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PDL 5229

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5229



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DANIELE GALLI, SANZA, RAMPONI, PERROTTA, EMERENZIO BARBIERI, BURANI PROCACCINI, DI TEODORO, FRAGALÀ, LOSURDO, MILANESE, PATRIA, RAISI, RANIELI, RICCIUTI, SANTORI

Norme per il contrasto alla discriminazione dei minori e della condizione femminile anche in ambito scolastico, nonché sull'uso del vestiario etnico tendente ad occultare la persona

Presentata il 5 agosto 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 3 della Costituzione sancisce, in particolare, che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzioni di sesso, e indica come primario compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini o impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Il rispetto dei diritti dell'uomo in quanto tale, che si acquisiscono dalla nascita, non è solo oggetto della ratifica di trattati e convenzioni internazionali, ma è soprattutto il fondamento dell'intera società italiana e fonte primaria e ineludibile della legge dello Stato. Tra i diritti inalienabili dell'uomo si colloca il principio dell'uguaglianza fra donna e uomo, uguaglianza che nel lungo percorso della storia sociale del Paese si è sancita prima nella Costituzione e in seguito in numerosi atti normativi. Tali diritti di uguaglianza si applicano non solo ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri che risiedono nel territorio italiano, ai quali devono essere garantiti e ai quali si richiede parimenti di rispettarli. Non appare ammissibile che violazioni di tali diritti, anche se apparentemente lievi, possano essere ammesse e tollerate da parte di alcuno, nemmeno in nome della preservazione di tradizioni culturali in uso nei Paesi di provenienza degli immigrati, così come agli italiani residenti all'estero in alcuni specifici Paesi, viene chiesto e molte volte imposto di rispettare le norme del Paese che li ospita e di non manifestare le tradizioni religiose, culturali e anche gastronomiche proprie, se in contrasto con tali norme.
      Lo scopo della presente proposta di legge è quello di impedire l'attuazione di comportamenti lesivi della dignità dei minori e della donna da parte delle famiglie, nei confronti delle bambine e delle ragazze
 

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minori, in ossequio a tradizioni culturali a noi estranee, e in contrasto con i dettati costituzionali italiani e comunitari, come in particolare in molte comunità islamiche che impongono di fatto l'adozione di atteggiamenti volti a considerare la femminilità un fattore non paritario in senso negativo rispetto a quello maschile, con la conseguente accettazione di una condizione culturale della donna di inferiorità all'uomo.
      Tali comportamenti sono diffusi, per stessa ammissione di diversi esponenti delle comunità islamiche presenti in Italia, come risulta da dati accessibili tramite INTERNET di cui si cita, ad esempio, lo scritto di Fadia Al Beik, dal sito Arab Monitor: «Il hijab, la copertura, è un obbligo divino verso le proprie fedeli, oltre che una forma di protezione dalle possibili conseguenze dell'eccitazione maschile nel vedere le forme di una donna. Inoltre, si tratta di un gesto di rispetto nei confronti del proprio marito o dei propri genitori o fratelli, gli unici autorizzati a vedere la "nudità" della donna. Il hijab, perciò, rappresenta il rispetto e la protezione della donna, costituisce una barriera al desiderio dell'uomo e allontana i rapporti sessuali illeciti. La donna, perciò, oltre a celare i capelli, considerati simbolo di femminilità, deve anche coprirsi dai polsi alle caviglie, lungo tutto il corpo, dal seno fino al collo, lasciando scoperti mani, viso e piedi. Esistono vari tipi di copricapi. Il hjiab, chador in persiano, è originalmente soltanto un velo che copre i capelli delle donne. Il rosari, letteralmente copritesta, è il nome originario dell'abbigliamento comunemente definito chador in Iran. Si tratta di un'unica veste, per lo più di color nero, che avvolge il volto e ricopre tutto il corpo della donna. Il niqab, diffuso prevalentemente nei paesi musulmani sunniti, è un velo integrale nero che non lascia trasparire nulla del corpo della donna ad eccezione degli occhi che si intravedono da due fori. Il burqa, abbigliamento tradizionale delle donne afghane, è un indumento che ricopre tutto il corpo e ha una sorta di grata all'altezza degli occhi che consente di vedere: i Talebani obbligavano tutte le donne a indossarlo».
      L'uso del velo in qualunque forma è il primo atto materiale che viene subìto dalle bambine di molte famiglie islamiche volto a riaffermare la sudditanza della donna rispetto all'uomo, e il permettere che nelle scuole italiane tale simbolo venga ostentato si configura come un ostacolo all'insegnamento del senso di giustizia e del rispetto umano ai nostri figli, una contraddizione tra il sancire una uguaglianza nelle parole e il permettere la sua negazione nei fatti.
      Il velo non è altro che un fatto prodromico a quanto avviene in molte delle nazioni di origine quali l'infibulazione, la vendita per matrimonio, la bigamia, il ripudio, la lapidazione. Un apparente gesto tradizionale ad una attenta lettura si rivela invece il simbolo di una discriminazione sottile, in quanto tale discriminazione viene instillata come fatto naturale e necessario nelle bambine, che vengono «educate» ad accettare e a perpetuare tale discriminazione. Quanto avvenuto recentemente in Turchia fra le persone che hanno assistito alla morte per annegamento di alcune ragazze senza intervenire per motivi di coerenza religiosa, o l'assurda pretesa di immergersi in una piscina pubblica italiana totalmente vestita da parte di una ragazza di fede musulmana, sono esempi di una forma mentis incompatibile con la nostra cultura, con la nostra sensibilità e con la nostra legge.
      Un Paese civile non può accettare che il simbolo di tale costrizione sulla donna trovi posto nei luoghi dell'educazione, della formazione e del sapere. Mentre nella realtà privata delle famiglie si deve fortemente agire portando culturalmente il plusvalore del rispetto dei diritti della donna in quanto essere umano, nella realtà pubblica, quale quella delle scuole, abbiamo il dovere di non consentire che alcuno ostenti o faccia ostentare il segno della propria impudenza nel violare tale diritto.
      Se l'uso del chador, o meglio del hijab, deve essere una libera scelta della singola donna, ebbene, che lo sia veramente: alla donna si diano gli strumenti per scegliere.
 

