|
|
CAMERA DEI DEPUTATI
|
N. 5025 |
Gli aspetti cruciali di una politica a sostegno delle famiglie.
Nel nostro Paese ci sono più vecchi che bambini e ragazzi.
La quota di popolazione con età superiore ai 65 anni passerà dall'attuale 18 per cento al 28 per cento nel 2030 e al 34 per cento nel 2050. Mentre il tasso di fecondità è all'1,25 per cento.
Nel nostro Paese la spesa sociale destinata alla maternità e alla famiglia è del 3,7 per cento, mentre la media europea è dell'8,5 per cento. Per colmare questo divario si dovrebbe sostenere un onere aggiuntivo di 13 miliardi di euro (25.000 miliardi di vecchie lire).
Ciò a fronte di un elevato costo dei figli. Non è possibile quantificare il costo del mantenimento, della cura e dell'educazione dei figli in tutti i suoi aspetti. Anche il semplice costo economico sfugge a una valutazione di validità generale: troppo diverse sono le istituzioni familiari.
Per farsi un'idea si possono tenere presenti le analisi effettuate nel Convegno internazionale di Bologna del 1996, dedicato all'esame del costo dei figli. Le ipotesi più attendibili formulate in quel Convegno prevedono che il mantenimento di un figlio comporti un costo della seguente dimensione media: 485 euro mensili per un bambino fino a 6 anni; 710 euro mensili per un ragazzo oltre i 6 anni.
Secondo studi effettuati da diversi economisti, il costo di un figlio è pari a un aumento del 25 per cento del reddito familiare. All'arrivo del secondo e del terzo figlio si riduce la compensazione di reddito ulteriormente necessario alla famiglia: nel caso del secondo figlio le stime vanno da + 17 per cento a + 30 per cento e per il terzo figlio da + 18 per cento a + 35 per cento.
Nel nostro Paese c'è un'asimmetria tra donne e uomini nella cura dei figli e nel lavoro familiare che, nonostante i passi in avanti confermati dall'utilizzo del congedo parentale (legge n. 53 del 2000), sembra poco scalfita. Secondo i dati ISTAT del 2002 il 50,4 per cento delle donne con bambini piccoli (sotto i cinque anni) lavora 60 o più ore alla settimana. Tale numero di ore è condiviso solo dal 21,7 per cento dei padri.
Un grande numero di donne abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Il 20,1 per cento delle madri occupate al momento della gravidanza ha smesso di lavorare dopo la nascita del figlio. Per diversi motivi. Nel 69 per cento dei casi si sono licenziate, nel 23,9 per cento dei casi il contratto era scaduto, nel
Le politiche familiari nei Governi de L'Ulivo.
I Governi de L'Ulivo avevano avviato una politica per la famiglia che aveva perseguito i seguenti obiettivi: sostenere la maternità e la paternità; promuovere i diritti dell'infanzia; sostenere il costo economico dei figli; favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; sostenere le famiglie più povere e con fragilità.
Puntammo su un mix di strumenti: assegni monetari, detrazioni fiscali, rete dei servizi, congedi parentali.
Governo Prodi:
a) legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza»;
b) aumento degli assegni al nucleo familiare e aumento delle detrazioni fiscali per figli e familiari a carico;
c) istituzione dell'assegno di maternità per le donne prive di copertura previdenziale;
d) istituzione in via sperimentale del reddito minimo di inserimento;
e) leggi a favore delle persone disabili;
f) legge n. 53 del 2000, recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura ed alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città»;
g) legge n. 328 del 2000, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali».
Provvedimenti nelle politiche sociali e familiari dei Governi de L'Ulivo.
Interventi fiscali.
Nella seconda metà degli anni novanta, si è proceduto, nell'ambito della più complessiva riforma fiscale del centrosinistra, a una revisione delle aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) combinata con più generose detrazioni per i carichi familiari e per alcuni tipi di spese e a una razionalizzazione del prelievo sugli immobili con più consistenti detrazioni IRPEF per la casa in affitto e per la prima casa e la possibilità per i comuni di ampliare il differenziale dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) a favore della casa di abitazione:
a) riduzione del numero delle aliquote e ampliamento degli scaglioni di reddito;
b) aumento e articolazione delle detrazioni per lavoro dipendente e autonomo, per redditi da pensione e per carichi familiari; queste ultime sono cresciute dal 1996 al 2000 di 5.800 miliardi di lire, arrivando in totale a circa 13.000 miliardi (stime Commissione di indagine sull'esclusione sociale), e sono stati ulteriormente aumentate con la legge finanziaria per il 2001 (legge n. 388 del 2000);
c) introduzione di forme di deduzione per servizi di assistenza;
d) ampliamento della deduzione IRPEF per la casa di abitazione e, in fine, sua totale esenzione (con effetti distributivi assai discutibili!);
e) introduzione di una detrazione per i canoni di locazione;
f) introduzione di una deducibilità parziale delle spese per il recupero edilizio;
g) aumento da parte dei comuni delle detrazioni ICI per la prima casa;
h) agevolazioni dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) per la prima casa e per gli interventi di manutenzione;
i) forti riduzioni nell'imposta sulle successioni e donazioni.
Interventi sociali.
a) aumenti delle pensioni sociali e delle pensioni minime;
b) aumenti degli assegni familiari (con la previsione, con riferimento a questi ultimi, di un progressivo passaggio del loro finanziamento alla fiscalità generale); le risorse destinate a questo istituto sono cresciute di circa 3.000 miliardi di lire tra il 1996 e il 2000 (stime Commissione di indagine sull'esclusione sociale);
c) costituzione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISE);
d) introduzione dell'assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori e con ISE pro-capite inferiore a 13 milioni e 170 mila lire annue (l'assegno è stato pari nel 2001 a 13 mensilità dell'importo di 208 mila lire);
e) introduzione dell'assegno di maternità per le donne prive di copertura previdenziale e con l'ISE pro-capite inferiore a 25 milioni e 549 mila lire annue (l'assegno è stato pari nel 2001 a 500 mila lire mensili per cinque mensilità);
f) sperimentazione in 39 comuni (e dal 2001 nei comuni appartenenti alla relativa area di patto territoriale) del Reddito minimo di inserimento (RMI) destinato a persone il cui reddito mensile pro-capite è inferiore a 520 mila lire e il cui ammontare è pari alla differenza tra questa soglia e il reddito effettivo (nel computo di quest'ultimo il reddito da lavoro entra al 75 per cento);
g) fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo destinata ad alunni della scuola dell'obbligo il cui nucleo familiare abbia un reddito annuo inferiore a 30 milioni di lire (non quindi in base all'ISE);
h) contributo per il pagamento di canoni di locazione non superiore a 6 milioni di lire l'anno e riservato a nuclei familiari con reddito annuo imponibile non superiore a due pensioni minime dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e incidenza del canone sul reddito non inferiore al 14 per cento;
i) congedi parentali che rendono più flessibile la gestione dell'astensione obbligatoria per la madre lavoratrice e allargano la possibilità di astensione facoltativa per il padre.
Un progetto alternativo a quello del centro-destra.
Vogliamo prenderci cura della vita delle famiglie italiane. Esse sono una priorità della nostra agenda politica.
La famiglia non è una bandiera da sventolare gli uni contro gli altri per convenienze politiche. Le famiglie sono luoghi di costruzione di legami sociali, di assunzione di responsabilità tra generazioni, di formazione e di crescita delle persone. Hanno bisogno di politiche concrete e non di scontri ideologici. Hanno bisogno di attenzione, di rispetto e non di una cinica e strumentale speculazione populista.
