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PDL 5146

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5146



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ONNIS

Modifica all'articolo 200 del codice di procedura penale, in materia di segreto professionale dei giornalisti professionisti e pubblicisti

Presentata il 14 luglio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 200, comma 3, del codice di procedura penale prevede i casi e i limiti nei quali i giornalisti professionisti, iscritti all'albo professionale, possono opporre il segreto professionale e così rifiutarsi di deporre nel processo penale; in particolare, la norma in questione ammette tale diritto al silenzio solo «relativamente ai nomi delle persone dalle quali (...)» gli stessi giornalisti professionisti «(...) hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione».
      In proposito, la legge 16 febbraio 1987, n. 81, recante delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, disponeva [articolo 2, n. 70] affinché il legislatore delegato introducesse la «previsione del segreto giornalistico limitatamente alle fonti delle notizie».
      Avuto riguardo alla formulazione delle due disposizioni appena citate, e considerate le applicazioni pratiche desumibili dall'esperienza giudiziaria, non può dirsi che la direttiva contenuta nella legge delega sia stata adeguatamente e puntualmente tradotta nel codice di rito vigente.
      Innanzitutto, a proposito dei soggetti cui, nel processo penale, è riconosciuto il diritto di opporre all'autorità giudiziaria il segreto sulla fonte fiduciaria, è stata subito colta, e criticamente considerata anche sotto il profilo della legittimità costituzionale, l'incongrua nonché, immotivata restrizione ai soli giornalisti «professionisti» con esclusione, dunque, dei giornalisti «pubblicisti».
      Si è osservato, infatti, che i «pubblicisti» sono giornalisti «a tutti gli effetti» poichè, in base all'ordinamento professionali, «svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se contestualmente ad altre professioni o impieghi», tanto da essere iscritti all'albo, nello specifico elenco loro riservato.
      Anzi, si era detto che «gli episodi di cronaca giudiziaria vedono, e per di più in
 

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grande numero, come protagonisti giornalisti pubblicisti i quali, a parte la precarietà del posto di lavoro e l'occasionalità della collaborazione al giornale stampato o radiotelevisivo e, di conseguenza, la differenza sotto il profilo retributivo, esercitano la loro professione con modalità identiche ai giornalisti cosiddetti professionisti» e sono spesso investiti della «responsabilità di importanti uffici di corrispondenza».
      Non a caso, dunque, l'articolo 2, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante l'ordinamento della professione giornalistica, genericamente dispone che «giornalisti ed editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse» senza distinguere tra «pubblicisti» e «professionisti», facenti parte dello stesso Ordine dei giornalisti e, come detto, iscritti allo stesso albo, sia pure in elenchi distinti.
      Né potrebbe sostenersi che la formulazione riduttiva dell'articolo 200, comma 3, del codice di procedura penale fosse determinata o suggerita dalla citata legge delega, la quale, al contrario, appare volere ricomprendere entrambe le categorie di giornalisti.
      Innanzi tutto, si propone quindi, con la presente iniziativa legislativa, di estendere il suddetto ius tacendi anche ai «pubblicisti» eliminando un'irragionevole disparità di trattamento e dando il giusto risalto al contributo professionale offerto da questa categoria di giornalisti.
      Inoltre, a proposito dell'oggetto del segreto giornalistico, si è posto in evidenza come le interpretazioni giurisprudenziali prevalenti - di segno restrittivo - assegnino al comma 3 dell'articolo 200 del codice di procedura penale una portata rigidamente limitata dal significato letterale della norma e, quindi, riconoscano il diritto al silenzio solo in relazione al nome dell'informatore.

      Tale scelta coglie il carattere eccezionale della disposizione che ammette a tutela il segreto professionale, rispetto alla regola generale per la quale il testimone è obbligato a deporre (secondo verità) incorrendo, altrimenti, nella sanzione penale.
      Però, anche se si consente al giornalista di tacere di fronte alla richiesta di fornire il nome del suo informatore, non è efficacemente protetta la segretezza di tale fonte, in quanto al testimone potrà essere imposto di rivelare tutti gli altri dettagli che, inevitabilmente, condurranno l'interrogante a scoprire chi abbia fornito quella notizia al professionista: si pensi alle domande che mirano a scoprire quali utenze telefoniche il giornalista abbia utilizzato in un certo intervallo temporale o quali persone egli abbia incontrato.
      Questi esempi - e gli altri consimili che potrebbero proporsi - dimostrano che la tutela dell'anonimato della fonte, imposta dalla citata direttiva contenuta nell'articolo 2, n. 70), della legge delega n. 81 del 1987, dell'informatore, in quanto, con semplici accorgimenti, di volta suggeriti dalle particolarità del caso concreto e dalla sensibilità dell'interrogante, questi potrà ugualmente individuare la persona dalla quale la notizia è derivata.
      Eppure, i valori tutelati dal legislatore delegante attengono direttamente alle libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, espressamente riconosciute dall'articolo 21 della Costituzione, nonché dall'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.
      Con specifico riguardo alla salvaguardia dell'anonimato della fonte delle notizie fornite al giornalista, e da questi conseguentemente riprese e diffuse, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha infatti affermato (caso Goodwin contro Regno Unito, 27 marzo 1996): «La Cour rappelle que la libertè d'expression constitue l'un des fondements essentiels d'une societé démocratique et les garanties à la presse revetent une importance particulière. La protection des sources journalistiques est une des pierres angulaires de la liberté de la presse (...). L'absence d'une telle protection pourrait dissuader les sources journalistiques d'aider la presse à informer le public sur des questions d'intéret général. En conséquence,
 

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la presse pourrait etre moins à meme de jouer son role indispensable de "chien de garde" et son aptitude a fournir des informations précises et fiables pourrait s'en trouver amoindrie».

      La presente proposta di legge auspica dunque l'estenzione del segreto professionale del giornalista, per ricomprendervi il diritto di tacere tutte le indicazioni che possono portare all'indentificazione dell'informatore riservato.
      In tale modo, traducendo in norma di inequivoca e generale portata una recente «apertura» della Corte di cassazione (sezione sesta, sentenza n. 85 del 21 gennaio 2004), sembra realizzarsi al meglio il significato della tutela dei valori protetti dalla Costituzione ed espressamente richiamati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
      Restano salvi, evidentemente, i limiti già imposti dall'articolo 200 del codice di procedura penale, nella versione attualmente vigente.
      Così, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 200, se l'autorità giudiziaria procedente ha ragione di dubitare della fondatezza della dichiarazione resa dal giornalista per esimersi dall'obbligo di testimoniare, potrà disporre accertamenti in merito e quindi, ritenuta infondata quella affermazione, ordinerà al teste di deporre.
      Inoltre, se le notizie sono indispensabili per la prova del reato per il quale pende il procedimento e la loro veridicità può essere accertata solo tramite l'individuazione dell'informatore, il giudice potrà comunque ordinare al giornalista di svelare la fonte di quelle notizie (articolo 200, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale).
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 200, comma 3, primo periodo, del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo la parola: «professionisti» sono inserite le seguenti: «e pubblicisti»;

          b) le parole: «ai nomi» sono sostituite dalle seguenti: «a tutte le informazioni che, nel caso concreto, possono condurre all'identificazione».


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