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PDL 5174

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5174




 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BENVENUTO, FLUVI, COLUCCINI

Modifiche all'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di estensione delle ipotesi di sequestro e confisca dei beni per taluni delitti contro la pubblica amministrazione e loro uso sociale

Presentata il 21 luglio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge fa tesoro della lunga esperienza maturata dal movimento Cittadinanzattiva nella tutela dei diritti dei cittadini nell'ambito dei servizi di pubblica utilità.
      Troppo spesso abbiamo infatti assistito a conclamati episodi di corruzione che alla fine, anche dopo una sentenza definitiva di condanna, non hanno comportato alcuna restituzione alla comunità del denaro o dei beni percepiti come tangenti, in quanto nel frattempo gli indagati avevano provveduto ad occultarli.
      Con questo mezzo vogliamo viceversa dare un segnale concreto della volontà di combattere la corruzione attraverso strumenti che abbiamo in sé funzioni «riparatorie» e non solo punitive. Sequestrare e confiscare i beni la cui provenienza è ingiustificabile, restituendoli alla collettività, rappresenta un modo di promuovere una inversione di tendenza e una moralizzazione nel costume pubblico.
      La presente proposta di legge si colloca inoltre nel solco dell'attuazione dell'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, in quanto l'assegnazione in uso dei beni confiscati ad iniziative sociali realizzate autonomamente dai cittadini concorre a favorire lo sviluppo di forme sempre più diffuse di sussidiarietà orizzontale, funzionali alla tutela e alla cura dei beni comuni.
 

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      Il provvedimento si sostanzia in modifiche all'articolo 12-sexies (ipotesi particolari di confisca) del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, recante misure di contrasto alla criminalità mafiosa, nel combinato disposto con gli articoli 2-nonies, 2-decies e 2-undecies, relativi alla devoluzione dei beni confiscati, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (disposizioni contro la mafia), introdotti dalla legge 7 marzo 1996, n. 109, e successive modificazioni.
      Dal punto di vista sistematico, intendiamo andare ad applicare la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità, posseduti direttamente o indirettamente, di cui il condannato non può giustificare la provenienza - oltre che alle già vigenti ipotesi di delitti contro l'ordine pubblico, le libertà individuali, il patrimonio, il divieto di trasferimento fraudolento di valori e la disciplina degli stupefacenti - anche a delitti contro la pubblica amministrazione quali il peculato, la malversazione, l'indebita percezione di erogazioni pubbliche, la concussione, la corruzione e l'abuso di ufficio.
      In questi ultimi casi, inoltre, i beni confiscati saranno devoluti allo Stato e gestiti da un amministratore che opererà sotto il controllo del competente ufficio del territorio dell'amministrazione finanziaria, per venire destinati secondo le norme dei citati articoli 2-decies e 2-undecies della legge n. 575 del 1965, e successive modificazioni.
      In particolare, i beni immobili potranno fra l'altro, oltre che venduti al fine del risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, essere trasferiti al patrimonio del comune, ove il bene è sito per finalità istituzionali o sociali e, in tale quadro, venire assegnati in concessione gratuita a comunità, enti, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, comunità terapeutiche e centri di recupero e cura delle tossicodipendenze.
      Ricordiamo che le condizioni della legalità continuano ad essere non di rado carenti nel nostro Paese, tanto è vero che, secondo una indagine della Confesercenti, per il 62 per cento degli imprenditori italiani il fenomeno della corruzione è negli ultimi tempi rimasto invariato o addirittura aumentato, riprendendo ormai le proporzioni preoccupanti degli anni di Tangentopoli.
      Sul piano comparativistico, l'indice di percezione della corruzione (CPI) elaborato annualmente da Transparency International, rilevato in base alle opinioni di operatori economici e professionisti raccolte tramite un minimo di tre sondaggi indipendenti, vede l'Italia in una poco commendevole 35a posizione su 133 Paesi, non solo ovviamente sotto i partner europei, ma anche sotto Hong Kong e Singapore, Cipro e Slovenia. Il punteggio del nostro Paese non va oltre il 5,3 su 10, a metà strada fra il 9,7 della Finlandia e l'1,3 del Bangladesh.
      Considerando i limiti della legislazione vigente, la distinzione fra i reati di corruzione e concussione, prevista dal codice penale del 1930, è rimasta immutata anche con l'entrata in vigore della riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui alla legge 26 aprile 1990, n. 86. La nuova disciplina legislativa si è però rivelata anacronistica. Non è infatti ammissibile che un privato, il quale corrisponda o prometta di corrispondere denaro o altra utilità a un pubblico ufficiale, non soltanto vada esente da responsabilità penali, ma sia addirittura considerato parte lesa. Si evidenzia poi non solo il rischio astratto ma, come è avvenuto in alcuni processi per Tangentopoli, la concreta possibilità che nelle more dei relativi procedimenti penali i beni conseguiti illegalmente dagli indagati vengano sottratti alla giustizia.
      Ricordiamo che la corruzione è un vulnus contro lo sviluppo economico e sociale, in quanto comporta uno spreco di risorse economiche che si traduce in minori servizi per i cittadini, specie per i più bisognosi. La corruzione deteriora i rapporti economici, sociali e politici, contribuisce all'abbassamento dei livelli di moralità pubblica e di legalità e facilita il malgoverno. Ciò apre il campo alla riduzione delle libertà personali, alla violazione
 