Con il Governo Berlusconi siamo tornati al «familismo amorale», quello che blandisce le famiglie, carica su di loro molte responsabilità, ma non riconosce diritti e risorse. Per il nostro Governo non esistono famiglie normali ma solo famiglie giganti capaci di assumersi tanti onori e oneri da espletare in perfetta solitudine.
Famiglie riverite, ma che meritano, per il nostro Governo, solo il luccichìo di qualche spot pubblicitario.
La previsione - contenuta nel decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, collegato alla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) - di un bonus bimbo, per il secondo figlio, di 1.000 euro, erogato a prescindere dal reddito alle donne italiane e comunitarie, ma non a quelle extracomunitarie (escluse, queste ultime, perché fanno già molti figli), è un concentrato di cinismo, di valori regressivi, di inefficacia. Per il Governo, i bambini che meritano aiuto sono solo quelli nati dal 1o dicembre 2003 e fino al 31 dicembre 2004. E così, apprendiamo dall'ISTAT che beneficeranno di questo provvedimento, e dello sgravio del 36 per cento sulle ristrutturazioni edilizie, poco più di un milione di famiglie (su oltre 21 milioni di famiglie italiane), con un guadagno medio di 415 euro. In tal modo non contano i padri, le madri, i bambini; non contano l'equità e l'efficacia redistributiva. Conta solo il messaggio simbolico, il valore del nascere. Un valore deturpato, perché non accompagnato da una presa in carico reale del bambino che nasce, ma dall'illusione del potere magico di un misero incentivo economico. Vengono monetizzati, a basso costo, il desiderio di maternità e la fatica di crescere un figlio.
I fondamenti e gli strumenti per una politica a sostegno delle famiglie.
Quali, allora, i fondamenti di una politica di sostegno alle famiglie che non presenti i rischi di vincolare le libertà individuali e di creare forme di dipendenza obbligate, ma insieme incoraggi e sostenga assunzione di responsabilità e di legami entro le famiglie e fra le generazioni?
Tali fondamenti risiedono:
a) nella riaffermazione della titolarità dei diritti dei singoli; non si può indebolire tale titolarità a favore dei diritti di gruppo, a partire dai diritti delle bambine e dei bambini;
b) nell'aumentare i gradi di libertà degli individui e delle famiglie ampliando le opzioni, ma anche le risorse per farle valere, inclusa l'opzione di avere figli o di accudire familiari non autosufficienti senza per questo dover pagare prezzi troppo alti o irreversibili;
c) nel riconoscimento e nel sostegno del valore sociale della responsabilità che ciascuno assume liberamente nei confronti di chi non è ancora o non è più autonomo, innanzitutto il valore delle responsabilità tra generazioni.
E ancora:
a) nel coniugarsi della mutualità, della solidarietà e del lavoro di cura, soprattutto per quanto riguarda le donne, con i diritti di pari opportunità;
b) nelle soluzioni al problema del tempo e della sua diversa distribuzione.
Quanto agli strumenti, continuiamo a pensare che solo un mix (fatto di servizi alle persone, interventi fiscali, trasferimenti monetari, insieme alla piena e buona occupazione, in particolare femminile, e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare) possa garantire un reale sostegno alle responsabilità familiari. C'è una peculiarità italiana, la cui soluzione è dirimente per avere i figli desiderati e dunque per un'efficace politica familiare: la difficile conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare.
Fare pace tra lavoro e famiglia: questa è la scommessa che insieme, lavoratrici e lavoratori, imprese, sindacati, enti locali e governo devono vincere.
La pace tra lavoro e famiglia consente stili di vita più umani basati sulla mescolanza tra lavoro, cura, tempo per la famiglia, tempo per sé. La pace tra lavoro e famiglia è anche un'opportunità per le imprese perché consente loro di incrementare la produttività del lavoro valorizzando le risorse umane. Costruire un patto tra esigenze delle persone ed esigenze delle imprese può essere utile anche a queste ultime perché costruisce un clima collaborativo e incide sull'assenteismo, sulle malattie, sul turn-over.
Perché una legge e non solo un pacchetto di provvedimenti concreti a sostegno delle responsabilità familiari?
Per proporre un messaggio culturale forte: ci prendiamo cura della vita quotidiana delle famiglie. Perché siamo consapevoli di quanto siano importanti i legami familiari nella formazione delle persone e nella promozione del loro benessere. Perché siamo consapevoli che investire
1) implementare le leggi già vigenti e prevedere nuovi strumenti e opportunità a sostegno delle responsabilità familiari;
2) superare ogni forma di discriminazione esistente in materia di diritti sociali e civili nei confronti delle convivenze al di fuori dal matrimonio.
I contenuti della proposta di legge.
A)
La promozione e il sostegno delle famiglie non possono essere fatti sporadici e non possono essere affidati solo a leggi settoriali. Essi, per diventare effettivi, concreti e significativi devono orientare l'insieme delle scelte di politica economica, sociale, sanitaria, culturale, ambientale, di uso del territorio e della mobilità. Devono vincolare e orientare risorse in tutti i settori della politica economica e sociale. Per questo proponiamo l'introduzione del «parametro famiglia» definito dagli indicatori
a) monitorare il grado di benessere/malessere delle famiglie e migliorare la comprensione dei fenomeni che inducono gli stati di benessere/malessere nelle famiglie;
b) valutare non solo la realizzazione di prestazioni e di servizi, ma anche e soprattutto i risultati (gli esiti sulla persona), gli impatti (gli esiti più generali raggiunti rispetto la qualità sociale del territorio) delle politiche rivolte alle famiglie (in altri termini, sono privilegiati gli indicatori che si riferiscono agli esiti sociali, anziché ai mezzi utilizzati per conseguirli).
Gli indicatori dovranno rilevare condizioni di benessere/malessere legati sia a fattori personali dei componenti le famiglie, sia a fattori socio-ambientali.
Fattori personali/individuali:
1) livello di istruzione;
2) stato occupazionale degli individui;
3) la famiglia e il carico di «cura» per ogni componente;
4) la situazione abitativa;
5) lo stato di salute;
6) le risorse economiche (individuali e familiari);
7) i consumi.
Fattori socio-ambientali:
1) la qualità dei servizi (sociali, sanitari, di avvio al lavoro, formativi, abitativi, di mobilità);
2) la qualità della vita:
il traffico;
l'inquinamento;
la sicurezza;
le aree verdi;
la fruibilità del patrimonio artistico;
l'utilizzo del tempo libero;
il senso civico, la cittadinanza attiva;
la relazione e l'espressione multi-culturale;
la solidarietà sociale.
Princìpi metodologici per definire gli indicatori:
a) l'indicatore dovrà avere un'interpretazione normativa chiara e accettata;
b) l'indicatore dovrà essere omologato dal punto di vista statistico;
c) l'indicatore dovrà essere misurabile in modo sufficientemente paragonabile in tutte le regioni e comparabile con le norme applicate a livello nazionale;
d) l'indicatore dovrà essere tempestivo e soggetto a revisione;
e) il gruppo di indicatori dovrà essere il più possibile trasparente e accessibile per i cittadini italiani.
Gli indicatori dovranno essere condivisi dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 e dai soggetti della governance previsti dall'articolo 1, commi 4 e 6, della legge n. 328 del 2000.
La priorità della legge è la realizzazione della rete integrata dei servizi e delle prestazioni sociali alle persone e alle famiglie. Oggi esiste, pertanto, l'esigenza di applicare pienamente la legge quadro n. 328 del 2000 «per un sistema integrato di interventi e di partecipazione».
Al titolo V della parte seconda della Costituzione, l'articolo 117, secondo comma, afferma che «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
I livelli essenziali degli interventi e dei servizi sociali sono garantiti per:
a) disegnare e realizzare nuovi scenari adeguatamente strutturati, volti a garantire un'equa distribuzione delle possibilità e l'effettivo esercizio dei diritti di cittadinanza;
b) affermare una nuova generazione di diritti in grado di investire sulle libertà di ciascuno nonché di sostenere l'assunzione di compiti e di responsabilità.