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È legittima, da un lato, la lecita facoltà delle famiglie di trasmettere i princìpi religiosi in cui ripone la fede, e, dall'altro, la consapevolezza che, in Italia, una donna ha gli stessi diritti dell'uomo, che è normale che maschi e femmine studino insieme, facciano ginnastica insieme, che il corpo femminile non è solo fonte di irresistibili pulsioni per l'uomo, e che l'agire di ogni singolo individuo deve essere ispirato solo da proprie convinte scelte.
      In tale ottica, viene presentata la proposta di legge, che si compone di tre articoli.
      All'articolo 1, comma 1, si sancisce il divieto di indossare lo hijab, il chador, il rosari, il burqa o il niqab o altro abbigliamento etnico limitante per gli studenti nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Al comma 2 si prevede espressamente su tutto il territorio italiano il divieto di frequentare luoghi pubblici o aperti al pubblico con abiti o copricapi che non permettano il riconoscimento della persona con esclusione di specifiche occasioni.
      All'articolo 2 si prevede che il Governo adotti norme atte alla promozione di progetti culturali volti alla valorizzazione dei diritti dei minori e delle donne nonché al loro rispetto, destinate agli studenti della scuola dell'obbligo nonché alle comunità di cittadini extracomunitari tra cui quelle islamiche, nonché direttamente alle famiglie.
      All'articolo 3 si individuano le sanzioni per i contravventori.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. È fatto divieto ai minori e agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado anche di età superiore ai diciotto anni di indossare lo hijab, il chador, il rosari, il burqa o il niqab nelle aule degli istituti scolastici, nonché altro abbigliamento etnico non specificatamente caratteristico nell'ambito culturale delle singole regioni, o comunque che può indurre limitazione o palese costrizione al soggetto.
      2. È fatto divieto a chiunque di indossare in luoghi pubblici o aperti al pubblico abiti e copricapi che non ne permettono il riconoscimento, con esclusione di quanto stabilito dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, dalle discipline sportive, da specifiche condizioni sanitarie o in occasione di particolari ricorrenze storiche o nel corso di consolidate e ricorrenti festività.

Art. 2.

      1. Il Governo provvede all'adozione di norme atte alla promozione di progetti culturali volti alla valorizzazione dei diritti dei minori e delle donne nonché al rispetto degli stessi soggetti, destinate agli studenti della scuola dell'obbligo e alle comunità di cittadini extracomunitari, in particolare a quelle islamiche.

Art. 3.

      1. Chiunque contravviene ai divieti di cui all'articolo 1 è punito con la sanzione amministrativa pari a 1.000 euro elevabile fino a 5.000 euro in caso di recidiva.
      2. Se il fatto di cui al comma 1 è commesso da minori di diciotto anni la sanzione prevista dal medesimo comma è posta a carico del padre o della madre o del tutore del minore.


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