per le circostanze attenuanti ad effetto speciale;

          i) prevedere l'applicabilità, nei confronti del curatore della procedura di insolvenza e dei suoi coadiutori, delle disposizioni relative ai reati societari, in quanto compatibili con le relative funzioni; escludere, nei confronti dei medesimi soggetti, l'applicabilità delle disposizioni relative ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione; prevedere l'estensione della responsabilità anche nei confronti del curatore delle procedure di insolvenza non riguardanti società e nei confronti del commissario giudiziale; prevedere altresì i seguenti delitti:

              1) infedeltà del curatore, consistente nel fatto del curatore della procedura di insolvenza o dei suoi ausiliari, che, avendo un interesse in conflitto con il corretto svolgimento della procedura concorsuale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono atti della procedura, cagionando un pregiudizio agli interessi dei creditori; prevedere la pena della reclusione da uno a cinque anni;

 

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              2) corruzione del curatore, consistente nel fatto del curatore della procedura di insolvenza o dei suoi ausiliari, che, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti della procedura, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando un pericolo agli interessi dei creditori; prevedere la pena della reclusione da uno a sei anni; prevedere l'applicazione della medesima pena nei confronti di colui che dà o promette l'utilità;

          l) prevedere la legittimazione esclusiva del curatore a costituirsi parte civile nel processo penale per il risarcimento dei danni patrimoniali cagionati dai delitti previsti dalla lettera a);

          m) prevedere la responsabilità amministrativa delle società, ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, qualora in alcuno dei delitti previsti nella lettera a), numeri 1), 2) e 3), e nella lettera i), numero 1), concorrano amministratori o dirigenti o dipendenti delle società medesime o, nel caso previsto dalla citata lettera a), numeri 3), nell'ipotesi di induzione al pagamento o ad altra prestazione, 4), 7) e 8), e nella citata lettera i), numero 2), nell'ipotesi di utilità data o premessa, i fatti siano, dagli stessi soggetti, autonomamente realizzati; prevedere la sanzione amministrativa da duecento a seicento quote e le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere b), c) e d), del citato decreto legislativo n. 231 del 2001;

          n) prevedere come disposizione transitoria l'applicabilità delle nuove disposizioni ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all'articolo 1 della presente legge, secondo il disposto dell'articolo 2, terzo comma, del codice penale; qualora per tali fatti sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, prevedere che il giudice dell'esecuzione possa dichiararne la revoca, ai sensi dell'articolo 673 del codice di procedura penale e dell'articolo 2, secondo comma, del codice penale, solo nel caso in cui gli elementi specializzanti inseriti nelle

 

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nuove fattispecie siano stati oggetto di accertamento in sede di giudizio e la loro sussistenza sia stata esclusa;

          o) abrogare le disposizioni incompatibili con quelle introdotte in attuazione del presente articolo; coordinare ed armonizzare con queste ultime le norme sanzionatorie vigenti, al fine di evitare duplicazioni o disparità di trattamento rispetto a fattispecie di identico disvalore, anche mediante abrogazione, riformulazione o accorpamento delle norme stesse, individuando altresì la loro più opportuna collocazione.
    


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