I livelli essenziali delle politiche sociali - previsti all'articolo 22 della legge n. 328 e dal Piano sociale nazionale 2001-2003 - perseguono obiettivi di benessere sociale, tutelano e promuovono il diritto a star bene di ogni individuo, ovvero:
1) a sviluppare e a conservare le proprie capacità fisiche;
2) a svolgere una soddisfacente vita di relazione;
3) a riconoscere e a coltivare le risorse personali;
4) a essere membri attivi della società;
5) ad affrontare positivamente le responsabilità quotidiane.
I diritti esigibili con i livelli essenziali, rispetto ai compiti e alle responsabilità svolti dalle famiglie, dovranno garantire a ogni persona l'accesso ad una rete di sostegno e di «cura» integrata, monitorata per qualità e per risultati.
Secondo quanto previsto all'articolo 22, comma 4, della legge n. 328 del 2000, i livelli essenziali garantiscono in ogni ambito territoriale i seguenti diritti:
1) diritto all'informazione;
2) diritto alla valutazione del caso individuale/familiare;
3) diritto alla definizione di un percorso personalizzato condiviso;
4) diritto all'accompagnamento nel percorso stabilito;
5) diritto a prestazioni e a servizi personalizzati per le diverse componenti di cura, di assistenza e di sostegno personale e familiare.
I punti nevralgici che competono alla responsabilità del pubblico:
1) l'accesso ai servizi è presidiato dal pubblico, per garantire equità e prestazioni appropriate;
2) nei servizi di informazione il pubblico, con la Carta dei servizi, è garante
3) nella valutazione multidimensionale e nella predisposizione del progetto personalizzato, il pubblico garantisce la presenza di competenze professionali interdisciplinari, in grado di procedere a un esame delle risorse attivabili, proprie delle persone, delle famiglie, sociali e pubbliche;
4) per l'erogazione di prestazioni e di servizi da parte dei privati, al pubblico sono demandate le funzioni di autorizzazione e di accreditamento (articolo 11 della legge n. 328 del 2000, associazioni intercomunali, enti locali e terzo settore) per garantire il controllo e la valutazione della qualità dei servizi e dei risultati raggiunti;
5) nel sistema integrato di interventi e di servizi sociali, al pubblico è assegnato il compito di determinare la partecipazione al costo dei servizi da parte dell'utente sulla base delle condizioni economico-reddituali.
Lo Stato, sulla base delle indicazioni contenute nel Piano sociale nazionale 2000-2003, provvede al cofinanziamento dei livelli essenziali.
La domanda di diritti è inestricabilmente correlata alla domanda di democrazia: i cittadini, le famiglie vogliono condividere le decisioni che li riguardano e incidere su di esse.
Nella costruzione del sistema integrato dei servizi le famiglie partecipano da protagoniste alla progettazione e alla realizzazione dei servizi.
Si afferma così un nuovo rapporto tra la rete dei servizi alla persona e tutto quello che in termini di relazione e di risorse reali esiste dal lato dei destinatari (i cittadini utenti, le famiglie).
Niente a che fare con il «Welfare fai da te» a cui si richiama il Governo di centro-destra.
Si tratta, invece, di individuare risorse nascoste della società, che sono possedute e impiegate direttamente dalle persone e dalle famiglie nei processi di riproduzione sociale (competenze, tempo, energie) e di integrarle con i servizi garantiti dal pubblico per conseguire risultati in termini di qualità e di efficacia.
Una peculiare forma di «cittadinanza attiva dalla parte della domanda» che non si limiti a richiedere il rispetto dei diritti di cittadinanza, bensì che sia posta in condizioni di interagire secondo la regola del «decidere e fare insieme».
B) La conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare.
A partire dal capo II della proposta di legge, sono indicate le linee di intervento in materia di sostegno delle responsabilità familiari e del lavoro di cura che riguardano, in particolare, la conciliazione tra vita familiare (e personale) e vita professionale.
La scelta di intervenire sul tema si fonda sulle indicazioni comunitarie che chiedono di incrementare l'occupazione femminile e di garantire strumenti di conciliazione tra vita familiare e vita professionale, fino ad adottare la prospettiva della redistribuzione dei ruoli. Questo non significa dimenticare che, tuttora, sono soprattutto le donne a farsi carico in prevalenza dei ruoli familiari, anche quando lavorano a tempo pieno per il mercato, ma ribadire che una società è democratica se la partecipazione di donne e di uomini, nel lavoro e nella famiglia, è equilibrata e condivisa.
La strada scelta nella proposta di legge è quella che assume come centrale il binomio «lavoro-famiglia», del tutto trascurato nelle indicazioni dell'attuale Governo (anche nel cosiddetto «Libro bianco per la famiglia»), che considera singolarmente tali fattori, con il risultato di risospingere le donne verso i lavori precari e nelle mura domestiche, anziché consentire la conciliazione tra vita professionale e vita familiare.
Non possiamo dimenticare il divario che passa tra le lavoratrici subordinate tipiche e quelle impegnate nelle altre tipologie lavorative, sempre più precarie e discontinue. Nel considerare le persone nel mercato del lavoro professionale si
a) non più tutela antidiscriminatoria, minata alle fondamenta da deroghe ed eccezioni:
b) non più conciliazione tra vita professionale e vita familiare, ma entrata e uscita dal mercato del lavoro, senza protezione sociale;
c) prevalenza delle ragioni dell'impresa, senza alcun tentativo di contemperamento con le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori.
Così si accentueranno i divari. Crescerà il divario tra un ristretto numero di ipergarantiti e una massa crescente di precari, ricattati e parificati al ribasso. Si radicherà l'idea che, poiché si deve passare dalla tutela nel posto di lavoro alla tutela nel mercato del lavoro (peraltro senza
a) a chi svolge lavoro subordinato tipico:
1) per chi è impegnato nella cura di figli piccoli, mediante il miglioramento dei congedi parentali e il monitoraggio dei dati;
2) per chi è impegnato nella cura di familiari, mediante il miglioramento del congedo per gravi motivi di famiglia;
3) nel caso in cui questi familiari siano disabili, mediante il miglioramento dei provvedimenti per la disabilità;
b) a chi svolge lavoro meno protetto:
1) alle lavoratrici atipiche e discontinue;
2) alle straniere che svolgono lavoro di cura e di assistenza dei nostri familiari, consentendoci spesso di proseguire nell'attività lavorativa per il mercato, mediante il miglioramento dell'assegno di maternità per le lavoratrici atipiche e discontinue;
c) alle imprese che concedono flessibilità positiva alle persone con responsabilità familiari, mediante sgravi contributivi e/o credito di imposta, quale alternativa alla procedura troppo lenta di accesso ai finanziamenti previsti dall'articolo 9 della legge n. 53 del 2000.
Uno dei fili conduttori degli interventi proposti riguarda il rafforzamento della protezione economica.
È una scelta inevitabile nell'ambito dei lavori precari e atipici. Ad esempio, nei contratti a progetto, la relativa autonomia di svolgimento della prestazione comporta la sterilizzazione di qualsiasi tentativo di introdurre diritti di accesso a periodi di sospensione dell'attività per svolgere lavoro di cura di familiari. Occorre, quindi, intervenire sulla protezione economica, innalzando l'assegno di maternità per le lavoratrici atipiche e discontinue.