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dei diritti civili e in particolare alla violazione della libera competizione in un libero mercato, garanzie tutte per un ordinato progresso economico e sociale. Accettare anche solo implicitamente il «sistema corruzione» significa barattare la cultura del giusto, del rispetto, della solidarietà partecipe, dei diritti e dei doveri con la cultura del privilegio e dell'arbitrio.
      Grazie ad un vasto sostegno popolare incanalato dalle associazioni per i diritti civili è stata approvata la legge n. 109 del 1996, che prevede l'uso sociale dei beni confiscati ai mafiosi assegnando ai comuni, alle cooperative sociali, alle organizzazioni di volontariato, alle comunità per il recupero dei tossicodipendenti un grande numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, con una importante ricaduta sul piano sociale, occupazionale e dell'immagine dello Stato, che viene messo in grado di restituire alla collettività quanto sottratto dal crimine organizzato.
      Insieme ai successi, però, questi anni hanno portato anche una riflessione su come migliorare la legge stessa, in quanto la confisca dei beni ai corrotti è caduta durante il suo iter legislativo.
      Sono numerosi i progetti di legge giacenti in Parlamento sulla corruzione, che si propongono finalità anche condivisibili, quali quella di superare la tradizionale distinzione tra concussione e corruzione, creando un'unica figura di reato con la previsione di nuove sanzioni. Ma l'aspetto più urgente che confligge contro ogni ragionevole precauzione di rispetto degli istituti di garanzia dell'imputato è quello di impedire «oltre il danno la beffa», di vedere cioè, come è troppo frequentemente accaduto nei processi per Tangentopoli, letteralmente volatilizzate dopo un'eventuale condanna, ricchezze anche molto consistenti, fino a quel momento ostentate.
      È pertanto necessario che in tutti i procedimenti avviati per il reato di corruzione e per gli altri delitti contro la pubblica amministrazione debbano, da parte delle autorità inquirenti e giudicanti, essere obbligatoriamente adottati tutti i provvedimenti tempestivi e idonei a bloccare la «fuga» dei beni che sono frutto del reato, beni che saranno restituiti se sarà provata l'estraneità degli stessi dai comportamenti criminosi ovvero confiscati se sarà provata la colpevolezza.
      Si tratta in buona sostanza di ampliare le ipotesi di confisca e quindi di sequestro preventivo già previste dagli articoli 321 e 322-ter del codice penale, estendendo anche ai più gravi delitti contro la pubblica amministrazione la disciplina contenuta nell'articolo 12-sexies del citato decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306. In tale modo si rende possibile procedere a sequestro non soltanto di quei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, ma anche di quelli di cui «il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica». Il procuratore della Repubblica potrà pertanto provvedere direttamente a disporre anticipatamente il sequestro dei beni anche nel corso delle indagini preliminari. L'altro e centrale obiettivo è quello di restituire alla società civile i frutti della attività criminosa, estendendo ai beni sequestrati ai corrotti le medesime disposizioni previste per i beni sequestrati e poi confiscati ai mafiosi.
      L'approvazione urgente della presente proposta di legge costituirà un importante tassello del superamento dalle vicende di Tangentopoli, permettendo una importante trasformazione dell'ordinamento italiano ed evitando di continuare a consentire di fatto situazioni giuridiche privilegiate a favore dei politici corrotti.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, dopo le parole: «delitti previsti dagli articoli» sono inserite le seguenti: «314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 323, 325,»;

          b) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

      «2-bis. In caso di confisca di beni per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 323 e 325 del codice penale si applicano le disposizioni degli articoli 2-nonies, 2-decies e 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni».


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