Se le risorse sono scarse, come questo Governo continuamente afferma, non si può pensare di erogare l'assegno per il secondo figlio in modo indifferenziato a tutti, a prescindere da soglie di reddito. Gli assegni legati alla nascita di figli sono già stati previsti nella precedente legislatura. Dobbiamo ora proseguire quel cammino e
a) portare alla copertura piena l'indennità di maternità, dato che correlativamente è previsto un divieto di adibizione al lavoro della lavoratrice;
b) consentire la rideterminazione dell'indennità qualora durante il periodo di assenza dal lavoro intervengano incrementi retributivi determinati dalla contrattazione collettiva. È un doveroso adeguamento all'orientamento della Corte di giustizia delle Comunità europee così come messo in rilievo nella relazione illustrativa al testo unico sulla maternità e paternità, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001;
c) garantire che, in caso di parti pretermine, vi sia un periodo di almeno tre mesi per la lavoratrice per la cura del figlio. In alcuni casi, il figlio viene dimesso dopo una lunga permanenza presso le strutture sanitarie e la madre non ha sufficiente tempo a disposizione di congedo di maternità per stabilire le prime indispensabili relazioni affettive;
d) consentire alla lavoratrice di limitare il periodo di divieto di lavoro nel caso in cui il figlio muoia.
Per quanto riguarda la conciliazione tra vita professionale e vita familiare e la ripartizione dei ruoli, un'importanza decisiva è assunta dai congedi.
La disciplina del congedo parentale va migliorata sotto il profilo economico, mediante il riconoscimento sia per la madre lavoratrice subordinata sia per il padre lavoratore subordinato, di un trattamento economico per il primo mese di congedo pari all'80 per cento della retribuzione.
Attualmente, come è noto, nel settore privato i primi sei mesi complessivamente fruiti dai genitori sono coperti con una indennità pari al 30 per cento della retribuzione.
Con questa riforma (articolo 6) si innalza l'indennità portandola, per il primo mese per ciascun genitore, all'80 per cento della retribuzione, parificandola all'attuale indennità di maternità o di paternità.
Questo significa che, se entrambi i genitori sono lavoratori dipendenti, ciascuno percepirà, per un mese, un trattamento quasi equivalente alla retribuzione normalmente spettante. In questo modo si innalza la protezione per la madre e per il padre, rendendo più conveniente la fruizione del congedo parentale.
L'obiettivo è quello di rendere effettiva la riforma introdotta nella legge n. 53 del 2000, che ha riconosciuto il diritto parentale a ciascun genitore. Può bastare ricordare quello che attualmente accade nel caso di padre lavoratore subordinato con madre casalinga, studentessa o disoccupata: ha diritto a fruire del congedo, ma nei fatti non lo può fare perché non si può permettere di perdere il 70 per cento della retribuzione.
Il miglioramento del trattamento economico avviene subordinatamente alla condizione che entrambi i genitori - e quindi anche il padre - fruiscano (almeno di quel mese) del congedo parentale.
Per quanto riguarda la gestione in concreto, e tenendo conto che sono ancora pochi i padri che fruiscono del congedo parentale, si prevede che la copertura economica del primo mese all'80 per cento della retribuzione spetti automaticamente al padre; mentre alla madre solo una volta che il padre abbia fruito di almeno un mese di congedo. La parziale disparità di trattamento (la madre potrebbe ottenere la sua integrazione non contestualmente alla fruizione del congedo) trova giustificazione nel tentativo di realizzare una migliore ripartizione dei ruoli tra i genitori.
1) politiche attive del lavoro appositamente dedicate, che comprendano anche l'organizzazione di un servizio di sostituzione in caso di impossibilità di adempiere la prestazione;
2) incremento economico degli assegni di maternità.
Oggi è necessaria una revisione e una semplificazione della disciplina sia dell'assegno di maternità di base (cosiddetto «per le casalinghe»), sia dell'assegno di maternità per le lavoratrici atipiche e discontinue (articolo 9).
L'assegno di maternità per le lavoratrici atipiche e discontinue è stato introdotto in attuazione del Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione del 22 dicembre 1998, contemporaneamente alla parziale fiscalizzazione degli oneri di maternità a carico dei datori di lavoro, con l'obiettivo di attuare progressivamente una migliore ripartizione solidaristica del sostegno economico alla maternità.
In quel momento si è realizzato un equilibrio, dato che:
1) si sono mantenute soglie selettive dotate del requisito della ragionevolezza, consistenti nelle condizioni di lavoro (per gli assegni di maternità per le lavoratrici atipiche e discontinue) e di reddito (per le casalinghe), in attuazione del principio costituzionale di parità sostanziale;
2) si è riconosciuta la maggiore onerosità delle nascite gemellari, si è esteso il trattamento, in caso di necessità, al padre, si è considerata la filiazione giuridica, in modo da indirizzare il sostegno economico verso il figlio, in ottemperanza anche agli orientamenti della Corte costituzionale;
3) si è ampliata la tutela, per consentire una progressione più equilibrata e una più ampia estensione temporale di riferimento tra il sostegno alle spese nell'area del non lavoro e il sostegno al reddito in quella del lavoro «tutelato», in modo da evitare di introdurre provvidenze economiche che possano disincentivare l'ingresso o la presenza delle lavoratrici nel mercato «ufficiale» del lavoro incrementando fenomeni di lavoro sommerso o di concorrenzialità del lavoro non retribuito;
4) si è cercato di rendere più oggettivo e omogeneo il contributo economico destinato al momento in cui si verifica l'evento maternità.
Si è realizzata così una doppia rete di protezione: l'uscita o l'assenza di riconoscimento della tutela piena viene frenata e protetta da quella del livello intermedio e, qualora anche questa non possa applicarsi, da quella del livello di base, che è spettante, per differenza, in ogni ipotesi, mantenendo la soglia selettiva di reddito ISE (circa 25.000 euro per un nucleo familiare di tre componenti).
Ora, si deve rimodulare l'assetto dell'intervento. Poiché l'assegno di maternità di base è pari a circa 1.250 euro, si deve portare l'assegno per le lavoratrici atipiche da 1.500 a 2.500 euro e semplificare la regolamentazione per la sua concessione, ad esempio per quanto riguarda le straniere, rimuovendo il vincolo del possesso della carta di soggiorno.
È uno dei profili più delicati dell'intervento, che incrocia le collaborazioni coordinate e continuative e, più in generale, il lavoro economicamente dipendente (collaborazioni ma anche la nuova tipologia, in parte sostitutiva, del lavoro a progetto).
Inoltre, è introdotto il congedo parentale a tempo parziale (articolo 10), per rispettare le indicazioni della direttiva europea in materia.
L'equivalenza del mese di congedo parentale a 154 ore deriva dal seguente calcolo: 154 ore è il risultato di 36 ore settimanali per 4 settimane.
Già con l'attuale sistema, ma ancora di più con quello di cui si propone l'introduzione, è necessario che siano conoscibili i dati della fruizione dei congedi parentali,
a) previsione espressa del diritto ai tre giorni di permesso anche nel caso del coniuge, nonché del convivente disabile (attualmente escluso);
b) risoluzione della questione relativa alla trasformazione dei giorni in ore, soprattutto quando il contratto è diverso da quello subordinato a tempo pieno;
c) introduzione di miglioramenti alla tutela del trasferimento e al diritto al trasferimento:
1) anche se la situazione di disabilità del familiare si verifichi dopo la stipulazione del contratto di lavoro;
2) prevedendo obblighi all'interno dei gruppi di imprese private e collegamenti tra strutture pubbliche o privatizzate (come le aziende sanitarie locali).
L'equivalenza, prospettata al comma 2, dei tre giorni a 18 ore di permesso utilizza il metodo attualmente applicato nel lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Si ritiene necessario procedere velocemente a un ripensamento dell'articolo 9 della legge n. 53 del 2000, che prevede il finanziamento ai datori di lavoro per gli interventi contrattati di flessibilità positiva
1) quello del finanziamento ai datori di lavoro di forme di flessibilità favorevoli alle persone impegnate nel lavoro di cura: determinazione dei costi, individuazione effettiva dell'intervento positivo;
2) quello della celerità nella distribuzione dei fondi: se si intendono finanziare risposte a specifiche esigenze, queste devono essere immediate.
L'intervento proposto intende introdurre un meccanismo semplice e automatico: qualora il datore di lavoro rientri nelle condizioni indicate, ottiene sgravi contributivi o credito d'imposta.
Data la riforma della disciplina legislativa in materia di lavoro a tempo parziale, contrassegnata dalla prevalenza delle ragioni e delle esigenze dell'impresa, il principale strumento di intervento deve diventare proprio il lavoro a tempo parziale, la cui articolazione e regolazione consenta di favorire le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori.
Viene così previsto (articolo 16) che sia finanziato automaticamente il datore di lavoro che assume personale a tempo parziale per la parte di tempo liberato di lavoro professionale in favore di lavoratrici o lavoratori con problemi di lavoro di cura.
La trasformazione da lavoro a tempo pieno a lavoro a tempo parziale nei confronti di chi chiede la conciliazione tra vita familiare e vita professionale deve contenere:
1) l'esclusione delle clausole elastiche e di quelle flessibili (secondo la nuova tipologia che verrà introdotta con la riforma del mercato del lavoro);
2) l'esonero del lavoro supplementare o straordinario;
3) l'applicazione della flessibilità dell'orario di ingresso e di uscita dal lavoro;
4) la reversibilità della scelta al termine dell'esigenza di cura di familiare.
L'altra tipologia nei cui confronti viene previsto il sostegno finanziario al datore di lavoro è quella della flessibilità degli orari (articolo 17), anche in questo caso a fronte della nuova disciplina dell'orario di lavoro che tende a prolungare e a intensificare l'attività lavorativa.
Viene così finanziato automaticamente il datore di lavoro che adotta meccanismi di orario favorevoli alle persone con problemi di lavoro di cura. A titolo esemplificativo:
la fruizione del tempo accantonato nella banca delle ore al momento in cui si manifesta l'esigenza della lavoratrice o del lavoratore, indipendentemente dalle esigenze produttive;
l'articolazione dell'orario multiperiodale che tenga conto dei periodi in cui la lavoratrice o il lavoratore non possono intensificare il ritmo lavorativo, di nuovo indipendentemente dalle esigenze produttive.
C) L'assegno di sostegno alle responsabilità familiari.
Finalità.
Concorrere con più risorse al costo per la cura dei figli sostenuto dalle famiglie.
Garantire meglio il sostegno anche nel caso di disoccupazione o di lavori discontinui.
Rafforzare il sostegno alle famiglie con redditi bassi.
Avviare un riordino di detrazioni e di assegni familiari coerente con tali obiettivi.
Istituzione dell'assegno per i figli.
L'assegno sostituisce l'attuale assegno al nucleo familiare e i vecchi assegni familiari per i lavoratori autonomi.
L'assegno si compone di due parti: una detrazione IRPEF in cifra fissa, pari a 520 euro per ogni figlio minore a carico; l'attuale assegno al nucleo familiare per i lavoratori subordinati e parasubordinati, maggiorato del 10 per cento per il primo, per il secondo e per il terzo figlio e del 5 per cento per il quarto; analoga maggiorazione si opera per gli attuali assegni familiari per i lavoratori autonomi.
In caso di incapienza fiscale (reddito inferiore al minimo imponibile), la detrazione viene corrisposta come trasferimento (imposta negativa) in misura pari alla differenza tra ammontare complessivo delle detrazioni e imposta dovuta per la quota parte imputabile alle detrazioni per figli minori a carico; per il lavoratore subordinato o parasubordinato, per il quale la detrazione è già corrisposta dal datore di lavoro in busta paga, quest'ultimo corrisponde in busta paga anche il trasferimento al lavoratore incapiente rivalendosi sull'INPS in forma analoga a quanto oggi avviene per gli assegni al nucleo familiare; nel caso di perdita del lavoro, la detrazione viene corrisposta su base mensile direttamente dall'INPS (in quest'ultimo caso, in sede di saldo IRPEF viene portata in ulteriore detrazione solo la parte residua, ossia il valore della detrazione annua al netto di quanto erogato dall'INPS in corso d'anno); il lavoratore autonomo incapiente gode, a condizione che il reddito dichiarato sia coerente con gli studi di settore, del trasferimento corrispondente all'eccedenza della detrazione (come sopra calcolata) come credito d'imposta.
Per i lavoratori subordinati o parasubordinati l'assegno per i figli è corrisposto anche in caso di perdita del lavoro, in questo caso direttamente dall'INPS e per un periodo pari a quello previsto per l'indennità di disoccupazione dalla proposta di legge di riforma degli ammortizzatori sociali presentata dai gruppi parlamentari de L'Ulivo (12 mesi estendibili fino a 24 mesi in particolari situazioni).
L'onere per la finanza pubblica ammonta a 3 milioni di euro: 1.350 milioni di euro per corresponsione delle detrazioni come trasferimento agli incapienti; 550 milioni di euro per l'aumento degli assegni; 1.100 milioni di euro per l'allungamento del periodo di godimento degli assegni da parte dei disoccupati.
Alla sua copertura si provvede utilizzando parte delle risorse liberate dalla abrogazione della legge delega dell'attuale Governo per la parte che prevede la riduzione dell'IRPEF a favore dei contribuenti a redditi elevati.
In prospettiva, l'assegno per i figli (comprensivo delle detrazioni da corrispondere come trasferimento nel caso di incapienza) andrà ulteriormente rimodulato in modo da incrementare i trattamenti, semplificare e rendere più trasparente il sistema, nonché per estenderlo anche ai lavoratori autonomi.
imponibile annuo (euro) | disponile annuo legislazione vigente (euro) | disponibile annuo riforma (auro) | (euro) | |
Disoccupato
Coniuge a carico Due figli a carico Tre mesi di lavoro nell'anno | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Un figlio a carico | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Due figli a carico | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Tre figli a carico | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Due figli a carico | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Tre figli a carico | ||||
Lavoratore dipendente
Coniuge a carico Tre figli a carico | ||||
Coppia di lavoratori dipendenti
Reddito primo coniuge 10.000 euro Reddito secondo coniuge 3.000 euro Due figli a carico |
D) L'istituzione della dotazione di capitale per i giovani.
Finalità.
Dotare ogni giovane di risorse proprie che lo aiutino, al compimento della maggiore età, a rendersi autonomo dalla famiglia di origine.
Aumentare le opportunità di scelta dei giovani nella delicata fase di avvio della propria attività lavorativa.
Aumentare il livello di istruzione e di formazione professionali dei giovani.
La dotazione di capitale sostituisce le detrazioni per figli maggiorenni a carico.
Al momento della nascita, lo Stato apre un conto individuale vincolato a favore del neonato e, tenendo conto delle condizioni economiche della famiglia, lo alimenta fino al compimento del diciottesimo anno di età con un contributo annuo di 1.000 euro in media per bambino (maggiore per i bambini delle famiglie in condizioni più disagiate, riducendosi in funzione dell'ISE); i contributi annui si capitalizzano a un saggio di interesse pari al saggio di crescita del PIL pro-capite; il conto può essere ulteriormente alimentato anche da donativi di parenti e di amici.
Al compimento del diciottesimo anno di età, il giovane può utilizzare la dotazione accumulata per finanziare periodi di studio o di formazione professionale, periodi di ricerca del lavoro, avviamento di attività imprenditoriali, acquisto della prima casa (nel caso di un tasso di crescita reale medio annuo del PIL pro-capite dell'1,5 per cento, 1.000 euro annui, implicano al compimento dei diciotto anni di età una dotazione di capitale pari a 20.500 euro in valori 2004); la dotazione resta a sua disposizione fino al ventottesimo anno di età.
La parte utilizzata verrà successivamente restituita a tasso zero in un arco di tempo concordato tra il giovane e il fondo regionale e della provincia autonoma di riferimento, comunque non superiore a trenta anni.
Per per quanti al 1o gennaio 2004 sono in età compresa tra 0 a e 17 anni, vengono istituiti analoghi conti individuali, alimentati fino al compimento del diciottesimo anno e successivamente utilizzabili alle stesse condizioni prima indicate; al compimento del diciottesimo anno il giovane opta o per l'utilizzo della dotazione accumulata o per il godimento della detrazione IRPEF come figlio maggiorenne a carico (si tratta di istituti alternativi).
È istituito un apposito fondo, da articolare su base regionale e delle province autonome per la copertura degli oneri finanziari.
L'erogazione della dotazione è effettuata da banche e da istituti finanziari previa convenzione con il fondo di cui alla lettera f), nella quale è stabilito un tasso di interesse sui crediti omogeneo su tutto il territorio nazionale; l'onere degli interessi e la garanzia per la copertura dei rischi sui crediti sono a carico del medesimo fondo.
L'onere dell'introduzione della dotazione di capitale per i giovani è, per la finanza pubblica, di entità molto limitata, consistendo essenzialmente nell'onere per interessi, e risulta coperto dal risparmio sulle detrazioni IRPEF per i figli maggiorenni a carico che, a regime, vengono sostituite dalla dotazione di capitale.
Il finanziamento della riforma.
Lo spostamento di risorse a favore delle politiche familiari fino al raggiungimento del livello medio europeo è finanziato utilizzando, per la parte corrispondente, le risorse che l'attuale Governo ha stanziato per portare a regime la modifica dell'IRPEF prevista dalla legge delega n. 80 del 2003 in materia fiscale. Si tratta di circa 15 miliardi di euro che la citata legge delega destina interamente alla riduzione delle imposte a favore del 20 per cento dei contribuenti, quelli con i redditi più elevati. Si tratta di abrogare le norme previste dalla medesima legge delega e di destinare quelle risorse, invece che a pochi contribuenti ricchi, al finanziamento dei servizi sociali e delle prestazioni economiche per la grande massa delle famiglie italiane, alla riforma degli ammortizzatori sociali, all'ammodernamento e al rafforzamento del sistema di sicurezza sociale.
1. La presente legge disciplina il sostegno delle responsabilità familiari, e si applica ai nuclei familiari e alle persone che li compongono, donne e uomini, sulla base della certificazione anagrafica.
2. La presente legge ha le seguenti finalità:
a) sostenere le responsabilità familiari, in particolare nei confronti delle bambine e dei bambini, attraverso la rete integrata di servizi, il riconoscimento, il sostegno e la promozione del ruolo attivo delle persone e dei nuclei familiari nel soddisfacimento dei loro bisogni e nella crescita del benessere della comunità, ai sensi di quanto disposto dalla legge 8 novembre 2000, n. 328, con particolare riguardo agli obiettivi della solidarietà, della coesione sociale e dello sviluppo socialmente ed economicamente sostenibile;
b) concorrere al costo per la cura dei figli sostenuto dalle famiglie, garantendo il sostegno anche nel caso di disoccupazione o di lavori discontinui; rafforzare il sostegno alle famiglie con redditi bassi;
c) sostenere l'autonomia dei giovani aumentandone le opportunità di scelta al compimento della maggiore età;
d) garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali concernenti i diritti sociali, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e dall'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
e) prevedere l'adozione di un Piano di azione nazionale triennale per la promozione e il sostegno finanziario delle responsabilità familiari, individuando le risorse finalizzate allo scopo, al fine di raggiungere, entro sei anni, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il livello di spesa media europea destinata alle politiche familiari;
f) contemperare le esigenze delle persone ai fini della conciliazione tra vita professionale e vita familiare e della redistribuzione dei ruoli tra donne e uomini, in quanto valori di una società civile più coesa e democratica, avendo riguardo anche alla concreta applicazione nella gestione delle persone come risorsa dell'organizzazione del lavoro;
g) ridurre le disparità di trattamento esistenti nell'ordinamento giuridico in relazione alle responsabilità familiari, a seconda della tipologia di lavoro svolto, del sesso del genitore che lavora, indipendentemente dai destinatari dell'attività di cura.
1. Il Governo, in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, provvede all'adozione, in sede di sessione di bilancio, del Piano di azione nazionale triennale per la promozione e il sostegno finanziario delle responsabilità familiari, di seguito denominato «Piano di azione».
2. Il Piano di azione è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati. Sullo schema del Piano di azione sono acquisiti l'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nonché i pareri delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rap
a) il monitoraggio dell'impatto sulle persone e sui nuclei familiari delle norme di legge e di regolamento vigenti in materia nonché delle norme in via di emanazione, con particolare riferimento al mainstreaming di genere;
b) la modulazione, sulla base degli indicatori di benessere/malessere economico e sociale delle persone e dei nuclei familiari, di cui al comma 4 dell'articolo 3, della destinazione delle risorse finanziarie, destinate allo scopo, nei settori della politica economica e sociale.
5. Il Piano di azione vincola alla progressiva destinazione a sostegno delle responsabilità familiari delle risorse finanziarie previste dalla presente legge, ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 2, lettera e).
1. Il presente articolo reca norme per l'attuazione dell'articolo 16 della legge 8 novembre 2000, n. 328, in materia di valorizzazione e di sostegno delle responsabilità familiari, in conformità a quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma,
a) l'indicatore deve essere omologato dal punto di vista statistico;
b) l'indicatore deve essere misurabile in modo paragonabile in tutte le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e comparabile con le norme applicate a livello nazionale:
c) il gruppo di indicatori deve essere trasparente e accessibile a tutti i cittadini.
6. Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previa consultazione degli attori sociali, provvede alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali previste dal presente articolo. Lo Stato provvede al finanziamento dei medesimi livelli essenziali ai sensi di quanto disposto dall'articolo 119 della Costituzione.
7. I livelli essenziali delle prestazioni sociali sono garantiti ai cittadini e alle famiglie attraverso l'erogazione di servizi e appositi trasferimenti. Lo Stato, ove occorra, garantisce l'erogazione delle prestazioni esercitando i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 120 della Costituzione.
1. Nella costruzione del sistema integrato dei servizi, le famiglie e le persone partecipano da protagoniste alla loro realizzazione, al fine di realizzare un nuovo
1. Durante il periodo in cui è previsto, ai sensi dell'articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, il divieto di lavoro per congedo di maternità, la madre lavoratrice subordinata ha diritto a percepire il 100 per cento della retribuzione.
2. La misura dell'indennità, stabilita all'articolo 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è rideterminata qualora durante il periodo di congedo siano maturati incrementi retributivi ad opera del contratto collettivo applicato nell'unità produttiva interessata.
3. Nel caso di parti pretermine, la disciplina prevista dall'articolo 16, comma 1, lettera d), del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, va interpretata nel senso che il congedo di
1. Per la durata di trenta giorni di congedo parentale, fruiti continuativamente, la madre lavoratrice subordinata e il padre lavoratore subordinato hanno diritto a una indennità pari all'80 per cento della retribuzione.
2. Qualora risulti dalla certificazione anagrafica che nel nucleo familiare sia presente un solo genitore lavoratore subordinato, l'indennità di cui al comma 1 è corrisposta per sessanta giorni.
3. Il padre lavoratore subordinato ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti entro i primi tre anni di vita del bambino.
4. La madre lavoratrice subordinata ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale, fruiti entro i primi tre anni di vita del bambino, qualora il padre non sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e non abbia un contratto di lavoro intermittente o di lavoro ripartito.
5. Qualora il padre sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e il contratto non sia di lavoro intermittente o di lavoro ripartito, la madre lavoratrice subordinata ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti successivamente a quelli del padre ed entro i primi tre anni di vita del bambino.
1. All'articolo 69 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«1-ter. Per la durata di trenta giorni di congedo parentale, fruiti continuativamente e con interruzione dell'attività, la madre lavoratrice autonoma e il padre lavoratore autonomo hanno diritto a una indennità pari a quella di maternità di cui all'articolo 68.
1-quater. Qualora risulti dalla certificazione anagrafica che nel nucleo familiare sia presente un solo genitore lavoratore autonomo, l'indennità di cui al comma 1-ter è corrisposta per sessanta giorni.
1-quinquies. Il padre lavoratore autonomo ha diritto alla indennità prevista al comma 1-ter per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti entro il primo anno di vita del bambino.
1-sexies. La madre lavoratrice autonoma ha diritto alla indennità prevista al comma 1-ter per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti entro il primo anno di vita del bambino, qualora:
a) il padre non sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e non abbia un contratto di lavoro intermittente o di lavoro ripartito;
b) il padre non sia lavoratore subordinato e dichiari di non poter fruire del congedo parentale, indicando i motivi che non gli consentono di sospendere l'attività.
1-septies. Qualora il padre sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e il contratto non sia di lavoro intermittente o di lavoro ripartito, la madre lavoratrice autonoma ha diritto alla indennità prevista al comma 1-ter per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti successivamente a quelli del padre ed entro il primo anno di vita del bambino».
1. Dopo l'articolo 73 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
«Art. 73-bis - (Sostegno al congedo parentale nelle libere professioni) - 1. Per la durata di trenta giorni di congedo parentale, fruiti continuativamente e con interruzione dell'attività, la madre libera professionista e il padre libero professionista hanno diritto a una indennità pari a quella di maternità di cui all'articolo 70.
2. Qualora risulti dalla certificazione anagrafica che nel nucleo familiare sia presente un solo genitore libero professionista, l'indennità di cui al comma 1 è corrisposta per sessanta giorni.
3. Il padre libero professionista ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale, fruiti entro il primo anno di vita del bambino.
4. La madre libero professionista ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale, fruiti entro il primo anno di vita del bambino, qualora:
a) il padre non sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e non abbia un contratto di lavoro intermittente o di lavoro ripartito;
b) il padre non sia lavoratore subordinato e dichiari di non poter fruire del congedo parentale, indicando i motivi che non gli consentono di sospendere l'attività.
5. Qualora il padre sia lavoratore subordinato a tempo indeterminato e il contratto non sia di lavoro intermittente o di lavoro ripartito, la madre libero professionista ha diritto alla indennità prevista al comma 1 per i primi trenta giorni di congedo parentale fruiti successivamente a quelli del padre ed entro il primo anno di vita del bambino».
1. L'assegno di maternità previsto all'articolo 75 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, come modificato dal presente articolo, è incrementato, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, di 1.000 euro.
2. All'articolo 75 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«c-bis) quando la donna straniera è in possesso del permesso di soggiorno ed è residente nel territorio italiano da almeno un anno»;
b) al comma 6, le parole: «sono emanate le disposizioni regolamentari necessarie per l'attuazione del presente articolo» sono sostituite alle seguenti: «sono emanate le disposizioni regolamentari per l'attuazione del presente articolo, tenendo conto dell'esigenza di portare a conoscenza le norme ivi previste nonché di semplificare e snellire le procedure ivi stabilite».
1. Il congedo parentale nel lavoro subordinato, autonomo e nelle libere pro
1. Ogni bambina e bambino riceve, al momento della nascita o dell'effettivo ingresso nel nucleo familiare, la Carta dei congedi, nella quale sono registrati i periodi di congedo fruiti dai genitori, naturali o adottivi, o dagli affidatari.
2. La Carta dei congedi è predisposta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, secondo le procedure e le modalità stabilite con apposito regolamento dello stesso Ministro da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. I dati sui congedi parentali fruiti dai genitori, naturali o adottivi, o dagli affidatari, sono trasmessi da parte dei datori di lavoro e delle amministrazioni pubbliche ad una banca dati informatizzata, costituita ai sensi di quanto previsto dal regolamento di cui al comma 2.
1. A integrazione di quanto stabilito dall'articolo 62, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il divieto di licenziamento previsto all'articolo 54 del medesimo testo unico, e successive modificazioni, si applica anche al lavoro domestico.
1. Le disposizioni di cui all'articolo 5 della presente legge si applicano anche al congedo di tre mesi fruito in caso di adozione e di affidamento previsto dall'articolo 26 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
2. I primi due mesi del congedo richiesto per la permanenza nello Stato straniero sono coperti dall'indennità di maternità nella misura prevista dall'articolo 5. Conseguentemente, al comma 2 dell'articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «Il congedo non comporta indennità nè retribuzione» sono soppresse.
3. Le disposizioni in materia di riposi si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro i primi otto anni di vita del bambino. Conseguentemente, al comma 1 dell'articolo 45 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «il primo anno» sono sostituite dalle seguenti: «i primi otto anni».
1. A integrazione di quanto previsto all'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, il periodo di congedo per gravi motivi di famiglia fruito continuativamente per non meno di sei mesi, è computato nell'anzianità di servizio, a tutti gli effetti, ed è coperto da contribuzione figurativa, calcolata ai sensi di quanto previsto dall'articolo 35, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
2. Al fine di sostenere la mobilità professionale dei lavoratori e delle lavoratrici, la disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53,
1. A integrazione di quanto previsto all'articolo 33, commi 3 e 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, i tre giorni di permesso retribuito mensile ivi previsti spettano anche per l'assistenza del coniuge o del convivente.
2. I tre giorni di permesso retribuito mensile di cui al comma 1 equivalgono a 18 ore.
3. La disposizione di cui all'articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, si applica anche qualora l'accertamento della disabilità sia avvenuto successivamente alla data di stipulazione del contratto di lavoro da parte del lavoratore che assiste il familiare gravemente disabile, e si applica con riferimento ai gruppi di imprese private e alle strutture pubbliche dei comparti delle pubbliche amministrazioni.
1. Allo scopo di favorire il ricorso a forme di flessibilità dell'orario favorevoli alle esigenze delle persone, il datore di lavoro che assume un lavoratore o una lavoratrice a tempo parziale o che accoglie la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale ha diritto alla riduzione delle aliquote contributive pari al 25 per cento qualora:
a) il lavoratore o la lavoratrice siano impegnati in lavoro di cura in favore di un familiare;
b) il contratto di lavoro a tempo parziale preveda una riduzione dell'orario pari ad almeno il 25 per cento;
c) nel contratto di lavoro a tempo parziale sia escluso il ricorso a clausole elastiche e a clausole flessibili;
d) nel contratto di lavoro a tempo parziale sia previsto il consenso del lavoratore o della lavoratrice allo svolgimento di lavoro supplementare e il rifiuto non costituisca infrazione disciplinare.
2. Il datore di lavoro, qualora abbia stipulato un contratto di lavoro a tempo parziale a seguito della richiesta del lavoratore o della lavoratrice di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e accolga la richiesta del lavoratore o della lavoratrice di ripristinare il rapporto di lavoro a tempo pieno, dopo un periodo di lavoro a tempo parziale di durata non inferiore a due anni, continua a fruire per un anno dello sgravio contributivo di cui al comma 1.
3. Il lavoratore o la lavoratrice con contratto di lavoro a tempo parziale stipulato ai sensi del presente articolo ha diritto di fruire della flessibilità di orario in ingresso e in uscita prevista dal contratto collettivo applicato nell'unità produttiva interessata.
4. Al finanziamento dell'incentivo di cui al comma 1 si provvede riservando una quota pari al 50 per cento dello stanziamento annuale previsto ai sensi dell'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
1. Allo scopo di favorire il ricorso a forme di flessibilità dell'orario funzionali alle esigenze delle persone, il datore di lavoro che consente la fruizione dei riposi compensativi, previsti dalla disciplina della banca delle ore del contratto collettivo, all'atto di presentazione della relativa domanda da parte del lavoratore o della lavoratrice impegnati in lavoro di cura di un familiare, o che determina l'orario multiperiodale previsto nel contratto col
1. Nelle more della realizzazione di provvedimenti di sostegno al reddito finalizzati a garantire diritti di sicurezza sociale in materia di tutela attiva del lavoro e del reddito, a decorrere dal 1o gennaio 2005, le disposizioni in materia di assegno per il nucleo familiare di cui al decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153, e successive modificazioni, nonché le disposizioni previste dal testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, sono integrate dalle norme stabilite dal presente articolo.
2. L'assegno per il nucleo familiare, gli assegni familiari e ogni altro trattamento di famiglia, comunque denominato, sono denominati «assegni di sostegno alle responsabilità familiari».
3. Nella determinazione dei componenti il nucleo familiare si tiene conto anche del convivente, qualora risulti dalla certificazione anagrafica una durata della convivenza pari ad almeno un anno.
a) una detrazione ai fini dell'imposta personale sul reddito, determinata in cifra fissa e pari a 520 euro per ogni figlio minore a carico;
b) un trasferimento pari all'assegno per il nucleo familiare per i lavoratori subordinati, per i lavoratori economicamente dipendenti e per i soci di cooperative, e all'assegno familiare per i lavoratori autonomi incrementato nella misura del 10 per cento per il primo, per il secondo e per il terzo figlio e del 5 per cento per il quarto figlio.
5. In conformità a quanto previsto al comma 4, lettera a), in caso di incapienza fiscale, la detrazione ivi prevista è corrisposta come trasferimento in misura pari alla quota parte della differenza tra l'ammontare complessivo delle detrazioni e l'imposta personale sul reddito imputabile alle detrazioni per figli minori a carico cui il contribuente ha diritto. Per la lavoratrice o il lavoratore subordinato o economicamente dipendente, la detrazione è corrisposta dal datore di lavoro che si rivale sull'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) in forma analoga a quanto previsto per gli assegni per il nucleo familiare. Nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, la detrazione è corrisposta su base mensile direttamente dall'INPS e, in sede di saldo dell'imposta sul reddito, viene portata in ulteriore detrazione solo la parte residua, pari al valore della detrazione annua al netto di quanto erogato dall'INPS nel corso dell'anno. Per la lavoratrice o il lavoratore autonomo è previsto il credito d'imposta corrispondente all'eccedenza della detrazione, calcolata ai sensi del presente comma, a condizione che il reddito dichiarato sia coerente con gli studi di settore.
6. Fatte salve discipline di maggior favore, ai lavoratori subordinati ed economicamente dipendenti in stato di disoccupazione, l'assegno di sostegno alle responsabilità familiari è corrisposto direttamente
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è ripristinata l'imposta sulle successioni e donazioni, nelle misure e con le modalità previste dalle disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della legge 18 ottobre 2001, n. 383. Conseguentemente, l'articolo 13 e il comma 1 dell'articolo 14 della citata legge n. 383 del 2001 sono abrogati.
2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, sugli interessi dei depositi bancari e postali di cui all'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, è applicata una ritenuta fiscale pari al 23 per cento. A decorrere dalla medesima data sugli interessi corrisposti sul rendimento dei titoli obbligazionari e dei titoli del debito pubblico di cui al medesimo articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, e successive modificazioni, emessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché sugli interessi dei titoli indicizzati al rendimento dei buoni ordinari del tesoro è applicata una ritenuta fiscale pari al 23 per cento.
1. L'onere derivante dalle disposizioni contenute nei capi da I a IV è valutato in
1. I benefici di cui al presente articolo sono attribuiti ai figli dei soggetti residenti nel territorio dello Stato, cittadini italiani o comunitari, ovvero cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o apolidi che sono in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro e regolarmente soggiornanti da almeno tre anni nel territorio dello Stato.
2. A decorrere dal 1o gennaio 2005 per ogni giovane di età inferiore a diciotto anni e per ogni nuovo nato è istituito, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un conto individuale vincolato, alimentato con un contributo figurativo di 1.000 euro su base annua. Il conto individuale può essere ulteriormente alimentato da donazioni di contribuenti deducibili dall'imposta sul reddito. I contributi e le donazioni di cui al presente comma siano capitalizzati a un saggio di interesse annuo pari al saggio di crescita del prodotto interno lordo (PIL) pro-capite. Conseguentemente, al numero 3) della lettera c) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 7 aprile 2003, n. 80, sono aggiunte le seguenti parole: «donazioni dei contribuenti per il finanziamento del conto individuale, istituito nello stato di
a) formazione qualificata, con l'acquisizione di specifiche conoscenze e competenze professionali, mediante frequenza in Italia o in altro Paese appartenente all'Unione europea di corsi di laurea universitari, di corsi universitari post-laurea, di corsi di formazione riconosciuti, di tirocini professionali o similari;
b) avviamento di un'attività imprenditoriale o professionale;
c) acquisto della prima casa di abitazione.
5. I soggetti beneficiari, all'atto della domanda per l'utilizzazione della dotazione di capitale di cui al comma 3, specificano la finalizzazione della medesima dotazione con il relativo piano di spesa; ove non pienamente impegnata, la dotazione può essere utilizzata, per la parte residua ed entro il limite temporale di cui al medesimo comma 3, su ulteriore richiesta previa specificazione della finalità e del relativo piano di spesa.
6. Nel caso il soggetto beneficiario risulti fiscalmente a carico di altro soggetto, quest'ultimo deve rilasciare dichiarazione, da allegare alla domanda di cui al comma 3, di esplicita rinuncia alla detrazione ai fini dell'imposta sul reddito per carichi familiari relativa al soggetto beneficiario della dotazione di capitale. Nel caso di
1. Nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è istituito, a decorrere dal 1o gennaio 2005, il fondo per l'autonomia dei giovani, di seguito denominato «fondo», destinato alla copertura degli oneri relativi alla differenza tra interessi dovuti, in base alla convenzione di cui al comma 3 del presente articolo, alle banche e agli istituti finanziari che erogano le dotazioni di capitale e gli interessi pagati, ai sensi del comma 7 dell'articolo 21, dai beneficiari in
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con propri provvedimenti, possono:
a) istituire con risorse proprie fondi regionali e provinciali per l'autonomia dei giovani, di seguito denominati «fondi», destinati alla copertura degli oneri per interessi e per la garanzia dei rischi sui crediti connessi a integrazioni della dotazione di capitale per i giovani da contabilizzare in appositi conti individuali su base regionale o provinciale. Le modalità di finanziamento, di erogazione e di restituzione delle integrazioni sono stabilite autonomamente dalle regioni e dalle province autonome che possono avvalersi allo scopo della convenzione di cui al comma 3 dell'articolo 22;
b) stabilire le modalità per il cofinanziamento dei fondi da parte di enti territoriali e locali nonché da parte di privati cittadini, società, associazioni ed enti, tra cui gli enti conferenti disciplinati dal decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e successive modificazioni;
c) definire i criteri per il monitoraggio dell'effettivo utilizzo delle integrazioni previste dalla lettera a) per le finalità stabilite dai relativi provvedimenti regionali e delle province autonome.
|